sabato 26 dicembre 2015

Di come Richard Miller sigilla per sempre qualunque “Tomba Vuota” di Gesù (e non solo)


LEGGENDE: Edificanti e meravigliose storie, non più lette a sufficienza da quando critici spiriti forti hanno raffreddato la credulità dei fedeli. 
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768) 
...come il proverbio ci dice che basta una sola goccia dal più grande recipiente a dirci la natura di tutto il contenuto, così noi dovremmo considerare l'argomento ora in discussione. Quando troviamo una o due false dichiarazioni in un libro e risultano essere deliberate, è evidente che non una parola scritta da tale autore è più a lungo certa e affidabile.
(Polibio, Le Storie, XII:25a.1-2)
Sarò sincero. La mia recensione del libro di Richard Miller, Resurrection and Reception in Early Christianity, (2015 – Routledge) si rivelerà troppo modesta per catturarne tutte le possibili implicazioni (una recensione decisamente più autorevole della mia la si può leggere qui) eppure raramente si trovano argomentazioni così convincenti e persuasive in un campo (quello degli studi biblici) così sfacciatamente dominato da cripto-teologi della peggior sorta ansiosi soltanto di riprodurre, in una voce accademica, le basilari pretese teologiche della presentazione della Traditio cristiana delle proprie origini.
Eppure mi rendo terribilmente conto di avere tra le mani un libro dal contenuto rivoluzionario perchè reo in ultima analisi di rivoluzionare letteralmente da cima a fondo quello che finora avevo sempre creduto e pensato a proposito dei racconti evangelici della Resurrezione.


Dì la verità, o lettore: che cosa penseresti immediatamente qualora ti indicasssi lo squallido scenario di innumerevoli dibattiti svoltisi nelle chiese, nelle “università”, nella TV, circa la resurrezione, oppure se ti facessi cenno a quei tomi e tomi di libri apologetici e contrapologetici sulla resurrezione, che tentano timidamente di rispondere all'interrogativo “Come andò veramente?”. Cosa penseresti delle idiote affermazioni di quei folli apologeti - non da ultimo perfino il demente pontefice cattolico di turno al sermone di Pasqua - che amano ricordare che i più antichi testimoni cristiani della Tomba Vuota erano delle “donne” e perciò assolutamente degne di fede? E di quei folli apologeti che si divertono a citare la menzione dei soldati a guardia del Santo Sepolcro in Matteo come già un primo esempio di apologetica cristiana contro la diffamazione ebraica e pagana (tanto per cambiare)? Oppure ancora cosa penseresti, per converso, di quegli atei ancor più idioti dei loro folli interlocutori apologeti, i quali si inventano per l'occasione cadaveri di Gesù trafugati dalle tombe di nascosto, fottute “dissonanze cognitive” pur di spiegare l'inspiegabile, oppure ancora (questa è bella) un Gesù che non morì sulla croce ma prolungò la sua agonia quel tanto necessario per uscire dalla Tomba e apparire ai suoi ancor più fragili (mentalmente, s'intende) discepoli ?!? Mi vergogno un pò nel riconoscere che tra quelli atei che avevano perso tempo prezioso a “dialogare” coi folli apologeti cristiani di tal fatta (come William Lane Craig, per intenderci, una specie di Vittorio Messori anglosassone, o come James McGrath, la quintessenza dei folli apologeti di tutti i tempi, una specie di Jerim Pischedda d'oltreoceano in formato gigante) figurava a suo tempo anche uno stimatissimo studioso come Richard Carrier (o perfino il prof Robert Price). Quelle discussioni infatti si riducevano a dibattiti tipo “Porta a Porta” dove il Bruno Vespa di turno ammiccava e sorrideva di fronte al Messori di turno e all'Odifreddi di turno. Nulla insomma di più scontato e ripetitivo.
Nessuno sa notare ad un primo sguardo qual è l'errore implicito in queste parole di confutazione della favola della resurrezione ad esempio in questo argomento del prof Robert Price nel suo Jesus is Dead (un libro dove sono raccolti tutti i possibili argomenti naturalistici che mettono in dubbio la verità della Resurrezione)  :
Ma che cosa se il Sinedrio sapeva? Perchè non misero a tacere per bene la predicazione della resurrezione tramite l'ostentazione del cadavere? ―Ecco il vostro messia! Un dettaglio cruciale sembra sempre sfuggire gli apologeti a questo punto. Secondo lo stesso Nuovo Testamento, gli apostoli cominciarono soltanto a predicare la resurrezione sette settimane dopo la crocifissione! Che effetto avrebbe fatto ostentare un irriconoscibile cadavere decomposto? Lazzaro, ci vien detto, aveva già cominciato a puzzare dopo soli quattro giorni. Riesumare il cadavere di Gesù sarebbe stato inutile. Forse lo riesumarono, per tutta l'utilità che poteva avere!
Poteva Gesù esser risorto dai morti? “Ci sono più cose in cielo e sulla terra di quante tu possa sognare nella tua filosofia, Orazio.” “Con Dio tutte le cose sono possibili.” Ma non ogni cosa è probabile, e in questo caso non c'è certamente nessun bisogno di invocare il soprannaturale. Il cristianesimo sembrerebbe esattamente lo stesso, e il Nuvo Testamento suonerebbe lo stesso, perfino senza una miracolosa resurrezione dai morti.

(pag. 62, mia libera traduzione) 
Qual è l'errore che sta commettendo il prof Price qui? Fissarsi sui particolari contradditori di quei episodi evangelici della resurrezione, prendendoli per buoni, pur di debunkare gli argomenti apologetici a loro volta sollevati sulla base di dettagli simili in quelle medesime storie? No. Non è quello perchè chiaramente il prof Price è troppo intelligente per capire di star indulgere, 'per amor di discussione', al medesimo letteralismo dei suoi interlocutori apologeti, allo scopo di confutarli sul loro stesso terreno. L'errore, come apparirà chiaro al lettore al termine della lettura PER INTERO di questo blog, è di credere che una menzogna è in atto perchè solo la menzogna (o l'auto-suggestione, che sarebbe comunque una menzogna fatta nietzscheamente a sé stessi) è la SOLA credibile alternativa ad una spiegazione altimenti miracolosa (leggi: APOLOGETICA) di quei ridicoli racconti. Ad entrambi i lati del dibattito in realtà è sempre sfuggito qualcosa.

Ma a farmi realizzare che il dibattito per come si è presentato fino ad oggi è stato e sarà terribilmente dicotomico (causa in primo luogo la solita irrazionale demenza tipicamente cristiana e complici pure i puntuali “utili idioti” atei ignoranti che si prestano per finta al gioco) ci ha pensato efficacemente il libro di Miller.

Nella sua conclusione:
Questo libro si pone come il primo caso davvero coerente che i più antichi cristiani compresero i racconti della resurrezione del Nuovo Testamento come istanze all'interno di una più vasta rubrica convenzionale comunemente riconosciuta come fittizia in modalità. La maggior parte dei trattamenti moderni hanno erroneamente assunto che quei testi presumevano di aver fornito un resoconto credibile, sebbene straordinario, di un miracolo storico, se per difendere la pretesa o per rendere la proposta la mera dubbia indulgenza dei primi creduloni convertiti. La vasta maggioranza dei libri sui resoconti della resurrezione di Gesù affronta la questione da uno di due loci polarizzati: (1) con un interesse basato sulla fede nell'onorare (difendere) i più sacri dogmi del cristianesimo; (2) con un interesse ateo a smentire le pretese della dottrina cristiana ortodossa. Perfino quelle opere che sembrano propriamente rigorose nel loro approccio accademico spesso si fanno strada orbitando attorno l'uno o l'altro di quei due contemporanei centri socio-religiosi. Si considera The Resurrection of the Son of God di Nicholas Wright (Fortress, 2003) e Jesus is Dead di Robert Price (American Atheist Press, 2007) come esempi relativamente recenti di questa polarità.
...
Avendo mostrato l'errore di entrambe le posizioni estreme, cioè, che la resurrezione di Gesù non fu nè proposta come una realtà storica e neppure spacciata come un'antica menzogna cristiana, questo studio ha trovato l'autentica sintesi (tertium quid): i primi cristiani esaltarono il fondatore del loro movimento mediante i protocolli letterari standard della traslazione divina.

(pag. 181-182, mia libera traduzione)

in poche parole: finora la gente (apologeti e atei tutti senza eccezione alcuna) è stata così idiota e ignorante da rovellarsi intorno all'Evento Originante per antonomasia (le visioni di un Gesù risorto) concordando almeno su due semplici fatti puri e semplici nella loro apparente “evidenza”:

1) che c'era una tomba di Gesù,

2) che i primi cristiani affermano che la tomba era vuota perchè avevano visto Gesù risorto.

Due “fatti” riconosciuti come veri che bastavano da soli a polarizzare entrambi gli schieramenti tra chi, nient'altro che un banale folle apologeta cristiano, farneticava ossessivamente sull'assoluta ''probabilità'' che quella tomba era ''davvero'' vuota del cadavere di Gesù, e chi, folle apologeta ateo (non saprei trovare un termine migliore, sfortunatamente), insisteva che tutte le affermazioni cristiane del tipo “la tomba era vuota” erano tutte riconducibili, in ultima istanza, o ad una deliberata menzogna bella e buona, fatta con la mira intenzionale di illudere, oppure ad un'auto-suggestione (che sarebbe anch'essa una forma di menzogna, fatta con la mira inconsapevole di illudersi).

Insomma, il “problema” si riduceva e traduceva in una farsa totale tra chi difendeva la sincerità e la sanità mentale dei cosiddetti ('ovviamente' reali) “testimoni della Tomba Vuota” e chi li accusava all'opposto di spudorata menzogna e/o di improvvisa allucinazione schizofrenica (per quanto edulcorati fossero i termini che adoperava per descrivere entrambe le possibilità).

Insomma, un tipo semplice come me aveva davvero tutti i motivi per sospendere il giudizio e fregarsene totalmente non solo di goffi dibattiti del genere, ma di fregarsene del tutto perfino di discutere a priori circa le origini cristiane, se quello era il tenore del dibattito.

Fortuna volle che è giunto oramai il tempo di mandare al macero tutte le autentiche puttanate emesse dai folli apologeti cristiani e atei e la loro falsa dicotomia tra “sincerità” e “inganno” come soluzione del “problema”, dal momento che non c'è e non c'è mai stato alcun “problema”, alcun enigma, alcun mistero da risolvere: perchè il libro di Miller mi ha inesorabilmente convinto, sull'onda di un'evidenza davvero soverchiante quanto irresistibile, che non ci fu mai nessuna “Tomba Vuota”, anzi probabilmente nessuna tomba del tutto (e si badi che questa dichiarazione posso avanzarla in tutta sicurezza perfino se mi ponessi sotto il paradigma storicista minimale) all'origine delle visioni del Risorto. Miller prende le mosse da questa curiosa risposta dell'apologeta cristiano Giustino ai pagani:
E anche quando affermiamo che il Logos, che è il primogenito di Dio, fu prodotto senza unione sessuale, e che Lui, Gesù Cristo, nostro Maestro, fu crocifisso e morì, e risorse di nuovo, e ascese al cielo, non proponiamo nulla di diverso da cosa credete riguardo coloro che considerate figli di Giove. Infatti sapete quanti numerosi figli i vostri stimati scrittori attribuirono a Giove: Mercurio, interprete della parola e maestro di tutte le cose; Esculapio che, sebbene fu un grande medico, fu colpito da un fulmine e così ascese al cielo; e anche Bacco, dopo che era stato squartato a pezzi; ed Ercole, quando si scaraventò tra le fiamme per fuggire ai suoi travagli; e i figli di Leda, e i Dioscuri; e Perseo, figlio di Danae; e Bellerofonte, che, nonostante nato tra i mortali, ascese al cielo in groppa al cavallo Pegaso. Cosa dirò poi di Ariadne, e di quelli che, al pari di lei, sono state elevate all'altezza delle stelle? E cosa degli imperatori che morirono in mezzo a voi, da voi ritenuti degni di apoteosi, in onore dei quali immaginate uno che giura di aver visto Cesare mentre bruciava ascendere al cielo dalla pira funeraria? E che genere di atti sono ricordati dei cosiddetti figli di Giove, non c'è bisogno di dirlo a coloro che già lo sanno.
(Giustino Martire, Prima Apologia 21)
Egli nota le apparenti incongruenze alle quali avevo accennato in un post precedente, dal quale riprendo una citazione.
...l'apologia non proponeva alcun argomento a favore di quest'affermazione che i due gruppi di storie erano distinguibili mediante la presunta veracità dei racconti cristiani e la falsità degli analoghi racconti classici mediterranei; quest'affermazione di nuovo forniva meramente un'asserzione, tentando di assegnare un'arcaica precedenza alla tradizione giudeocristiana. L'ovvio passo, se questo fosse stato un tentativo di fare un argomento storico, sarebbe stato l'offerta di testimonianza oculare che attestasse la storicità di tali antichi racconti cristiani, un argomento che avrebbe potuto forse apparire irresistibile considerando la prossimità di Giustino alla regione e al tempo dei presunti eventi.
Come è stato indicato nella lettura di 1 Apologia 21, comunque, l'apologia confessò che i due gruppi erano identici in genere (
οὐ . . . καινν τι φέρομεν), proprio il punto che induce l'inchiesta in questione. L'apologia propone semplicemente quello che il logico potrebbe ritenere una genetic fallacy, vale a dire, che i demoni ispirarono gli autori classici nel fabbricare menzogne o fiction che proletticamente imitavano i racconti evangelici cristiani, quindi cercando di prevenire e minare la loro veracità e legittimazione tramite un'apparente associazione generica. Δαμονε
ς, secondo le opere di Giustino, avevano ispirato gli autori letterari classici nel produrre le figure principali della cultura classica.
Il riposizionamento riflette un mutamento sottostante nella proposta modalità dei racconti evangelici, che si muove lungo il continuum da mitografia fittizia verso il fatto storico. Un mutamento del genere corrisponde a bisogni nascenti nel secondo secolo in procinto di caricarsi sui vangeli. Laddove, al principio, storie del genere ebbero successo nella misura in cui erano capaci di appropriarsi, attingere, e confrontarsi alle convenzioni e ai temi della tradizione letteraria classica, per la metà del secondo secolo, i primi cristiani posero le loro mire su un prezzo più alto: una rivoluzione culturale globale del mondo ellenistico romano. Questa pretesa ad un ordine nuovo richiedeva una fondazione di una distinta superiorità, la quale poneva un nuovo peso senza precedenti sui miti eziologici del movimento, cioè, i vangeli. Il fondatore dev'essere meglio di, più vero di, più virtuoso di, di una tradizione più arcaica di, e più profeticamente legittimato, delle stabilite forme culturali classiche. Non più a lungo era sufficiente che Gesù dovesse congiungersi alla lista classica di semidèi come un suggestivo frutto o esempio mediorientale; egli deve ottenere una statura sui generis, mentre nel contempo si condanna tutte le precedenti figure iconiche mediterranee.  

(Richard C. Miller, Resurrection and Reception in Early Christianity, 2015 – Routledge, pag. 4-5, mia libera traduzione)

Il sospetto insinuatoci dalle parole dello stesso Giustino si rivelerà fondato: perfino ammesso (e non concesso) che un Gesù storico sia davvero esistito, perfino ammettendo l'autenticità di 1 Corinzi 15:4, i primi cristiani non erano convinti che Gesù fosse risorto perchè il suo sepolcro (se in cielo o sulla terra non fa differenza alcuna) si rivelò “secondo le scritture” bruscamente vuoto: quella storiella del sepolcro vuoto erano LORO stessi ad averla inventata. E non l'avevano inventata perchè sinceri testimoni di un reale sepolcro vuoto. E neppure l'avevano inventata perchè avevano intenzione di ingannare deliberatamente gli stupidi hoi polloi. No. Essi , i primi cristiani, inventarono la storiella di un sepolcro vuoto - e nota bene: forse perfino prima ancora che Paolo scrivesse 1 Cor 15:4 - solo per adeguarsi meramente ai del tutto comuni e convenzionali costumi letterari dell'epoca, secondo i quali il modo migliore e più consueto in tutto il bacino del Mediterraneo per ESALTARE il tuo eroe, dio, semidio, personaggio storico o mitologico di turno era inventarsi per lui a tavolino una tomba vuota e tanto di sparizione/traslazione/ascensione nell'aldilà del suo corpo. E fare rapidamente, subito dopo la presunta morte dell'eroe, un simile abbellimento letterario con una naturalezza estrema e attesa al 100%. [2]
 
La conclusione è inevitabilmente una e una sola: sia che Gesù sia esistito, sia che Gesù non fu mai esistito, i cristiani introdussero nelle loro sacre storielle la menzione di una tomba (prima ancora di una tomba che fosse vuota o piena del tutto) per puro conformismo alle convenzioni letterarie dell'epoca nella quale si trovarono a scrivere.
Se Gesù è esistito, questo significa che Maurice Casey avrebbe davvero probabilmente ragione a concludere che
Gesù non risorse fisicamente dai morti, lasciando una tomba vuota dietro di sé. Lui fu probabilmente seppellito in una fossa di criminali comuni, dove il suo cadavere si decompose in un modo normale.
(Jesus of Nazareth, An Independent Historian’s Account of His Life and Teaching, pag. 497, mia libera traduzione)
Nessuna tomba per Gesù perchè erano i cristiani ad introdurre su carta la menzione di una tomba, per innocua conformità alla moda letteraria del tempo.

Se Gesù non fu mai esistito, la necessità di un sepolcro per Gesù in 1 Cor 5:4 corrispondeva per lo stesso motivo semplicemente al desiderio di esaltare l'arcangelo celeste in questione adeguandosi conformisticamente (e passivamente) alle mode letterarie del tempo che prevedevano per ogni eroe o semidio morto la misteriosa sparizione del suo cadavere e la sua conseguente traslazione in cielo. Nessuna cospirazione dunque: solo mero conformismo letterario. 

Nelle pagine conclusive del libro, il dr. Miller descrive quale sarebbe la paradossale implicazione finale che la sua ricerca ha per la religione cristiana (si noti l'assenza di soluzioni che perfino lui non è in grado di fornire ai moderni cristiani):
E così, l'investigazione si avvicina ad una conclusione con un pochettino di speculazione, nel tentativo di illuminare una luce guida sul percorso di fronte. Qui sta il dilemma: se i più antichi cristiani non leggevano i racconti di resurrezione come un fatto storico, ma come sacra leggenda fittizia, allora su quale base dovrebbe ogni altro cristiano ritenere credibili tali racconti? 
Devono i cristiani ora abbandonare la loro religione di fronte a conclusioni del genere derivate in questo libro? Nell'ammissione che l'onda delle pretese cristiane ontologiche e storiche, per la maggior parte principalmente quella della storicità della resurrezione di Gesù di Nazaret, non ha in definitiva trattenuto lo sguardo critico dell'Illuminismo, devono allora i cristiani unirsi alla volpe di Esopo nell'esclamare ''l'uva è acerba!''. Forse per altri mezzi i cristiani potrebbero più profondamente godere di questo frutto in una più autentica solidarietà con l'umanità, dopo aver spazzato via la spazzola, cioè, il loro coinvolgimento in superstitio. Ogni religione consiste di tre componenti sacre: mito, filosofia, e rituale. Che ruolo, secondo questo studio, la favola della traslazione recitò nella nascente religione cristiana? Gli abbellimenti di cornice dei vangeli, contrariamente alla maggior parte delle teologie del giorno odierno, servivano ad esaltare il contenuto che è incorniciato, precisamente, la filosofia incarnata nella rappresentazione iconica del fondatore, Gesù. Posto indietro sull'originale piedistallo, può una moderna filosofia cristiana competere nel mercato di ideologie come fece un tempo? Quale ruolo di supporto potrebbe un cristianesimo umanistico del genere recitare in un mondo pluralistico complesso assalito da sfide senza precedenti e dalla pressione di richieste ulteriori per civilizzare la specie?
(ibid., pag. 183, mia libera traduzione e mia enfasi)
Miller preferisce non rispondere al quesito finale per i cristiani da lui stesso sollevato. Forse lui è un cristiano agnostico, ovvero uno che ama il cristianesimo anche se preferisce non scommettere sulla verità dei suoi dogmi (primo tra tutto la necessità di una 'tomba vuota') sul piano storico. A me non interessa in cosa crede Miller. Ciò che mi importa è vedere che apparentemente non ha soluzioni che contemplino la possibilità di salvare una tomba vuota per Gesù, il che rende l'affermazione originaria cristiana della sua resurrezione davvero astratta: perfino se Gesù è esistito, la sua resurrezione fu considerata dai primi cristiani completamente spirituale. La menzione di un sepolcro vuoto venne subito dopo e costituì solo una mera decorazione letteraria secondo i canoni del tempo. Non fu per nulla il lascito di una testimonianza oculare. Un sepolcro vuoto non è mai stato parte del credo originario.

Il lettore si stupirà di vedermi così arcisicuro che non ci fu nessuna Tomba Vuota per Gesù dopo la sua morte (perfino nell'ipotesi che quella morte fosse reale e storica), dal momento che l'evidenza è davvero irresistibilmente forte che quella tomba di Gesù erano i cristiani stessi ad averla inventata e non per frode e neppure per auto-suggestione, ma solamente per mero adeguamento alla moda letteraria del tempo, più precisamente ad un comune tropos letterario mediterraneo, perchè quella era la prassi più prevedibile, attesa e naturale per onorare il proprio oggetto di culto.
 
La probabilità che una tomba vuota fu inventata per Gesù è dunque equamente probabile sia sotto l'ipotesi del miticismo minimale che sotto l'ipotesi della storicità minimale. Semplicemente, un oggetto di culto MERITAVA di lasciare un sepolcro vuoto dopo la morte ad attestazione della sua divinità.

Il lettore non ci crederà? Il lettore non oserà crederci?

VEDERE PER CREDERE.

Passato il sabato, Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e Salome comprarono oli aromatici per andare a ungerlo. Di buon mattino, il primo giorno della settimana, vennero al sepolcro al levare del sole. Dicevano tra loro: «Chi ci farà rotolare via la pietra dall’ingresso del sepolcro?». Alzando lo sguardo, osservarono che la pietra era già stata fatta rotolare, benché fosse molto grande.
Entrate nel sepolcro, videro un giovane, seduto sulla destra, vestito d’una veste bianca, ed ebbero paura. Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l’avevano posto. Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: “Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto”». Esse uscirono e fuggirono via dal sepolcro, perché erano piene di spavento e di stupore. E non dissero niente a nessuno, perché erano impaurite.

(Marco 16:1-8)


ACCA LARENZIA


A questo punto Plutarco apre una divagazione sul mito di un'altra Acca Larenzia, anche essa onorata dai Romani. Un guardiano del tempio di Ercole per vincere la noia si mise a giocare a dadi da solo tirando anche per Ercole. Proponeva al dio una partita la cui posta era la possibilità di ottenere un favore se avesse vinto lui, l'offerta di un banchetto e di una bella donna se avesse vinto il dio. I suoi tiri ai dadi risultarono perdenti. Per mantenere la parola data il buon uomo andò a chiamare una certa Acca Larenzia, bella donna che non esercitava la prostituzione. La recò al tempio e dopo aver banchettato con lei la chiuse dentro perchè il dio la possedesse. Il mito vuole che Ercole si incontrasse veramente con lei ed al mattino fece modo che Larenzia trovasse marito: un benestante attempato e senza figli di nome Tarrunzio. Divenuta famosa e considerata cara ad un dio si racconta che scomparisse un giorno presso il luogo ove era sepolta la prima Larenzia, al Velabro.
http://www.sunelweb.net/modules/freecontent/index.php?id=515

EGA FIGLIA DI OLENO

EGA, ninfa, figliuola di Oleno, nudrice di Giove, il quale, dopo la di lei morte, la trasportò in cielo, e ne fece una costellazione, detta la Capra.
(da Dizionario d'ogni mitologia e antichità incominciato da Girolamo Pozzoli sulle tracce del Dizionario della favola di Fr. Noel, continuato ed ampliato dal prof. Felice Romani e dal dr. Antonio Peracchi. Volume 1. [-6.], pag.111)

ENEA FIGLIO DI AFRODITE

Il piccolo fiume laziale Numicio è spesso associato alla leggenda di Enea.
Nel VII libro dell'Eneide segue il confine fra il regno di Latino e la terra dei Rutuli.
In Tibullo e Dionigi di Alicarnasso le sue rive sono il luogo della scomparsa di Enea o della sua assunzione in cielo.

http://www.sunelweb.net/modules/sections/index.php?artid=2371

ALCMENA PRINCIPESSA DI MICENE E TIRINTO

Qui diremo intanto, che ita Alcmena a Tebe, e poco dopo essendo scomparsa, fu dai Tebani venerata come una Dea.
(Biblioteca storica dei Diodoro Siculo, Volume 2 di Diodorus (Siculus.), Giuseppe Compagnoni, pag. 249)

ALCIONE REGINA DI ERACLEA TRACHINIA

Alcione è una figura della mitologia greca, figlia di Eolo re dei venti.
Sposò Ceice di Eraclea Trachinia e la loro vita fu così felice che un giorno chiamò il marito "Zeus". Il re degli dei si indignò per questo affronto e scatenò una tempesta mentre Ceice era in viaggio per mare, facendolo annegare. La sua ombra apparve ad Alcione che, intuitane la morte, si gettò nelle acque per raggiungerlo.
Gli dèi ne ebbero pietà e trasformarono entrambi in alcioni (un tipo di uccello non bene identificato, probabilmente un martin pescatore o una specie di gabbiano).

(da wikipedia)

ALESSANDRO MAGNO

«Disperando della vita, -- racconta un emulo del Pseudo-Callistene, -- Alessandro risolse di gettarsi nell'Eufrate, per nascondere la sua morte ai soldati e persuadere il mondo che si era ricongiunto con i padri della sua stirpe celeste. Ma, essendosi sua moglie Rossane opposta a questo disegno, egli la rimproverò piangendo di contrastare la gloria, concessagli dalla sorte, di essere un dio.»
(Alessandro Magno, di Georges Radet)

ALTEMENE PRINCIPE DI CRETA

Quando Catreo si accorse di essere prossimo alla morte e di essere senza eredi, si recò a Rodi alla ricerca di Altemene. Giuntovi nottetempo, i suoi Cretesi vennero scambiati dagli indigeni per pirati e furono attaccati. Altemene, credendo di trovarsi di fronte a nemici, da lontano scagliò un giavellotto che colpì il padre, uccidendolo. Quando Altemene si accorse di avere ucciso suo padre, pregò gli dei che gli dessero la morte: subito dopo, il giovane fu inghiottito dalla terra.
(da wikipedia)

ANFIARAO RE DI ARGO

Una volta a Tebe, Anfiarao ebbe l'incarico di attaccare la porta di Omoloide, ma fu sconfitto e le sue truppe disperse. Anfiarao fu costretto alla fuga e solo l'intervento di Zeus impedì che venisse ucciso dai soldati tebani. Il dio decise di farlo precipitare in una fossa aperta con uno dei suoi fulmini, e fece sì che quel luogo diventasse sacro, con un oracolo. Anfiarao cadde nelle viscere della terra e precipitò direttamente nell'Oltretomba al cospetto di Minosse, che se lo vide arrivare con l'armatura e il carro da guerra.
(da wikipedia)


ANASSIBIA REGINA DI TESSAGLIA

Vicino al Gange è un monte detto Anatolio per questa cagione. Avendo il Sole veduta la giovine Anassibia che passeggiava per que' dintorni, ne divenne desideroso; e non frenando quella passione si diede a inseguirla con animo di farle violenza. Ma la fanciulla da tutte le parti assediata rifuggissi nel tempio di Diana Ortia, il quale era sul monte detto Corifeo; e disparve. Di che il Dio che la inseguiva alle spalle, e più non trovò la sua diletta, per l'eccessivo dolore, in quel luogo medesimo, sollevossi nell'alto. E i paesani da questo caso nominarono Anatolio quel monte, siccome narra Cemarone nel decimo delle Cose indiane.
(Opuscoli di Plutarco, Volume 2, pag. 1171)

ANNA PERENNA, SORELLA DI DIDONE

La tradizione più comune, in particolare Ovidio nei Fasti[2] la identifica con Anna, sorella di Didone, che dopo la tragica morte di questa, si rifugiò a Malta, presso il re Batto, per sfuggire al fratello Pigmalione. Nuovamente costretta a prendere il mare, naufragò sulle coste del Lazio dove, amorevolmente ospitata da Enea, suscitò la gelosia della moglie Lavinia. Didone, apparsale in sogno la esortò ad abbandonare la casa ospitale, e da allora si crede che il cornigero Numicio l'abbia rapita con le sue onde impetuose e l'abbia nascosta nei suoi antri.
(da wikipedia)

ANTINOO

Secondo una tradizione egizia già testimoniata da Erodoto, chi moriva annegato nel Nilo aveva diritto a ricevere onori quasi divini; Adriano, oltre ad associare la sua figura a quella del dio egizio morto e risorto dal Nilo, ne fece immediatamente l’oggetto di un culto eroico, che si diffuse in tutte le province dell’impero: in Grecia e nelle province orientali il culto assunse addirittura forme sincretiche, vedendo Antinoo di volta in volta venerato coma Adone, Apollo, Dioniso o Pan.

https://archeotoscana.wordpress.com/2014/10/24/24-ottobre-130-d-c-antinoo-annega-nel-nilo/

APOLLONIO DI TIANA

Altrettanto leggendaria sembra essere stata la sua morte; c’è anzi chi dice che non sia morto affatto ma, che sia solamente scomparso, dopo essersi inoltrato nel tempio di Atena.http://www.simmetria.org/simmetrianew/contenuti/articoli/46-mitologia-ed-etnologia/515-apollonio-di-tiana.html

ARIANNA PRINCIPESSA DI CRETA

Dioniso aveva partecipato con tutto il suo animo al racconto di questa storia d'amore e tradimento; quando Arianna smise di piangere si fece riconoscere come dio e le chiese di diventare sua moglie. Sorpresa Arianna taceva, allora Dioniso prese la corona gemmata che portava e la posò sul capo della donna, quel gesto valeva più di un giuramento e Arianna ne comprese subito il significato. Zeus acconsentì alle nozze dal cielo, trasformando quella corona in stelle. Alle nozze assistette tutta la corte di Dioniso, che col capo ricoperto di ghirlande di pampini e agitando il tirso, si mise a cantare un gioioso epitalamio. Un carro d'oro, tirato da sei pantere, trasportò i giovani sposi in una dimora sconosciuta.

http://mitologiagreca.blogspot.it/2007/07/dioniso-incontra-arianna.html

ARISTEO, FIGLIO DI APOLLO

Ebbe Aristeo onori divini nella Sicilia. Abitò nel monte Emo, da dove improvvisamente sparito corse voce lo ponessero li Dei nel Zodiaco, e che precisamente fu l'Aquario.
(Le Argonautiche poema greco di Apollonio Rodio, Volume 3, pag. 239)

ARISTEA DI PROCONNESO

Di dov'era nativo Aristea, l'autore di queste notizie, l'ho detto; ora invece riferirò quanto su di lui udivo raccontare a Proconneso e a Cizico. Narrano infatti che Aristea, il quale per nobiltà di natali non era inferiore a nessuno nella sua città, entrò un giorno in una lavanderia di Proconneso e vi morì; il lavandaio chiuse il negozio e si avviò per avvertire i parenti del defunto. Si sparse per la città la voce che Aristea era morto, ma giunse a contraddirla un uomo di Cizico, proveniente da Artace, il quale sosteneva di averlo incontrato che si dirigeva a Cizico e di aver chiacchierato con lui. E mentre costui ribadiva con ostinazione il suo discorso, i parenti del defunto già erano sulla porta della lavanderia con il necessario per rimuovere il cadavere. Aprirono la porta della stanza, ma di Aristea non c'era traccia, né vivo né morto. Sei anni dopo riapparve a Proconneso e vi compose il poema ora intitolato dai Greci Canti arimaspi: dopo averlo composto sparì una seconda volta.
15) Così si racconta in queste due città, ecco invece cosa so essere capitato agli abitanti di Metaponto in Italia, 240 anni dopo la seconda scomparsa di Aristea, secondo quanto ho scoperto con le mie ricerche a Metaponto e a Proconneso. I Metapontini affermano che Aristea in persona apparve nel loro paese, ordinò di edificare un altare ad Apollo e di erigergli accanto una statua con la scritta "Aristea di Proconneso"; spiegò che essi erano gli unici Italioti presso i quali fosse venuto Apollo e che lui stesso lo aveva seguito: ora era Aristea, allora, quando accompagnava il dio, era un corvo. Detto ciò sarebbe scomparso. I Metapontini, a quanto asseriscono, inviarono una delegazione a Delfi per interrogare il dio sul significato di quell'apparizione, e la Pizia li avrebbe esortati a obbedire al fantasma, perché obbedendo si sarebbero trovati meglio. Essi accettarono il responso ed eseguirono quanto prescritto. E oggi proprio accanto al monumento di Apollo si erge una statua intitolata ad Aristea, circondata da piante di alloro; il monumento di Apollo si trova nella piazza. E questo basti sul conto di Aristea.

(Erodoto, Storie, IV:14-15)

ASCLEPIO

«È generalmente riconosciuto che Asclepio fu portato al cielo in una colonna di fuoco e lo stesso è detto di Dioniso, Eracle e altri che si adoperarono a beneficio dell'umanità. Si dice che Dio fece questo per distruggere la loro parte mortale e terrestre con il fuoco e poi attirare a sé la loro parte immortale e trasferirne in cielo le anime».
(da Galeno, Commentario al giuramento di Ippocrate)

ASPALIDE
Ἀσπαλίς, nella città di Melitea, viveva un tiranno violento e arrogante il cui nome le genti ritenevano empio pronunciare e che gli stranieri chiamavano Tartaro. Questo tutte le volte che sentiva vantare la bellezza di una giovane, la faceva rapire e la violentava prima del matrimonio. Un giorno ordinò ai suoi soldati di prelevare Aspalide, figlia di Argeo, uno dei notabili della regione. La ragazza non appena ebbe il sentore di cosa stesse per capitargli, prima ancora che i soldati giungessero, si impiccò. La notizia ancora non si era diffusa, perciò Astigite, fratello della povera Aspalide, giurò di vendicarsi del tiranno prima ancora che il corpo della sorella fosse staccato dalla corda e così indossò rapidamente gli abiti della sorella nascondendone, lungo il fianco sinistro, una spada. Essendo ancora molto giovane, i tratti dolci della gioventù lo aiutarono nel suo travestimento e quindi riuscì a farsi condurre alla presenza del tiranno. Non appena solo col tiranno, lo sorprese senza armi e senza guardie e lo uccise. Gli abitanti di Melitea cinsero Astigite di corone e lo portarono in corteo intonando il peana; quanto al cadavere di Tartaro lo gettarono in un fiume che da allora, prese il nome del tiranno (si tratta dell'attuale Skourisorevma). Poi cercarono il cadavere di Aspalide per renderle gli onori funebri solenni ma invano: era scomparsa per volontà divina e al suo posto, vicino a quella di Artemide, era apparsa una statua. Diedero alla statua il nome di Aspalide Ameilete Ecaerge e tutti gli anni le vergini vi appendono una giovane capra che non si è mai congiunta a un maschio, a ricordo di Aspalide che, quando s'impiccò, era vergine (A. Liberale, Metamorfosi XIII)
http://www.miti3000.it/mito/mito/greca_a.htm

ASTREA, FIGLIA DI ZEUS
Ἀστραία, anche detta Dike o Dice, Figlia di Zeus e di Tèmi. Dea della giustizia, considerata il principio fondamentale per lo sviluppo di ogni società civile. Secondo il mito la dea viveva in mezzo agli uomini, durante l'età dell'oro dopo indignata per le loro colpe, salì in cielo dove fu mutata nella costellazione della vergine. Secondo Igino, sue sorelle erano: Auxo, Eunomia, Ferusa, Carpo, Dice, Euporie, Irene, Ortosie, Tallo. Altri autori ne citano dieci con i seguenti nomi: Auge, Anatole, Musica, Ginnastica, Ninfe, Mesembria, Sponde, †elete atte e †Esperide e Diside.
http://www.miti3000.it/mito/mito/greca_a.htm

AVENTINO, RE DI ALBA LONGA

Il Lazio dopo Enea, che considerarono dio, ebbe undici re, dei quali nessuno divenne dio. Invece Aventino, che è il dodicesimo dopo Enea, essendo stato ucciso in guerra e sepolto sul colle, che oggi ancora si designa col suo nome, fu aggiunto al numero degli dèi concepiti a modo loro. Altri non vollero ammettere che fosse ucciso in battaglia, ma han detto che era scomparso e che il colle non è stato denominato Aventino dal suo nome ma dalla venuta di certi uccelli. Dopo di lui nel Lazio non è stato considerato dio alcuno fuorché Romolo, fondatore di Roma.
(Agostino, De Civitate Dei, 18.12)

BELO, RE DI ASSIRIA

La fondazione di Babilonia viene attribuita allo stesso Belo, o la si suppone dovuta a lui, in una serie di altre testimonianze che ne parlano direttamente...
...
A questo punto il testo greco riferisce che dopo un certo tempo Belo è divenuto invisibile (aphanisthenai), ossia è stato sottratto alla terra e rapito al cielo.

(El Misterio de la palabra: homenaje de sus alumnos al profesor D. Luis Alonso Schökel, pag. 129, 134)

BERENICE, REGINA DELL'EGITTO TOLEMAICO
Teocrito, idil. XVII, vers. 45 :
O veneranda, e sovra tutte quante
Dee la più bella, o Venere ! Tua cura
Fu Berenice, e tua mercè la bella
Non varcò d'Acheronte il molto pianto.
Tu la rapisti
pria che al fiume negro
E al sempre triste traghettier de' morti
Giungesse, e lei nel tuo tempio locavi
Al tuo culto compagna, onde a' mortali
Tutti propizia; amor facile spira ,
Miti cure concede a chi la prega.

(La chioma di Berenice poema di Callimaco, pag. 205)

BRANCO FIGLIO DI APOLLO

BRANCO, famoso indovino reputato figlio di Macareo, ma il cui vero padre era Apolline. Sua madre, essendo incinta, sognò che il sole entrava nella sua bocca e le penetrava fino ai fianchi. Il fanciullo divenne grande, e errando ne' boschi incontrò un giorno Apolline, il quale lo abbracciò e gli diede uno scettro ed una corona. Incontanente egli profetizzò e scomparve.
(Dizionario d'ogni mitologia e antichità incominciato da Girolamo Pozzoli sulle tracce del Dizionario della favola di Fr. Noel, continuato ed ampliato dal prof. Felice Romani e dal dr. Antonio Peracchi. Volume 1. [-6.] : 1, pag. 323)

BRITOMARTIS

 Alcune fonti affermano che fu una ninfa cacciatrice. Minosse si innamorò di lei, ma ella fuggì verso un bosco dedicato a Artemide e si nascose per circa nove mesi. Per sottrarsi alle continue profferte d’amore di Minosse, si gettò in mare ma fu salvata da alcuni pescatori, dal che ricevette l’epiteto di Dittinna (greco “díktyon” = “rete”), forse anche perché era solita cacciare con le reti. Britomartis raggiunse così sana e salva l’isola di Egina, dove fu venerata e fu assunta da Artemide fra gli dèi. Tutti i suoi nomi e tutte le sue caratteristiche sembrano collegati al culto della luna e ai riti della fertilità e fanno di Britomartis una variazione sul tema della Dea Madre eterna. Non si può parlare di Britomartis senza citare Afaia, nome di diverse figure raccontate nei miti dell’antica Grecia. Secondo Antonino Liberale, Afaia, venerata già ai tempi micenei, soprattutto nell’isola di Egina, è identificata con la ninfa di Creta Britomartis Pausanias.
Afaia deriva dal greco e significa “scomparsa” e ciò si rifà all’intervento di Artemide per salvare la sua protetta assumendola tra gli dei.

http://tanogabo.com/britomartis-dolce-fanciulla/

CANENS FIGLIA DI GIANO

Canens Mitica ninfa del Lazio, personificazione del canto. Figlia di Giano e della dea Venilia, amava teneramente lo sposo Pico, re dei Laurenti; e quando questi fu mutato dalla maga Circe in cinghiale e poi in picchio, errò disperata alla sua ricerca, finché sulla riva del Tevere si dissolse nell’aria. 
http://www.treccani.it/enciclopedia/canens/

CARIA, PRINCIPESSA DI LACONIA

Dione, re della Laconia , aveva sposato Anfitea che gli aveva dato tre figlie: Orfe, Lico e Caria. Un giorno la moglie accolse con i più grandi riguardi Apollo che viaggiava per quelle terre. Per ricompensa questi promise alle fanciulle doni profetici purché non tradissero mai gli dei e non cercassero di sapere quel che non le riguardava.
Qualche tempo dopo capitò in quei luoghi Dioniso che, ospite nella casa di Dione, non seppe resistere al fascino di Caria, di cui si innamorò, riamato. Poi ripartì  per il suo viaggio intorno alla Terra.
Quando finalmente lo concluse, tornò nella casa di Dione, spinto dall’amore per quella giovane. Fu allora che Orfe e Lico, incuriosite, cominciarono a spiarlo, infrangendo il voto. A nulla valsero gli avvertimenti di Dioniso: le due curiose non riuscivano a resistere alla tentazione; sicché il dio decise di punirle facendole impazzire per poi mutarle in rocce. Caria ne morì per il dolore; ma Dioniso, che l’aveva tanto amata, la trasformò in un noce dai frutti fecondi. Spettò ad Artemide, sorella di Apollo, raccontare questa storia ai Laconi che, successivamente, eressero in  suo onore, chiamandola Artemide Cariatide, un tempio dalle colonne scolpite in legno di noce modellato in sembianze femminili, che furono dette cariatidi.

http://www.icponte.gov.it/ipertesti/Erbe/noce_curiosit%E0.htm

CÈICE
Κήυξ, il mito di Ceice è un pochino controverso, in quanto secondo Apollodoro, Ceice era figlio di Eosforo (stella del mattino) e marito di Alcione (figlia di Eolo e di Egiale), furono rovinati dalla loro empia insolenza: lui infatti andava dicendo di avere come sposa Era, e lei che suo marito era Zeus. Questo fatto non era gradito agli Olimpi, che per punirli del sacrilego paragone un giorno mentre Cèice a bordo di una nave stava andando a consultare l'Oracolo, gli mandarono contro una furiosa tempesta. Nel naufragio Cèice perse la vita e il suo spirito apparve ad Alcione che era rimasta a Trachine. Dal dolore Alcione si buttò a mare e proprio allora Zeus li trasformò in uccelli, lei in alcione e lui in folaga (kèyx) (Apollodoro, Biblioteca I, 7). Igino invece narra che: Ceice, figlio di Espero o Lucifero (altri nomi di eosforo) e di Filonide, morì in un naufragio. Allora la sposa Alcione, figlia di Eolo e di Egiale, si gettò in mare per amore. Gli dèi, presi da pietà, trasformarono entrambi in quegli uccelli che vengono chiamati alcioni (Metamorfosi, 65). Meravigliosamente poetica è la versione narrata da Ovidio nell'undicesimo libro delle Metamorfosi.
http://www.miti3000.it/mito/mito/greca_c.htm

CASTORE FIGLIO DI TINDARO

Castore fu ferito a morte. Polluce, volendo seguire il destino del fratello, volle vivere come Castore un giorno sull'Olimpo e uno nell'Ade. Un altro mito, riportato da Euripide nella sua opera Elena (v. 140), ricorda invece che Zeus concesse – visto il loro profondo legame – di vivere per sempre nel cielo, sotto forma della Costellazione dei Gemelli.
(da wikipedia)

CHIRONE IL CENTAURO

La causa della morte di Chirone fu Eracle, che nella foga della guerra mossa ai centauri per errore colpì al ginocchio Chirone con una freccia avvelenata col sangue dell'Idra, e siccome il buon centauro era immortale e l'inguaribile ferita lo faceva soffrire atrocemente, Zeus, commosso, per sottrarlo ai tormenti del dolore lo mutò nella costellazione del Sagittario.
http://www.miti3000.it/mito/mito/greca_c.htm

CLEOMEDE DI ASTIPALEA

Cleomede durante una gara di pugilato, nella 72ª gara olimpica uccise senza volerlo il suo diretto avversario, tale Epidauro, nel contesto i giudici di gare pensarono che si fosse avvalso di un qualche trucco e per questo non fu il vincitore della gara.
Questo peso sulla coscienza e il fatto di essere stato accusato ingiustamente fecero impazzire Cleomede che attaccò un edificio, una scuola, tirando pugni ad una colonna portante fino a provocarne il crollo e uccidere decine di bambini. I cittadini volevano lapidarlo ma riuscì a fuggire in un tempio di Atena, ove pensava di essere al sicuro, nascondendosi.
Alla fine gli uomini si convinsero ad entrare vincendo la soggezione della dea, ma non trovarono il corpo dell'uomo, per questo interrogarono l'oracolo che gli attribuì onori in quanto da considerare un eroe, l'ultimo degli eroi.
Plutarco afferma che invece di nascondersi nel tempio della dea aveva trovato rifugio in una cassa dove una volta scoperto, grazie al responso dell'oracolo di Delfi era sparito.

(da wikipedia)

CRESO RE DI LIDIA

Il terzo epinicio è dedicato a Ierone, lodato per gli splendidi doni inviati a Delfi, e a proposito di questi il poeta ricorda la leggenda di Creso, che dopo la presa di Sardi ad opera di Ciro fu fatto salire sul rogo dal vincitore; ma mentre egli lamentava la sua sorte gli dèi, grati per i ricchi sacrifici che aveva offerto loro, intervennero in suo aiuto: Zeus fece piovere, e spense il fuoco, mentre Apollo lo rapì insieme alle figlie nel regno degli Iperbòrei.
http://online.scuola.zanichelli.it/cittiletteraturagreca/files/2009/09/mappa-lirica_bacchilide.pdf


CICNO RE DI COLONE

Dopo averlo ucciso, Achille gli tagliò la testa e la appese in cima a Vecchio Pelio, piantando la picca a terra come segno di vittoria iniziale contro l'esercito dei guerrieri avversari. Infine tentò di spogliare Cicno delle armi ma grande fu il suo stupore quando lo vide svanire nel nulla perché Poseidone, per lo strazio ed il dolore di uno dei tanti suoi valorosissimi figli uccisi l'aveva fatto reincarnare in un cigno.
Secondo un'altra versione Achille uccise Cicno tirandogli una pietra in faccia: anche qui comunque l'atto finale è il prodigio operato da Poseidone.

(da wikipedia)

DAFNE


Ella però rifiutò l'amore divino e cominciò a fuggire via lontano; Apollo la inseguì ma poco prima di raggiungerla la fanciulla supplicò i genitori, il dio fluviale Ladone e la madre, la naiade Creusa  di salvarla. Gli Dèi ascoltarono la preghiera ed ecco che, in un attimo, la giovinetta si trasformò in una pianta.
(da wikipedia)

DIOMEDE RE DI ARGO
 
La bionda Occhicerulea
Te, Dìomede, un dì rese immortale.

(Pindaro, Nemea 10.7)

DIONISO FIGLIO DI ZEUS

“Infatti, quando affermano che Dioniso è nato come figlio di Zeus dall’unione di  quest’ultimo con Semele, e raccontano che ha scoperto la vite, che è stato fatto a  pezzi e, morto, è risorto e salito al cielo, e quando nei suoi misteri fanno comparire un asino, non debbo forse pensare che il diavolo ha imitato la profezia del patriarca Giacobbe messa per iscritto da Mosè e qui sopra riportata?”
(Giustino, Dialogo con Trifone Giudeo, 69.1)

 EMPEDOCLE

Dopo il convito, gli altri appartatisi riposavano, alcuni sotto gli alberi in un campo adiacente, altri dovunque loro piacesse, egli invece rimase sul luogo dove s'era disteso per il convito. Quando si destarono al mattino seguente, solo egli non fu trovato. Si andò alla sua ricerca, s'interrogarono i servi i quali però dicevano di non sapere niente: uno solo diceva di aver udito nel mezzo della notte una voce altissima che chiamava Empedocle e poi, quando si fu levato, d'aver visto una luce celeste e uno splendore di fiaccole, e null'altro: tutti rimasero stupiti per quanto era accaduto e Pausania, disceso, mandò alcuni alla ricerca. Poi impediva  d'investigare oltre, dicendo che era accaduta una cosa che tutti desiderano, ma difficilmente ottengono, e che bisognava sacrificare a lui, come a chi era diventato dio. Ermippo riferisce che egli curò una tal Pantea di Agrigento, cui i medici avevano tolto ogni speranza, e che per questo compì un sacrificio; quelli che erano stati invitati ad assistervi erano circa ottanta. Ippoboto riferisce che egli, levatosi, si diresse all'Etna e, giunto ai crateri di fuoco, vi si lanciò e scomparve, volendo confermare la fama che correva intorno a lui, che era diventato dio. Successivamente fu riconosciuta la verità, poiché uno dei suoi calzari fu rilanciato in alto; infatti, egli era solito usare calzari di bronzo.
(Diogene Laerzio, Vite dei Filosofi, 8.68-69)

EPIDIO

EPIDIO, precipitato nelle acque del Sarnio, ricomparve con due corna; sparì di nuovo, e fu poscia onorato come un dio.
(Dizionario mitologico di tutti i popoli: e sue relazioni colla storia, Volume 1 di Luigi Capello, pag. 489)

ERETTÉO

Ἐρεχθεύς, divinità gentilizia della famiglia reale di Atene, fu una delle prime divinità venerate nella città. Metà uomo e metà serpente era nato da Gea, fecondata da Efesto, e fu allevato da Atena. Con il tempo fu però confuso con Erittonio e considerato figlio di Pandione, sesto re di Atene, eletto dai cittadini cui in tempo di carestia aveva portato per mare rifornimenti.

Secondo il mito, introdusse il culto di Demetra (Cerere) e fondò il santuario di Eleusi. Generò quattro figlie: Procri (che sposò Cefalo), Creusa, Ctonia (che sposò lo zio Bute), Oritia (che sposò Borea), e Orionia le quali si amavano al punto che avevano fatto giuramento di non sopravvivere a quella di esse che prima fosse discesa nel regno di Ade.

Erettéo essendo in guerra con gli Eleusini comandati da Eumolpo (figlio di Poseidone), interrogato l'oracolo seppe che avrebbe vinto solo se avesse sacrificato la figlia Orionia. Sacrificata la vittima, le altre sorelle s'immolarono con lei secondo il patto.

Erittèo uscì vittorioso, ma mentre celebrava la vittoria fu colpito dalla folgore di Zeus e sprofondò nella terra che si aprì sotto di lui.
http://www.miti3000.it/mito/mito/greca_e.htm

ERIGONE, FIGLIA DI ICARIO DI ATENE

Icario aveva una figlia di nome Erigone. La fanciulla, non vedendo tornare il padre iniziò a preoccuparsi. Durante la notte apparve l'ombra del padre che le raccontò la sua storia. Erigone che amava molto suo padre, si incamminò con la sua cagna, Mera, alla ricerca del cadavere del padre per dargli la sepoltura che meritava. Quando arrivò nel bosco, cominciò la difficile ricerca e dopo molte ore riuscirono a trovare il corpo di Icario. Dopo aver compiuto il doloroso ufficio che il padre le aveva affidato, Erigone restò a lungo seduta a pensare, ormai era rimasta sola al mondo e presa dalla disperazione si impiccò. Mera si mise ad abbaiare furiosamente, come per chiamare aiuto, poi si accucciò ai piedi dell'albero dove la padrona era morta, e si lasciò morire di fame. Gli dèi, impietositi per la triste e tragica storia, trasformarono Icario nella stella Arturo, Erigone nella costellazione della Vergine e Mera in quella dell'Orsa Minore, chiamata anche Cane.
http://mitologiagreca.blogspot.it/2007/07/icario-e-erigone.html

EURIPIDE

Dicesi poi che, portate alla patria le sue reliquie, ne fu percosso il sepolcro dal fulmine: il che non è facile ritrovare che accaduto sia ad altri uomini segnalati, se non se poscia ad Euripide, che morì, e seppellito fu in Macedonia presso Aretusa: cosicchè un tale avvenimento somministra una grande prova in difesa e in lode di Euripide a coloro, che hanno amore e venerazione per esso, essendo a lui solo dopo la morte avvenuto ciò, che avvenuto era da prima ad un uomo di santissima vita e carissimo agli Dei.
(Plutarco, Vita di Licurgo 31.3-4)

EUROPA, PRINCIPESSA DI FENICIA

La giovane e bellissima principessa viveva in Fenicia. Abituata a recarsi verso la spiaggia con le compagne a raccogliere fiori e tesserne ghirlande di cui incoronarsi, fu subito notata da Zeus che si innamorò di lei, e, per non intimorire la ragazza, ricorse ad una delle sue frequenti metamorfosi, trasformandosi in uno splendido toro bianco con la fronte ornata da corna a mezzaluna. Vedendolo mansueto Europa si mise ad accarezzarlo, poi per gioco gli salì in groppa. Allora il toro si mise a correre verso il mare e sempre sul mare sul quale galoppava come se fosse sulla sabbia, si diresse sull'isola di Creta. Dopo diverso tempo giunto sull'isola, Zeus riprese le sue sembianze divine e fece sua la bella Europa, che generò Minosse, Radamanto, i due divini giudici infernali, e Sarpedonte. Nel frattempo il padre Agenore aveva mandato i fratelli di lei, Cadmo Fenice e Cilice, a cercarla per il mondo con l'ordine di non ripresentarsi in Fenicia senza la sorella. Ma alla fine anche lui finì per rassegnarsi alla prepotenza del re dell'Olimpo, mettendosi l'anima in pace. Conclusasi l'avventura di Europa con Zeus, la principessa sposò Asterione, re di Creta.
Alla sua morte, Europa fu onorata come una dea e Zeus ricreò la forma del toro bianco nelle stelle che compongono la Costellazione del Toro.

http://www.ire-land.it/mitologia/personaggi/europa.html

EUTIMO

EUTIMO, chiamato in alcune medaglie Eutimio, era un celebre lottatore di Locri, il cui padre chiamavasi Asticlete, quantunque nel suo paese lo dicessero figliuolo del fiume Cecino. Aveva una forza prodigiosa. I Locresi mostrarono dinanzi alle porte della loro città un enorme sasso, che assicuravano vi fosse stato portato da lui solo. Nei giuochi olimpici riportato avea tre volte la palma, ed era stato vinto una sola volta per frode del suo avversario. Gli fu eretta una statua in Olimpia, ed un'altra nella sua patria. Queste due statue furono colpite in uno stesso giorno dal fulmine; e per questo, ancor vivente, era considerato siccome un Nume, e fu come tale onorato dopo la morte. L'avvenimento, che più contribuì a questa onoranza, è così raccontato dagli antichi scrittori. Ei venne un giorno in Temesa o Temessa, chiamata poscia Tempsas: in quel momento medesimo gli abitanti erano per offerire ad un Genio malefico la più bella delle loro fanciulle, come un tributo per placarlo. Vedi POLITE. Eutimo penetrò nel tempio, in cui nessuno ardiva di entrare; vide la fanciulla, n'ebbe pietà, se ne innamorò: la chiese in matrimonio, promettendo, se gliela davano, di liberare la città da quel Genio, e dal tributo, che le era imposto. Sfidò il Genio a battaglia, lo vinse, lo cacciò fuori della città sino alla riva del mare, e lo costrinse a precipitarvisi dentro. Furono quindi celebrate con molta solennità le di lui nozze. Ei visse assai lungamente; e  Pausania riferisce, che credevasi non fosse morto, ma rapito in qualche altra maniera alla terra. Secondo Eliano, mentre un giorno passeggiava sulle sponde del fiume Cecino disparve. Questo Eutimo si vede sovra alcune medaglie di Nerone e di Trajano, tirato sopra un carro trionfale da quattro cavalli coronati di alloro; egli tiene nella sinistra una palma, e nella destra una freccia.
(Dizionario portatile delle favole, accresciuto da A.L. Millin, Volume 1 di Pierre Chompré, Aubin Louis Millin de Grandmaison, pag. 482)

GAIO FLAMINIO

Con tutto ciò non si ritrasse egli punto dal suo proposito; e, come da principio s'era già mosso per andar contro di Annibale, così proseguì il suo cammino e schierò le sue genti presso quel lago di Etruria, che chiamato è Trasimeno. Incominciatasi quindi la mischia, venne, nel tempo stesso che combatteva, un tremuoto sì grande, che ruinate restarono ben anche delle città, e vi furon fiumi che cangiarono il loro corso, e gioghi di monti che si scoscesero; eppure di un caso così strepitoso e violento non si accorse veruno de' combattenti. Flaminio pertanto, dopo aver fatte molte azioni, nelle quali mostrato aveva l'ardire e la fortezza sua, restò morto, e intorno a lui anche i più valorosi. Degli altri, messi già in fuga, fatto venne un grande macello, essendone stati uccisi quindicimila, ed altrettanti fatti ne furon prigioni. Desiderando sommamente Annibale di dar sepoltura al corpo di Flaminio, e di fargli quegli onori che ben meritava la sua virtù, il cercò con tutta diligenza, ma fra i cadaveri nol ritrovò, nè si seppe mai in qual maniera fosse sparito.
(Plutarco, Vita di Fabio Massimo, 3) 

GANIMEDE

Nell'Olimpo Ganimede divenne il coppiere degli dei, sostituendo Ebe, e in varie opere d'arte è quindi raffigurato con la coppa in mano.
...
Tutti gli dei erano riempiti di gioia nel vedere il bel giovane in mezzo a loro, ad eccezione di Era; la consorte di Zeus considerava difatti Ganimede come un rivale più che mai pericoloso nell'affetto del marito. Il padre degli Dèi ha successivamente messo Ganimede nel cielo come costellazione dell'Aquario la quale è strettamente associata con quella dell'Aquila e da cui deriva il segno zodiacale dell'Aquario.

(da wikipedia)

GLAUCO DI CRETA

Ancora bambino rincorrendo una palla o un topo, cadde in un pithos di miele e morì. Minosse consultò un oracolo (dei Cureti o di Apollo). Questo propose un enigma e disse che la persona che fosse stata in grado di risolverlo, avrebbe ritrovato Glauco. Polido lo trovò, morto, e Minosse lo obbligò a resuscitarlo, chiudendolo dentro un antro con il cadavere del piccolo.

(da wikipedia)

ARPALICE

Una figlia di Climeno e di Epicasta; suo padre se ne innamorò e commise incesto con lei, dandola poi in sposa ad Alastore, ma in seguito se la riprese. Arpalice, per vendicarsi, uccise il proprio fratello minore (o il proprio figlio) e lo cucinò, dandolo da mangiare al padre: per punizione gli dei la mutarono in un uccello, mentre Climeno s'impiccò.
(da wikipedia

ELENA DI TROIA

Oreste tentò di uccidere Elena. Ma Apollo, per ordine di Zeus, la portò sull'Olimpo avvolta in una nuvola e colà essa divenne immortale.
http://mitologia.dossier.net/eleno.html

ERCOLE

Quando tutto fu pronto, Ercole salì sulla pira e vi si sdraiò, sereno, con la sua pelle di leone. Ma quando le fiamme iniziarono a lambirne il corpo, folgori prodigiose caddero dal cielo e la pira fu istantaneamente ridotta in cenere.
Zeus gli concesse, finalmente, l’immortalità.

http://www.movio.beniculturali.it/sbaem/sulleormedieracle/it/12/morte-e-apoteosi/show/5/32

ERACLIDE PONTICO

Si crede che egli abbia liberato la patria con l’uccisione del monarca, come attesta Demetrio di Magnesia negli Omonimi, il quale ci racconta di lui il seguente aneddoto: «Eraclide in età matura aveva allevato un serpente sin da giovane. In punto di morte, ordinò a uno dei suoi amici di nascondere il cadavere e di porre nel letto al suo posto il serpente, perché si credesse che egli se ne fosse andato tra gli dei. Tutto fu eseguito puntualmente. Ma mentre i cittadini accompagnavano Eraclide alla sepoltura e lo lodavano cantando, il serpente udendo le grida balzò fuori dalle vesti e sconvolse la moltitudine.
Quando il fatto fu scoperto, videro Eraclide non più nella falsa credenza che egli aveva voluta, ma nell’essenza reale, così com’era».
Anche ad Eraclide abbiamo dedicato un nostro epigramma. Eccolo:
Volevi lasciare agli uomini, o Eraclide, la fama che appena morto ti mutasti in un serpente vivo. Ma t’ingannasti, o scaltro, ché la bestia era realmente un serpente, ma tu ti rivelasti bestia, non serpente.
L’aneddoto è riportato anche da Ippoboto.
Ma Ermippo racconta che essendo la regione devastata da una carestia gli Eracleoti chiesero alla Pizia un rimedio. Eraclide corruppe col denaro non solo i sacri inviati, ma anche la predetta Pizia, in modo che il responso fosse questo: il male sarebbe cessato se avessero incoronato Eraclide figlio di Eutifrone da vivo con una corona aurea, e se l’avessero onorato da morto come un eroe.

(Diogene Laerzio, Vite dei Filosofi 5.89-91)

ESPERO, FIGLIO DI EOS

Espero, che secondo la genealogia più comune era figlio di Eos e fratello di Atlante, sparì dal mondo dei mortali e si credette che fosse stato trasformato in quell'astro che brilla per prima al crepuscolo: Venere, la stella della sera.

(Schmidt J., Dizionario Larousse della mitologia greca e romana, pag. 95)

GERONE RE DI SIRACUSA

Poseidone potente,
che abbraccia terre, di lui s’invaghì,
quando dal puro lebete lo trasse
Cloto, ornato d’avorio
nella splendida spalla.

Sono già tante le imprese fantastiche
e le favole, voce degli umani
che vela ogni vera parola,
di variopinti inganni
intessute, storpiano il vero.
La Grazia che sa rendere per gli uomini
tutto dolce, assegnando a lor imprese
il valore, non di rado credibile
riesce a render l’incerto.
Sono i giorni futuri
arbitri ben attenti.
E’ giusto per l’uomo dir bene
degli dei o almeno è colpa più lieve.
Figlio di Tantalo, non come gli altri
vecchi poeti cantarti vorrò:
quel tempo che tuo padre
invitava ad onesto banchettare
nella sua Sipilo, offrendo agli dei
in ricambio la mensa,
allora ti rapiva Poseidone
col suo tridente splendido, domato
dal desiderio nel cuore e dorati
i cavalli che su ti portavano
nella casa di Zeus sede d’onore.
Quassù dove secondo a te nel tempo
pur Ganimede venne
a Giove per portare stesso servigio.
Perchè ti dileguasti senza traccia
nè chi ti conosceva e ti cercò
a tua madre poteva ricondurti,

subito qualche voce a te vicina
preda oscura d’invidia,
ad annunciare prese che t’avean
membr’a membro diviso,
a fil di lama e nel bollor dell’acqua
posto sul fuoco,
a fine del banchetto
per spartire tue carni come cibo.
Ecco: per me impossibile
dir ch’un dio è tra i beati cannibale.

(Pindaro, Olimpica 1)

IMERA, SORELLA DI MEMNONE RE DI ETIOPIA
Ho trascritto tutto ciò che ho saputo da Neottolemo, da lui inviato in occasione del suo matrimonio con Ermione, figlia di Menelao. Da lui ho saputo anche dei resti di Memnone, come le sue ossa fossero state portate a Pafo da quelli che, salpati alla volta di Troia al seguito di Memnone, con Pallante, ucciso il proprio comandante e sottrattone il bottino, sostavano nello stesso luogo, e come Imera, sorella di Memnone - che alcuni chiamavano Emera dal nome di sua madre  - partita per cercare il  corpo del fratello, dopo averne trovati i resti e aver scoperto il furto del bottino, desiderosa di recuperare entrambe le cose con la mediazione dei Fenici, che in quel contingente erano moltissimi, abbia avuto la possibilità di ottenere entrambe le cose e specialmente i resti del fratello e, prevalso in lei il legame di sangue, presa l'urna, è salpata per la Fenica. Portata nella sua terra, di nome Falliotide, e sepolti i resti del fratello, è scomparsa all'improvviso. Questo avvenimento è stato interpretato in tre modi: o pensando che dopo il tramonto del sole, Imera sia sparita con sua madre dalla vista degli uomini; o che, sopraffatta dal dolore per la morte del fratello, si sia uccisa; oppure che sia morta, vittima di un agguato da parte degli abitanti di quel luogo, con lo scopo di rubare ciò che portava con sé. Questo è quanto sono venuto a sapere da Neottolemo su Memnone e su sua sorella.
(Dictys Cretensis Ephemeridos belli Trojani 6.10)

HORUS, FIGLIO DI ISIDE E OSIRIDE

Gli Egizi narrano, che Iside ritrovò molti farmachi utili alla sanità degli uomini, come quella che assai conosceva l'arte medica; e perciò le attribuiscono molte belle invenzioni. Per la qual cosa tengono che anche presentemente, fatta immortale, si diletti di risanare gli uomini; e che se alcuno a lei raccomandasi, gli apparisca in sogno, e colla manifestazione certa della presenza del nome suo a chi n'ha bisogno, porga pronto aiuto. In prova delle quali cose gli Egizi dicono di allegare, non come i Greci costumano, la vanità delle favole, ma l'evidenza de' fatti; perciocchè si appoggiano alla testimonianza di quasi tutto il mondo, che con amplissimi onori accorre a rimunerare la Dea per l'efficacia divina dei suoi medicamenti: conciossiachè essa in sogno a chi assiste gli ammalati presta contro i morbi gli opportuni rimedi, e fa, che quando meno sel credono, ritornin sani. E si è veduto, che anche molti, i quali per la difficoltà della malattia erano stati abbandonati dai medici, avevano da essa avuta la guarigione; e che molti parimente o divenuti affatto ciechi, o mutilati in qualche parte del corpo, se ebbero ricorso a lei, sono stati ristabiliti nella primitiva loro integrità. Aggiungono, che essa trovò il farmaco della immortalità, col quale per lei Oro suo figliuolo, oppresso dalle insidie dei Titani, e trovato morto nelle acque, non solo fu richiamato alla vita, ritornatagli in corpo l'anima, ma fatto in oltre partecipe della immortalità. Questi, che è l'ultimo degli Dei, pare aver regnato dopo che suo padre Osiride passò dagli uomini a vivere nume. Ed interpretano, che Oro sia lo stesso Apollo, il quale istruito da sua madre Iside nell'arte di medicare e di vaticinare, ottimamente meritò dell'uman genere cogli oracoli e coi medicamenti.

(Biblioteca storica di Diodoro Siculo, Volume 1 di Diodorus (Siculus),Giuseppe Compagnoni, pag. 44-45)

GIACINTO, PREDILETTO DA APOLLO

Un giorno i due iniziarono una gara di lancio del disco; Apollo lanciò per primo ma il disco, deviato nella sua traiettoria da un colpo di vento alzato dal geloso Zefiro, finì col colpire alla tempia Giacinto, ferendolo così a morte. Apollo cercò di salvare l'adolescente tanto amato adoperando ogni arte medica a sua conoscenza, ma non poté nulla contro il destino. Decise, a quel punto, di trasformare il bel ragazzo in un fiore dall'intenso colore, quello stesso del sangue che Giacinto aveva versato dalla ferita.
...
Secondo una versione spartana locale del mito Giacinto, assieme a sua sorella Polyboea, sono stati assunti nell'alto dei Cieli fino a giungere ai Campi Elisi per opera delle tre Dee Afrodite, Atena ed Artemide.

(da wikipedia)
 
ILA FIGLIO DI APOLLO


Intanto, Ila aveva lasciato i compagni,
e con in mano una brocca di bronzo, cercava una fonte,
per attingere l'acqua e preparare la cena prima del suo ritorno,
e predisporre per lui tutto il resto in bell'ordine.
Eracle stesso l'aveva educato a questi usi,
fin da quando l'aveva rapito bambino alle case del padre,
il re Teodamante, che l'eroe uccise tra i Driopi,
senza pietà, nella disputa per un giovenco.
Stava Teodamante aprendo il maggese con un aratro,
afflitto dal dolore, ed Eracle venne e gli impose
di consegnargli un bue per arare, contro sua voglia.
Cercava soltanto un pretesto per portare la guerra fra i Driopi,
perché vivevano senza darsi pensiero della giustizia.
Ma questo mi porterebbe lontano dal mio cantare.
Presto arrivò alla fontana che dai vicini è chiamata
"le Sorgenti". Là proprio allora le Ninfe
formavano il coro - piace a tutte le Ninfe
che abitano le falde della bella montagna
celebrare Artemide sempre nei canti notturni.
E quelle che ebbero in sorte le cime dei monti e le grotte,
e le ninfe dei boschi venivano in fila fin da lontano,
e la ninfa dell'acqua proprio allora emergeva
dalla limpida fonte. Accanto a sé vide Ila,
fiammeggiante di bellezza e di grazia soave:
la luna piena l'illuminava dal cielo;
e Afrodite sconvolse il cuore di lei,
e nello sgomento a fatica poté riaversi.
E appena, disteso di lato, egli ebbe immersa
la brocca nell'acqua, e l'acqua mormorò forte
invadendo il bronzo sonoro, improvvisamente
lei gli cinse col braccio sinistro il collo, nel desiderio
di baciare la tenera bocca, e con la destra
lo tirò per il gomito e lo immerse nel mezzo del vortice.
Diede un grido, e uno soltanto lo udì tra i compagni,
Polifemo, figlio di Elato, che si era spinto in avanti,
aspettando che ritornasse il fortissimo Eracle.
D'un balzo fu presso alle Sorgenti, come la fiera selvaggia,
cui da lontano è arrivata una voce di greggi,
e ardente di fame si mette in cammino, ma non ritrova le pecore
(i pastori le hanno chiuse a tempo dentro la stalla),
e geme e urla terribilmente, fino a trovarsi sfinita;
così gemeva allora il figlio di Elato, e percorreva
la regione gridando, ma la sua voce era vana.
Poi, sguainata la grande spada, prese a cercarlo,
che non fosse stato preda di belve, o, solo com'era,
gli avessero teso un agguato, e fosse stato rapito,
facile preda. E mentre brandiva la spada
nuda, ecco che trovò Eracle sul suo cammino,
e lo riconobbe, mentre nel buio si affrettava alla nave.
Senza fiato, sconvolto nel cuore, gli diede la triste notizia:
"Infelice, io per primo ti darò un dolore terribile.
Ila è andato alla fonte, e non ritorna
salvo: o lo hanno rapito i briganti, o lo sbranano
le fiere: io ho sentito il suo grido".

(Apollonio Rodio, Argonautiche 1.1258-61)

IDMONE FIGLIO DI APOLLO

Qui la sorte segnata colpì il figlio di Abante,
Idmone, esperto di vaticini; ma non lo salvarono i vaticini,
perché il destino lo condusse a perire.
Giaceva in una palude del fiume ricco di canne,
e rinfrescava nell'acqua i fianchi e il vastissimo ventre,
un cinghiale dalle zanne bianche, un mostro che terrorizzava
anche le Ninfe dell'acqua. Nessuno sapeva
che c'era: viveva da solo nella vasta palude.
Il figlio di Abante camminava sopra un rialto
del fiume fangoso: la belva balzò dal canneto
improvvisa e lo azzannò sulla coscia, violentemente,
e recise nel mezzo i nervi insieme con l'osso.
Lanciò un grido acutissimo e cadde per terra. Gridarono
i compagni affollandosi attorno a lui, e subito Peleo
scagliò l'asta contro la fiera che fuggiva nella palude.
Ma si voltò e gli balzò addosso; allora Ida
lo colpì e il cinghiale cadde urlando sulla rapida lancia.
Lo lasciarono a terra nel punto dov'era caduto,
e tristemente portarono Idmone alla nave
agonizzante: spirò tra le braccia dei suoi compagni.
Non poterono dunque pensare a riprendere il viaggio
e restarono, afflitti, a rendere al morto gli onori dovuti.
Lo piansero tre giorni interi, e poi all'indomani
lo seppellirono con grande pompa; al rito presero parte
il popolo col suo sovrano, Lico. Sgozzarono innumerevoli
pecore, il sacrificio che spetta secondo l'uso ai defunti.
Fu poi innalzato in quella terra il sepolcro all'eroe,
e sopravvive un segno alla vista dei posteri,
un rullo d'olivo selvaggio,
quali si usano per varare le navi,
fiorente di fronde, poco sotto la vetta del Capo Acherusio.
E se, guidato dalle Muse, devo dirlo con piena franchezza,
Febo ordinò chiaramente ai Beoti e ai Nisei
di onorare Idmone come loro patrono,
e attorno all'olivo selvaggio fondare
la loro città;
ma quelli, al posto del pio nipote
di Eolo, onorano invece ancor oggi Agamestore.

(Apollonio Rodio, Argonautiche 2.815-50)

INO REGINA DI TEBE

Dopo la morte della sorella Semele, madre di Dioniso, Ino persuase Atamante ad allevare il piccolo dio, nato dall'unione della sorella di Ino con Zeus. Era, per vendicarsi del tradimento fece impazzire Atamante: questi, incontrando la moglie con i figli, li scambiò per dei cervi e li assalì, uccidendo Learco gettandolo contro uno scoglio e lanciando Melicerte in mare. Ino, per cercare di salvare almeno quest'ultimo, si gettò a sua volta in mare, e per volere di Afrodite (madre di Armonia e quindi nonna di Ino) i due vennero trasformati in divinità marine protettrici dei marinai: Leucotea, la «dea bianca» o la «dea del cielo coperto di neve», e Palemone.
(da wikipedia)

IFIGENIA FIGLIA DI AGAMENNONE
Ifigenia (gr.
᾿Ιϕιγένεια) Mitica figlia primogenita di Agamennone e Clitennestra. Quando le navi achee stavano per salpare da Aulide verso Troia e occorse una vittima propiziatoria alla partenza, l’indovino Calcante designò I. che, con il pretesto delle nozze con Achille, fu attirata al sacrificio. Gli dei, impietositi, la trasformarono nella dea Ecate, ma l’inumanità dell’atto attirò sul padre e sulla famiglia tutta una serie di sciagure.

Eschilo, Sofocle ed Euripide dedicarono a I. una o più tragedie; ci restano solo le due di Euripide: l’Ifigenia in Aulide, che, rappresentata dopo la morte del poeta dal figlio Euripide il giovane, tratta del sacrificio di I., e l’Ifigenia in Tauride o taurica, in cui Euripide immagina che la dea Artemide sostituisca, sull’altare, al momento del sacrificio, una cerbiatta e trasporti la fanciulla in Tauride, dove, come sacerdotessa, è addetta al sacrificio cruento degli stranieri; anche il fratello di lei Oreste, giunto in quel luogo con Pilade per purificarsi del matricidio, dovrebbe morire; ma avviene il riconoscimento e I. riesce a salvarlo.

http://www.treccani.it/enciclopedia/ifigenia/

LEUCIPPO FIGLIO DI ENOMAO
Leucippo (gr.
Λεύκιππος) Mitico figlio di Enomao, re di Pisa in Elide. Secondo una variante della leggenda di Dafne, L. si travestì da donna per avvicinarla, ma, scoperto, stava per essere ucciso quando gli dei lo resero invisibile. Apollo, geloso, si slanciò su Dafne, che ottenne da Zeus di essere mutata in lauro.
http://www.treccani.it/enciclopedia/leucippo_res-db6835ea-cfa4-11df-8719-d5ce3506d72e/


LICURGO, LEGISLATORE DI ATENE
Dicesi poi che, portate alla patria le sue reliquie, ne fu percosso il sepolcro dal fulmine: il che non è facile ritrovare che accaduto sia ad altri uomini segnalati, se non se poscia ad Euripide, che morì, e seppellito fu in Macedonia presso Aretusa: cosicchè un tale avvenimento somministra una grande prova in difesa e in lode di Euripide a coloro, che hanno amore e venerazione per esso, essendo a lui solo dopo la morte avvenuto ciò, che avvenuto era da prima ad un uomo di santissima vita e carissimo agli Dei.
(Plutarco, Vita di Licurgo 31.3-4)

EDIPO RE DI TEBE

Il séguito della vicenda è affidato all’Edipo a Colono di Sofocle: Edipo, profugo attraverso l’Ellade con la figlia Antigone, giunge nel demo attico di Colono Hìppios, dove gli abitanti vorrebbero scacciarlo per timore della contaminazione (l’impurità legata - in questo caso - al parricidio), e dove ben presto arriva Ismene ad annunciare la terribile notizia del dissidio che oppone i due figli maschi di Edipo, Eteocle e Polinice, per il controllo del regno tebano. Edipo maledice ugualmente i due rivali, e si oppone altresì al tentativo di Creonte che vorrebbe costringerlo a far ritorno in Tebe, perché solo la sua presenza – così recita un antico oracolo – avrebbe garantito la salvezza della città.

Ma Edipo è ormai rassegnato al suo destino e osserva con maturato distacco la propria vicenda di uomo travolto dal fato, ma intimamente incolpevole: e quando Creonte fa catturare Ismene e Antigone per piegare la volontà del vecchio, in suo aiuto interviene Teseo, che libera le due ragazze e riceve in cambio da Edipo la rilevazione di segreti che garantiranno Atene contro tutti i suoi nemici. Quindi, nello stesso demo di Colono, Edipo prodigiosamente scompare alla vista dei presenti.

http://www.pianetascuola.it/risorse/media/secondaria_secondo/greco/enciclopedia_antico/lemmi/edipo.html

ORIONE

Gli antichi sono tutti concordi nel raccontare che, dopo la sua morte, Orione fu collocato in cielo dove forma la Costellazione di Orione, la più luminosa dell'Emisfero boreale. Una linea immaginaria, passante per le stelle della Cintura di Orione e prolungata verso sud-est, incontra la stella Sirio della costellazione del Cane Maggiore, il fido compagno di Orione.
(da wikipedia)

ORIZIA PRINCIPESSA DI ATENE
Si narra che Orizia fu rapita da Borea, il vento del Nord, mentre stava danzando nei pressi del fiume Ilisso o mentre raccoglieva fiori sulle rive del fiume Cefiso e ne divenne la moglie. Fu portata in Tracia e questo la salvò dalla morte che spettò invece alle sue sorelle che furono sacrificate affinché Atene potesse vincere la guerra contro Eleusi.
(da wikipedia)

PAMFILO

Su di Pamfilo filosofo morto naufrago

Ti generò la terra, e il mar ti estinse :
Ti riceve di Pluto il soglio; ed indi
Al cielo asceso sei.
Non come naugrago
Perito sei nel mar, ma affinchè fossi
Di tutti i Dei dal voto ornato, o Pamfilo.

(Anthologia Graeca 7.587)

PISISTRATO RE DI ORCOMENO

 Pisistrato d'Orcomeno nella guerra del Peloponneso mostrò grand'odio contra i nobili, ed accarezzava la plebe. Perchè il senato risolverono d'ucciderlo nel luogo ove s'adunavano, e tagliatolo a pezzi, ciascuno se ne mise sotto una parte, e rastiarono il sangue di terra. La plebe avuto di ciò sospetto corse in Consiglio, e Tlesimaco il più giovane de' figliuoli del re consapevole della congiura incontanente disgiunse la plebe dal Senato, e parlò pubblicamente dicendo d'aver veduto il padre suo con forma maggiore che umana velocemente salir sopra la cima del monte Piseo: e così rimase il popolo ingannato, come scrisse Teofilo nel secondo delle guerre del Peloponneso.
(Plutarco, Parallela minora, 32)

PELEO PADRE DI ACHILLE

Infine, Teti portò con sé Peleo negli abissi marini e lo rese immortale.
http://mitologia.dossier.net/peleo.html

LA FIGLIA DI FORMIONE

Cittadino di Pallene, che abitava la casa ove erano stati educati Castore e Polluce. Questi due semidei, volendo un dì rivedere la casa che avevano altre volte abitata, domandarono l'ospitalità a Formione, il quale era allora il proprietario: si annunciarono come stranieri giunti da Cirene, e sembrarono vogliosi di pernottare in una stanza che indicavano, ma che Formione ricusò loro perchè teneavi rinchiusa una donzella. Pertanto accettarono essi un altro appartamento, ma la dimane Formione non trovò più nè i suoi ospiti, nè la donzella, e vide in lor vece due statue di Castore e Polluce.
(Dizionario universale della lingua italiana, ed insieme di geografia ... mitologia [&c.]. Preceduto da una Esposizione grammaticale ragionata della lingua italiana di Carlo Antonio Vanzon, pag. 277)

PEREGRINO PROTEO

Andando poi tra la folla radunata mi fermai presso un uomo canuto, e per Zeus dall’aspetto degno di fede per la barba e venerando nel suo insieme; questi, tra le altre cose che andava cianciando a proposito di Proteo, raccontava di averlo visto, dopo che si era bruciato, avvolto in una veste bianca e di averlo lasciato proprio allora che passeggiava tutto lucente nel portico dei sette echi, col capo cinto di una corona di oleastro. Quindi aggiunse a tutte queste fole l’avvoltoio, giurando di averlo visto di persona spiccare il volo dalla pira, lo stesso avvoltoio che poco prima io avevo lasciato libero di volare e di deridere quegli stolti dall’indole tarda.
(Luciano, Peregrino Proteo 40)

TOLOMEO XIII TEO FILOPATORE

Imperocchè Antonio, spedendo a Mileto, fece uccidervi Arsinoe, sorella di lei, mentre chiedea pietà nel tempio di Diana Leucofrine: comandò a que' di Tiro di consegnare a Cleopatra Serapione, il quale avea cercato un asilo presso di loro perchè quando era legato di lei in Cipro avea inviato de' soccorsi a Cassio: similmente comandò che quei di Arado consegnassero un altro, il quale si ricoverò fra loro divulgandosi per Tolomeo, quando Tolomeo fratello di Cleopatra sparì nella battaglia finale fatta da lui sul Nilo con Cesare.
(Le storie romane di Appiano Alessandrino volgarizzate dall'ab. Marco Mastrofini, pag. 447)

PITAGORA
Ermippo (citato da Diogene Laerzio): «(Pitagora) come  giunse in Italia si costruì una sorta di piccola camera sotterranea e ordinò alla madre di scrivere suuna tavoletta gli avvenimenti, nonsenza le opportune indicazioni temporali e poi di inviargliela giù fin quando non avesse fatto ritorno; cosa che la madre fece. Dopo qualche tempo Pitagora ritornò alla luce, smagrito e ridotto pelle e ossa; recatosi all’assemblea pubblica, affermò di essere tornato dall’Ade e per di più lesse loro l’elenco degli avvenimenti verificatisi nel frattempo. Allora i cittadini, colpiti dalle sue parole, davano in pianti e lamenti, credendo che Pitagora fosse una divinità, tanto che gli affidarono le donne affinché apprendessero qualcosa dai suoi insegnamenti. E queste furono chiamate Pitagoriche».
Ancora Diogene Laerzio scrive: «Ieronimo dice che Pitagora sarebbe disceso nell’Ade e avrebbe visto l’anima di Esiodo legata a una colonna di bronzo e urlante e quella di Omero appesa a un albero e circondata di serpenti, come punizione per ciò che entrambi avevano detto riguardo gli dei; avrebbe anche visto puniti coloro che erano restii a unirsi alle proprie mogli».


ROMOLO FIGLIO DI MARTE

 Tuttavia secondo la tradizione prevalente, Romolo non sarebbe perito come un comune mortale ma sarebbe stato assunto in cielo tra gli dei con il nome di Quirino durante un tempesta (T. Livio, Ab U. C., I, 16) o durante un’eclissi di Sole (Plutarco, Vita di Romolo, 27; quest’ultimo autore peraltro mostra di non credere a questa leggenda).
http://loasiditammuz.altervista.org/le-amazzoni-guerriere-della-luna-invenzione-o-storia-seconda-parte/


SATURNO PRIMO RE DEL LAZIO

Nel frattempo Saturno scomparve improvvisamente, e Giano pensò di attibuirgli maggior onore: anzitutto chiamò Saturnia tutta la regione sottoposta al suo potere, poi, come a un dio, gli consacrò un altare con riti sacri che chiamò Saturnali. Di tante generazioni i Saturnali precedono l'èra di Roma! E volle innalzarlo alla dignità del culto in quanto artefice di una vita migliore: ne fa fede la sua effigie, a cui diede come attributo la falce, simbolo della messe. A questo dio si fa risalire la pratica del trapianto e dell'innesto nella coltivazione degli alberi da frutta e la tecnica di ogni altro procedimento agrario. Anche gli abitanti di Cirene, quando celebrano il suo culto, si coronano di fichi freschi e si scambiano in dono focacce, ritenendo che Saturno abbia scoperto l'uso del miele e della frutta. I Romani lo chiamano anche Sterculio, perché fu il primo a dare fecondità ai campi mediante lo sterco. Il periodo del suo regno, si dice, fu estremamente felice, sia per l'abbondanza dei prodotti sia perchè non esisteva ancora alcuna discriminazione tra liberi e schiavi: lo si può capire dalla completa libertà che viene concessa agli schiavi durante i Saturnali.
(Macrobio, Saturnali 1.7.24-26)

SEMELE

Il culto di Semèle potrebbe avere origini tracio-frigie ed essere connesso ad una divinità ctonia.
Secondo il mito, Era, gelosa della relazione del suo sposo divino con Semèle, si trasformò in Beroe, nutrice della giovane, e la convinse a chiedere a Zeus di apparirle come dio e non come mortale.
Zeus, conscio del pericolo che Semèle correva, tentò di dissuaderla, ma Semèle insistette per vederlo in tutto il suo splendore. Così il dio, che le aveva promesso di accontentare ogni sua richiesta, si trasformò e Semèle morì folgorata dal fulmine.
Zeus riuscì a salvare il bambino che Semèle aveva in grembo e nascose il piccolo Dioniso nella coscia. Diventato immortale grazie al fuoco divino, Dioniso discese nell'Ade e portò la madre sull'Olimpo, dove fu resa immortale con il nome di Tione.

(da wikipedia

SEMIRAMIDE

Alquanto tempo dopo attaccata dalle insidie di suo figlio per mezzo di certo eunuco, si ricordò della risposta avuta da Ammone: perciò non prese vendetta dell'insidiatore; ma consegnatogli il regno, e dato ordine a tutti che gli ubbidissero come a legittimo re, disparve immantinente dal cospetto degli uomini, come quella, che giusta la fede dell'oracolo dovea andare ad unirsi agli Dei. Sonovi alcuni, i quali favoleggiano essersi mutata in colomba; perciocchè si crede, che essendo venuta sul palagio una torma di colombe, essa volasse via con quelle. E da ciò è venuto, che gli Assiri, mettendo Semiramide tra gli Dei immortali, onorano la colomba in luogo della Dea.
(Biblioteca storica di Diodoro Siculo volgarizzata dal cav. Compagnoni tomo primo, pag. 263)

TESEO FONDATORE DI ATENE

Questo re prima se gli offerse molto volentieri; poi per compiacere a Mnestero, ragunato un buon esercito, dicono, che condusse Teseo insino ai confini d'Atene; e che quasi come volesse mostrarli quel territorio, lo buttò giù da un alto sasso, e fecelo morire. I suoi figliuoli, quando esso fuggì, s'andarono a stare presso Elpenore; e morto poi Mnesteo, ritornarono nel regno. Ne' tempi appresso poi ebbero gli Ateniesi dalla Pitia oracolo, che dovessero cercare, e ritrovare l'ossa di Teseo, e riporle onorevolmente nella città; il che fu poi fatto a tempo di Cimone, con grande applauso e festa di tutti, come se allora appunto avessero Teseo istesso vivo ricevuto nella città.
(Compendio delle Vite di Plutarco, Plutarch Darius Tibertus, 1 gennaio 1816, pag. 12)

TITONE PRINCIPE DI TROIA

Così, poi, l'Aurora dai fiori d'oro rapì Titone,
della vostra stirpe, simile agl'immortali;
e si avviò per chiedere a Zeus dalle nere nubi
ch'egli fosse immortale, e vivesse in eterno:

a lei Zeus assentì con un cenno, ed esaudì il suo desiderio.
Stolta, e non pensò nella sua mente, l'Aurora veneranda,
a chiedere la giovinezza, e a tener lontana la vecchiaia rovinosa.
E in verità, fin quando egli era nella molto amabile giovinezza,
godendo l'amore dell'Aurora dai fiori d'oro, che sorge di buon mattino,
dimorava presso le correnti dell'Oceano, ai confini della terra:
ma quando le prime ciocche bianche scesero
giù dal bel capo e dal nobile mento,
dal suo letto si astenne l'Aurora veneranda;
tuttavia, tenendolo nelle sue stanze, lo nutriva
di cibo terreno e di ambrosia, e gli donava belle vesti.
Ma quando con tutto il suo peso gravò su di lui l'odiosa vecchiaia
ed egli non riusciva più a muovere né a sollevare le membra,
questa nel suo animo le sembrò la decisione migliore:
lo relegò nell'interno della casa, e serrò su di lui le porte risplendenti.
La sua voce mormora senza fine, ma il vigore
non è più quello che un tempo risiedeva nelle agili membra.

(Inno ad Afrodite 218-38)

TROFONIO, FIGLIO DI APOLLO

Nella mitologia greca, Trofonio era figlio di Ergino. Secondo l'Inno omerico ad Apollo, Trofonio iniziò a costruire il tempio a Delfi con suo fratello, Agamede per dedicarlo ad Apollo. Una volta terminato, l'oracolo vaticinò ai fratelli di fare ciò che volevano per sei giorni e, il settimo, il loro più grande desiderio sarebbe stato concesso. Obbedendo all'oracolo, furono trovati morti il settimo giorno. Il detto "coloro che gli dèi amano muoiono giovani" viene da questa storia.
Secondo Pausania, invece, i due gemelli costruirono una camera del tesoro (con un unico ingresso segreto di cui solo loro conoscevano l'esistenza) per il re Iprieo della Beozia. Utilizzando l'entrata segreta, rubarono la fortuna di Iprieo poco alla volta. Egli era consapevole dei furti, ma non sapeva chi fosse il ladro e così escogitò una trappola. Agamede rimase intrappolato in questa; Trofonio gli tagliò la testa e se la portò via, in modo che Iprieo non avrebbe saputo di chi fosse il corpo caduto nel tranello. Poi si rifugiò nella caverna di Lebadaea: qui la terra lo inghiottì, ed egli scomparve per sempre.

(da wikipedia)

XISUTRO

Nel tempo del regno di Xisutro sopraggiunse un gran diluvio di cui Beroso racconta le circostanze seguenti. «Crono o Saturno apparve in sogno a Xisutro e l'avvisò che il quindicesimo giorno del mese di Esins, il genere umano sarebbe stato distrutto dal diluvio. Esso gli ordinò di mettere a parte l'origine, l'istoria e la fine di tutte le cose e di soterrare i suoi scritti nel Sippara la città del sole. Gli ordinò in oltre di costruire un vascello e di entrarvi con i suoi parenti ed amici, dopo avervi poste le necessarie provvisioni e avervi fatto entrare degli uccelli e dei quadrupedi, e quando egli si fosse provveduto di tutto, se gli venisse domandato ove egli se ne andava con il suo vascello di rispondere: verso gli dei, per pregarli di render felice il genere umano.
Xisutro eseguì questi ordini, e costruì un vascello, la lunghezza di cui era di cinque stadi, e di due la larghezza. Egli fece recare a bordo della nave tutto ciò che gli era stato prescritto, e vi entrò con la sua moglie, con i figli e cogli amici essendo avvenuto il diluvio, e avndo cessato poco tempo dopo, Xisutro lasciò volar certi uccelli che non trovando nutrimento nè ove posarsi, ritornarono al vascello. Alcuni giorni dopo, Xisutro lasciò andare ancor degli uccelli che ritornarono con un poco di loto alle gambe; ma quando egli loro permise per la terza volta di volare, egli non li rivide più li che gli fece comprendere che la terra incominciava ad asciugarsi. Fece allora un'apertura in uno dei fianchi del vascello e vide con questo mezzo che era fermato su di una montagna, egli escì fuori con la sua moglie, con la sua figlia e con un piloto della nave; in seguito avendo adorato la terra, eretto un altare, e sacrificato agli dei, esso e quelli che l'avevano accompagnato sparirono. Quelli che erano restati nel vascello vedendo che Xisutro, la sua figlia il piloto non ritornavano, posero piede a terra per cercarlo, chiamandolo ad alta voce, ma essi non lo rividero più. Una voce che si sentì dall'aria ordinò loro di esser religiosi; li avvisò che la pietà di Xisutro l'aveva fatto trasportare nel soggiorno dei numi e che quelli da cui egli era stato accompagnato abitavano nel medesimo soggiorno. »

(La Santa Bibbia Vendicata di Duclot, pag. 41-42)