mercoledì 30 aprile 2014

Del perchè Marco ci teneva a insegnare aramaico ai suoi lettori



E giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, [ο υιος τιμαιου βαρτιμαιος] che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare.
(Marco 10:46)

Poi, andato un po’ innanzi, cadde a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse via da lui quell’ora. E diceva: «Abbà! Padre! [αββα ο πατηρ] Tutto è possibile a te: allontana da me questo calice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu».
(Marco 14:35-36)

Un tale, chiamato Barabba, [ο λεγομενος βαραββας] si trovava in carcere insieme ai ribelli che nella rivolta avevano commesso un omicidio. La folla, che si era radunata, cominciò a chiedere ciò che egli era solito concedere. Pilato rispose loro: «Volete che io rimetta in libertà per voi il re dei Giudei?». Sapeva infatti che i capi dei sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia. Ma i capi dei sacerdoti incitarono la folla perché, piuttosto, egli rimettesse in libertà per loro Barabba. [βαραββαν]
(Marco 15:7, 11)

È chiaro cosa sta facendo Marco. Sta presentando un tizio che è figlio di Timeo. Et voilà, vi presento Bartimeo. Perfino il meno avvezzo alle lingue può capire che bar significa ''figlio di''.

Poi Gesù prega da solo ''Abbà, Padre...''  Che bello, penserebbe il folle apologeta, Gesù si disperò e pregò davvero in aramaico (che peccato che sia il teologo Mauro Pesce quel folle apologeta!) pur di non morire.

Tuttavia, nel seguito, il lettore astuto saprà far buon uso di quella informazione passatagli quasi sottobanco da Marco: non potrà fare a meno di notare infatti che avrà fatto conoscenza nel frattempo di un nuovo personaggio. Chiamato ''bar'' (figlio di) ''abbà'' (padre). Chi altri se non Gesù è il figlio del padre?

Ed ecco nuovamente all'opera la sottile più forte ironia di Marco. Un personaggio chiamato figlio del padre che fu un assassino e sedizioso -- quindi che giustamente più di tutti merita la condanna a morte sulla croce -- stranamente viene rilasciato e gli ebrei consegnano invece Gesù (il vero e più autentico figlio del padre) al carnefice, per essere crocifisso del tutto ingiustamente. In alcuni manoscritti di Matteo, Barabba è il cognome mentre ''Gesù'' è il nome. Gesù Barabba. Gesù Figlio del Padre criminale sedizioso che passa indenne e immacolato il processo, mentre il VERO Gesù figlio del padre ne subisce ingiustamente la condanna.

DECISAMENTE IRONICO!!!!!

Ma diamo un'occhiata ai buoni. Pietro (Πετρος) fa la sua prima comparsa nel vangelo di Marco. Pietro è una pietra (πετρα). Una roccia. Un sasso. Anche Cefa significa la stessa cosa. E Cefa fu un Pilastro storicamente vissuto. Lo testimonia Paolo nella sua lettera ai Galati. Ma per quale ragione Marco si prende la briga di tradurre lettera per lettera l'aramaico Cefa nel greco Pietro? Ci dovrebbe essere una qualche ragione dietro l'evidente intenzione di Marco che i suoi lettori sappiano dell'etimologia di Cefa.

Ecco spuntare la Parabola del Seminatore:
Cominciò di nuovo a insegnare lungo il mare. Si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli, salito su una barca, si mise a sedere stando in mare, mentre tutta la folla era a terra lungo la riva. Insegnava loro molte cose con parabole e diceva loro nel suo insegnamento: «Ascoltate. Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; e subito germogliò perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde tra i rovi, e i rovi crebbero, la soffocarono e non diede frutto. Altre parti caddero sul terreno buono e diedero frutto: spuntarono, crebbero e resero il trenta, il sessanta, il cento per uno».
Il seminatore semina la Parola. Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la Parola, ma, quando l’ascoltano, subito viene Satana e porta via la Parola seminata in loro. Quelli seminati sul terreno sassoso [πετρωδες] sono coloro che, quando ascoltano la Parola, subito l’accolgono con gioia, ma non hanno radice in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della Parola, subito vengono meno.
(Marco 4:1-9, 14-20)

Pietro, la Pietra, la Roccia, riceve la Parola con gioia. Ma alle prime avvisaglie del pericolo, visibilmente turbato, scappa.
Mentre Pietro era giù nel cortile, venne una delle giovani serve del sommo sacerdote e, vedendo Pietro che stava a scaldarsi, lo guardò in faccia e gli disse: «Anche tu eri con il Nazareno, con Gesù». Ma egli negò, dicendo: «Non so e non capisco che cosa dici». Poi uscì fuori verso l’ingresso e un gallo cantò. E la serva, vedendolo, ricominciò a dire ai presenti: «Costui è uno di loro». Ma egli di nuovo negava. Poco dopo i presenti dicevano di nuovo a Pietro: «È vero, tu certo sei uno di loro; infatti sei Galileo». Ma egli cominciò a imprecare e a giurare: «Non conosco quest’uomo di cui parlate». E subito, per la seconda volta, un gallo cantò. E Pietro si ricordò della parola che Gesù gli aveva detto: «Prima che due volte il gallo canti, tre volte mi rinnegherai». E scoppiò in pianto.
(Marco 14:66-72)

Marco, si sa, è ostile ai discepoli, e fa di tutto per renderli dementi, scemi, idioti, goffi, stupidi e sciocchi. In una parola, Folli Apologeti.

(Curioso che perfino Mel Gibson, notoriamente folle apologeta duro e puro, non abbia esitato a stigmatizzare in quasi gli stessi termini Pietro nel suo film. 




Anche nel Tempio di San Pio, in San Giovanni Rotondo, Foggia, presso l'altare, è possibile vedere nei tratti palesemente scimmieschi dei discepoli che depongono il corpo di Gesù, che ancora oggi messaggi più o meno esoterici si divertano a schernire la stupidità e creduloneria dei primi discepoli di Gesù -- e quindi dei moderni fedeli --, perchè dare dello scemo è un tipico atto d'accusa polemico tra sette e chiese rivali e in malcelata concorrenza tra loro)

Questa parabola non sta presentando affatto una curiosa coincidenza. Io penso proprio che Marco passò apposta dall'aramaico Cefa al greco Pietro per permettere ai suoi lettori originari di accorgersi che nella parabola si sta facendo un'allusione ironica alla tipica incostanza, volubilità e mutevolezza del tre volte rinnegatore Pietro. 

Naturalmente Matteo non rimane a guardare di fronte alla diffamazione del nobile rapprentante della sua comunità giudeocristiana, e si appresta a fare del nome Pietro, da punto di debolezza com'era in Marco, a punto di forza. Da allusione ad un aspetto negativo del suo carattere, l'aridità del cuore, ad un'allusione ad un aspetto positivo del medesimo, così positivo da diventare indispensabile per la stabilità stessa della chiesa.
E io a te dico: tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le potenze degli inferi non prevarranno su di essa.
(Matteo 16:18)


Il lettore potrebbe divertirsi a sapere di altri sottesi gioci di parole dietro i nomi di altri personaggi di Marco, a rivelarne il carattere fittizio. Ad esempio, su Giuseppe d'Arimatea, se non dovesse valere l'interpretazione data da Richard Carrier (si veda la nota 1 di questo post), potrebbe valere questa possibilità:
Harimathaia in greco può essere derivato dall'ebraico har-rimmat(h)aimi (monte del deperimento), nel cui caso preparerebbe per il successivo gioco di parole: “cadavere” (ptoma) and “corpo” (soma).

(dove chiaramente il ''cadavere'', ptoma, è tutto quello che riesce a ottenere Giuseppe d'Arimatea da Pilato, mentre il ''corpo'', soma, è quello che trionferà sulla morte alla risurrezione, allegoria del nuovo Corpo di Cristo che è la chiesa).


Gli altri aramaismi in Marco hanno invece la funzione, rendendo grottescamente più ''realistica'' e ''verosimile'' l'allegoria, di impedire al lettore sprovvisto della giusta γνῶσις l'esatta comprensione di questi giochi di parole. (per renderlo, in parole povere, Folle Apologeta).

Quando poi furono da soli, quelli che erano intorno a lui insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli diceva loro: «A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece tutto avviene in parabole, affinché 
guardino, sì, ma non vedano,
ascoltino, sì, ma non comprendano,
perché non si convertano e venga loro perdonato
».

(Marco 4:10-14)

È chiaro.

Dell'ambiguità di Matteo con la sua matrice ebraica e della sua reazione a Marco

Indizi a favore di un Matteo pro ebraismo:

● La fondamentale affermazione della Legge.

Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli.  Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. ... Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, ...
(Matteo 5:17-20, 23)

● Il continuo riferimento all'Antico Testamento e l'enfasi sul compimento delle profezie.

Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:  Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele,  che significa Dio con noi. ... Gli risposero: «A Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:  E tu, Betlemme, terra di Giuda,  non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda:  da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele». ... dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta:  Dall’Egitto ho chiamato mio figlio. ... Allora si compì ciò che era stato detto per mezzo del profeta Geremia:  Un grido è stato udito in Rama, un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e non vuole essere consolata, perché non sono più. ... Egli infatti è colui del quale aveva parlato il profeta Isaia quando disse:  Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! ... Ma egli rispose: «Sta scritto:  Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».  Allora il diavolo lo portò nella città santa, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù; sta scritto infatti:  Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra».  Gesù gli rispose: «Sta scritto anche: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo».  Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: «Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai». Allora Gesù gli rispose: «Vattene, Satana! Sta scritto infatti:  Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto».  Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano. Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao, sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia:  Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti! Il popolo che abitava nelle tenebre vide una grande luce, per quelli che abitavano in regione e ombra di morte una luce è sorta. .... perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia:  Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie.
(Matteo 1.22-23; 2:5-6, 15, 17-18; 3.3; 4:4-16; 8:17, ecc.)

● La missione di Gesù rivolta al solo Israele.

Questi sono i Dodici che Gesù inviò, ordinando loro: «Non andate fra i pagani e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele. .... Egli rispose: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele».
 (Matteo 10:5-6; 15:24)

● La comunità di Matteo osserva ancora il Sabato.
Pregate che la vostra fuga non accada d’inverno o di sabato.
(Matteo 24:20)


● La comunità di Matteo vive ancora nel rispetto delle giurisdizioni ebraiche.
Quando furono giunti a Cafàrnao, quelli che riscuotevano la tassa per il tempio si avvicinarono a Pietro e gli dissero: «Il vostro maestro non paga la tassa?». Rispose: «Sì». Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: «Che cosa ti pare, Simone? I re della terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli estranei?». Rispose: «Dagli estranei». E Gesù replicò: «Quindi i figli sono liberi. Ma, per evitare di scandalizzarli, va’ al mare, getta l’amo e prendi il primo pesce che viene su, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d’argento. Prendila e consegnala loro per me e per te». .... Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno.
(Matteo 17:24-27; 23:1-3)

● Gesù come Mosè.
Essi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». ... Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. .... Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli.
(Matteo 2:13; 4:1-2; 5:1)

● Il linguaggio, la struttura del vangelo e la sua teologia tradiscono il carattere giudeocristiano del suo autore e della sua comunità.


Indizi a favore di un Matteo contro l'ebraismo.


● L'offerta della salvezza a tutti punta ad una missione tra i pagani in corso da qualche tempo.
Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». ... Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti». ... e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. .... Ecco il mio servo, che io ho scelto; il mio amato, nel quale ho posto il mio compiacimento. Porrò il mio spirito sopra di lui e annuncerà alle nazioni la giustizia. .... nel suo nome spereranno le nazioni. .... Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno. ... Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti. Chi cadrà sopra questa pietra si sfracellerà; e colui sul quale essa cadrà, verrà stritolato». Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro.  .... Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti». ... Questo vangelo del Regno sarà annunciato in tutto il mondo, perché ne sia data testimonianza a tutti i popoli; e allora verrà la fine. ....Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, .... In verità io vi dico: dovunque sarà annunciato questo Vangelo, nel mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche ciò che ella ha fatto».
(Matteo 28:18-20; 8:11-12; 10:18; 12:18, 21; 13:38; 21:43-45; 22:1-14; 24:14; 25:32; 26:13)

● L'annullamento delle prescrizioni rituali.

Non ciò che entra nella bocca rende impuro l’uomo; ciò che esce dalla bocca, questo rende impuro l’uomo!». ... Queste sono le cose che rendono impuro l’uomo; ma il mangiare senza lavarsi le mani non rende impuro l’uomo». .... Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma all’interno sono pieni di avidità e d’intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi pulito!
(Matteo 15:11, 20; 23:25-26)

● La critica alla Legge nelle cosiddette Antitesi del Discorso della Montagna, facendo di Gesù superiore a Mosè, un aspetto di cui non c'è parallelo nell'antico ebraismo.
Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna. Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo! Avete inteso che fu detto: Non commetterai adulterio. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. Se il tuo occhio destro ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna. Fu pure detto: “Chi ripudia la propria moglie, le dia l’atto del ripudio”. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio. Avete anche inteso che fu detto agli antichi: “Non giurerai il falso, ma adempirai verso il Signore i tuoi giuramenti”. Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi, né per Gerusalemme, perché è la città del grande Re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare: “Sì, sì”, “No, no”; il di più viene dal Maligno. Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu pórgigli anche l’altra, e a chi vuole portarti in tribunale e toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà ad accompagnarlo per un miglio, tu con lui fanne due. Da’ a chi ti chiede, e a chi desidera da te un prestito non voltare le spalle. Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.
(Matteo 5:21-48)

● Una perdurante polemica contro il legalismo farisaico.
Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. .... State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli. ... Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, ... In quel tempo Gesù passò, in giorno di sabato, fra campi di grano e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere delle spighe e a mangiarle. .... Allontanatosi di là, andò nella loro sinagoga; .... In quel tempo alcuni farisei e alcuni scribi, venuti da Gerusalemme, si avvicinarono a Gesù e gli dissero: ... Terminati questi discorsi, Gesù lasciò la Galilea e andò nella regione della Giudea, al di là del Giordano. .... Allora Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno.
Matteo 5:20; 6:1; 9:9; 12:1, 9; 15:1; 19:1, 23:1-3)

● Il non utilizzo di aramaismi.

Si confrontino:
e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana. Stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano.
(Marco 1.13)

Dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame.
(Matteo 4:2)

Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!».
(Marco 5.41)

Ma dopo che la folla fu cacciata via, egli entrò, le prese la mano e la fanciulla si alzò.
(Matteo 9.25)

guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!».
(Marco 7.34)

Attorno a lui si radunò molta folla, recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì,
(Matteo 15.30)

Voi invece dite: “Se uno dichiara al padre o alla madre: Ciò con cui dovrei aiutarti è korbàn, cioè offerta a Dio”,
(Marco 7.11)

Voi invece dite: “Chiunque dichiara al padre o alla madre: Ciò con cui dovrei aiutarti è un’offerta a Dio,
(Matteo 15.5)

● Percezione della distanza che separa la comunità di Matteo dalla sinagoga.
Perciò ecco, io mando a voi profeti, sapienti e scribi: di questi, alcuni li ucciderete e crocifiggerete, altri li flagellerete nelle vostre sinagoghe [ἐν ταῖς συναγωγαῖς ὑμῶν] e li perseguiterete di città in città;
 (Matteo 23.34)

egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi. [καὶ οὐχ ὡς οἱ γραμματεῖς αὐτων]
 (Matteo 7.29)


● Perdita di significato delle prescrizioni rituali relative al Sabato.
In quel tempo Gesù passò, in giorno di sabato, fra campi di grano e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere delle spighe e a mangiarle. Vedendo ciò, i farisei gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare di sabato». Ma egli rispose loro: «Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Egli entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell’offerta, che né a lui né ai suoi compagni era lecito mangiare, ma ai soli sacerdoti. O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio vìolano il sabato e tuttavia sono senza colpa? Ora io vi dico che qui vi è uno più grande del tempio. Se aveste compreso che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrifici, non avreste condannato persone senza colpa. Perché il Figlio dell’uomo è signore del sabato».
(Matteo 12:1-8)

● La perdita di Israele del proprio posto nella storia della salvezza.
Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti. ... andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze. ... Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori, nelle tenebre, dove sarà pianto e stridore di denti». ... Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. ... E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli». .... Quelli presero il denaro e fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questo racconto si è divulgato fra i Giudei fino ad oggi.
(Matteo 21:43, 22:9, 8:11-12; 21.39; 27:25; 28:15)


La tesa contrapposizione e il vivido contrasto che emerge da questi due aspetti apparentemente contradditori del secondo vangelo stanno a significare che il suo autore, in contrapposizione all'allegoria di Marco, difende un giudeocristianesimo piuttosto liberale della Diaspora e con alle spalle una precedente missione di proselitismo tra i pagani intrapresa da qualche tempo. Un forte indizio a favore di questa interpretazione è la mancanza di ogni allusione al dibattito sulla circoncisione, una pratica il cui rilassamento era considerata negli ambienti ebraici più conservatori un segno di manifesto disprezzo della Torah, laddove al contrario nei più estesi circoli della Diaspora ellenistica la circoncisione non era più considerata una questione importante.
 
Se infatti l'allegoria di Marco insisteva sulla follia dei seguaci giudeocristiani dei Pilastri storici, Giacomo, Giovanni, Pietro (di cui i 12 erano probabilmente i cloni letterari) per non aver riconosciuto che Dio aveva favorito il successo della missione del tanto osteggiato Paolo tra i pagani, e dunque rappresentando un Gesù che si chiude ai suoi primi discepoli, per tutta reazione l'autore del vangelo di Matteo, provenendo dalla setta di Giacomo, scrisse la sua propria versione della medesima allegoria di Marco ponendo un accento più tradizionalmente ebraico all'allegoria: il suo Gesù si apre ai suoi primi discepoli, rivalutando il giudaismo tradizionale e gli ebrei di Israele e nel contempo rivendicando l'originalità & superiorità del movimento cristiano rispetto alla matrice ebraica più tradizionale.


Il vangelo di Marco è più in linea con la teologia paolina di tutti i vangeli. In realtà, è il solo vangelo che è veramente in linea con la teologia paolina.

Un piccolo assaggio di questo:
Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
(Marco 10:35-45)

Qui Giacomo e Giovanni sono descritti poveramente e dipinti per l'ennesima volta come incapaci di comprendere veramente l'identità di Gesù, pur con tutte le loro migliori intenzioni. Al pari di altri, questo passaggio probabilmente allude a Paolo e ai conflitti tra Paolo e gli altri apostoli principali.
Poiché, pur essendo libero da tutti, mi son fatto servo a tutti, per guadagnarne il maggior numero;
(1 Corinzi 9:19)

Questi potrebbe essere un indizio, da parte dell'autore del vangelo di Marco, che egli considerava Paolo il più grande degli apostoli.

(Si noti che per coprire l'imbarazzo dei figli di Zebedeo, Matteo scomoda Mrs Zebedeo per la loro stupida e goffa richiesta, pur di riabilitare i Pilastri, rappresentanti dei giudeocristiani come Matteo)

Dell'enigmatica natura dell'epistola di Giacomo

L'epistola di Giacomo mi ha sempre impressionato. Non perchè sembra l'unica lettera sopravvissuta che tradisce una visione giudeocristiana. Ma perchè non sembra per niente un'epistola cristiana.

Tanto per cominciare, Giacomo scrive ''Gesù Cristo'' solo due volte. La prima riga dei primi due capitoli. E basta. E nè si può dire che la lettera originaria prevedesse dei ''capitoli''.

Nessuna citazione, tantomeno allusione, a Gesù. Giacomo, o meglio chi per lui, attinge dal Tanak per esprimere quello che vuole dire.

Cita a piene mani Levitico 19:18, Esodo 20:14, Deuteronomio 5:18, Genesi 15:16 e Proverbi 3:34. Ma non cita mai Gesù. Al pari di quanto mi attendevo da Paolo, Giacomo poteva semplicemente appellarsi alle parole del suo Signore Gesù sulle questioni che lo preoccupavano.

D'altro canto si tratta di una lettera complessivamente breve ma quei due sconcertanti aspetti -- menzionare Gesù solo due volte e mai riferire le sue parole -- tradisce forse la natura originariamente non cristiana di questa epistola. Forse si trattava di un documento ebraico che fu cooptato da cristiani, forse cristiani ebioniti, con l'inserimento di quei due solitari riferimenti a Gesù.

L'epistola è decisamente favorevole ai ''poveri'', proprio cosa significa il termine ''ebioniti''.

Rimuovendo i due riferimenti a Gesù, la lettera mantiene la sua logica e il suo flusso del discorso, e questo potrebbe essere un indizio di interpolazione di quei due magri riferimenti a Gesù. I quali non aggiungono alcun contenuto, contesto o logica alla lettera. Così o non si tratta affatto di un documento cristiano, oppure ha una vista di Gesù simile a quella di Paolo oppure ancora rivela un tipo di cristianesimo ancora indistinguibile dall'ebraismo come un intero. Un Gesù che è mero agente di salvezza e non un predicatore itinerante. 
Giacomo non sembra interessato nè al Gesù Storico e neppure al Gesù Risorto. A che cosa, allora? Alla parusia imminente del “Cristo celeste”.

In quella lettera “Gesù salva” non mediante la sua morte e risurrezione, ma solo nella misura in cui la sua parusia celeste segnerà la distruzione degli oppressori corrotti degli eletti di Dio e la costituzione dell'età di felicità a lungo promessa ai giusti. La lettera di Giacomo indica un antico mito cristiano che, seppure diverso dal mito incentrato sulla morte-e-risurrezione riflesso in così tanto della restante letteratura cristiana, è coerente in misure significative con il pensiero messianico ebraico del primo secolo.

Non solo la descrizione di Gesù fatta da Giacomo in uno dei più antichi scritti cristiani lascia aperta la possibilità che il “suo” Gesù sia una “figura celeste”, ma la sua lettera permette di avvistare anche la natura frammentaria del cristianesimo primitivo. I giudeocristiani di Giacomo sembrano meno interessati all'atto finale salvifico di Gesù per il bene di tutta l'umanità, e decisamente più interessati alla restaurazione nazionale, “la ricostituzione del regno delle dodici tribù”, il sogno messianico di un Israele riunificato da un'entità celeste e vendicativa.
Quando Gesù parla della salvezza, si tratta di una salvezza che non ha nulla a che fare con la morte e risurrezione di Gesù:
Perciò liberatevi da ogni impurità e da ogni eccesso di malizia, accogliete con docilità la parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza.
(Lettera di Giacomo 1:21)

Ovviamente, un cristiano proto-cattolico non avrebbe avuto nessun impedimento a vedere nella parola che salva LA Parola, alias il Logos Gesù. E d'altra parte gli ebioniti non prevedevano alcun valore salvifico per la morte di Gesù nella loro teologia giudaizzante. Eppure mi chiedo che cosa diavolo intende Giacomo con la ''parola'' che salva. Potrei ipotizzare un qualche tipo di predicazione. Per incredibile, enorme coincidenza, quest'epistola non menziona nulla sulle ''buone notizie'' o sui vangeli da predicare.

Il primo testimone che sembra aver sentore di questa lettera è Ireneo che scrive verso la fine del Secondo secolo.

E quell'uomo non era giustificato per quelle cose, ma il fatto che fossero offerte come segno al popolo illustra -- che lo stesso Abramo, senza circoncizione e senza osservanza del Sabato, ebbe fede in Dio e gli fu accreditato a giustizia, e fu chiamato amico di Dio.
(Ireneo, Contro le Eresie 4:16.2)

Sta citando Giacomo 2:23 (''E si compì la Scrittura che dice: Abramo credette a Dio e gli fu accreditato come giustizia, ed egli fu chiamato amico di Dio.''), ma sta citando in realtà Genesi 15:6. Ciò che condivide solo con Giacomo è l'espressione finale ''amico di Dio''. C'è da chiedersi che non sia piuttosto farina del suo sacco e che dunque sta citando solo Genesi senza toccare per nulla Giacomo. Non dice infatti da dove ha copiato ''amico di Dio''. Eppure Ireneo è uno che di certo, A DIFFERENZA DI PAOLO (un indizio decisamente sfavorevole ai folli apologeti), fa nome e cognome di chi cita, appena prima la frase precedente:

Infatti noi, dice l'apostolo, siamo stati circoncisi con la circoncisione non fatta da mano d'uomo (Colossesi 2:11) E il profeta dichiara, circoincidete dunque il vostro cuore ostinato (Deuteronomio 10:16). .... Infatti noi siamo contati, dice l'Apostolo Paolo, tutto il giorno come pecore da macello; (Romani 8:36) 
 

Origene, una generazione dopo Ireneo, conosce davvero l'epistola di Giacomo. Ne parla come della ''Epistola di Giacomo che è in circolazione'' (Commentario a Giovanni 19:61) così non dà adito a dubbi.

Penso che questa epistola fosse originariamente ebraica, ma gli ebioniti se ne impossessarono. Aggiunsero un clima ebionita/''cristiano'' in questa lettera per farne uno strumento anti-cattolico e anti-paolino nel Secondo secolo.

Pur così, ancora non riesco a spiegarmi per quale fottutissima ragione questi fantomatici ebioniti giudeocristiani non avrebbero approfittato, se quello che cercavano in fin dei conti era solo fare l'ennesimo appello ad auctoritatem in reazione alla Grande Chiesa, di chiamare nell'incipit l'autore della lettera ''Giacomo, IL fratello di Gesù'', invece  di esordire meramente con un ''Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo''.

Quale fratello di un così grande uomo è così insignificante da non meritare neppure l'onore di essere riconosciuto come tale?

Così, cosa dovrei dedurne? So solo una cosa: questa lettera non ha assolutamente nulla a che fare con Gesù e con ogni questione squisitamente cristiana. Nessuna risurrezione. Nessuna croce. Niente ''buone nuove'' o ''vangelo''.

Non è nemmeno una lettera cristiana, probabilmente. Forse quel folle apologeta duro e puro di Martin Lutero aveva davvero visto giusto!

Di chi fu veramente crocifisso nel primo vangelo

Su Vridar

http://vridar.org/2014/04/18/jesus-crucifixion-as-symbol-of-destruction-of-temple-and-judgment-on-the-jews/ 

sono venuto a conoscenza di altri, numerosi dettagli che confermano sempre più la mia interpretazione preferita del vangelo di Marco, ossia che la crocifissione di Gesù simboleggia la distruzione del vecchio Israele -- ad opera dei romani, nel 70 -- e in pari misura la necessaria premessa per la risurrezione di un Nuovo Israele -- sotto forma della nascente chiesa cristiana.

Trovo particolarmente persuasiva, alla luce dell'enorme potere esplicativo che si porta seco questa ipotesi, la spiegazione di un episodio altrimenti enigmatico che compare in un punto cruciale della narrazione marciana, ovvero l'inquietante ammonimento profetico rivolto da Gesù all'indirizzo del Sommo Sacerdote, che gli costerà l'accusa di blasfemia.

Il sommo sacerdote, alzatosi in mezzo all’assemblea, interrogò Gesù dicendo: «Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?». Ma egli taceva e non rispondeva nulla. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: «Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?». Gesù rispose: «Io lo sono! 
E vedrete il Figlio dell’uomo
seduto alla destra della Potenza
e venire con le nubi del cielo». 

Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: «Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». Tutti sentenziarono che era reo di morte.

(Marco 60-64)



Le stesse parole sul Figlio dell'Uomo che scenderà con le nubi del cielo sono messe nuovamente in bocca a Gesù nel capitolo 13, notoriamente denso di allusioni post-eventum alla distruzione del Tempo.

Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria.
(Marco 13:26)

Ma perchè Gesù si preoccupa di dire proprio quella profezia in particolare, di fronte al Sommo Sacerdote sinedrita?

Secondo alcuni storicisti, colpevoli chiaramente di una lettura eccessivamente letteralista di quel passo evangelico, quelle parole, o anche solo qualcosa di simile in grado di rammentarle sia pure vagamente, furono davvero pronunciate da Gesù: in fondo, l'essenza di quelle parole sarebbe del tutto in linea col linguaggio escatologico a volte esasperato di un profeta apocalittico quale potrebbe essere stato un ipotetico Gesù storico scambiato per sedizioso (essendo le profezie apocalittiche troppo spesso una cifra costitutiva, quasi il linguaggio ''in codice'', degli ambienti zeloti o filo-zeloti), dunque perchè non salvare Marco in vista della ricostruzione di un plausibile ritratto del Gesù storico?

In fondo, a detta dei medesimi storicisti, si potrebbe usare qui anche il criterio di imbarazzo: quell'aggressivo coming-out di Gesù dinanzi ad attoniti accusatori sinedriti, chiaramente si trascina automaticamente dietro l'enorme imbarazzo di una profezia per null'affatto realizzatasi. Dunque, a maggior ragione, perchè non riconoscere a Marco in quel punto la parte dello storico, o almeno qualcosa che più vi assomigli, più che del teologo e dell'artista letterario?

A dire il vero, bisogna intanto rivalutare la lettura che diede il grande studioso William Wrede di quel passo, alla luce del Segreto Messianico che pervade l'intero primo vangelo, che si può riassumere così: nonostante il violento coming-out di Gesù, ancora si stenta, da parte di Pietro e tanto più da parte dei suoi accusatori, a riconoscere la vera identità dell'accusato, ossia la sua pur malcelata e latente Messianicità.

Nelle parole di Tim Widowfield:

Quello è esattamente il punto di Wrede. Non un'anima solitaria comprese il significato del segreto di Gesù fino a dopo che resuscitò dai morti. Non dovremmo venir tentati nell'assumere che i discepoli fossero semplicemente lenti a realizzare, che essi avessero ''l'idea sbagliata'' su Gesù e progressivamente, sebbene lentamente, compresero la verità. Per nulla affatto. Il vangelo di Marco è chiaro sulla questione: Loro non compresero nulla.
(Vridar, 2013/03/12, Reading Wrede Again for the First Time -9 mia enfasi)

Questo significa che su un livello squisitamente teologico-letterario Marco aveva almeno un motivo per rendere Gesù così fortemente esposto e chiaro nelle sue reali intenzioni -- in fondo, aveva di fronte il proprio accusatore e non poteva rimanere silente a lungo! --  e tuttavia lasciare impunemente che il suo aggressivo pronunciamento su di sé non sortisse alcun effetto, ma al contrario affrettasse ancor più speditamente il verdetto negativo del processo (un motivo simile lo vediamo nel finale di Marco, dove l'effetto sortito sulle donne al Sepolcro dalle parole dell'angelo rappresenta l'esatto contrario delle direttive di quest'ultimo). In virtù del tema dominante del Segreto Messianico, Gesù poteva dire tutto e il contrario di tutto: non sarebbe mai stato compreso. E non sarebbe mai stato compreso perchè non sarebbe mai stato riconosciuto. E non sarebbe mai stato riconosciuto perchè quel Gesù probabilmente non è mai esistito.

Ma esiste anche il motivo che spiega perchè, tra tutte le parole che poteva usare il Gesù di Marco davanti al suo accusatore, scelse proprio quelle stesse già sentite nell'apocalittico Marco 13.

Sono chiaramente parole di GIUDIZIO. Che Marco le rimetta nuovamente in bocca a Gesù proprio in quell'occasione non sta a significare nient'altro che il sommo sacerdote al quale sono rivolte assisterà di lì a poco al puntuale verificarsi di quella profezia, di quel GIUDIZIO. Sul Golgotha.

In altre parole, il GIUDIZIO profetizzato da Gesù sul vecchio Israele rappresentato dal sommo sacerdote avverrà di lì a poco nell'estremo, radicale paradosso di un Messia Crocifisso dai romani.

Marco quindi nel suo vangelo ha voluto instaurare una  stretta identità tra crocifissione di Gesù e Giudizio di Dio, un Giudizio di Condanna, sul vecchio Israele (rappresentato dal Sinedrita accusatore). A essere crocifisso non è un uomo, o almeno non è solo un singolo uomo, ma è Israele, per le sue colpe commesse. La punizione che Gesù riserva al Sommo Sacerdote che lo condanna a morte corrisponde proprio alla sua stessa crocifissione romana quale simbolo di Israele.


La pena di Gesù corrisponde alla punizione del popolo che lo ha appena rinnegato nelle parole del Sommo Sacerdote che lo accusa di blasfemia non riconoscendone la vera identità (al pari del lettore che non comprende l'allegoria di Marco). La pena della vecchia casta sacerdotale e del vecchio Israele, colpevole di aver abbandonato Dio, corrisponde alla punizione di Gesù sulla croce ad opera dei romani. E alla conseguente consegna di ''Gesù'', cioè del titolo di Israele, ai gentili.


Quel GIUDIZIO per Marco si era profilato concretamente NELLA STORIA con tanto di precisa data storica: nel 70 EC il Tempio di Gerusalemme venne completamente raso al suolo da parte dei romani di Tito, un fatto inaudito e sconvolgente per quei tempi.

E quel medesimo GIUDIZIO Marco lo rappresentò vividamente NELL'ALLEGORIA mediante la scena più paradossale e dissonante di tutte: un Messia, anzi IL Messia, crocifisso dai romani.

Col vecchio Israele moriva giustamente crocifisso anche il vecchio ideale messianico, kata sarka, ''secondo la carne''.

Questo solleva un inquietante interrogativo, sulla scorta del solo vangelo di Marco: la crocifissione di Gesù era veramente accaduta, e Marco ne approfittò per ''imbalsamarla'' di significato profondamente allegorico, un significato che per la comunità di Marco doveva servire a spiegare qualcos'altro (il significato di allegoria) che prima di Marco i seguaci di Gesù non immaginavano affatto che si realizzasse (ovvero la minacciata estinzione di un'intera Civiltà, oltre che del culto del Tempio) ? Oppure per Marco si trattava solo di un'allegoria, l'allegoria del fato subito da Israele in prossimità della sua attesa Rinascita in un nuovo Patto, e nient'altro?



A favore della prima ipotesi potrei chiedermi: ma perchè scomodare come allegoria di un fatto del 70 EC un personaggio collocato dalla medesima allegoria nel 30 EC ?

Una domanda a cui gli storicisti non sanno rispondere, e che perciò, concludono, conduce all'implicità necessità di un Gesù storico all'origine del processo che portò alla stesura del vangelo, foss'anche un vangelo completamente allegorico come lo è il vangelo di Marco.

Ho posto la stessa domanda al miticista Richard Carrier ed ecco la sua risposta.


Esistono numerose possibili spiegazioni. In verità i cristiani discordavano su quando (alcuni facevano morire Gesù sotto Claudio, dieci anni prima della guerra; altri sotto Ianneo, ottant'anni prima che Roma mai governasse la Giudea). Ma l'assegnazione del credo occidentale al decennio di Pilato fu o una anticipata assunzione derivata da calcoli del libro di Daniele del Secondo secolo AC (da cui ognuno stava cercando di fare matematica per calcolare quando il messia sarebbe venuto e sarebbe morto, per Daniele 9; un tipico esempio cristiano è in Giulio Africano), o una retrodatata assunzione derivata da matematica spirituale standard (quarant'anni essendo un periodo standard di errare e soffrire prima che cambino le cose, per la narrazione dell'Esodo), o semplicemente un mito dell'origine derivato da quando iniziò il culto (le prime visioni di Gesù si può calcolare dalle lettere di Paolo che siano accadute negli anni 30 o circa), o tutti questi motivi di cui sopra. Che Gesù fu collocato un centinaio d'anni prima da almeno una setta di cristiani (o negli anni 50 per qualche altri cristiani) indica che c'erano altri modi di fare la matematica spirituale. Quello nel canone era proprio quello della setta che trionfò.

È un buon punto.





Ma Gesù al Sommo Sacerdote sta alludendo al Figlio dell'uomo. Lo stesso figlio dell'uomo a cui lui più e più volte si è riferito nei suoi enigmatici discorsi ai goffi discepoli, profetizzando che verrà ''consegnato'' ai gentili.

E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.
(Marco 8:31)

Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà».
(Marco 9:31)

«Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani, lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno, e dopo tre giorni risorgerà».

(Marco 10:33-34)


Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
(Marco 10:45)

Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo, dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! [παραδίδοται, letteralmente ''viene consegnato''] Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!».
(Marco 14:21)

Venne per la terza volta e disse loro: «Dormite pure e riposatevi! Basta! È venuta l’ora: ecco, il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani dei peccatori.

(Marco 14:41)



Ma quell'essere ''consegnato'' ai gentili non rappresenta tout court un fatto negativo: perchè è la stessa chiesa, il ''corpo di Cristo'', il Novus Israel, a venire ''consegnato'' ai gentili dopo il necessario travaglio che toccherà al vecchio Israele. E in Daniele il significato originario di figlio d'uomo indica lo stesso popolo d'Israele.  Marco era troppo versato nelle Scritture ebraiche per trascurare o rinnegare quell'ancestrale significato implicito nel ''figlio d'uomo''.

Quindi ecco cosa potrebbe essere accaduto. All'inizio Paolo e i Pilastri predicavano il Cristo crocifisso. Paolo in particolare sottolineava come ad entrare nel Corpo di Cristo è ogni cristiano battezzato, non ha importanza se pagano o ebreo. Paolo ricevette di certo delle resistenze da parte dei giudeocristiani  per le sue aperture ai gentili. Non saprò mai con certezza assoluta (ma fortunatamente non è un grande danno) se gli oppositori di Paolo furono gli stessi Pilastri oppure solo isolate frange più tradizionaliste e xenofobe dei giudeocristiani (quelle stesse che scriveranno in seguito il libro dell'Apocalisse contro i paolini). Ad ogni caso Paolo fu accolto con molta freddezza e scetticismo tra i giudeocristiani. Nel caso migliore, consideravano persa la sua causa. Nel caso peggiore, la osteggiavano apertamente.

Dopodichè avvengono i tragici fatti del 70. A scrivere ''Marco'' era un ebreo seguace di Paolo (forse un'intera scuola letteraria) e dunque come ogni altro ebreo profondamente influenzato dagli eventi traumatici appena accaduti. Il problema che dovette affrontare Marco era come dare una spiegazione teologica di quei tragici avvenimenti, come ricostruire e fortificare l'identità della propria comunità: insomma, il suo vangelo trova il suo pieno significato subito dopo gli eventi che portarono alla sua creazione.

Gli unici Fatti che si possono scoprire con inoppugnabile certezza dietro il vangelo di Marco (e per estensione dietro i vangeli successivi perfino all'insaputa dei loro autori, che si limitarono ad abbellire Marco e a derivare dalla sua storia) sono dunque solo i fatti accaduti a ridosso del 70. Marco prende il Gesù crocifisso e risorto di Paolo e ne fa un simbolo di Israele crocifisso (ebreo) e risorto (gentile). 



Marco non ha in mente, quando parla del ''figlio d'uomo'', nient'altro che un'identità di gruppo: non la singola persona del Messia, ma la ''chiesa'', la stessa chiesa che da ebrea qual era in passato sta ora per essere consegnata tragicamente ai gentili per divenire a tutti gli effetti, almeno in prevalenza, gentile. Il giovane vestito di bianco nel Sepolcro che annuncia alle donne terrorizzate di riferire a Pietro (preventivamente decaduto nelle grazie del lettore per via della sua incredibile stupidità prima,  e del suo triplice rinnegamento dopo) di precederlo nella Galilea dei gentili (Isaia 9:1) -- vale a dire di ritrovare il Corpo del Gesù Risorto, vale a dire la chiesa, tra i gentili e non più tra gli ebrei -- non potrebbe essere nient'altri che Paolo (se proprio deve alludere allegoricamente a qualcuno).

Ma se Marco intende per Gesù un simbolo di Israele prima durante e dopo il suo travaglio e la sua evoluzione teologica (da popolo ebraico a popolo cristiano senza più distinzioni di sorta tra ebrei e gentili), allora il suo assurgere a rappresentare strettamente un intero gruppo e la sua più profonda identità spirituale non può che rammentare direttamente la metafora di Paolo sul Corpo di Cristo.


Per la grazia che mi è stata data, io dico a ciascuno di voi: non valutatevi più di quanto conviene, ma valutatevi in modo saggio e giusto, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato. Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri. Abbiamo doni diversi secondo la grazia data a ciascuno di noi: chi ha il dono della profezia la eserciti secondo ciò che detta la fede; chi ha un ministero attenda al ministero; chi insegna si dedichi all’insegnamento; chi esorta si dedichi all’esortazione. Chi dona, lo faccia con semplicità; chi presiede, presieda con diligenza; chi fa opere di misericordia, le compia con gioia.
(Romani 12:3-8)


Il Cristo inteso in Marco, per consentire l'uso che ne fa nel suo vangelo, non può essere che lo stesso Cristo Cosmico di Paolo. Solo il Cristo Cosmico può rappresentare una vasta comunità di individui che non hanno nulla in comune tra di loro se non la fede nel Cristo Gesù di Paolo e il battesimo per partecipare del suo Corpo.

A dispetto dell'umile profeta e modesto pretendente messianico che ci consegna qualsiasi lettura letteralista del vangelo di Marco, il Gesù di quel primo vangelo è sempre rimasto lo stesso Cristo Cosmico di Paolo.

E come tale, il nome di Gesù in Marco, il nome del Figlio dell'Uomo, non ha più personalità di quanta potrebbe averne il nome di Giuda (Iscariota) quale emblema di un'intera Nazione ormai esecrata da Dio e dagli uomini.
(Giuda Iscariota, alias Sicariota, potrebbe essere un'allusione ai sicarii, gli estremisti zeloti che tradirono Israele scatenando le ostilità contro i romani, con quel che conseguì)


Marco era il biografo di quello che per lui era il letterale Corpo di Cristo: la chiesa. Non era l'agiografo di un ipotetico Gesù storico. Marco stava rappresentando in allegoria la Storia della Chiesa. La sua chiesa. La chiesa paolina. La chiesa fondata da Paolo ta i gentili e gli ebrei della Diaspora. E come Marco per la sua chiesa ebreo-gentile, così Matteo per la propria chiesa giudeocristiana, a costo di correggere Marco per ereditarne lo stesso messaggio propagandistico (e dunque per guadagnarne lo stesso target religioso). 

Il vangelo di Marco è davvero altrettanto metaforico del vangelo di Giovanni. L'unica differenza è che il primo vangelo si concentra sulle metafore nella narrazione degli ''episodi'', laddove il quarto vangelo si concentra sulle metafore nel dialogo e nel discorso diretto messo in bocca a ''Gesù''. Come tale, è davvero inutile a recuperare anche solo un grammo di un ipotetico Gesù storico, se perfino la sua crocifissione -- e la sua crocifissione romana -- non rimanda a nient'altro che ai fatti del 70.

Ne deriverebbe un particolare per nulla trascurabile. La crocifissione di Gesù -- attinta da Paolo e dai Pilastri -- divenne in Marco (traumatizzato dalla nuova situazione determinatasi dopo il 70, una situazione sconosciuta a Paolo), una crocifissione ROMANA, perchè romani erano coloro che crocifissero LETTERALMENTE migliaia di ebrei durante l'assedio di Gerusalemme.


Così venivano flagellati e, dopo aver subito ogni sorta di supplizi prima di morire, erano crocifissi di fronte alle mura.  
Tito provava compassione per la loro sorte, poiché ogni giorno erano cinquecento, e talvolta anche di più, quelli che venivano catturati, ma d'altro canto capiva che era un pericolo lasciar liberi i nemici caduti prigionieri, e che sorvegliare tanti prigionieri significava immobilizzare altrettanti custodi; comunque la ragione principale per cui non faceva cessare le crocifissioni era la speranza che a quello spettacolo i giudei si decidessero ad arrendersi, temendo di subire la stessa sorte se non si fossero sottomessi.  
Spinti dall'odio e dal furore, i soldati si divertivano a crocifiggere i prigionieri in varie posizioni, e tale era il loro numero che mancavano lo spazio per le croci e le croci per le vittime.
(Flavio Giuseppe, Guerra Giudaica V, 449-451, mia enfasi)

In Flavio Giuseppe abbiamo anche il primo autore che descrive quella ''nefasta'' alleanza fra leader farisei e sadducei di Gerusalemme e i romani. Ma in Flavio Giuseppe romani e farisei erano alleati contro gli zeloti. Perchè allora in Marco la colpa della condanna di Gesù -- e quindi della crocifissione di ''Gesù'', alias Israele -- ricade in sostanza non tanto sui romani (solo pedine inconsapevoli manipolate dai malvagi farisei) quanto soprattutto sui farisei, laddove invece, nella Storia reale che ci narra Flavio Giuseppe, Israele venne letteralmente crocifisso dai romani, ma per le gravi responsabilità degli zeloti nel provocare la guerra, zeloti ostili anche ai farisei?

Il martirio del messia rappresenta il tragico fato del popolo eletto, che sembra essere stato abbandonato dal suo Dio. Il paradosso del messia crocifisso sarà risolto quando Israele risorgerà nuovamente, il vero significato della Risurrezione. Il vangelo non è nient'altro allora che un'intera allegoria della Passione di Israele con tanto di lunga introduzione. Perchè quell'introduzione serve a spiegare questo disastro. E l'introduzione è il racconto di un messia che risulta invisibile ai suoi stessi seguaci, e risulta inviso alla casta sacerdotale. Ma perchè? Perchè Israele, come ogni Servo Sofferente che si rispetti, deve necessariamente cadere ad opera delle forze dell'ordine costituito: i capi dei sacerdoti e gli scribi. Per essere vendicato alla fine. Giuda, simbolo degli zeloti rivoluzionari, tradirà Gesù/Israele, tradirà cioè lo stesso ideale messianico che era il movente degli zeloti. Ma la casta sacerdotale non è immune da colpe.

Scrive Flavio Giuseppe:

I maggiorenti e i sommi sacerdoti si riunirono con i notabili dei Farisei per discutere sulla situazione politica generale, che si presentava ormai di un'estrema pericolosità; e avendo deliberato di tentare un'azione di recupero verso i rivoluzionari raccolsero il popolo dinanzi alla porta di bronzo, che si apriva nel tempio interno rivolta ad oriente. E dopo averli anzitutto rimproverati a lungo per la temeraria intenzione di ribellarsi e di attirare sulla patria una guerra tanto rovinosa, mostrarono l'assurdità del pretesto cui s'erano appigliati... ... Ma nessuno dei rivoluzionari si lasciò convincere, e nemmeno i ministri di culto si dichiararono d'accordo, creando così l'occasione per la guerra.  
I maggiorenti, vedendo che ormai non potevano più soffocare la ribellione e che loro sarebbero poi stati i primi a subirne le pericolose conseguenze da parte dei romani, si preoccuparono di declinare la loro responsabilità e mandarono ambasciatori sia a Floro, capeggiati da Simone figlio di Anania, sia ad Agrippa, tra cui primeggiavano Saul, Antipa e Costobar, legati al re da vincoli di parentela. Ad entrambi rivolsero un pressante appello perché venissero in città con forze militari e mettessero fine alla ribellione prima che esplodesse irrefrenabile.  
Per Floro si trattò di una splendida notizia, ed essendo intenzionato a far scoppiare la guerra lasciò gli ambasciatori senza risposta; Agrippa, invece, che si preoccupava ugualmente dei ribelli e di coloro contro cui si preparava la guerra, che voleva conservare ai romani la fedeltà dei giudei e ai giudei il tempio e la città, che ben sapeva come nemmeno lui avrebbe avuto nulla da guadagnare dai disordini, mandò in aiuto del popolo duemila cavalieri dell'Alluranitide, della Batanea e della Traconitide agli ordini di Dario, quale comandante della cavalleria, e di Filippo figlio di Iacimo, quale comandante in capo. 
Incoraggiati dal loro arrivo i maggiorenti, con i sommi sacerdoti e tutta quella parte del popolo che voleva la pace, occuparono la parte alta della città; i rivoluzionari occupavano invece la parte bassa e il tempio.
(Guerra Giudaica II:411-422, mia enfasi)


La politica dei ''maggiorenti'' della città -- ovvero scribi, farisei e sadducei -- era chiaramente doppiogiochista per motivi di pura real politik. Da un lato dovevano trattenere il più possibile gli zeloti insediatisi nella Capitale con le loro pretese sempre più arroganti, e dall'altro dovevano preparare il ritorno in forze dei romani ma impedendo che questi facessero piazza pulita indiscriminatamente (perchè avrebbero certamente diffidato di un romano bellicoso come Floro, per il quale quella tregua precaria e potenzialmente esplosiva ''si trattò di una splendida notizia, ed essendo intenzionato a far scoppiare la guerra lasciò gli ambasciatori senza risposta''). Ma dal momento che erano loro che sembravano tessere il destino della Città con le loro trame politiche, quel destino si rivelò di lì a poco essere tragicamente un terribile FATO -- ''così è avvenuto, così Dio volle'' -- e allora la ''COLPA'' doveva di necessità ricadere su di loro, perchè i Fatti ''dimostrarono'' che Dio non era con loro.

Insomma, Marco condannò Israele sulla croce perchè Roma crocifisse Israele per volere di Dio, condannò gli zeloti allegorizzandoli in Giuda Sicariota, traditore esecrato da Dio al pari del movimento rivoluzionario zelota, col quale si era ''sporcate'' le mani la casta sacerdotale (nel vano tentativo diplomatico di trattenere lo scoppio della guerra), e condannò gli scribi e farisei in quanto responsabili ultimi del Disastro e manipolatori dei sempre innocenti (perchè vincitori) romani con il loro ipocrita doppiogiochismo politico.

Gli storici considerano un grande statista Lorenzo de' Medici, alias Lorenzo ''il Magnifico'', chiamandolo ''l'ago della bilancia'' della politica italiana. Alla sua morte però l'Italia fu dominata dagli invasori stranieri fino al Risorgimento. 
Poichè l'intrusione straniera avvenne qualche anno dopo la morte del ''Magnifico'', non si poteva sconfessare il suo luminoso ''buon governo'' ma al più prendersela con i suoi successori nel governo di Firenze (come poi accadde). Ma qualora le potenze straniere avessero invaso l'Italia con lui ancora in vita, di certo i posteri non ne avrebbero avuto il medesimo buon giudizio, e della sua opera politica e della sua grande capacità mediatrice diplomatica. Da ''ago della bilancia'' qual era sarebbe stato declassato, e puntualmente diffamato, di fatto se non di nome, come un mero, ipocrita, fallito ''Ragno tessitore''.

Lo stesso avvenne con i farisei. Si erano arrischiati nell'immane, pericolosa missione di salvare il salvabile in mezzo a due fuochi, finendo per apparire egoisti oligarchi, agli occhi del popolo, e di perseguire unicamente la propria sopravvivenza politica, destreggiandosi tra così tanti infuocati interessi contrapposti:


I maggiorenti, vedendo che ormai non potevano più soffocare la ribellione e che loro sarebbero poi stati i primi a subirne le pericolose conseguenze da parte dei romani, si preoccuparono di declinare la loro responsabilità e mandarono ambasciatori sia a Floro, capeggiati da Simone figlio di Anania, sia ad Agrippa, tra cui primeggiavano Saul, Antipa e Costobar, legati al re da vincoli di parentela. 
 (Flavio Giuseppe, Guerra Giudaica II:418, mia enfasi)

Mancavano due giorni alla Pasqua e agli Azzimi, e i capi dei sacerdoti e gli scribi cercavano il modo di catturarlo con un inganno per farlo morire. Dicevano infatti: «Non durante la festa, perché non vi sia una rivolta del popolo».
(Marco 4:1-2)


E subito, al mattino, i capi dei sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo portarono via e lo consegnarono a Pilato.
(Marco 15:1)

Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta.
(Matteo 21:5-46)
In quel momento gli scribi e i capi dei sacerdoti cercarono di mettergli le mani addosso, ma ebbero paura del popolo. Avevano capito infatti che quella parabola l’aveva detta per loro.
(Luca 20:19)


Il quarto evangelista, come al solito, rende ancor più esplicita la medesima allegoria (al di là se la vendeva come qualcosa da prendere ciecamente alla lettera) con tanto di discorso diretto.

Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.
(Giovanni 11:47-52)


Ma c'è un altro motivo che spiega perchè rovesciare così tanto odio contro i Farisei e non contro gli Zeloti. In fondo i farisei al tempo di Pilato erano solo una tra le tante sette del Giudaismo, non rappresentavano ancora TUTTO il Giudaismo. I Farisei si collocarono sempre più al centro della vita politica e religiosa di Israele assai più nella seconda metà del I secolo, fino a diventare praticamente rappresentanti politico-religioni dell'intero Ebraismo dopo la guerra (evolvendosi nel cosiddetto rabbinismo talmudico), ma al tempo di Pilato, nella prima metà del secolo, non erano affatto la setta dominante. Dunque i farisei esistevano al tempo di Pilato, ma avrebbero attirato certamente assai maggiore attenzione e molta più provocatoria influenza politica e religiosa verso la fine del I secolo, un'influenza divenuta colpevolmente responsabile della precaria situazione politica degenerata nello scoppio della Guerra Giudaica. Proprio quando Marco si mise a tavolino per scrivere la sua allegoria.

Inoltre, colpendo i farisei e il loro attaccamento alla Legge al di là del moralmente dovuto, il paolino Marco indirettamente voleva colpire anche gli stessi giudeocristiani (anch'essi estintisi a seguito della sciagura che precipitò su Gerusalemme, e dunque anch'essi parzialmente colpevoli delle loro disgrazie), i quali poi reagirono col vangelo di Matteo mettendo in bocca a Gesù l'esortazione a seguire la Legge superando in zelo ed in autentica devozione e rispetto della Legge gli stessi Farisei per ottenere la salvezza (il dibattito sulla Legge era tale da scatenare palesi contraddizioni tra i vangeli).




Se quindi i romani ''crocifissori'' fanno il loro ingresso LA PRIMA VOLTA nel vangelo predicato da un paolino solo, e soltanto, con Marco, ne deriva l'inquietante, concreta possibilità che nell'originario vangelo di Paolo (e dei Pilastri) quella medesima crocifissione del suo Cristo Cosmico non fu affatto opera di soldati romani di stanza a Gerusalemme, ma dei malvagi ''arconti di questo eone''.

Evidentemente sulla terra firma i primi cristiani, al pari degli ebrei tutti, dovettero esperire di persona, sulla pelle del popolo di Israele, una malvagità decisamente più materiale e terrena. Ad opera di ben altri ''arconti''. Che ben presto subentrarono ai primi. E non solo nell'allegoria. Ma nella ''Storia''.