martedì 31 marzo 2020

Le apparenze umane di Dio



LE APPARENZE UMANE DI DIO

Sarebbe imprudente obiettare da parte nostra al fatto che, nei vangeli, Gesù si comporta spesso, e questo è indiscutibile, come un uomo; egli sostiene discussioni, mangia e beve, sale in barca, scala una montagna, è angosciato, soffre, si arrabbia, ecc. Questo sarebbe equivalente a prendere le apparenze per la realtà.

Significherebbe dimenticare le avventure terrene degli dèi della mitologia classica o quelle del dio degli ebrei. Nel mondo greco, Zeus discese sulla terra; condivise il letto di Alcmena e da quella unione nacque Ercole che, come un messia, doveva porre fine all'età del ferro e recare l'età dell'oro; chi oggi oserebbe pretendere che Zeus fosse un uomo?

Parallelamente, è sufficiente aprire una Bibbia per vedere Jahvé camminare nel suo giardino al fresco della sera (Genesi 3:8), chiudere la porta dell'arca su Noè e la sua famiglia (7:16), respirare l'odore del sacrificio (8:21), discendere per meglio vedere la Torre di Babele (11:5), mangiare alla tavola di Abramo (18:1-8), lottare contro Giacobbe (32:24-31). Orbene, nessuno sano di mente ha concluso da queste attività puramente umane prestate a Jahvé che il dio degli ebrei fosse un uomo. 

Questi esempi sono spiegati benissimo dal cattolicissimo DICTIONNAIRE DE LA BIBLE di Vigouroux, dove si può leggere questo (art. JÉHOVAH, Col. 1238): «I profeti prestano a Geova degli occhi, delle orecchie, una bocca, delle labbra, una lingua, una testa, dei capelli d'argento, un naso, una schiena, delle mani, delle braccia, dei piedi. Dio parla, risponde, tace, chiama, soffia, vede, guarda, intende, sente, gusta, tocca, si alza, si arresta, colpisce, costruisce, distrugge, scopre il suo braccio, leva il suo stendardo, tende il suo arco, ecc. Gli scrittori ispirati di tutte le epoche attribuiscono a Dio non soltanto un corpo e delle membra, non soltanto le azioni dell'uomo, ma anche le sue passioni, l'amore, l'odio, la gioia e il dolore, il desiderio e l'impazienza, la gelosia, la vendetta, il pentimento, la dimenticanza, ma soprattutto la collera... Nel corso del tempo, questo linguaggio parve straordinario. Questi antropomorfismi furono ammorbiditi nei Targum o sostituiti da perifrasi... ma ciò che vi è di più singolare è che a forza di reagire contro l'antropomorfismo precedente, i rabbini vi ricaddero in un'altra maniera... Ci rappresentano Dio occupato di giorno a studiare i ventiquattro libri della Legge, i Profeti e gli Agiografi, di notte a meditare le sei parti della  Misnà».

Chi non si rende conto che tutto ciò che vi è detto di Dio si applica perfettamente al Cristo?

E non è tutto; in questo stesso Dizionario, all'articolo ANGELI, leggiamo: «Indubbiamente (gli angeli) rivestono spesso la forma dell'uomo, e per questo motivo sono a volte chiamati uomini, ma... la maniera in cui appaiono e scompaiono e tutto ciò che fanno provano che essi non hanno nulla di umano. Non è che in apparenza che prendono il cibo che gli uomini offrono loro...». Ora, nel Nuovo Testamento, gli angeli sono molto spesso messi in scena; essi appaiono a Zaccaria, alla Vergine, a Giuseppe, ai pastori, alle sante donne, a Gesù per servirlo nel deserto, per partecipare alla sua Ascensione; faranno corteo al Figlio dell'uomo al momento del Giudizio finale. Cosa di più naturale dal momento che «il Cristo è stato posto da Dio al di sopra di ogni ordine di angeli» (Efesini 1:21), e che egli ne era «il capo» (Colossesi 2:10), il che significa arcangelo ? Perché volere ad ogni costo e contro ogni evidenza fare di lui un uomo?

Tertulliano non ha forse scritto (Apologetico 21): «noi adoriamo Dio per mezzo di Cristo; credetelo pure un uomo se voi volete». I primi Cristiani hanno considerato il Cristo un essere divino; se quelli del XX° secolo vedono in lui un uomo, è perché i teologi hanno modificato il testo dei vangeli a partire dalla seconda metà del secondo secolo, creando così immense difficoltà che i loro successori non sono riusciti a risolvere.

Queste difficoltà, noi le presenteremo — almeno alcune — ai nostri lettori e, per facilitare loro il compito, supporremo per un momento che Gesù Cristo sia davvero un personaggio storico e che abbiamo il diritto e il dovere di conoscerlo al di fuori di ogni pregiudizio.

lunedì 30 marzo 2020

Il Cristo fantasma divino



IL CRISTO FANTASMA DIVINO 

Quando Gesù camminò sulle acque, i suoi discepoli riconobbero che non apparteneva al genere umano: «è un fantasma!» gridarono, e quando, immediatamente, Pietro volle imitare Gesù, egli affondò perché, al contrario di Gesù, lui era soggetto alle leggi di gravità. 

Quando, sulla via di Emmaus, Gesù presunto risorto appare a due discepoli e mangia del pane con loro, essi non lo riconoscono (Luca 24:30); quando, poco dopo, si reca a Gerusalemme e mangia con gli Undici del pesce arrostito (Luca 24:36-43), gli apostoli si immaginano di vedere uno spirito; quando sulle rive del lago di Tiberiade i discepoli scorgono Gesù «non si erano accorti che era lui» (Giovanni 21:4-9); non lo hanno dunque conosciuto da vivo? In tutti questi episodi, l'apparizione di Gesù è quella di uno spettro, o di un dio rivestito di una forma umana coperta essa stessa della veste bianca degli angeli.

Sappiamo da san Girolamo che: «al tempo stesso degli apostoli, quando il sangue del Cristo era ancora fresco in Giudea, si asseriva che il corpo del Signore fosse solo un fantasma» (Adv. Lucif. 23).

Perché, se non perché era dio, gli uomini chiamavano Gesù «Signore»? Perché gli rivolgevano delle preghiere? Perché avrebbe avuto bisogno di morire e di rinascere per meritare delle preghiere? Non era già durante la sua vita «la Resurrezione e la Vita»? (Giovanni 11:25). E quando affermava che egli era «il Pane di vita» disceso dal cielo o «la Vite», ciascuno sapeva bene che solo un dio poteva esprimersi così; anche nei tempi antichi, la gente avrebbe sorriso di un uomo che si prendeva per una pianta o per un pane.

«Nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e negli Inferi» (Filippesi 2:9-11) ed è nel nome di Gesù che gli apostoli compivano le loro guarigioni. Si può sostenere che questo potere del nome si legava al nome di un uomo?

domenica 29 marzo 2020

Il Cristo agli Inferi



IL CRISTO AGLI INFERI

Per esempio, in Matteo (8:28), l'indemoniato dimora nei sepolcri; esce da una tomba e non indossa vestiti; erra giorno e notte tra le tombe. Siamo nel paese dei morti. Il fantasma domanda persino a Gesù perché viene a tormentare loro, «loro» designando questo fantasma e i suoi compagni di sventura; ma questa scena ci viene presentata come avente luogo tra uomini vivi, il suo autore l'ha posta in un racconto sulla carriera terrena di Gesù.

Secondo il IV° vangelo, Gesù dice agli ebrei: «Abramo, vostro Padre, ha visto il mio giorno e se n'è rallegrato» (8:56). Questo giorno è quello del Giudizio finale, quello della fine del mondo (Luca 10:12-14). Se dunque Abramo, morto da tempo, ha visto il giorno del Cristo, è negli Inferi dove l'attendeva.

Nel IV° secolo, Cirillo di Gerusalemme racconta (Catechesi 14:19) che al momento dell'arrivo del Cristo agli Inferi, i santi e i patriarchi gli domandarono: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro»? Questa è esattamente la domanda che (secondo Matteo 11:2-4) Giovanni il Battista, dalla sua prigione, manda i suoi discepoli a porre a Gesù. Ma Giovanni, se ha veramente battezzato Gesù, non poteva porre una domanda del genere. In compenso, se fosse morto e la sua anima fosse stata imprigionata negli Inferi, se attendeva la sua liberazione da parte del Messia, la domanda è del tutto naturale. Luca e Matteo sembrano aver conservato il ricordo della prigionia di Giovanni il Battista prima dell'ascesa di Gesù. [52] D'altra parte, gli apocrifi ci dicono che Giovanni era andato dopo la sua morte a predicare agli spiriti in prigione (Inferno) e che annunciò loro la venuta del Cristo; infine, molti scritti parlano della discesa di Gesù nell'inferno, delle sue conversazioni con Adamo, Abramo, Set e persino con il diavolo.

Al tempo dei vangeli, si credeva che l'Inferno comunicasse con la terra attraverso le tombe o i crepacci, che fosse il luogo intermedio tra la morte e la resurrezione e si dividesse in due domini, quello degli Eletti o delle Pecore a destra, quello dei perduti o dei Capri a sinistra, laddove si trovavano il Diavolo e il Fuoco eterno. Gesù poteva recarsi dall'uno all'altro come se camminasse sulla terra. Egli era entrato nell'Inferno (Giovanni 18:1) attraverso la Valle del Cèdron, che gli ebrei consideravano l'ingresso dell'Inferno e che si chiamava anche la Valle di Giosafat o del Giudizio Finale; questa valle segnava probabilmente la posizione del villaggio di Betania dove Simone aveva la sua dimora, dove vivevano Marta e Maria Maddalena, dove Lazzaro fu resuscitato, episodi che ebbero luogo nel paese dei morti.

NOTE

[52] Luca 3:19-21 rappresenta Giovanni imprigionato prima della manifestazione di Gesù, forse perfino prima del suo Battesimo. Ed Erode (in Matteo 14:1) si domanda se Gesù non sia Giovanni risorto dai morti, passo che conserva la tradizione di una morte di Giovanni precedente alla venuta di Gesù.

sabato 28 marzo 2020

Il Cristo disceso sulla terra



IL CRISTO DISCESO SULLA TERRA

Una volta disceso «in basso», come si comporta il dio cristo? A prima vista, si comporta come un uomo poiché molta gente non lo prende per un dio. Gli ebrei vogliono lapidarlo perché gli dicono: «Tu che sei uomo ti fai Dio» (Giovanni 10:33). Ma Gesù sfugge loro come un fantasma; non poteva essere preso se non vi acconsentiva (Giovanni 7:30, 8:59, 10:39, 12:36, Matteo 26:53). Lo vediamo camminare sulle acque, apparire e scomparire a volontà, passare attraverso le porte chiuse (Giovanni 20:19, 26), manifestarsi sotto aspetti diversi (Marco 16:12). 

Secondo gli Atti di Giovanni, egli non aveva bisogno né di cibo né di dormire (si veda anche Giovanni 4:31-38) e non lasciava alcuna impronta sul suolo. Secondo alcuni passi di Giustino, il Cristo non era un uomo (Apol. 63); era il Verbo che si manifestava sotto la forma del fuoco o sotto una forma incorporea (Dial. 48). [50] Per l'apostolo Tommaso, la forma di Gesù era fatta di etere e si dovette, per convincere del contrario i suoi discepoli, inserire nel vangelo di Giovanni (20:24-29) il racconto della sua conversione ad un cristo di carne. Eppure Tommaso gridò: «Mio signore e mio Dio!», parole in contraddizione con il riconoscimento di un uomo di carne.

Intorno all'anno 200, Clemente di Alessandria (Pedagogo 1:2-91; Frammenti 3:3, 210) credeva ancora che quando Giovanni toccò il corpo del Cristo affondò la mano avanti senza riscontrare resistenza. Allo stesso modo, Origene sapeva che il corpo del Cristo era etereo e divino (Contro Celso 2:64 e 3:41). Dopo il 365, Ilario di Poitiers condivideva ancora quella opinione. (De Trin. 10:23) Quanta strada i Cristiani hanno fatto da allora! «Beati quelli che crederanno pur non avendo visto» (Giovanni 20:29) avrebbe detto Gesù; egli è stato ampiamente esaudito se si giudica dalla massa di coloro che hanno trovato la felicità nel rispetto di quella massima. 

Ma, calpestando coi piedi ogni metodo storico, gli antichi teologi erano stati obbligati a mettere nei vangeli ciò che non vi si trovava. Disponendo di racconti sugli atti e sui detti del Figlio di Dio disceso sulla terra, e volendo considerare costui come un uomo, trasposero in episodi umani e storici delle scene mitologiche. [51]

NOTE

[50] «Ve ne sono alcuni ... che riconoscono che egli è Cristo seppur dichiarano che fosse uomo tra gli uomini; io non sono di questo avviso».

[51] Si veda Cahier Renan n° 42, pag. 30.

venerdì 27 marzo 2020

Il Cristo eterno



IL CRISTO ETERNO

Il IV° vangelo (8:58) riporta che Gesù rispose agli ebrei che gli domandavano la sua età: «Prima che Abramo fosse, Io sono». Questa piccola frase ha un'estrema importanza; Gesù non dice soltanto che egli esisteva prima di Abramo, ma aggiunge «Io sono», il che vuol dire «Io esisto ancora in questo tempo», ossia diciassette secoli dopo Abramo. Egli impiega la stessa espressione di Jahvé che disse: «Io sono colui che sono» il che significa eterno (o «colui che voi non conoscete e che non vi dà il suo nome»). Gesù aggiunge anche: «se infatti non credete che Io sono, morirete nei vostri peccati» (Giovanni 8:24). Non si può essere salvati se non si crede che Gesù è un dio eterno. Non ha età, è al di là delle età, egli non è un uomo.

In una preghiera a Dio, Gesù grida prima del suo arresto: «Padre, glorificami della gloria che avevo presso di te prima della creazione del mondo» (Giovanni 17:5). Colui che parla così, anche se è rappresentato sotto i tratti di un uomo, non ne è uno. Numerose citazioni del Nuovo Testamento attestano che Gesù è «proceduto dal Padre e venuto nel mondo» (Giovanni 16:28), che egli è stato «inviato da suo Padre per testimoniare la verità» (18:37). 

Per effettuare quella discesa dal cielo sulla terra egli ha dovuto «abbandonare la sua forma divina, prendere forma di schiavo e divenire simile a uomo» (Filippesi 2:6-8). Il suo corpo «era simile alla carne di peccato» (Romani 8:3) e, una volta sulla terra, Gesù non mancò di far notare ai suoi ascoltatori che essi «erano dal basso», ma che lui invece non era di questo mondo, che egli era «dall'alto» (Giovanni 8:23).

Delegato di suo Padre, si confondeva con lui: «Io e il Padre siamo uno», si dichiarava il Figlio del Dio vivente, si lasciava chiamare Signore, era una emanazione di Dio, e nel più antico dei nostri vangeli (Marco), appariva senza età; non gli si riconosceva allora una natività terrena. Quando si legge (Giovanni 3:13, Efesini 4:8-10): «Colui che è disceso, è lo stesso che è salito al cielo» ci vuole una bella immaginazione oppure una fede cieca per credere che si tratti di un uomo.

giovedì 26 marzo 2020

Il Gesù dei vangeli



IL GESÙ DEI VANGELI

Che il Cristo o Gesù sia un dio, i Cristiani ne convengono, ma facendo questa riserva; egli non è diventato dio che con la sua morte e la sua resurrezione; prima egli era un uomo. [49

Sfortunatamente per quella credenza, essa è contraddetta dai testi cristiani. I vangeli stessi insegnano che il Cristo era un dio prima di diventare un uomo.

NOTE

[49] Essi invocano soprattutto l'argomento tratto da un passo degli Atti (2:36): «Dio ha fatto Signore e Cristo questo Gesù che voi avete crocifisso». Il Cristo sarebbe dunque Gesù sbarazzatosi dal suo corpo, ma egli sarebbe esistito prima di incarnarsi; egli fu dunque Cristo fin dalla sua apparizione sulla terra e anche prima. San Pietro dichiarò agli ebrei (Atti 3:15-18) che essi avevano crocifisso il «Principe della vita». Secondo Atti 1:9, il corpo di Gesù si elevò al cielo, ma di cosa era fatto questo corpo ?

mercoledì 25 marzo 2020

Il Gesù dell'Epistola agli Ebrei



IL GESÙ DELL'EPISTOLA AGLI EBREI

Con l'Epistola agli Ebrei cambiamo registro. Gesù vi diventa un sommo sacerdote come non si è mai visto prima. Figlio di Dio posto al di sopra degli angeli, primogenito della creazione e agente di Dio nella formazione dell'universo, mediatore divino presso gli uomini, ci è mostrato egualmente — il che sembra contraddittorio — come un uomo della tribù di Giuda che Dio ha salvato dalla morte (7:14), ma che è morto lo stesso, lasciandoci un Testamento spirituale, quello della Nuova Alleanza.

Questo Gesù è sommo sacerdote alla maniera di Melchisedec il quale è «senza padre, senza madre, senza genealogia ed eterno». Non è dunque della tribù di Giuda. Egli ricevette la decima di Abramo e, siccome la sua vita non ha fine, questo Figlio di Dio è sacerdote per sempre e sembra confondersi con Gesù Cristo.

Tuttavia questo Cristo, sommo sacerdote, penetra non nel santuario terrestre fatto da mani d'uomo, ma nel cielo stesso; fin dalla fondazione del mondo egli non è venuto poiché «avrebbe dovuto soffrire più volte; [48] ora invece una volta per tutte, alla fine dei tempi, si è manifestato per abolire il peccato mediante il suo sacrificio». Su questo sacrificio, su questa morte di un essere divino nessun dettaglio ci è fornito. È un mistero? 

L'Epistola non manifesta alcuna conoscenza di un fondatore del cristianesimo, dei suoi discepoli o parenti, delle sante donne, dei suoi rapporti con i Farisei o con i Romani, del suo arresto, del suo processo, della sua crocifissione, dei suoi miracoli, delle sue apparizioni, di una redenzione sulla croce. Questa constatazione è tanto più sorprendente in quanto questa Epistola, il cui contenuto primitivo risale forse a prima della guerra giudaica, è stato rimaneggiato e pesantemente corretto più volte fino al 150 o dopo. Si deve dunque pensare che l'ultimo correttore di questo testo così come il primo autore ignorassero i vangeli e l'uomo Gesù Cristo di cui quelli ci danno il romanzo. 

Romanzo anche come la serie degli avatar di Melchisedec. Gli ebrei immaginavano che egli non fosse altro che Sem, loro antenato, figlio di Noè; l'identificazione si trova nel Targum di Gerusalemme e san Girolamo ne era sostenitore. Nel 4° e 5° secolo, la setta dei Melchisedechiani sosteneva che questo personaggio fosse «una forza o virtù di Dio» superiore a Gesù Cristo; altri affermavano che egli fosse Figlio di Dio, altri che fosse lo Spirito Santo, un angelo o Enoc, ecc. 

NOTE

[48] Affermazione smentita da coloro che credevano che il Messia si fosse già incarnato più volte (9:16).

martedì 24 marzo 2020

I Cristi dell'Apocalisse



I CRISTI DELL'APOCALISSE

Il libro più antico del Nuovo Testamento, con le epistole di Paolo e l'epistola agli Ebrei, è — almeno in gran parte — l'Apocalisse attribuita a san Giovanni. Il nucleo primitivo di quest'opera è ebraico; fa almeno 245 citazioni dall'Antico Testamento, ma da una parte non era di un'ortodossia esemplare, dall'altra fu adottato dai Cristiani e adattato alla loro fede; è così che vi aggiunsero nuove allusioni al Nuovo Testamento e che vi introdussero il loro dio sotto i nomi di CRISTO (3 volte), di GESÙ (9 volte), di GESÙ CRISTO (3 volte), di NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO (2 volte).

È solo verso il 155 che l'Apocalisse, [44] nel suo testo migliorato, si diffuse tra i Cristiani, il che lascia supporre che fosse stata adattata alle convenienze di una setta giudeo-cristiana solo poco tempo prima, vale a dire dopo la distruzione definitiva di Gerusalemme, nel 132 circa; [45] senza dubbio certe parti dell'opera esistevano già, ma i passi o capitoli cristiani, nettamente discernibili, non vi figuravano ancora. [46]

Ciò che ci sembra straordinario in quest'opera composita è che i Cristiani che la completarono e la lessero ignoravano l'uomo Gesù Cristo ma assimilarono il loro Cristo ad un agnello celeste. Non si trattava per nulla di un uomo messo in croce dagli uomini ma di un agnello terribile e vittorioso, senza dubbio immolato in cielo in condizioni misteriose, di un agnello vendicativo, munito di sette corna, assiso su un trono, adorato da ventiquattro vegliardi e garante della salvezza di tutti coloro che avevano «lavato le loro vesti nel suo sangue» o il cui nome era iscritto nel libro della Vita.

Era forse questo agnello a cui si riferiva Giovanni (1:29, 36; 19:36) quando parlava de «l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo». Questi non era sicuramente l'agnello pasquale. Eppure è quest'ultimo che si interpolò in un'epistola di Paolo (1 Corinzi 5:7). Ci occuperemo di questo «Cristo nostra Pasqua» più tardi (si veda pagine 143-144).

Ma l'Apocalisse non si limita a darci un'unica immagine del Messia; ce lo mostra  egualmente (19:11-21) sotto la forma di un cavaliere che monta un cavallo bianco e che porta diversi diademi; i suoi occhi sono di fiamma, il suo mantello tinto di sangue, il suo nome segreto. Egli è il Re dei re, il Signore dei signori, e le armate del cielo lo seguono. Egli imprigiona Satana per mille anni dopo aver gettato nello stagno di fuoco ardente la Bestia e il suo falso profeta e sterminato le armate dei re della terra.

E non è finita. L'Apocalisse ha altre confidenze da farci. Ecco ora una donna incinta, vestita di sole, che appare nel cielo, i piedi posati sulla luna; un grande drago accorre per divorare il bambino che metterà al mondo. Infatti questo bambino deve reggere le nazioni con uno scettro di ferro; alla sua nascita viene sollevato e trasportato presso il trono di Dio, mentre il malvagio Drago (che era il Diavolo Satana) è precipitato sulla terra con i suoi angeli. Quanto alla donna, lei fugge nel deserto dove un rifugio le è stato preparato. [47

È evidente che l'Apocalisse ci dà del Messia tre immagini mitologiche: l'agnello celeste vincitore, il cavaliere celeste conquistatore, il bambino celeste che sfugge al drago. Nulla di storico in queste visioni di un profeta furioso, nulla in comune tra loro e il Gesù evangelico, ma esse si trovano come lui nel Nuovo Testamento. Perché preferire l'uno piuttosto che le altre? Soprattutto quando si sa che queste immagini mitologiche sono anteriori all'inserzione di Gesù Cristo nelle scritture cristiane. Finora, tutto ci mostra che il Cristo primitivo ha rivestito diverse forme che contraddicono quella dei vangeli.

NOTE

[44] È citata per la prima volta da Giustino ma è anteriore; certi passi possono risalire al 69, altri dopo il 70 e dopo il 132.

[45] E non quella del 70. Si comprende che la diffusione dell'opera ci abbia messo venticinque anni a verificarsi e non ottantacinque, oppure allora bisognerebbe supporre che l'Apocalisse, abbandonata dopo il 70, sia stata ripresa alla vigilia e nel corso della guerra 132-134 da parte di uno scrittore ebreo, poi corretta cristianamente una ventina d'anni dopo.

[46] È così che il passo 11:1 che pare ignorare la distruzione del Tempio nel 70 fa parte di una lunga interpolazione che separa il sesto angelo (9:21) dal settimo (11:5). Il testo inserito è forse stato preso da una apocalisse precedente e i due famosi testimoni sarebbero da situare prima della fine della guerra giudaica (66-70), il sangue dell'agnello essendo forse quello del popolo in rivolta. 

[47] Certi critici hanno ricordato che la Vergine era un segno astrologico, che le scene dell'Apocalisse si svolgono in cielo e che la carriera degli eroi solari (Ercole, Osiride, Bacco, il Cristo) si ispira ai segni dello zodiaco. Quella tesi merita esame ma non ha il suo posto qui.

lunedì 23 marzo 2020

Le epistole di Paolo



Gesù Cristo
secondo il Nuovo Testamento

I testi cristiani ci pongono immediatamente di fronte ad una situazione inaspettata; essi ci presentano intrecciati tre ritratti di Gesù, ritratti inconciliabili e contraddittori, quelli di un dio e di due uomini i cui atti e i detti si oppongono tra loro. Così noi siamo posti di fronte ad un serio problema di cui dobbiamo conoscere i dati se non la soluzione.

Elimineremo dapprima i tratti del dio e, in seguito, sottolineeremo i detti divergenti dell'uomo Gesù, detti che (se provenissero da lui) stabilirebbero l'incoerenza di questa straordinaria personalità e farebbero dubitare della sua esistenza.

I. — Il dio

LE EPISTOLE DI PAOLO

Le più antiche testimonianze sul Cristo provengono da Paolo, le cui epistole sono precedenti di almeno mezzo secolo ai primi lineamenti del primo in ordine di tempo dei nostri vangeli. Questo solo fatto dovrebbe rendere prudenti i critici che volessero spiegare o commentare Paolo con l'aiuto di testi scritti molto tempo dopo di lui.

Queste epistole ci sono pervenute nel loro stato primitivo? Certamente no; sono state largamente modificate sia con aggiunte, cancellazioni, rimaneggiamenti, sia con il rifacimento di diverse note originarie in un'unica epistola, sia con la presentazione di brevi trattati sotto forma di epistole.

Sono tutte e interamente di Paolo? Alcune sono state messe sotto il suo nome, altre sono state modificate o completate tanto dai suoi discepoli quanto dai suoi avversari. Al di fuori dei circoli gnostici e paolini, esse furono tutte dapprima scartate a favore di una tradizione orale peraltro in via di formazione che era soprattutto giudeo-cristiana; [35] nel secondo secolo, Papia e Giustino non conoscevano Paolo; non è che più tardi, intorno al 145, quando la tradizione scritta si impose, che si dovette tener conto degli scritti di san Paolo che avevano almeno il merito di esistere. 

Dalle lettere che gli sono attribuite, si possono ricavare due diversi ritratti di Paolo:

— Il primo ritratto lo presenta come un cittadino della «diaspora», cittadino romano che parlava e scriveva in greco, avversario della Legge ebraica e in particolare della circoncisione;

— il secondo ritratto ce lo mostra come un pio ebreo, un fariseo, proveniente dalla tribù di Beniamino e il cui nome sarebbe Saulo.

A ciascuno di questi ritratti inconciliabili si allega, beninteso, una dottrina. Secondo la prima, il Gesù di Paolo è un essere divino disceso dal cielo sotto forma umana e morto in croce, risorto spiritualmente per assicurare la vittoria dello Spirito sulla Materia e, per ciò stesso, la salvezza degli uomini.

Secondo la seconda, il Gesù di Paolo sarebbe stato un uomo di carne, nato da una donna, dal seme di Davide, sotto la Legge, morto in croce e risorto corporalmente poi deificato. 

Questi due Paoli e i loro due Gesù provengono da concezioni diametralmente opposte. Quale scegliere? O, piuttosto, quale è cronologicamente quella primitiva?

Contrariamente a quanto ci insegna l'ortodossia, noi crediamo che sia quella che abbiamo riassunto per prima. Paolo era un ellenista, evangelizzava i Pagani e non gli ebrei, era l'apostolo riconosciuto da Basilide, Valentino, Marcione.

Ascoltiamolo dire come concepiva il suo Cristo: «Avendo una forma divina... egli (il Cristo) svuotò sé stesso per prendere un forma di schiavo, divenendo così simile agli uomini; prendendo forma umana, umiliò sé stesso... fino a morire in croce...» (Filippesi 2:2-8).

Questa idea di un dio che si trasforma a volontà, molto comune all'inizio della nostra era, è stata interpretata in diverse maniere; gli uni hanno pensato che il Cristo, emanazione di Dio, non avesse che un corpo apparente poiché non poteva negare la sua divinità incarnandosi in un corpo di carne; gli altri, al contrario, hanno creduto che il suo spirito fosse giunto ad incarnarsi in un corpo umano o alla nascita, o più tardi.

Alcuni Gnostici credevano all'apparenza umana ma negavano che avesse un corpo composto, come quello degli uomini, di carne e di sangue. Così, Valentino, scrivendo ad Agatopo a proposito di Gesù Cristo, diceva: «Pur sottomettendosi a tutte le necessità della vita, egli le ha dominate. È così che ha realizzato la divinità. Egli mangiava e beveva in una maniera particolare, senza defecare».

Paolo non ha conosciuto Gesù; il solo essere che gli interessa, è il Cristo. Si ha potuto scrivere giustamente: «Se tutte le epistole fossero perdute, non ne sapremmo molto meno su Gesù» (Wernle, Die Quellen des Lebens Jesu, Tubinga, 1913).

Paolo, è certo, non crede all'esistenza di un uomo Gesù. Per lui, il Cristo è un dio che, per farsi comprendere dagli uomini, [36] ha rivestito temporaneamente la loro apparenza. Ci renderemo presto conto che la morte in croce può essere la simulazione della morte di un dio, e che la croce cristiana primitiva non era il patibolo romano. Si converrà d'altra parte che solo un dio può risorgere perché egli è immortale e perché, se la sua morte è rituale, apparente, non è una morte autentica; essa è al tempo stesso spettacolo e simbolo.

Un cristiano contrapporrà a questa opinione il verso di 2 Corinzi 5:16: «Se anche abbiamo conosciuto Cristo con gli occhi della carne, ora però non lo conosciamo più così». Ma nemmeno una parola di questa frase ci autorizza a credere che Paolo ha potuto conoscere un cristo di carne; quando lo ha incontrato sulla via di Damasco, ha visto con i suoi occhi, Paolo, con i suoi occhi di carne, un Cristo di luce, ed egli non vuole conoscere d'ora in avanti che un Cristo spirituale che confermi la visione soprannaturale che egli ha avuto sulla via di Damasco o altrove.

Paolo sarebbe stato veramente in contatto con persone che pretendevano di essere i testimoni di un uomo Gesù? Egli non dice da nessuna parte nelle epistole che i pochi capi che avrebbe incontrato a Gerusalemme fossero stati i compagni di un Gesù che aveva concluso una vita terrena. Quando egli fa allusione ai «fratelli del Signore», la parola «fratelli» indica i membri di una confraternita che adora un Signore, vale a dire un dio.

Il vangelo che predica, Paolo non lo ricava da un uomo e questo vangelo non è raccontato secondo un uomo (Galati 1:11-12) vale a dire secondo Marco, Matteo, Luca o Giovanni; il grande apostolo lo ha ricevuto per «rivelazione» dal Cristo, e non «da carne e sangue». Se non si dichiara inferiore in nulla agli apostoli che si vantano (2 Corinzi 11:18-12:6), è perché, anche loro, non hanno conosciuto il loro Cristo che per mezzo di visioni o rivelazioni. 

Si legge in Galati (4:4): «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, [nato da donna, nato sotto la legge] per riscattare...». Le parole che collochiamo tra parentesi quadre sono state aggiunte da un correttore che ci teneva a fare affermare da Paolo la natura umana del Cristo. [37]

In realtà, Paolo non conosce o non dà alcun dettaglio su un uomo Cristo; egli non sa o non dice chi fossero i genitori di Gesù, il villaggio dove sarebbe nato, le ragioni della sua morte al tempo di Pilato, ecc. 

Paolo fa allusione alle parole del Signore, ma questo Signore è un dio. Il Cristo di Luce gli ha parlato presso Damasco e probabilmente nel corso di altre visioni. In nessun momento Paolo parla della predicazione di Gesù; se l'avesse conosciuta, quante citazioni  ne avrebbe ricavate!

Ma ci viene fatto osservare che l'apostolo stesso parla di una «consegna» del Cristo, il che indicherebbe che conoscesse il racconto della Passione. In effetti, secondo la 1° ai Corinzi (11:23-26), Paolo ha ricevuto direttamente dal Signore il racconto dell'istituzione dell'eucarestia: «Il Signore Gesù, nella notte in cui fu consegnato, prese del pane...». Poiché si tratta ancora di un Signore divino, noi dubitiamo fortemente della realtà materiale della scena, ma questo «pregiudizio» non ci impedisce di analizzarla.

Cosa può rappresentare questa consegna nella notte? Scartiamo immediatamente Giuda, di cui parleremo più oltre. [38

Paolo peraltro ignora il traditore. Se, d'altra parte, egli non commenta la «consegna», è perché essa era allora compresa da tutti i suoi lettori; era già storia sacra, forse la spiegazione mitica di un rito sacrificale. [39]

La consegna deriva senza dubbio da una confusione o da una connessione tra la morte del Cristo considerato come un uomo e certi sacrifici dove, effettivamente, la vittima era acquistata a spese dell'erario pubblico. Ma ci troviamo, in questo caso, fuori dalla Storia e circondati nel dominio del sacro.

Si riscontra nei versi 5:7b-8 della 1° ai Corinzi un passo che paragona il Cristo alla Pasqua e che smentisce il verso precedente il quale diceva che i Cristiani costituivano un lievito nuovo, una pasta lievitata. Un fervente del pane azzimo ha inserito questi versi nel testo originale per combattere il pane nuovo del Cristo (Giovanni 6) e il  lievito nuovo che portava: «Il regno dei cieli è simile al lievito...». (Matteo 13:33; Luca 13:21). [40

Quanto all'istituzione dell'eucarestia — il cui racconto primitivo è stato profondamente alterato — non si comprende il fatto che un uomo abbia potuto, prima di morire, dare il suo corpo da mangiare e il suo sangue da bere. La spiegazione di questo fatto si trova certamente nelle religioni pagane e non nelle grossolane interpretazioni date a questo episodio da parte di scribi ignoranti.

L'offerta alla divinità esigeva una vittima che fosse immolata. Ma ci viene detto: «L'uomo che fa un tale dono alla divinità... ci tiene a ricevere una testimonianza sensibile dell'efficacia del suo sacrificio. Egli ritiene che il dio a cui l'ha offerto gli permetta di assidersi alla sua tavola e di condividere con lui il banchetto sacro. Alimentandosi della carne della vittima, cosa che è per lui il supremo pegno del perdono o della benevolenza...» Chi è l'autore di queste righe? P. Lagrange, Etudes sur les religions sémitiques (Parigi 1905, pag. 246-274).

L'archeologia ha portato alla luce vari bassorilievi, sculture e incisioni raffiguranti Dioniso, Serapide, Iside, Apollo e Cibele, ecc. che partecipano al pasto sacro in compagnia dei loro fedeli. L'immagine del dio Gesù che presiede la Cena circondato dai suoi apostoli non può essere compresa altrimenti dalla critica indipendente. [41]

Paolo dice più volte che il Cristo è morto, ma non dice come. Un solo verso interpolato nell'epistola ai Filippesi (2:8) parla della sua morte sulla croce, ma ci si può domandare quale cristo? Quale croce? Quale morte? Perché? La discrezione di Paolo è così grande su questo argomento che si potrebbe credere che si tratti di un mito misterico riservato ai soli iniziati. [42]

In 1 Corinzi (2:7-8) leggiamo: «Noi annunciamo una sapienza di Dio misteriosa, mantenuta nascosta... quella che nessun principe di questo mondo ha conosciuto; se l'avessero conosciuta, essi non avrebbero crocifisso il Signore della gloria...». Questo Signore della gloria, vittorioso, non è certamente un uomo inchiodato ad una croce. [43]

Gesù non è mai stato chiamato Signore fintanto che uomo vivo, ma in quanto dio di apparenza umana. I vangeli hanno fatto l'assurdità di prestare al dio disceso sulla terra la consistenza e le parole di un uomo. Ma Paolo ha ben marcato la natura divina che egli associava al titolo di Signore. «Dio lo ha esaltato (il Cristo)… al di sopra di ogni nome… perché ogni lingua proclami che egli è Signore» (Filippesi 2:11).

Così, san Paolo, il primo in ordine di tempo degli scrittori cristiani, non conosce l'uomo Gesù Cristo, di cui i vangeli tenteranno invano di tracciarne il profilo. Le epistole dell'apostolo, nelle loro parti autentiche, risalgono agli anni 50-60; un discepolo di Paolo, Marcione, (rendendosi conto verso il 135 che i giudeo-cristiani cominciavano a falsificarle), pubblicò il testo primitivo di quelle Lettere, ma quella edizione fu distrutta dai suoi avversari e non disponiamo oggi che di una collezione di epistole fortemente amputate, espanse, modificate, interpolate.

NOTE

[35] I giudeo-cristiani respingevano Paolo perché si rivolgeva ai Gentili che, ai loro occhi, non avevano il loro posto nell'economia di salvezza. Essi vollero perfino uccidere Paolo (Atti 23:12).

[36] Per Paolo è Cristo glorificato, non l'uomo Gesù, che insegna agli uomini, ma per farli vedere e intendere, egli, come un fantasma, ha «preso la loro forma».

[37] Si veda Cahier E. Renan, n° 55, pag. 16.

[38] Pagina 178-179.

[39] Secondo Isaia 53:10, 12, il servo di Jahvé si è consegnato lui stesso; d'altra parte l'agnello era acquistato, quindi consegnato.

[40] D'altronde è solo nell'VIII° secolo che la Chiesa di Occidente che impiegava fino ad allora del pane con lievito per l'eucarestia, gli sostituì del pane azzimo, con grande scandalo dei Cristiani di Oriente che chiamarono quelli di Occidente «gli Azzimiti» e li scomunicarono. 

[41] Si veda pagina 145 e seguenti.

[42] Loisy (Remarques sur la littérature épistolaire du Nouveau Testament, pag. 92 e seguenti) riteneva, in questo passo, che le parole «la morte della croce» fossero state aggiunte al testo primitivo. Si vedano di seguito pag. 150 e seguenti le diverse croci simboliche.

[43] Couchoud (Jésus le dieu fait homme, pag. 86) ritiene che questo Signore della gloria venga dal Salmo 24 (7-10).

domenica 22 marzo 2020

L'argomento del silenzio



L'argomento del silenzio

A parte la letteratura cristiana, nessuna letteratura apporta testimonianza a riguardo dell'esistenza terrena di Gesù Cristo.

Questo silenzio impressionante e grave, imbarazzante per la fede tradizionale, è stato oggetto di molte «spiegazioni» di cui nessuna conquista il sostegno di  persone che non siano già convinte. Che piaccia o meno, il silenzio dei documenti storici soffoca l'eloquenza sacra. Tuttavia, questa non è una ragione per respingere senza esame le argomentazioni avanzate dai credenti; dunque ne esamineremo alcune:

a) L'argomento del silenzio, ci viene detto, non deve essere troppo affrettato; molti uomini importanti sono esistiti senza che la Storia abbia trattenuto il loro nome; il silenzio che li circonda non prova che essi non siano esistiti.

Noi ne converremo facilmente, ma qual è la portata di questa argomentazione?

È evidente che milioni di uomini sono morti o moriranno senza lasciare un nome ai posteri anche se sono stati degli eroi; è certo che centinaia di sette religiose o di diversi gruppi hanno potuto avere un'attività senza lasciare alcuna traccia chiaramente riconoscibile. Ma, trattandosi di un profeta come ha potuto essere Gesù o di un'istituzione come sarebbe stata la Chiesa-madre di Gerusalemme, il silenzio totale degli scrittori contemporanei (ebrei o pagani) è stupefacente.

Un fondatore di religione di cui tutti avrebbero constatato di giorno in giorno i progressi poteva restare sconosciuto ? L'esempio di Marcione, di Mani, di Maometto prova che questo è improbabile; sappiamo da numerosi testi e da testimonianze contemporanee che essi sono esistiti; conosciamo i nomi dei personaggi che hanno frequentato, quelli dei loro discepoli, i testi che hanno scritto, le dottrine che hanno sostenuto, l'epoca pressappoco esatta della loro attività.

Se, fin dall'inizio, il cristianesimo si è legato ad un uomo chiamato Gesù, come spiegare che le autorità romane non abbiano detto nulla su quest'uomo che esse avrebbero crocifisso? [30] Che nessun atto ufficiale, nessuna menzione storica lo abbiano mai riguardato? Che la letteratura cristiana (come vedremo presto) non abbia cominciato a farne menzione se non verso la metà del secondo secolo, ossia più di un secolo dopo la presunta data della sua morte?

E anche se si ammettesse la possibilità dell'esistenza di un uomo che la Storia non conosce, saremmo noi avanzati di più? In cosa questa ipotesi è utile o necessaria giacché l'uomo ipotetico non ha, come constateremo, nessuna presenza, poiché resta inafferrabile e non possiamo sapere nulla di certo su di lui?

Questa ipotesi non è indispensabile che ai teologi poiché permette loro di affermare che «quest'uomo, sconosciuto alla Storia si trova nel Vangelo». Ma questo equivale ad enunciare una seconda ipotesi che, trasposta in un contesto vicinissimo, potrebbe esprimersi nei seguenti termini: «Cenerentola non è a rigor di termini un personaggio storico, ma fa parte della storia delle credenze e, in questa misura, risponde certamente ad una circostanza storica. Leggete dunque i Racconti di Perrault e vedrete che vi sono in essi degli inconfondibili accenti umani. Nulla ci impedisce di conseguenza di pensare che lei sia esistita, anche se la leggenda l'ha adornata di tratti mitici».

Non insistiamo e ritorniamo al silenzio della Storia. Se, di per sé solo, il silenzio su un evento problematico non è decisivo per negare l'evento, questo silenzio può diventare convincente se si accompagna a testimonianze indirette che stabiliscono l'impossibilità dell'evento, e se è disturbato da negazioni, contraddizioni, errori di persone che ne discutono. A questo punto, l'argomento del silenzio assume tutta la sua forza e costituisce, con tutti gli altri elementi dell'indagine, la prova negativa così difficile generalmente da portare. Ora, è una situazione del genere che si rivelerà ai nostri occhi quando vorremo, con l'aiuto del Nuovo Testamento, seguire le tracce di Gesù Cristo. 

Tuttavia, esistono studiosi, nemici di ogni logica e goffamente astuti, che trovano modo di servirsi del silenzio a sostegno della loro fede o delle loro ipotesi. «Nulla prova che un tale evento non abbia avuto luogo, che un tale uomo non abbia detto o fatto tale cosa». Certo, ma nulla prova la realtà dell'evento o degli atti e detti attribuiti a quell'uomo. Con tali «ragionamenti», noi siamo in piena fantasia. Non si potrebbe concludere dall'espressione di un'idea l'esistenza di ciò che essa traduce; se, per esempio, ci venisse dimostrato che la vita è possibile sulla Luna, non saremmo autorizzati pertanto a dichiarare che questo satellite è popolato da esseri viventi.

Domandare ai non-credenti o ai negatori le loro prove, equivale a invertire l'onere della dimostrazione e questo è un nonsenso. Infatti non vi è una prova negativa. È ai credenti che spetta stabilire la validità della loro opinione e ciò dovrebbe essere meno difficile per loro, sembra, sul terreno dei fatti storici rispetto al piano metafisico. È ai Cristiani che spetta rispondere con prove positive alle domande che sono loro poste; ma essi non hanno altro ricorso che i loro libri sacri. [31]

Speriamo di limitare chiaramente il dibattito; noi lo vogliamo storico e non dogmatico. Non si tratta di discutere dell'esistenza o della non-esistenza di Dio ma della realtà, della veridicità degli eventi storici che riporta il Nuovo Testamento. Ciò che ci interessa, è l'esistenza terrena di Gesù, la sua attività in Palestina, il suo giudizio, la sua morte, vale a dire il suo ruolo umano; è su questo che reclamiamo delle prove fermo restando che un passo della sacra scrittura non è una.

b) Alcuni critici (in particolare Klausner) ragionano così: «L'apparizione di Gesù durante il periodo di confusione che seguì in Giudea sotto gli Erodi e i procuratori romani passò talmente inosservata che i contemporanei di Gesù e dei suoi primi discepoli se ne accorsero a malapena; e quando il cristianesimo fu divenuto una setta potente e influente, quando i dotti di Israele erano già troppo lontani dall'epoca di Gesù per poter rivivere sotto il loro autentico aspetto il ricordo degli eventi della vita del Messia cristiano, essi si accontentarono dei racconti popolari che erano diffusi sul Messia e sui fatti della sua esistenza». [32]

Si apprezzerà l'enormità di questa constatazione. Così, l'apparizione di Gesù e dei suoi discepoli sarebbe passata inosservata? I vangeli pretendono al contrario che egli fosse costantemente circondato da folle numerose. Quando i dotti di Israele dovettero occuparsi di Gesù, non disponevano di alcun ricordo su di lui? Ciò prova che i loro predecessori non ne avevano lasciato loro nessuno. Si accontentarono di racconti popolari? Ciò prova che non erano esigenti e che quei racconti sono entrati nei nostri vangeli.

E siccome (lo vedremo) i nostri vangeli risalgono al massimo alla seconda metà del secondo secolo, vien da pensare che i primi Cristiani ne sapessero meno su Gesù che i nostri evangelisti, vale a dire che questi ultimi hanno rimediato alla loro ignoranza facendo appello alle leggende, ai miti, agli apologeti e agli scrittori delle sette religiose che li circondavano. Ma, come scrisse Solomon Reinach, «non si fa della storia vera con dei miti, più di quanto si faccia del pane con il polline dei fiori».

c) Ecco ora un'altra opinione. Gli scrittori romani non si interessavano alla Palestina e disprezzavano gli ebrei, quanto agli scrittori ebrei, essi volevano ingraziarsi la benevolenza dei Romani e omettevano di rammentare loro brutti ricordi. Questa opinione è da respingere poiché essa è contraria ai fatti più evidenti. Plinio il Vecchio, morto nel 79, non ha per nulla disdegnato di parlare degli ebrei e in particolare degli Esseni che vivevano presso il Mar Morto. Tacito ci ha lasciato una rapida panoramica della Storia degli ebrei e della loro ultima rivolta. Flavio Giuseppe non ha esitato a raccontare le vicissitudini di quella guerra; egli ha cercato di non offendere i suoi lettori romani ma ha nondimeno citato parecchi agitatori ebrei (Giuda il Galileo, Teuda, un capo egiziano) e non si vede — se Gesù fosse stato del numero — perché mai non lo avrebbe menzionato. 

d) Ci viene detto allora: Essendosi evoluto il cristianesimo, i Cristiani dal 2° al 4° secolo hanno soppresso dovunque hanno potuto (sia nei libri pagani che in quelli ebraici) tutti i passi che potevano dare del Cristo e della sua religione un'idea diversa da quella che insegnavano. Hanno anche distrutto un grandissimo numero di opere provenienti da sette ebraiche o giudeo-cristiane o da eresie cristiane.

Questa spiegazione può rispondere in parte alla realtà ma non del tutto. Il numero di opere distrutte dall'intolleranza cristiana è immenso — a cui si aggiungono i danni del tempo, degli incidenti, della trascuratezza, dell'ignoranza — ma non tutto è stato distrutto e, in ciò che ci è stato trasmesso, si possono spesso distinguere le mutilazioni, le correzioni o aggiunte interessate e l'intervento di falsari. [33] Quello che ci rimane è però pieno di interesse e ci permette di avvicinarci alle origini cristiane anche quando ci sono nascoste.

D'altra parte, se la distruzione, la perdita o la modifica dei manoscritti è certa, quella delle iscrizioni lapidarie e degli affreschi è meno concepibile. Ora, i Cristiani non hanno avuto cimiteri separati a Roma se non verso la fine del 2° o l'inizio del 3° secolo. Nelle Catacombe, non si scorge da nessuna parte un uomo Gesù crocifisso ma un Cristo celeste, gnostico, dal volto glabro del pagano e la cui aureola comporta la croce solare di vittoria (con rami uguali), croce che non deve essere confusa con la croce-patibolo. Su alcuni affreschi, questo Cristo presiede ad un'eucarestia a base di pani e di pesci alla quale partecipano sette fedeli.

In Palestina non si è scoperta, fino a questo giorno, alcuna tomba di cui si possa garantire la natura cristiana. Il santo sepolcro — scoperto nel 4° secolo e considerato la tomba vuota di Gesù Cristo — sarebbe un'eccezione se la sua autenticità fosse stabilita; essa non lo è. 

e) Ci viene obiettato anche che la scoperta dei manoscritti del Mar Morto, di una decina di anni fa, conferma la relatività dell'argomento del silenzio. Crediamo che non bisogna affatto esagerare. Conoscevamo già l'esistenza della setta essena e l'essenza della sua fede e dei suoi riti da diversi scrittori dell'antichità. I nuovi documenti in nostro possesso ci rivelano l'esistenza di un capo della setta che si chiamava il «Maestro di Giustizia», ma non ci danno la sua identità e sembrano indicare che sarebbe vissuto nel primo secolo prima della nostra era. Questo è interessante e ciò apre la strada a molte ipotesi; sul piano storico non si tratta, per il momento, che di un fatto diverso.

Nello stesso ordine di idee, si potrebbero ricordare i ritrovamenti di manoscritti gnostici o altri effettuati in Egitto. Essi ci danno una migliore conoscenza degli ambienti religiosi e delle credenze dei primi secoli cristiani ma — e il fatto è significativo — nessuno dei preziosi manoscritti o papiri scoperti da più di un secolo attesta l'esistenza a Gerusalemme di un Gesù storico; è spesso un Gesù della Gnosi che ci è presentato.

Dato che nessuno dei cinque argomenti precedenti è accettabile, il silenzio generale su Gesù Cristo deve spiegarsi diversamente. Diverse possibilità possono intravedersi:

O il Gesù Cristo evangelico non corrisponde ad un personaggio preciso; egli è una creazione composita, il che spiegherebbe perché la Storia lo ignora.

Oppure egli è esistito in una data più alta o più bassa di quanto si crede ed è stato avvolto da una leggenda che impedisce di riconoscerlo storicamente.

Oppure è un «dio fatto uomo». [34]

In questi tre casi, che non sono incompatibili tra loro, si comprende il fatto che gli scrittori del 1° secolo e di una parte del 2° secolo non abbiano conosciuto o riconosciuto il Gesù Cristo delle sacre scritture del cristianesimo.

Si dovrebbe già parlare del «mito di Gesù»? Noi non lo sapremo che al termine della nostra analisi. Noteremo, tuttavia, che il problema non è così semplice come sembra indicare quell'espressione. Un mito può snaturare e rendere atemporali i fatti storici e, parallelamente, fatti religiosi o cultuali (riti, feste, sacrifici) possono diventare nella tradizione fatti storici. Vi è certamente una parte di mito nella religione cristiana, come in ogni religione, ma non vi è che ciò?

In ogni caso, malgrado le nostre ricerche, noi non abbiamo ancora scoperto chi fosse Gesù. Quindi ora dobbiamo rivolgerci all'unico libro che pretende di informarci su di lui: il Nuovo Testamento. 

NOTE

[30] Noi non abbiamo i loro archivi ma, se ne fossero esistiti a questo riguardo, si può pensare che delle allusioni vi sarebbero state fatte dai Cristiani, o dai loro avversari, o perfino dagli imperatori.

[31] «Se qualcuno fosse andato ad imporre a Buffon di dar luogo nella sua Storia Naturale alle sirene ad ai centauri, Buffon avrebbe risposto: «Mostratemi un esempio di queste creature e le ammetterò, altrimenti per me non esistono. — Ma dimostratemi che non esistono. — Tocca a voi a dimostrare che esistono». Il compito di dar la prova, nella scienza, cade su quelli che affermano un fatto. Perchè non crediamo più agli angeli, ai demoni, sebbene innumerevoli testi storici ne suppongano l'esistenza? Perché l'esistenza di angelo, d'un demonio, non si è mai provata» (Renan, Les Apôtres, Introd. Volume 4 dell'edizione definitiva delle opere complete, pag. 459). 

[32] Klausner, storico israelita di Gesù, ha scritto un libro su Jésus de Nazareth. Il passo straordinario che noi citiamo sopra è estratto dalla pagina 16 della traduzione francese di quest'opera (Parigi, 1933).

[33] Così come gli errori dei copisti o le glosse marginali inserite successivamente nei testi.

[34] Secondo l'espressione di P.L. Couchoud che l'ha presa per titolo di un libro.

Alcune «argomentazioni» senza valore



ALCUNE «ARGOMENTAZIONI» SENZA VALORE

LE TENEBRE DELLA CROCIFISSIONE. — Tra gli autori non cristiani, Tallo il Samaritano è il primo ad aver fatto allusione alla tradizione sinottica riguardante le tenebre che regnarono sulla crocifissione da mezzogiorno alle tre; egli dipende da quella tradizione ma spiega l'evento alla sua maniera. Giulio Africano (che preferisce credere ad un miracolo) scrive a questo proposito: «Queste tenebre, Tallo — nel terzo libro delle sue storie - le definisce una eclissi di sole ma senza ragione a mio avviso». Non si sa quando sia vissuto Tallo; certamente dopo il 150, poiché parla di un fatto che si trova solo nei nostri vangeli, e prima del 221, poiché è citato da Giulio Africano in quel periodo. Ci viene detto che egli era forse un liberto di Tiberio, ma questa ipotesi ci pare lontana dall'essere probabile; ha soprattutto per scopo di farci credere che il racconto della Passione era conosciuto a Roma fin dalla metà del primo secolo. Tertulliano non nomina Tallo, ma scrive (Apologetico 21) «coloro che ignoravano che questo fenomeno era stato predetto per la morte del Cristo lo presero per una eclisse», e aggiunge che il suddetto fenomeno è riportato negli archivi romani, il che resta non verificabile. Tallo, questo sconosciuto, non è un testimone da trattenere.

GLI ATTI DI PILATO. — Tertulliano (Apologetico 5) ha scritto: «Tiberio (...) rese conto al Senato delle prove della divinità di Gesù Cristo che aveva ricevuto dalla Palestina e le appoggiò col suo voto. Il Senato le rigettò». E più oltre (Apologetico 21): «Pilato, che già nel suo intimo era divenuto cristiano, fece conoscere all'imperatore Tiberio tutte queste cose intorno a Cristo». Egli ha letto certamente nel vangelo di Marcione o di Luca il famoso verso che colloca i primi eventi cristiani nell'«anno 15 del regno di Tiberio».

Inutile insistere su questa conversione autenticamente miracolosa di un imperatore e di un procuratore romano alla religione di un uomo condannato dalle loro truppe; Tertulliano non ha mai avuto accesso agli archivi imperiali; egli crea o racconta una leggenda. D'altra parte, è improbabile che gli archivi ufficiali dell'inizio del primo secolo siano sopravvissuti in Palestina dopo la distruzione di Gerusalemme. Si è parlato molto degli Atti di Pilato messi in circolazione da Massimino Daia (305-313) per combattere il cristianesimo in Asia Minore e in Siria; si può dubitare della loro autenticità, e Goguel ragiona giustamente quando domanda (R.H. dicembre 1929, pag. 247): «Come supporre che fino al IV° secolo non si sia trovato alcun avversario della Chiesa ad utilizzare un testo che avrebbe prodotto l'effetto di un colpo di fulmine?»

Gli Atti di Pilato il cui testo è giunto fino a noi sono diversi dagli Atti del Senato che Tertulliano pretende di aver conosciuto; la loro prima traccia si trova nel Panarion di Epifanio (376 circa); questi Atti di Pilato sono meglio conosciuti sotto il nome di Vangelo di Nicodemo; questi sono testi tardivi e trascurabili.

L'ISCRIZIONE DI NAZARET. — Si tratta del testo di un'ordinanza romana sulla violazione delle sepolture, inciso su una lastra di marmo di 0,60 metri per 0,37 metri, lastra inviata da Nazaret a Parigi nel 1878; non riporta né la data né il luogo dove fu pubblicato il suo testo. Malgrado questa grave carenza, alcuni critici hanno pensato che potesse avere una relazione con il crimen sepulcri violati di cui Matteo parla due volte (in 27:62-66 e 28:11-15), spiegazione cristiana respinta da gran parte dei critici. L'unità stessa del documento è contestata, e nulla stabilisce una qualche correlazione tra questo riscritto e la scomparsa del cadavere di Gesù o la rimozione della pietra dalla sua tomba (supponendo che questa scomparsa e questa rimozione abbiano avuto luogo). Il testo sembra riferirsi al culto dei mani e fu forse promulgato in occasione di qualche violazione di sepoltura che avrebbe avuto luogo tra il 30 e il 50 dopo la nostra era in Samaria, ma non si tratta che di una semplice congettura. Questa iscrizione è da scardare dal dossier cristiano.

UN TESTO IN RUSSO ANTICO. — Nel 1906 fu scoperta la versione slava della Guerra giudaica di Flavio Giuseppe, versione chiamata Halosis, dove c'è menzione di Gesù considerato come un'incarnazione di Mosè e come un personaggio che doveva liberare le tribù ebraiche dal giogo romano. Questo racconto dipende dalla tradizione cristiana, non è una testimonianza diretta, il suo testo manca di omogeneità e non ha per autore Giuseppe. Non si sa né quando è stato critto, né in qual luogo; non può essere utilizzato come testimonianza.

LA TOMBA DEL CRISTO. — La maggior parte della gente crede all'autenticità dei luoghi santi e vede nella loro esistenza e nella loro frequentazione una prova dell'esistenza storica di Gesù Cristo. Ma, mancando di conoscere la questione, essi si ingannano. 

Il sito del Golgota non è stato scoperto che nell'anno 326 ed Eusebio dichiara che il luogo della tomba del Cristo era stato dimenticato. I suoi «inventori» furono o il vescovo Macario, oppure l'imperatrice Elena, oppure entrambi assieme. Si trattava senza dubbio, e prima di tutto, di sostituire ai resti di un tempio di Afrodite uno splendido santo sepolcro, cosa che fu fatta.

Il sito attuale fu a lungo e resta molto discusso. Epifanio preferiva al sito tradizionale la cima del Monte degli Ulivi o il monte di Gibeon; la tradizione ha collocato il Golgota ancora altrove. Eusebio lo segnalava a nord del monte Sion...

L'intervallo di tre secoli tra la crocifissione e la scoperta della sua ubicazione (senza contare quella delle tre croci di legno), così come l'esitazione degli studiosi e di alcuni religiosi scrupolosi dinanzi alla scelta che è loro imposta, non sono fatti per garantire l'autenticità del santo sepolcro.

I cristiani non sono neppure obbligati a credervi. I p. Vincent e Abel, nel loro libro su Gerusalemme, hanno scritto: «... la Chiesa non ha mai fatto della fede in un santuario, fosse anche il più eminente e il più tradizionale, come il santo sepolcro o il Calvario, un obbligo per l'ortodossia dei suoi figli». Così, e fortunatamente per la storia, nessuna collocazione dei fatti evangelici è di fede.