domenica 29 settembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «L'autore delle epistole»

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L'autore delle epistole

Dall'esistenza di Paolo, non si potrebbe dedurre necessariamente che egli sia l'autore delle epistole a lui attribuite. Quelle epistole sono rimaste sconosciute fino al 140, quando Marcione le rivelò a Roma in una «edizione» (secondo la moda del tempo, beninteso) che la Chiesa si è ben guardata dal conservarci. 

Si può quindi ammettere: o che Paolo sia proprio l'autore delle epistole, o che Marcione le abbia fabbricate e attribuite a Paolo, oppure infine che Marcione si sia limitato a raggruppare dei testi di Paolo accogliendoli secondo le sue idee personali. La scelta tra queste ipotesi dipende molto dalla personalità di Marcione.

Tuttavia, quantunque dichiarato eretico, Marcione non è un falsario. Egli professa per l'apostolo una grande venerazione, e viene da un paese dove Paolo era conosciuto. Inoltre, sopravvivono, nelle epistole, dei passi che Marcione non avrebbe certamente scritto. Si può quindi ammettere che sopravvive, nell'edizione di Marcione, qualcosa di autentico. Per contro, è evidente che Marcione ha riunito in grandi epistole dottrinali (forse sul modello delle epistole che formano l'esordio dell'Apocalisse) dei frammenti che, in Paolo, avrebbero dovuto essere molto meno ordinati. [5] È inoltre evidente che Marcione ha «corretto» Paolo, per fargli sostenere la sua dottrina gnostica. Ricostruire l'edizione di Marcione è già un lavoro delicato: Harnack lo ha tentato nel 1921 (secondo le confutazioni di Tertulliano e di alcuni altri autori cristiani). Ricostruire il testo originale di Paolo è sfortunatamente impossibile.

Tutto questo vale d'altronde solo per dieci epistole, le sole note a Marcione. [6] La Chiesa ne aggiunge altre quattro, che ovviamente non sono di Paolo (le epistole a Tito, a Timoteo, e l'epistola agli Ebrei di cui ho già parlato).

NOTE

[5] RENAN (Saint Paul, introd.) ha individuato quattro o cinque «finali» nell'epistola ai Romani. — GOGUEL (Introd. au Nouveau Testament, 4:1) distingue cinque o sei lettere mal cucite nelle due epistole ai Corinzi. TURMEL ne riconosce almeno due nell'epistola ai Filippesi (DELAFOSSE: L'épître aux Philippiens, Rieder, pag. 16).

[6] La critica moderna tende addirittura ad ammettere soltanto quattro epistole autentiche (a parte le interpolazioni): Romani, Galati e le due ai Corinzi. È ciò che ha confermato uno studio del vocabolario mediante le macchine elettroniche.

La Favola di Gesù Cristo — «Vita di Paolo»

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Vita di Paolo

Quello che sappiamo di lui è scarsissimo. Sarebbe nato a Tarso (città di Cilicia, vicino alla Siria), intorno all'anno 10.

Secondo le sue stesse affermazioni, in delle epistole molto rimaneggiate in seguito, si tratterebbe di un ebreo che avrebbe posseduto (non si sa come) lo status di cittadino romano. Non è strettamente impossibile, ma è poco probabile, e si vorrebbero maggiori dettagli. Così i critici hanno messo in dubbio che Paolo fosse stato di razza ebrea; non vedono in lui che un proselita, di origine romana [2] e spiegano così perché egli si mostra così indifferente ai riti e alle tradizioni del popolo ebraico e perché predica solo in terra greca. Siccome il racconto degli «Atti» è molto romanzato, è impossibile ricavare la verità.

In ogni caso, anche se è ebreo, Paolo non può aver ricevuto alcuna missione di repressione da parte del Sinedrio. Il ruolo che gli si fa recitare nelle prime persecuzioni contro i cristiani è immaginario così come quelle persecuzioni stesse. [3] Più esattamente, non si sa nulla di Paolo prima della sua conversione a Damasco. [4]

Convertitosi alla nuova religione, in delle circostanze alle quali tornerò più tardi, avrebbe fatto parte della comunità di Antiochia prima di andare, a nome di quella comunità, a fondare delle succursali in ambiente pagano. Sebbene certe divergenze non abbiano tardato a manifestarsi tra la gente di Antiochia e lui, Paolo non presenta mai sé stesso come il fondatore di una nuova religione; il suo ruolo è quello di predicare un Cristo, di cui si fa un'idea molto personale, ma che conosce solo per una visione mistica piuttosto imprecisa. Altri, contemporaneamente a lui, predicano «un altro Cristo», e le relazioni di questi diversi miti tra loro costituiscono tutta la difficoltà del problema paolino.

E in ogni caso, Paolo non viene da Gerusalemme, e ignora che vi sia accaduto un avvenimento particolare. Racconta che, quattordici anni dopo l'inizio delle sue missioni, si sarebbe recato a Gerusalemme per incontrare i tre capi di una comunità con cui è in disaccordo. L'incontro sembra essere stato burrascoso, e questo è ciò che ci fa pensare che abbia avuto luogo realmente. Vedremo che Paolo, che si rifiuta di inchinarsi, non vi ha incontrato alcun testimone di Gesù. 

Sembra che Paolo abbia viaggiato molto, anche se i suoi itinerari non siano facili da stabilire. I suoi successi furono senza dubbio molto scarsi: tutt'al più riuscì a riunire, di qua e di là, alcuni discepoli di modesta origine, reclutati tra gli analfabeti. Efeso probabilmente ricevette la sua visita, ma si può pensare che ne fu espulso; in ogni caso, quando intorno al 95, l'autore dell'Apocalisse rivolgerà alla comunità di Efeso una lettera molto diversa dalle epistole paoline, non ci si ricorderà più né del suo passaggio né del suo messaggio.
 

E poi, gli «Atti degli Apostoli» ci raccontano del suo arresto, della sua detenzione e del suo trasferimento a Roma, il tutto impreziosito da così tanti miracoli che non si può dare il minimo credito a questo racconto. Se Paolo è andato a Roma, è ben certo che non vi sia morto: come avrebbe potuto l'autore degli «Atti», alla fine del II° secolo, interrompere il suo racconto senza raccontarci la fine? Secondo una tradizione, conosciuta da Clemente (il Romano), si sarebbe recato a finire i suoi giorni «al confine dell'occidente», vale a dire probabilmente in Spagna.

Da questa breve e incerta biografia, vi chiedo di ricordare soprattutto i nomi delle città: Damasco, Antiochia, ambedue in Siria; Tarso, vicino alla Siria.

NOTE

[2] Il nome Paulus è latino, e Saulo non sarebbe un nome ebraico, ma un soprannome greco «Saulos» (colui che cammina a piccoli passi), allusione alle infermità di cui Paolo soffriva (si veda Galati 4:14). Si veda A. RAGOT: «Paul de Tarse», Cahier du Cercle E. Renan, 4° trim. 1963.

[
3] Dopo la sua conversione, disse lui stesso che le chiese della Giudea non lo conoscevano di persona (Galati 1:22).

[4] A. RAGOT (studio citato alla nota 2) vede nell'incidente di Damasco una «una caratteristica crisi di apoplessia. Vi sono tutti i segni: abbagliamento, aura luminosa e sonora, caduta, coma, cecità e afasia che sono diminuite nei giorni successivi, paralisi che si è progressivamente migliorata lasciando tuttavia conseguenze emiplegiche definitive»

sabato 28 settembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Le epistole di Paolo»

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CAPITOLO V

LE EPISTOLE DI PAOLO

L'apostolo Paolo è l'unico testimone di Gesù nel I° secolo, ma non si è finito di litigare attorno alla sua testimonianza. Vedremo che Paolo non sa nulla dell'uomo Gesù, e che predica, anche lui, un Cristo celeste.

Esistenza di Paolo

E prima di tutto, Paolo è esistito? Dobbiamo porci la domanda, infatti, in questo concerto di testi truccati che si appoggiano gli uni sugli altri, è importante verificare tutto da vicino.

L'inesistenza di Paolo è sostenuta, non senza dei seri argomenti, da alcuni autori. Paolo non è menzionato una sola volta nei Vangeli, né nelle epistole attribuite a Giacomo, a Giovanni, a Giuda. È sconosciuto a Giustino, che attribuisce espressamente ai «dodici» la conversione dei Gentili. [1] Intorno al 150, il vescovo Papia neppure lo conosce. Le epistole di Paolo sono rimaste sconosciute, fino alla loro rivelazione da Marcione intorno al 140. Al di fuori delle epistole, Paolo non appare che negli «Atti degli Apostoli», opera molto tardiva e profondamente rimaneggiata. Tutto ciò è dunque abbastanza sospetto.

Io ammetto ciononostante l'esistenza di Paolo, per le ragioni seguenti.

Prima di tutto, Marcione ce la garantisce, e Marcione sembra un testimone degno di fede. Egli veniva (secondo Clemente d'Alessandria) da Sinope, in quella provincia del Ponto che fu il terreno di predilezione delle missioni paoline. Visto l'intervallo di tempo (e sebbene fosse, a quanto pare, molto vecchio nel 140), Marcione non può essere considerato un testimone diretto; ma egli ha potuto conoscere dei discepoli di Paolo, ha dovuto sentir parlare di lui sul posto.

In secondo luogo, la tradizione attribuisce a Paolo la fondazione di numerose comunità cristiane in ambiente pagano: è necessario che qualcuno le abbia fondate, e non vedo alcun motivo per negare il nome del loro fondatore. So che si è certamente esagerato, in seguito, il ruolo di Paolo, che Antiochia ha inviato altri missionari, che senza dubbio Barnaba ha preceduto Paolo. Ma il fatto che si trattasse di un lavoro di squadra, e che si sia attribuito al solo Paolo il merito del lavoro di quella squadra, siccome ciò è frequente, non è una ragione sufficiente per rimuovere il beneficiario.

D'altronde, troviamo nelle epistole di Paolo delle tracce di una scrittura originale che non possono essere attribuite a Marcione, ancor meno alla Chiesa del II° secolo.

Infine, se gli «Atti degli apostoli» sono composti da due parti giustapposte, e rimaneggiate verso la fine del secondo secolo, la seconda, quella che riporta i viaggi di Paolo, ha qualche possibilità di essere la più antica. Se una parte è sospetta, è piuttosto la prima, destinata a ingrandire il ruolo di Pietro. Ad eccezione di notevoli interpolazioni, la seconda presenta delle buone apparenze di relativa autenticità, almeno per quanto riguarda la sopravvivenza parziale di un testo originale più antico.

Tutto ciò costituisce un insieme plausibile a favore di Paolo, niente di più. Tengo quindi il personaggio.

NOTE

[1] GIUSTINO: Apologia 1:39-45.

giovedì 26 settembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Conclusione»

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Conclusione

Tutto il primo secolo ignora l'esistenza di Gesù, se si escludono le epistole di Paolo. Dopo gli autori pagani, poi gli autori ebrei, noi troviamo lo stesso vuoto nei testi cristiani.

Ciò non comincia forse a sembrarvi molto inquietante? Vediamo quindi, infine, se saremo più fortunati con Paolo.

mercoledì 25 settembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «L'inchiesta di Domiziano»

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L'inchiesta di Domiziano

Se crediamo ancora a Eusebio, [11] l'imperatore Domiziano (81-86), avendo sentito parlare dei cristiani, avrebbe fatto comparire dei parenti del Signore della stirpe di Davide (?) e li avrebbe interrogati sul Cristo e sul suo regno. Costoro non gli parlarono ovviamente dei vangeli, che non erano ancora stati scritti; gli risposero che «il regno del Cristo non è né di questo mondo né della terra, ma celeste e angelico, e si realizzerà alla fine dei tempi». Rassicurato, Domiziano avrebbe rinviato in Giudea quelle brave persone, che ignoravano ancora che il Cristo era già venuto sulla terra, e che era stato crocifisso da un procuratore romano.

Questo racconto è ovviamente fantasioso: si pensa che l'imperatore Domiziano avrebbe avuto altri mezzi per indagare sui cristiani, se se ne fosse interessato, e che avrebbe potuto esigere direttamente un rapporto in Palestina o in Siria. Ma si ricorderà la confessione implicita di Eusebio che Domiziano non poteva ancora farsi comunicare alcuno scritto, perché non ne esistevano. Né poteva interrogare il vescovo di Roma, che probabilmente non esisteva nemmeno lui. 

NOTE

[11] Hist. eccl. 3:19-20.

La Favola di Gesù Cristo — «Lo pseudo-Ignazio»

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Lo pseudo-Ignazio

Il silenzio totale delle fonti cristiane del I° secolo sulla vita di Gesù e sulla crocifissione (al di fuori delle epistole di Paolo) non ha mancato di inquietare la Chiesa, che si è sforzata di colmarlo. Essa invoca, per esempio, le epistole di Ignazio che sarebbe stato vescovo di Antiochia intorno al 107... se si crede ad Eusebio! Ma Turmel [10] ha dimostrato che le epistole dello pseudo-Ignazio sono posteriori al 160, così come la lettera di Policarpo che le menziona. Il loro testo è stato d'altronde rimaneggiato, il che elimina ogni rilevanza ai loro riferimenti ai vangeli.

NOTE

[10] H. DELAFOSSE: «Lettres d'Ignace d'Antioche» (Rieder).

martedì 24 settembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «L'epistola di Giuda»

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L'Epistola di Giuda

Ignoriamo del tutto l'autore di questa epistola, che si presenta come fratello di Giacomo. Si ignora anche la data dello scritto, che non ci fa apprendere granché, se non che è Gesù che, sotto i tratti di Mosè, avrebbe salvato il popolo ebreo dall'Egitto. [9] Ecco un'incarnazione piuttosto inaspettata: non una parola su quello che sarebbe successo più recentemente.

NOTE

[9] Giuda 5.

domenica 22 settembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «L'epistola agli Ebrei»

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L'epistola agli Ebrei

Tutti concordano oggi nel riconoscere che l'epistola agli Ebrei non è dell'apostolo Paolo: gli stessi cattolici confessano la loro esitazione. Ma non c'è più la stessa unità, quando si tratta di fissare la data e l'origine del testo, certamente rimaneggiato.

Ciò che lo rende interessante, è che contiene parecchie allusioni alle cerimonie ebraiche celebrate nel tempio (di Gerusalemme): si può concludere che il testo sia anteriore alla distruzione del tempio nel 70. Loisy e Alfaric [5] credono che si tratti di un'opera alessandrina, e la attribuiscono con una certa probabilità ad Apollo, il concorrente di Paolo. In ogni caso, si tratta di uno scritto del I° secolo. [6]

Non vi si trova (tranne alcune ovvie interpolazioni) nessuna allusione ad una vita terrena di Gesù, nessuna menzione della crocifissione. Il Cristo vi è assimilato a Melchisedec, personaggio della Genesi, di cui l'epistola ricorda che egli è «senza padre, senza madre, senza genealogia, senza inizio di giorni né fine di vita». [7] Si può meglio riconoscere che si tratta di un personaggio soprannaturale, e non di un uomo che aveva vissuto sulla terra?

Un'interpolazione ulteriore, [8] ricordando che «il Signore è sorto da Giuda» (che ogni buon ebreo sapeva in anticipo), non è sufficiente a cancellare l'impressione che l'autore ignori la vita di Gesù e non abbia sentito parlare della crocifissione. Il suo Cristo resta un mito celeste.

NOTE

[5] ALFARIC: «A l'école de la raison», pag. 166.

[6] Tertulliano l'attribuiva a Barnaba. Di quell'avviso era Renan (L'Antéchrist, pag. 17).

[7] Ebrei 7:3. L'espressione sembra ispirata al Salmo 110.

[8] Ebrei 7:14.

sabato 21 settembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Il Cristo dell'Apocalisse»

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Il Cristo dell'Apocalisse

Nei messaggi alle sette comunità, è il Cristo stesso che parla: a ciascuna promette di venire presto, poiché i tempi sono vicini. Dunque, nel 95, lo stesso autore cristiano, ignora tutto della vita che si presterà in seguito a Gesù, più di sessant'anni prima. Egli non conosce che il Messia atteso, che deve sostituire gli ebrei ai Romani nel dominio di tutte le nazioni. È questo Messia trionfante che il messaggio dei primi capitoli, attraverso l'opera ebraica, rivela alle sette comunità, e non il Gesù crocifisso di cui ignora l'esistenza.

Quanto al Messia dell'opera ebraica, egli risiede ancora nel cielo, presso il trono di Dio. In seguito vi apprendiamo più oltre che egli è nato dalla Vergine celeste (costellazione), all'origine dei tempi. Il Drago (altra costellazione), che simboleggia la potenza del male, perseguita la Vergine incinta, e la fa cadere sulla terra dove lei partorisce; ma suo figlio, promesso ai più alti destini, è subito rapito al cielo (12:5). Goguel si stupì che alla fine del I° secolo «un cristiano si sia rappresentato il Messia rapito al cielo immediatamente dopo la sua nascita». [3] Ma il fatto dimostra che la leggenda della vita terrena del Cristo non era ancora formata.

Il Messia è rappresentato nel cielo sotto l'apparenza di un Agnello. Si tratta di un doppio simbolo: da un lato, l'Agnello (o Ariete) è il primo segno dello zodiaco, quello che presiede ai destini del mondo (e l'opera è impregnata di astrologia). Ma dall'altro è anche l'agnello pasquale dell'Esodo: a questo titolo, è detto «sgozzato» (la traduzione «immolato» è un'inesattezza volontaria). Come dice Couchoud: «Una liturgia pasquale è soggiacente a tutta l'Apocalisse», [4] ma è una liturgia puramente ebraica. Alcuna allusione alla crocifissione, sconosciuta in tutta l'opera (tranne un'interpolazione manifesta e goffa in 11:8).

È questo personaggio celeste che dovrà presto discendere sulla terra, cavalcando un cavallo bianco e rivestito di una tunica di sangue, per schiacciare la potenza romana, conformemente alle profezie che erano allora diffuse nel mondo ebraico: lo scettro è «uscito da Giuda», si attende dunque il Messia predetto da Giacobbe, e ciò tanto più perché i disordini successivi alla morte di Nerone sembrano annunciare un rapido crollo di Roma.

L'autore, scrivendo sotto l'occupazione e inebriato dei profeti, parla per immagini, ma si possono tradurle facilmente poiché sono ripetute nell'Antico Testamento con lo stesso significato. Roma in particolare, ultima incarnazione del Drago, è presentata sotto l'aspetto di una Bestia venuta dal mare, che ha sette teste (le 7 colline) e 10 corna che sono, lo si spiega più oltre, dieci re sottomessi da Roma e che dovranno ribellarsi contro di lei.

Il Drago ha donato alla grande città «la sua forza, il suo trono e la sua grande potenza», i popoli dovranno prostrarsi davanti a lei poiché «chi può combattere contro di lei?» Ma chi ha ridotto in schiavitù sarà lui stesso in schiavitù; chi ha ucciso con la spada perirà per la spada (13:10). La dominazione romana non dovrà durare che 42 anni (cifra simbolica), dopodiché il Vittorioso sul cavallo bianco scenderà dal cielo, al suono delle trombe. Allora, la collera di Dio si scatenerà, vi saranno dei cataclismi, dei massacri e la grande Babilonia (Roma), «la grande prostituta che siede su molte acque, con la quale hanno fornicato i re della terra» (17:1-2) sarà distrutta e consumata dal fuoco (18:8). «E non la si troverà mai più». Nel cielo, si canterà Alleluia (19:1-3).

Allora comincerà la grande carneficina del Vittorioso sul cavallo bianco. Nulla  eguaglia la ferocia di questa visione. Un angelo chiama al «grande banchetto di Dio», e i rapaci sono invitati a venire per «mangiare carne di re, di tribuni... la carne di uomini d'ogni sorta, liberi e schiavi». Il Messia fa un grande massacro con la spada, e tutti gli uccelli del cielo si sazieranno di carogne (19:17-21).

Questa è la prima immagine che ci consegna, del Cristo, un testo canonico! Se l'opera fosse derivata dall'apostolo Giovanni, come dice la Chiesa, questo discepolo avrebbe tradito singolarmente il pensiero del suo maestro pacifico.

NOTE

[3] La maggior parte dei commentatori trascurano questa frase, o vi vedono un'interpolazione. Ma chi l'avrebbe aggiunta? Certamente non un cristiano!

[4] COUCHOUD: L'Apocalypse, pag. 74.

venerdì 20 settembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «L'Apocalisse»

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L'Apocalisse

Definita oscura dalla Chiesa che imbarazza, quest'opera è molto importante per l'origine del mito di Cristo. Le ho dedicato uno studio speciale, [1] di cui riassumo qui l'essenziale per quanto riguarda il mito di Gesù.

L'opera contiene due elementi giustapposti:

1°) I primi tre capitoli e la conclusione sono di un autore cristiano, che non è evidentemente l'apostolo Giovanni, ma che scriveva verso la fine del I° secolo. Secondo Eusebio, citando Ireneo, l'opera sarebbe stata scritta verso la fine del regno di Domiziano, ossia verso il 95, e (tranne Turmel) tutti accettano approssimativamente quella data, vista l'antichità del contenuto. L'autore non conosceva, in effetti, che sette comunità cristiane in Asia Minore, e rivolge loro dei rimproveri su delle questioni insignificanti. Si vedono quelle comunità in preda a polemiche: i Nicolaiti specialmente le disturbano. Ora Nicola (che gli «Atti degli Apostoli» in 6:5 hanno cercato di annettere come «proselito di Antiochia») non è più cristiano di Simone il Mago (egualmente annesso): tutti e due sono degli Gnostici siriani, [2] che predicavano un altro Salvatore celeste, che sarà assimilato a Gesù solo nel II° secolo in Egitto. È per lottare contro l'influenza degli apostoli «bugiardi» (2:2) che lo pseudo-Giovanni rivolge alle sette comunità l'annuncio della futura venuta del Messia trionfante. Ma egli ignora le epistole e persino l'esistenza di Paolo, il quale tuttavia ha predicato a Efeso più di trenta anni prima; egli non fa alcuna allusione al Cristo paolino, e non conosce che il Messia dell'Antico Testamento, il «Figlio dell'uomo» di Daniele, la cui venuta e il cui trionfo sono annunciati nell'opera.

2°) A partire dal capitolo 4, e salvo alcune interpolazioni minori, si tratta di un'opera interamente ebraica, scritta nel corso della guerra contro i Romani. La speranza della vittoria che vi esprime l'autore, le allusioni al tempio ancora in piedi (fu incendiato nel 70), tutto concorre a situare l'opera ebraica nel 69, così come l'aveva compreso Renan. Un'allusione chiarissima alla morte (e forse alla leggenda del ritorno) di Nerone (17:10) conferma questa data con precisione.

L'opera è impregnata di un odio feroce contro i Romani; è di ispirazione manifestamente zelota, benché si hanno potuto discernervi alcune influenze essene. Ci sorprende per i suoi appelli al massacro, per l'annuncio di un gigantesco sterminio. Si tratta infatti di vendicare il sangue dei martiri della Resistenza ebraica, come loro stessi lo reclamano nel cielo (6:10). Così il Messia annunciato differisce in tutto dal Gesù dei vangeli: non solo egli è un feroce combattente, destinato a distruggere la potenza romana (e ben lontano dal pagare il tributo a Cesare), ma soprattutto — tanto nell'opera ebraica del 69 che nelle aggiunte cristiane del 95 — egli è ancora atteso, egli non ha ancora vissuto sulla terra.

NOTE

[1] G. FAU: «L'Apocalypse de Jean», Cahier du Cercle E. Renan, 4° trim. 1962.

[2] Si veda IRENEO 1:26-3-3:11-12. Io ritornerò sui Nicolaiti. ALFARIC (Origines sociales du christianisme, pag. 245) pensa che, nell'Apocalisse essi designerebbero i discepoli di Paolo; ma Ireneo ed Epifanio ne fanno una setta gnostica ben distinta.

mercoledì 18 settembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «I primi testi cristiani»

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CAPITOLO IV

I PRIMI TESTI CRISTIANI

Con i testi cristiani troveremo finalmente dei riferimenti a Gesù. Ma uno studio attento di questi testi ci avverte che la prospettiva ne è stata distorta: l'ordine nel quale sono iscritti nel «canone» della Chiesa non è l'ordine storico della loro apparizione.

Il primo compito consisterà dunque di riclassificare, per quanto possibile, questi testi secondo la loro data. Questo non è facile, poiché molti testi comportano una redazione primitiva e dei rimaneggiamenti ulteriori.

L'ordine cronologico dei testi

Operata questa riclassificazione, una sorpresa ci attende. Se Gesù fosse esistito, se il cristianesimo fosse nato da fatti reali, si dovrebbe logicamente trovare all'origine numerosi dettagli su ciò che è accaduto a Gerusalemme, sulla vita di Gesù; dopodiché, svanendo i ricordi, si dovrebbe vedere la persona di Gesù ingrandirsi fino alla sua divinizzazione finale.

Ma non è così che si presentano le cose, proprio al contrario. Vediamo che il Cristo è stato considerato dapprima come un essere puramente celeste: nell'Apocalisse, egli siede accanto al trono di Dio, ma non si parla della sua venuta sulla terra che nel futuro. L'Apocalisse ci insegna poco più della lettera di Plinio: Christo quasi deo.

Con le epistole di Paolo, facciamo un ulteriore passo avanti: vi apprendiamo che il Cristo si sarebbe sacrificato per la salvezza degli uomini, e che sarebbe stato «crocifisso» (dove il significato stesso di questo termine si presta alla discussione). L'autore delle epistole non ne sa di più, non ha conosciuto Gesù che per una visione, e il suo messaggio si riassume nell'identificazione del Cristo con uno degli dèi «salvatori» dei misteri pagani: il Cristo è «Kyrios» (Signore), non è ancora un uomo.

Nessun altro testo cristiano del I° secolo parla di un'esistenza di Gesù, ed è molto grave. Occorre attendere la metà del II° secolo per trovare i primi racconti di una vita terrena di Gesù.

A quel tempo, gli autori non potevano più parlare di ciò che avrebbero visto o appreso direttamente. Ci consegnano almeno il contenuto di una tradizione ben consolidata? Affatto: scrivono fuori dalla Palestina, spesso a Roma, in lingua greca, in un ambiente molto diverso da quello che cercano goffamente di descrivere. La biografia dell'«eroe» è composta, per mancanza di fonti reali, a suon di citazioni dell'Antico Testamento.

Il primo evangelista, Marcione, fa discendere direttamente dal cielo un Gesù adulto. È contro Marcione che si inventeranno in seguito i racconti della nascita e dell'infanzia.

Più un testo è tardivo, più contiene dei dettagli!

La riclassificazione cronologica dei testi sarebbe sufficiente dunque a mostrarci che non si è partiti da fatti reali, che non si è fatto un dio con i ricordi di un uomo, ma che al contrario un essere puramente celeste, un puro mito, si è a poco a poco «incarnato». Ci sono voluti più di cento anni per farne un uomo.

Del primo secolo, tratterremo soprattutto l'Apocalisse e le epistole di Paolo, ma quelle, per la loro importanza, meritano uno studio speciale. Non si può tuttavia trascurare del tutto gli altri scritti del I° secolo; il loro stesso vuoto è edificante.

martedì 17 settembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Conclusione»

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Conclusione

Non più delle fonti romane, gli autori ebrei non ci parlano di Gesù. Si è visto, al contrario, che supportano seriamente la tesi del mito.

Quindi non rimane altro, in mancanza di meglio, che esaminare i documenti cristiani.

La Favola di Gesù Cristo — «Il Talmud»

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Il Talmud

Più tardi, quando il conflitto tra i cristiani e gli ebrei diventerà acuto, gli ebrei inventeranno delle favole per opporle a quelle dei loro avversari.

Una di quelle farà di Gesù il figlio di una prostituta di nome Maria e di un soldato romano dell'esercito occupante. [8] Ciò non merita alcun credito, ma ciò prova che gli ebrei, anche loro, erano ridotti a inventare delle favole, non sapendo nulla di preciso.

Più curioso è il passo seguente: «Infine fu giudicato a Lydda (?) come mago e  fautore di apostasia. Per quaranta giorni prima dell'esecuzione, Gesù fu messo alla gogna e un araldo gridava ad alta voce: costui dev'essere lapidato perché ha esercitato la magia e ha fuorviato Israele; chiunque conosca qualcosa a sua discolpa, venga e faccia valere la sua testimonianza! Ma non si trovò per lui alcuna discolpa, e così lo si APPESE il giorno della preparazione della Pasqua. Altri dicono: lo si LAPIDÒ». [9]

Secondo questo racconto, dunque Gesù non sarebbe stato crocifisso, ma, secondo il rito ebraico, lapidato, poi il suo cadavere appeso. Ora, vedremo che questa è una delle interpretazioni possibili dei primi testi cristiani. [10] Il Talmud, che non ha altre informazioni, avrebbe dunque raccolto una leggenda primitiva, diversa da quella della crocifissione che finirà per imporsi. È abbastanza curioso, in ogni caso, che siano degli ebrei a escludere per Gesù il supplizio romano. 

Con queste riserve, i testi ebraici non ci fanno apprendere nulla su Gesù. E non basta dire che fuggendo, dopo il sacco della città, nel 70, una Gerusalemme devastata, essi non hanno avuto il tempo di portare via gli archivi!

NOTE

[8] Giustino conosceva questa leggenda (Dialogo con Trifone); Tertulliano e Origene vi fanno allusione. Forse è anche ad essa che vi faceva allusione Celso, quando scriveva di Gesù: «Figlio di una povera indigena scacciata dal marito suo, è nato di nascosto».

[9] Citato da L. de GRANDMAISON:  «Jésus-Christ», volume II, pag. 147-148.

[10] Si veda Marc STÉPHANE: «La passion de Jésus...», pag. 212-213.

domenica 15 settembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Spiegazione»

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Spiegazione

L'unico storico ebreo che avrebbe dovuto informarci di Gesù non ne parla, e ciò ha scioccato così tanto i cristiani che essi hanno sentito il bisogno di oscurare o di completare la sua opera, ma i loro interventi sono così goffi da essere facilmente individuabili.

Coloro che pensano che Gesù non è esistito non si stupiranno del silenzio di Giuseppe, e vi ricaveranno un argomento di peso. Ma come spiegare che Giuseppe ignora anche la «Chiesa»  (comunità) primitiva di Gerusalemme? Dovremo domandarci se sia esistita, e specialmente se fosse distinta allora dal gruppo degli Esseni, di cui Giuseppe  ci parla abbondantemente. Che Giacomo sia stato esseno, non è stabilito, ma è possibilissimo.

La Favola di Gesù Cristo — «Silenzio sui cristiani»

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Silenzio sui cristiani

Ancora più sorprendente, in una prospettiva cristiana, è il silenzio di Giuseppe sulla prima comunità cristiana di Gerusalemme, sui cosiddetti apostoli. Non una parola di Cefa (Pietro), la famosa «roccia» della Chiesa! Non una parola dei dodici! 

Si trova per contro nelle «Antichità» una menzione molto interessante riguardante Giacomo, [7] che le epistole di Paolo designano come il capo della comunità di Gerusalemme.

Una mano pia ha aggiunto le parole: «fratello di Gesù detto il Cristo». Quella interpolazione è antica, poiché era nota a Origene, ma in un testo diverso da quello che ci è pervenuto. Inoltre, l'esistenza dei fratelli di Gesù è stata abbandonata abbastanza presto a favore della leggenda di una nascita verginale.

Secondo Giuseppe, il detto Giacomo era dunque stato lapidato nel 62 per ordine del sommo sacerdote geloso della sua influenza sul popolo. La sfortuna è che in nessun momento Giuseppe sembra neppure sospettare che Giacomo appartenesse ad una setta dissidente; è al contrario un ebreo fedele alla legge! E l'interpolazione ci garantisce che ciononostante si tratta proprio di colui del quale si farà più tardi un discepolo di Gesù!

NOTE

[7] Antichità Giudaiche, Capitolo 20. 

venerdì 13 settembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Una goffa interpolazione»

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Una goffa interpolazione

Si trova, è vero, nelle «Antichità», un passo riguardante Gesù, ma quel testo ha un'ispirazione così manifestamente cristiana che non può essere stato scritto da Giuseppe. La stessa Chiesa concorda, perché se Giuseppe aveva scritto quelle righe, non gli restava altro che convertirsi.

Ecco il testo, nel suo stato attuale: [4]

«Visse in questo tempo Gesù, uomo sapiente, se pure lo si deve definire uomo. Operò infatti azioni straordinarie e fu maestro di uomini che accolgono con diletto la Verità, e così ha tratto a sé molti Giudei e anche molti Greci. Questi era il Cristo. Anche quando per denuncia di quelli che tra noi sono i capi Pilato lo fece crocifiggere, quanti da prima lo avevano amato non smisero di amarlo. Egli apparve loro il terzo giorno di nuovo in vita, secondo che i profeti avevano predetto di lui tutto ciò e mille altre meraviglie. Ancora oggi sussiste il genere di quelli che da lui hanno assunto il nome di Cristiani».

È evidente che un ebreo così ortodosso come Giuseppe non avrebbe potuto scrivere: «Questi era il Cristo» (= il Messia), né riconoscere il compimento delle predizioni dei «divini profeti». «Se tu avessi creduto che fosse Cristo, saresti diventato cristiano!», esclama Voltaire. [5]

Il passo è dunque evidentemente un falso. D'altronde, non si trovava ancora nell'opera di Giuseppe al tempo di Origene (185-254), poiché costui assicura che Flavio Giuseppe «non ha mostrato che Gesù è il Cristo». [6]

Il passo è citato per la prima volta nel IV° secolo da Eusebio (il falsario), che ne è senza dubbio il goffo autore. Goffo, poiché il testo non si adatta bene a ciò che precede (il racconto di una rivolta) e alla frase che segue: «Accadde in quello stesso tempo un'altra sciagura». Goffo soprattutto, poiché il falsario ha fatto perdere ogni credito alla sua interpolazione per aver voluto dire troppo: per rendere verosimile il racconto, sarebbe stato necessario parlare di Gesù senza dargli del «Cristo».

Pure la Chiesa non difende più questo testo, ma afferma che sarebbe stato sostituito, per una di quelle pie frodi a cui è abituata, al passo autentico nel quale Giuseppe, al contrario, avrebbe parlato male di Gesù! Pura ipotesi e misera perdita: non è nemmeno probabile che Giuseppe abbia potuto parlare di Gesù in questo punto.

NOTE

[4] Antichità Giudaiche, Capitolo 18:3.

[5] Dizionario filosofico, V° Christianesimo.

[6] Contra Celsum 1:47. 

La Favola di Gesù Cristo — «Flavio Giuseppe»

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Flavio Giuseppe

Arriviamo al grande storico ebreo, al quale dobbiamo così tante informazioni sugli eventi in Palestina. Giuseppe nacque nel 37 o 38, morì nel 94: ha dunque vissuto ben dopo la presunta morte di Gesù, ad un'epoca in cui dovevano esistere le prime comunità cristiane. Da dove viene dunque il suo silenzio su Gesù e su quelle comunità? La sua opera abbonda di dettagli: ci segnala l'esistenza di molti personaggi secondari, di tutti gli agitatori, di tutto i pretesi Messia: Gesù, lui solo, gli è sconosciuto.

Giuseppe ha scritto due grandi opere, destinate a far conoscere ai Romani la storia e la mentalità del popolo ebraico. Per gli ebrei autonomisti, è un «collaboratore». Non esita tuttavia a parlare degli Zeloti, di Giuda, di Menahem, di tutti coloro che hanno preso le armi contro i Romani: non è dunque per prudenza che avrebbe passato sotto silenzio il pacifico Gesù, sostenitore del tributo a Cesare. Si pensa addirittura che egli sarebbe stato felice di poter citare quell'esempio! 

A dire il vero, nessun autore esterno è stato più rimaneggiato, più stravolto dai cristiani di Giuseppe. Padre Gillet, il suo traduttore, ammette: «Le contraddizioni e le alterazioni nascono per così dire ad ogni passo». Vediamo quel che ne resta.

A)
Le «Antichità giudaiche» ripercorrono la storia del popolo ebraico, dalla creazione del mondo secondo la Genesi fino al 66 E.C. (ultimo procuratore romano Gessio Floro, 12° anno di Nerone e inizio della grande rivolta giudaica). La fine  comprende dunque il periodo in cui avrebbe vissuto Gesù. In effetti, Giuseppe vi parla del famoso censimento dell'anno 7, e della rivolta in quella circostanza di Giuda il Galileo, poi della morte nel 48 dei suoi due figli Giacobbe e Simone, crocifissi dal procuratore Tiberio Alessandro. Di Gesù solo, non una parola, se escludiamo il passo interpolato di cui parlerò più avanti.

B) La «Guerra dei Giudei» copre il periodo che va dal regno di Antioco Epifane (164 A.E.C.) alla presa di Gerusalemme nel 70. Contiene quindi delle parti parallele all'opera precedente e l'autore vi avrebbe trovato una seconda occasione per parlare di Gesù. Ciò che ci interessa di più, è il secondo Libro, che va dalla morte di Erode il Grande (4 A.E.C.) all'arrivo di Vespasiano (67 E.C.). Sfortunatamente, questo Libro ci è pervenuto in uno stato di tale stravolgimento che è divenuto incoerente: furiosi per non scoprirvi ciò che cercavano, i cristiani hanno senza dubbio imbrogliato le carte! Per fortuna, tutto ridiventa chiaro nei Libri successivi, che raccontano la storia della rivolta di Menahem e della guerra del 67-70!

giovedì 12 settembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Il silenzio di Giusto»

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Il silenzio di Giusto

Autore di una storia degli ebrei oggi perduta, contemporaneo e rivale di Giuseppe, Giusto di Tiberiade non ha neppure parlato di Gesù. Noi lo sappiamo da Fozio, patriarca di Costantinopoli nel IX° secolo, che ebbe dei contrasti con il papa Nicola I (858-867) e fece addirittura scomunicare questo papa da un concilio orientale. Fozio aveva nella sua biblioteca l'opera di Giusto: vi cercò invano un'allusione a Gesù, e si meravigliò di non trovarla affatto.

martedì 10 settembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Filone e il Logos»

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Filone e il Logos

Ma si trova nell'opera di Filone molto più del suo silenzio. Discepolo di Platone e teorico del «Logos», Filone ha meditato a lungo su questa nozione. Poco importa se la sua dottrina gli sia propria oppure se riflette le idee dell'ambiente alessandrino del suo tempo: la sua opera ha esercitato una grande influenza.

Ora, meditando sulle relazioni del mondo creato, molto imperfetto, con un Dio lontano ma perfetto, Filone sente il bisogno di introdurre tra loro un intermediario. Nella filosofia greca, il «Logos» era solo un principio astratto, la «ragione» che ordinò il mondo. Ma i neo-platonici come Filone non tarderanno a personalizzarlo, a farne un essere celeste. Per Filone, è tramite il Logos che Dio ha creato il mondo, e il Logos è «il figlio primogenito di Dio»; egli ha preceduto tutte le creature, che procedono da lui; egli ha gli attributi della divinità, ma a differenza di Dio non è increato, procede lui stesso da Dio.

Penso che abbiate già notato le analogie con l'esordio del futuro vangelo attribuite a Giovanni? Analogie che saranno ancora più manifeste, se si ricorda che la parola «Logos» sarà tradotta in latino da «Verbum» di cui abbiamo fatto «Verbo». Cosa ci dirà lo pseudo-Giovanni? «In principio era il Logos, e il Logos era presso Dio, il Logos era Dio... Tutto è stato fatto per mezzo di lui». [2]

Ma il Logos di Filone non interviene solo sull'origine del mondo. È anche «il mediatore SUPPLICHEVOLE dell'essere perituro che aspira a destini immortali; è l'intermediario tra l'Essere supremo e i suoi soggetti. Non è, come Dio, senza principio, ma non ha, come noi, un generatore». [3

Siamo in pieno mito celeste, e tuttavia cosa si dovrebbe aggiungere a queste parole per avere l'inizio del IV° vangelo? Semplicemente questo: «E il Logos si è fatto carne». Filone non lo dice, poiché l'incarnazione del Logos si preciserà solo nel secolo successivo, sotto l'influenza degli Gnostici; ma l'idea è già nell'aria. Personificato, il Logos dovrà solo manifestarsi agli umani: è l'abitudine di tutti i personaggi celesti. Voi vedete che sarebbe sbagliato parlare del silenzio di Filone: ​​egli ci illumina su una delle origini del mito.

NOTE

[2] Giovanni 1:1-3.

[3] F. DELAUNAY, op. cit., pag. 42.

lunedì 9 settembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Il silenzio degli autori ebrei»

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CAPITOLO III

IL SILENZIO DEGLI AUTORI EBREI

Se il silenzio degli autori latini può spiegarsi coll'indifferenza o l'ignoranza, le stesse ragioni non possono giustificare quello degli autori ebrei. Eppure è lo stesso vuoto che esploreremo, non senza raccogliere alcuni argomenti a favore dell'inesistenza di Gesù.

Il silenzio di Filone

Filosofo e letterato, Filone di Alessandria è praticamente contemporaneo di ciò che sarebbe stato Gesù, ma gli sarebbe sopravvissuto: nato sotto Erode il Grande, è morto tra il 50 e il 60 della nostra era. Filone visse ad Alessandria, ma è informatissimo su ciò che riguarda il popolo ebraico: conosce molto bene, ad esempio, le comunità essene. La sua opera, che conteneva cinquantasette titoli, non ci è pervenuta del tutto: in ciò che abbiamo, non una parola su Gesù.

Al seguito dei sanguinosi disordini di cui gli ebrei erano stati vittima nel 39 ad Alessandria, Filone si recò a Roma nel 40 per difendere la loro causa presso Caligola. Ottenne un'udienza, ma scarso successo. In occasione di questo viaggio, che lo mise in contatto con la sinagoga romana, non notò affatto l'esistenza dei cristiani. Ritornò in seguito ad Alessandria, e completò la sua vita scrivendo numerose opere.

È verosimile che, in questa città, dove esisteva un'importante comunità ebraica, non ci sia pervenuta alcuna eco di ciò che sarebbe accaduto a Gerusalemme? E come mai Filone avrebbe potuto ignorare anche la comunità cristiana di Alessandria, di cui avrebbe fatto parte un certo Apollo, avversario dell'apostolo Paolo e che è forse l'autore dell'epistola agli Ebrei?

Il silenzio di Filone è così inquietante che gli scrittori cristiani hanno tentato di scoprire nella sua opera delle allusioni nascoste al cristianesimo. Eusebio (il falsario) afferma addirittura che egli si sarebbe convertito, ma «la favola di Eusebio non ha il minimo tratto di verosimiglianza», scriveva Delaunay, traduttore e commentatore di Filone. [1] In effetti, Filone è un puro ebreo, legatissimo alla tradizione ebraica, sebbene interpreti la Bibbia in un senso simbolico.

Non si può nemmeno immaginare, a titolo di consolazione, che lui abbia parlato di Gesù nelle sue opere perdute: la Chiesa non avrebbe mancato di preservare questa testimonianza capitale, e neppure alcun autore cristiano dei primi secoli gli attribuisce tali parole.

NOTE


[1] F. DELAUNAY: «Philon d'Alexandrie, écrits historiques» (Didier et Cie, 2° ed., 1867, pag. 35).