sabato 31 agosto 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Gli scrittori del II° secolo»

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Gli scrittori del II° secolo

Occorre attendere l'inizio del II° secolo per trovare, negli autori latini, alcune vaghe allusioni, che esamineremo rapidamente.

Anche se dovessero essere riconosciute autentiche, non ci insegnerebbero nulla su Gesù. Si limitano in effetti ad assicurare che i cristiani adoravano un certo «Christos». Ora, è importante precisarlo una volta per tutte, il Cristo, essere celeste, mito di cui preciserò la provenienza, non va confuso in alcun modo con l'uomo Gesù. Nessuno nega che i cristiani avessero adorato un Cristo celeste; quello che noi cerchiamo, è una menzione dell'esistenza e della morte di un uomo chiamato Gesù.

venerdì 30 agosto 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Un primo falso: le lettere di Seneca»

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Un primo falso: le lettere di Seneca

Un altro silenzio ha sorpreso, quello di Seneca il filosofo, la cui dottrina è sembrata così simile al cristianesimo che Girolamo non esitò a farne un padre della Chiesa! Ma Seneca non ha detto nulla dei cristiani. Per colmare questa lacuna, la Chiesa ha fabbricato da zero una corrispondenza (del resto assai banale) tra Seneca e l'apostolo Paolo. Nessuno difende più quelle lettere, dove il filosofo avrebbe chiamato l'apostolo col nome di «fratello»: si tratta di un falso grossolano, ma che rende più sensibile il vuoto che era chiamato a colmare.

La Favola di Gesù Cristo — «Silenzio di Plinio»

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Silenzio di Plinio

Se fosse successo qualcosa un po' sorprendente in Palestina, almeno un uomo ce ne avrebbe parlato: Plinio il Vecchio, che vi era andato  prima del 70 e che era alla ricerca di tutte le curiosità.

Ciò che non gli è sfuggito, è la comunità essena del Mar Morto: [1] ha notato questo straordinario gruppo che, senza donne, riusciva a rinnovarsi per proselitismo, e lo situa esattamente nel deserto di Engaddi, là dove degli scavi recenti hanno permesso di ritrovare i suoi edifici. Si ha voluto contestare l'accuratezza di questa menzione, sotto il pretesto che Plinio vi mette anche delle palme, che non vi si vedono più: ma sarebbe sbagliato ricusare questo dettaglio, perché gli Esseni avevano irrigato le terre e vivevano della loro agricoltura, là dove non cresce più l'erba.

Non una parola su Gesù. Neppure sull'esistenza di una comunità cristiana.

NOTE

[1] Hist. Nat. 5:17.

giovedì 29 agosto 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Il silenzio degli autori pagani»

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CAPITOLO II

IL SILENZIO DEGLI AUTORI PAGANI

Silenzio del I° secolo

Un primo fatto è ovvio: nessuno degli scrittori latini o greci del I° secolo della nostra era menziona, non soltanto Gesù, ma anche i cristiani.

La loro ignoranza di Gesù non prova nulla, senza dubbio, ma sorprende molto che essi non abbiano notato i primi cristiani.

Beninteso, nessun autore segnala le tenebre che, in pieno giorno, avrebbero coperto la terra intera alla morte di Gesù: nemmeno una minuscola eclissi di sole. Nessuno ha sentito parlare neanche di una nuova stella, che avrebbe dovuto incuriosire astronomi o astrologi. Gli storici latini non conoscono nemmeno quell'atroce massacro di migliaia di bambini innocenti che  avrebbe ordinato Erode: si crede che i Romani avrebbero tollerato questo abominevole crimine del loro alleato? Infine, le resurrezioni dei morti, se non hanno affatto convinto gli ebrei, hanno lasciato i romani molto indifferenti, perché nessun scrittore vi fa la minima allusione.

Abbandoniamo queste leggende, direte voi. Ma i vangeli danno questi fatti come prove, come segni: quale credito accorderemo a ciò che dovrebbero stabilire? 

martedì 27 agosto 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Dove collocare Gesù?»

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Dove collocare Gesù?

È in questo contesto storico che dovremo tentare di inserire la vita di Gesù, se si vuole che sia esistito: ciò non sarà facile.

Una prima cosa ci colpisce: in questo periodo di estrema agitazione, Gesù è un simbolo di pace; in questi tempi di rivolte armate, sembra abituato alla presenza dei Romani e raccomanda di pagare il tributo a Cesare. Un simile atteggiamento non doveva essere normale, e mal si comprende il fatto che Giuseppe, che vuole conciliarsi i Romani, non abbia nemmeno segnalato quest'uomo, così utile alla sua tesi.

Se ci rapportassimo al vangelo di Luca, Gesù avrebbe cominciato il suo ministero nel 15° anno del regno di Tiberio, quando Ponzio Pilato governava la Giudea, Erode (Antipa) era tetrarca di Galilea, ecc. Tutte queste precisazioni si presentano abbastanza bene, a prima vista: la sfortuna è che non corrispondono ad alcun fatto preciso, e derivano, non da un ricordo esatto, ma dal vangelo di Marcione che, a quella data, faceva discendere Gesù... dal cielo. D'altro canto, siamo ben informati su ciò che è accaduto in Palestina a quest'epoca, specialmente per la storia molto dettagliata di Flavio Giuseppe, e in nessun momento costui menziona Gesù o i cristiani.

Davanti a queste difficoltà, alcuni hanno cercato di spostare nel tempo la vita di Gesù; ma dalle precisazioni (?) del vangelo, non abbiamo più alcun punto di riferimento. 

Altri hanno tentato di equiparare Gesù a uno dei «Messia» che hanno allora sollevato il popolo ebraico, da Giuda il Galileo, a suo figlio a Menahem. Ma costoro sono degli insorti, dei capi di eserciti, degli zeloti, vale a dire l'esatto contrario di ciò che ci viene detto di Gesù. Questo è il motivo per cui la tesi, per quanto sia ingegnosa e documentata come in Daniel Massé per esempio [7], non è riuscita a convincere. Colui che avrebbe detto che il suo regno non è di questo mondo non può morire da capo ribelle. E viceversa, un capobanda non può aver predicato la morale cristiana.

Resta dunque la risorsa di ammettere che l'esistenza di Gesù, abbastanza breve e insignificante, sia passata inosservata. Ma siccome il silenzio degli storici non è una prova sufficiente, la Chiesa si è sforzata di trovare, in diversi testi, almeno delle allusioni a Gesù — o ancora di falsificare i testi per introdurvi di forza un Gesù che non vi figurava. A volte la stessa è arrivata persino a fabbricare completamente dei falsi documenti.  

Dato che queste pretese prove fanno ancora illusione, è importante esaminarle: vi trarremo peraltro alcuni indizi utili. Andremo dunque a rivolgerci successivamente agli autori latini, poi agli scrittori ebrei. Non trovandovi nulla (se non degli argomenti a favore del mito), saremo ben costretti a venire ai documenti cristiani.

NOTE

[7] Daniel MASSÉ: «L'énigme de Jésus-Christ» (éd. du Siècle, 1926).

lunedì 26 agosto 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Storia della Palestina»

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Storia della Palestina

Dato che la vita attribuita all'uomo Gesù si situa in un'epoca relativamente ben determinata della Storia, in un contesto geografico preciso, è utile ricordare ciò che stava accadendo in Palestina in quell'epoca.

Nel 63 Avanti Era Comune, approfittando di una lite dinastica, gli eserciti romani di Pompeo intervennero per la prima volta in Palestina. Pompeo si impadronì di Gerusalemme, ma si mostrò generoso: secondo la tradizionale tolleranza dei romani, rispettò i culti del paese conquistato; molto meglio, lasciò alla Palestina un'apparenza di indipendenza, sotto il regno di Ircano II. Ma, in effetti, dotò questo re di un supervisore nella persona di Antipatro, e tutti compresero che era un preludio alla futura annessione.

Nel 41 Avanti Era Comune, il re Ircano fu mandato in esilio dai Parti. Antipatro era morto, ma suo figlio Erode approfittò del vuoto di potere per farsi attribuire il trono dal Senato romano. Ciò non fu gradito dagli ebrei, poiché Erode non era di sangue reale (egli stesso non era che mezzo-ebreo); fino al 37 Avanti Era Comune costui dovette conquistare il suo regno con l'aiuto degli eserciti romani. Dopodiché fece uccidere per prudenza tutti i discendenti dell'antica famiglia reale, ivi compreso lo sfortunato Ircano al suo ritorno dall'esilio.

Erode (detto il grande) governò in seguito appoggiandosi ai Romani, cosa che provocò naturalmente un'opposizione ostile a questi conquistatori. Era un uomo abile: ebbe l'accortezza di schierarsi in tempo dalla parte di Ottaviano contro Antonio e Cleopatra, cosicché dopo la battaglia di Azio (31 Avanti Era Comune) fu confermato nelle sue funzioni reali. Nel 20 Avanti Era Comune, cominciò la ricostruzione del tempio di Gerusalemme. Sotto il suo regno, la Palestina godette di un'indipendenza ancora maggiore poiché i Romani erano sicuri della lealtà di Erode. Paese alleato, ma non annesso, non pagava il tributo a Roma, sebbene le costruzioni di Erode avessero costato caro al tesoro. Tra gli episodi minori di un regno, sul quale lo storico Flavio Giuseppe ci informa in dettaglio, non si trova alcuna menzione di un massacro di neonati: gli ebrei «resistenti» non mancheranno di sporcare la memoria del «collaboratore» Erode, ma nessuno avrà l'idea di imputargli un tale crimine. Nel 4 Avanti Era Comune Erode muore, lasciando una successione complicata, che dà luogo a sanguinose discordie. I suoi quattro figli si disputano il trono, e gli ebrei ne approfittano per rivoltarsi contro questa famiglia. Comprendendo il pericolo di una sollevazione, il legato di Siria Quintilio Varo interviene due volte con le sue legioni; la seconda volta la repressione è feroce e duemila ebrei sono crocifissi alla maniera romana. Questa abbondanza di croci lascerà un ricordo terribile nella memoria degli ebrei.

Infine l'imperatore Augusto arbitrò il conflitto e spartì la Palestina tra i figli di Erode. Il titolo di re è soppresso, vi saranno solo dei «tetrarchi» (letteralmente: capi di quarti), ma il maggiore, Archelao, prenderà in Giudea il titolo di etnarca. Diede rapidamente prova di crudeltà e di dispotismo, così che gli ebrei si ribellarono di nuovo. Stanco di questi conflitti, e approfittando infine dell'occasione, Augusto prende allora una decisione grave per il popolo ebraico: annette la Palestina all'Impero Romano (6 Era Comune). Archelao è destituito ed esiliato, e al suo posto un procuratore romano amministrerà la Giudea. È la fine dell'indipendenza: sebbene gli altri tre figli di Erode continuino a regnare ufficialmente (in particolare Erode Antipa in Galilea fino al 39), lo scettro è «uscito da Giuda» a Gerusalemme, e le truppe romane occupano il paese. Ora. gli ebrei sono ribelli all'occupazione romana, e i loro profeti hanno annunciato che un Messia sarebbe venuto per liberarli dal giogo straniero e ridare un fulgore universale alla regalità che deriva da Giuda. I pretesi Messia spuntano, e tentano di sollevare il popolo, ma tutti sono spietatamente schiacciati. 

Il segno più detestato della servitù, è il pagamento del tributo, del «tributo a Cesare». Sebbene fosse rivestito di ampi poteri in Palestina, il procuratore dipendeva dal legato di Siria: è dunque con grande verosimiglianza che il vangelo detto di Luca riferisce al legato di Siria Quirino un censimento a scopo fiscale, che ebbe luogo nell'anno 7. Questo censimento è  chiamato a buon diritto «primo», poiché il paese era ancora libero ai tempi di Erode. Ha provocato negli ebrei una profonda umiliazione e gravi turbamenti; un certo Giuda, detto il Gaulonita, ma che gli «Atti degli Apostoli» (5:37) chiamano «Giuda di Galilea», tenta una rivolta e fonda il partito degli «Zeloti», di cui Flavio Giuseppe ci dice che «esortavano il popolo a rivendicare la libertà», pur cercando di nascondere che questo avrebbe dovuto realizzarsi attraverso la ribellione armata. Ma Giuda fallisce ed è messo a morte.

Nell'anno 14, l'imperatore Tiberio succede ad Augusto. Il quindicesimo anno del suo regno, al quale il vangelo di Luca riferisce la «levata» di Gesù, si colloca dunque nel 29/30, ma nessun testo menziona un qualunque evento in quella data. Tacito ci assicura che «la nazione ebraica era tranquilla sotto Tiberio». Calma molto relativa: se non vi fu una grande rivolta, il mantenimento dell'ordine preoccupò spesso i procuratori. Conosciamo i loro nomi, e sappiamo che dopo Valerio Grato (15-26), fu Ponzio Pilato che amministrò la Giudea dal 26 al 36: Pilato era dunque procuratore proprio nel quindicesimo anno di Tiberio. Ma non era l'uomo esitante e debole che ci mostrano i vangeli: Filone e Giuseppe ne parlano come di un capo energico e brutale, di cui gli ebrei hanno conservato un brutto ricordo. Diciamo a sua difesa che non doveva essere facile mantenere l'ordine in quel paese costantemente agitato.

Nel 37, il nipote di Erode, Agrippa, riuscì a guadagnare il favore del folle Caligola e cominciò a ricostruire il regno di suo nonno. Ci riuscirà sotto Claudio: se questo pacifico imperatore dovette prendere a Roma alcune misure contro gli ebrei turbolenti, fece mostra in Palestina di liberalismo. Nel 41, il regno ebraico è interamente riunificato a beneficio di Agrippa, ma costui muore improvvisamente (probabilmente di una peritonite) dopo aver celebrato dei giochi in onore dell'imperatore nel 44: gli ebrei vi vedono una punizione divina della sua alleanza con i Romani (si veda Atti 12:23).

Niente di notevole durante il regno di Nerone, almeno fino al 66. Allora scoppiò la grande rivolta, quella che si chiamerà la «guerra dei giudei». Durerà quasi quattro anni. Un certo Menahem, definendosi il Messia, riesce a  cacciare i romani, e il generale Vespasiano deve ripiegare. A Roma è l'anarchia che succede alla morte di Nerone: gli insorti ne approfittano e già credono, complici le profezie, alla vittoria.

Ma la speranza è di breve durata. Vespasiano si impadronisce del potere a Roma, e invia suo figlio Tito a domare la rivolta ebraica (69). Tito assedia Gerusalemme per cinque mesi, e finisce per conquistare la città. I Romani, furiosi, si abbandonano ad una spietata repressione, che si aggiunge alle rovine dell'assedio. La città è devastata, il tempio distrutto; il sommo sacerdote e il tribunale sacerdotale (il Sinedrio) sono soppressi; una gran parte della popolazione è perita, un'altra è condotta in schiavitù, il resto si disperde (70). La disfatta annichilì tutte le speranze degli ebrei e costituì una irrimediabile catastrofe nazionale.

Verso la fine del secolo, lo storico Giuseppe  scriverà le sue opere per cercare di far comprendere ai Romani la storia e la mentalità del popolo ebraico. Malgrado questi tentativi, la rivolta cresce, ma è impotente.

Un'ultima ribellione avverrà nel 132, quando l'imperatore Adriano vorrà ricostruire il tempio per dedicarlo a Giove: è «l'abominio della desolazione». Un ultimo Messia, chiamato Bar-Kokhba (figlio della stella), raccoglierà un esercito e terrà ancora i Romani in scacco, ma sarà alla fine vinto. Questa volta, Gerusalemme perderà perfino il suo nome e diventerà Aelia Capitolina (135).

domenica 25 agosto 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Dati storici»

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SEZIONE II

Dati storici

Siccome spesso si tratterà di date, sarò proprio obbligato a conformarmi alla cronologia in uso, che tenderebbe a farci credere che viviamo venti secoli dopo la nascita di Cristo, in un'era il cui anno I corrisponderebbe alla sua natività. È ad ogni modo impreciso ed è importante precisare la natura artificiale di questa cronologia.

Nessuno, nel I° secolo, ebbe l'idea di ricominciare a contare gli anni a partire da 1, come si è fatto durante la Rivoluzione francese. L'era cristiana, diffusa da Carlo Magno, risale solo al VI° secolo: è solamente a quell'epoca che ci si sognò di istituirla con effetto retroattivo. Un monaco di nome Dionigi (detto il piccolo) fu allora incaricato di calcolare a ritroso la data di nascita di Gesù. Non disponendo che di documenti contraddittori, come vedremo, egli decise di far coincidere l'anno I della nuova era con l'anno 754 della cronologia romana (a sua volta basata sulla data, molto ipotetica, della fondazione da Roma).

A cosa corrisponde infatti l'anno I della nostra era? Esattamente a niente: gli stessi cattolici concordano sul fatto che Dionigi si è sbagliato. Il vangelo detto di Matteo assicura che Gesù sarebbe nato al tempo del re Erode (2:1); ma Erode (il grande) era morto da quattro anni nel 754 dalla fondazione di Roma. Dionigi non l'ignorava, ma dovette scegliere tra dei dati contradditori, e la Chiesa attuale tiene molto a Erode.

Poco importa, perché vedremo che la data della presunta nascita di Gesù è molto imprecisa. Da qui l'impossibilità di correggere con sicurezza la cronologia di Dionigi; la Chiesa non ha mai rischiato, ammette che un errore di qualche anno resta irrilevante. Tutti conservano dunque il calcolo derivato dall'immaginazione del monaco Dionigi, e non vi è alcun grande inconveniente, in effetti, nell'utilizzare una cronologia il cui punto di partenza è artificiale. Tuttavia, è bene sapere che questo punto di partenza è arbitrario e poggia su un vuoto totale. Così non si cadrà nel vizio di ragionamento che consisterebbe nel credere che Gesù sia esistito poiché si contano gli anni a partire dalla sua nascita.

Ecco una prima illusione distrutta: non sarà l'unica.

sabato 24 agosto 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Testi sacri»

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Testi sacri

L'applicazione dei metodi della critica storica ai cosiddetti testi «sacri» è contestata dalla Chiesa nel suo stesso principio: secondo lei, questi testi non sarebbero dei documenti come gli altri; essendo ispirati, potevano solo essere interpretati da lei. È facile confutare questo sofisma: la questione è sapere se questi testi sono ispirati, e si deve prima esaminarli per rendersene conto. Ma anche uno studio superficiale vi rivela degli errori, delle contraddizioni, delle flagranti improbabilità. Per sapere se questi testi ci dimostrano l'esistenza di Gesù sulla terra, è impossibile affermare in linea di principio che avrebbe ispirato lui stesso i racconti di questa esistenza. Per sapere se la Chiesa ha un privilegio quanto alla conservazione e all'interpretazione di questi testi, sarebbe importante stabilire che essa è di istituzione divina, che ha ricevuto questa missione, quindi che Gesù sarebbe arrivato sulla terra per conferirgliela: ciò non può essere ricercato che nei testi, esaminati alla sola luce della ragione. Ma questo studio non consente minimamente di concludere l'istituzione della Chiesa da parte di un certo Gesù, perfino per coloro che ammettono l'esistenza del personaggio. [2] Ricordiamo che tre evangelisti su quattro ignorano la missione di Pietro, tardivamente inserita a Roma nello pseudo-Matteo, [3] e che le Chiese d'Oriente non hanno mai voluto riconoscere la preminenza di quella di Roma. [4]

È pertanto necessario procedere ad una severa analisi dei testi. Ciò che si scopre è piuttosto sorprendente, ed è per questo che la Chiesa cattolica non ci tiene generalmente a lasciarli leggere dai suoi fedeli senza grandi precauzioni. Beninteso, essa si sforza di rispondere alle obiezioni; ma se numerosi credenti si accontentano di queste risposte senza guardare più da vicino, non ci tiene che la loro debolezza [5] sia messa in luce. Come disse Gerard de Nerval, gli uomini credono meno al miracolo non appena hanno l'idea di guardare nelle maniche del buon Dio. [6]

NOTE

[2] Si veda GUIGNEBERT: «Jésus», pag. 387. La parola «chiesa», che deriva dal greco «ecclesia» (assemblea), ha preso il suo significato attuale solo dall'esistenza di comunità cristiane. È servita a designare ciascuna di queste comunità, ben prima di designare il loro insieme. Da nessuna parte (a parte l'interpolazione «Tu sei Petrus ...»), si fa menzione delle fondazione o dell'idea iniziale di una chiesa unica, organizzata e gerarchica.

[3] La formula, per quanto importante, viene ignorata dallo pseudo-Marco, che si pretende essere stato discepolo di Pietro! È ignorata da Clemente nella sua epistola ai Corinzi (150 circa), da Ireneo (180 circa). Eppure entrambi possedevano allora una versione del testo originale attribuito a Matteo. Ancora nel IV° secolo, il vescovo Giulio I (337-352) tenterà di giustificare la preminenza romana solo per «l'usanza», senza invocare questo testo. 

[4] Ancora nel 1216, il patriarca di Costantinopoli obiettava:
«Roma ha esercitato il primato perché era allora la capitale dell'impero».

[5] Prese isolatamente, queste risposte possono essere fuorvianti. Ma, come ha scritto Renan: «Quando, per difendere la stessa tesi, dieci, cento, mille risposte sottili devono essere ammesse come vere allo stesso tempo, è la prova che la tesi non è buona» (Ricordi d'infanzia e di giovinezza).

[6] «Viaggio in Oriente».

venerdì 23 agosto 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Il contenuto»

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Il contenuto

Infine, anche se riconosciuto interamente autentico, il contenuto di un testo non può ancora essere accolto senza esame: tutto ciò che è scritto non è necessariamente vero, perché l'autore ha potuto mentire, essere ingannato, riferire un semplice sentito dire senza verificarlo,  o ancora colmare la sua ignoranza con l'immaginazione. Vedremo ad esempio come i redattori dei vangeli hanno rimediato alla loro totale ignoranza delle circostanze della morte di Gesù.

Un autore è solo un testimone, e tutte le testimonianze devono essere soppesate. Occorre prima accertare se l'autore abbia potuto conoscere i fatti di cui testimonia: è impossibile, se il periodo trascorso supera i cento anni, se scrive a Roma su dei fatti riguardanti la Palestina. Per le testimonianze dirette, più l'autore sembra intelligente e sincero, più saremo portati a dargli credito; se è credulone o interessato a mentire, diffideremo del suo racconto.

Non insisterò ulteriormente, perché sarebbe necessario ricordare qui tutte le regole della critica dei testi; ma ho pensato di dover richiamare l'attenzione sulla necessità di questa critica. Tutto ciò che si scrive sul giornale non è necessariamente vero; allo stesso modo, una narrazione non deve essere ammessa ciecamente per il semplice fatto che si trova riportata in un manoscritto del IV° secolo. Era tanto più facile a quell'epoca modificare o falsificare i testi poiché quelli esistevano solo in un numero limitato di copie.

Molte leggende sono così state distrutte, da quando la critica storica ha migliorato i suoi metodi. Prenderò solo un esempio: la stessa Chiesa ha da tempo ammesso la leggenda della papessa Giovanna, che aveva la sua statua a Roma; tuttavia, lo studio dei testi ha portato a relegare questa donna al rango dei miti. Si vede che la critica non gioca sempre contro la Chiesa. Interviene anche nel dominio profano: si è dovuta abbandonare la leggenda di Guglielmo Tell.

giovedì 22 agosto 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Le alterazioni»

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Le alterazioni

Se un testo è riconosciuto autentico in linea di principio, occorre verificare se non ha subito alterazioni. Troviamo numerosi esempi di interpolazioni (passi aggiunti all'interno di un testo), o perché una mano pia ha voluto precisare una lacuna, oppure perché si è approfittato della fama dell'autore per fargli così appoggiare una dottrina che non professava. Troviamo anche delle numerose correzioni, praticate (spesso in buona fede) dai copisti, sorpresi di leggere qualcosa di contrario a ciò che si era loro insegnato e desiderosi di correggere «l'errore».

Ciò che è più grave, è che troviamo anche testi completamente rimaneggiati o volontariamente distorti. Già, alla fine del II° secolo, Celso segnala l'abitudine che hanno i cristiani di modificare i loro vangeli secondo i bisogni delle controversie. [1] Una volta che ebbe fissato i suoi dogmi, la Chiesa procedette ad una revisione completa dei testi conservati.

Un'attenta analisi riconosce quindi tre strati successivi (almeno) nelle epistole di Paolo: l'ultimo tendeva a far dire all'autore primitivo il contrario di ciò che aveva scritto. Il vangelo attribuito a Luca non è che un rimaneggiamento di quello di Marcione, ma tende a imporre una versione esattamente opposta a quella di Marcione.

Bisogna allora sforzarsi di ricostruire il testo originale, distinguere e datare le modifiche successive: a volte è impossibile, spesso molto difficile, ma è alquanto raro che non si scopra, più o meno, un buon criterio.

NOTE

[1] L'opera di Celso è nota sfortunatamente solo dalle citazioni che ne fa Origene nel suo tentativo di confutazione: «Contra Celsum».

mercoledì 21 agosto 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Autenticità dei testi»

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Autenticità dei testi

Bisogna innanzitutto domandarsi se ogni testo sia autentico, vale a dire se abbia per autore quello a cui è attribuito: ciò si verifica dallo stile, dagli elementi linguistici, dai riferimenti di altre opere, ma anche dal contenuto (un racconto della guerra del 1870 non può essere attribuito a Balzac).

Ora, era pratica comune, agli inizi del cristianesimo, collocare degli scritti sotto il nome di un personaggio defunto o leggendario per meglio farlo ammettere. La Chiesa dovette così respingere dei «falsi» vangeli, attribuiti a vari apostoli dagli eretici. Ma lei stessa non disdegnò mai la procedura.

Nell'VIII° secolo ancora, essa fabbricava dei falsi documenti, in particolare una donazione attribuita all'imperatore Costantino (e perfino  una lettera scritta dall'apostolo Pietro... dall'alto del cielo) per convincere Pipino e Carlo Magno a costituire per lei un dominio temporale in Italia. Se la menzogna esiste nella Storia, è così frequente in quella del cristianesimo che degli autori hanno potuto domandarsi se possedessimo un solo documento autentico! Con riluttanza, la Chiesa ha dovuto abbandonare quelli la cui falsità era evidente. Ma il criterio che ha presieduto alla sua selezione non dipende da una critica razionale. Importa dunque rivedere i suoi giudizi.

Un testo non autentico non è sempre privo di interesse. Sebbene il vangelo attribuito all'apostolo Giovanni non sia chiaramente suo, e risale solamente alla fine del II° secolo (sotto la sua forma attuale), il suo contenuto può ancora insegnarci molte cose sulle origini cristiane.

In questo caso, è importante datare il documento e, per quanto possibile, cercarne l'autore reale. Non è sempre facile, ma gli elementi interni ed esterni consentono talvolta una certa approssimazione.

martedì 20 agosto 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Metodi e basi della ricerca»

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PRIMA PARTE

Gesù è esistito?

CAPITOLO I

METODI E BASI DELLA RICERCA

Per rispondere alla domanda posta, dovremo esaminare e discutere il contenuto dei testi. Dovremo anche confrontarci con i grandi dati della storia generale.

SEZIONE I

Metodo di critica dei testi

Come per qualsiasi problema relativo ad un passato lontano, e dato che l'archeologia è di scarsissimo aiuto in questo campo, dovremo rapportarci ai documenti scritti che ci sono pervenuti. Ma non ne consegue che dobbiamo accettare tutto ciò che è contenuto in questi documenti.

La storia si basa su un'analisi critica delle sue fonti, e le regole di questa analisi sono al giorno d'oggi ben precisate.

Ad esempio, noi ammettiamo l'esistenza di Giulio Cesare: numerosi scrittori antichi ce ne parlano, i loro racconti concordano sensibilmente, tutti i contemporanei hanno ammesso che era l'autore delle opere che gli sono attribuite, e l'archeologia conferma questi documenti scritti.

La soluzione è di gran lunga meno certa quando noi abbiamo una sola fonte: tutto dipende allora dal credito che si può accordare all'autore, alle sue informazioni, alle ragioni che avrebbe potuto avere di deformare la verità. Malgrado Virgilio, non crediamo affatto che Enea sia sbarcato in Italia. Non crediamo sempre a Erodoto sulla parola, sebbene le sue Storie contengano una gran parte di verità.

Quando si tratta di storia delle religioni, è necessaria la massima cautela, poiché gli autori hanno per obiettivo di imporre un credo e non di raccontare dei fatti, essi sono volentieri creduloni. Così cerchiamo di controllarli tramite degli elementi esterni: vedremo che per il cristianesimo tutte le fonti esterne si rivelano inconsistenti.

lunedì 19 agosto 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Divisione»

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Divisione

Il problema comporta logicamente due aspetti, che comporteranno la divisione di questo studio in due parti:

1°) Gesù è esistito? È un problema di Storia.

2°) Se non è esistito (o anche se, essendo esistito, non ha giocato alcun ruolo), come si è formato e diffuso il mito di Cristo? È un problema di storia delle religioni.

Le due questioni restano ovviamente collegate, in tal maniera che sarò portato, per chiarezza di esposizione, a dividere lo studio di alcuni testi, come le epistole di Paolo, e a tornare a certi argomenti. Mi è sembrato inevitabile procedere prima con la distruzione della leggenda, poi con una ricostruzione positiva.

domenica 18 agosto 2019

La Favola di Gesù Cristo — «La ricerca»

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La ricerca

Bisogna dunque evitare qualsiasi idea preconcetta, ed esaminare i testi con prudenza. 

Il problema rimane difficile, a causa dell'insufficienza e delle alterazioni della nostra documentazione. Non solo la Chiesa, almeno fino al IV° secolo, ha ritoccato i documenti che ci sono pervenuti, ma ha anche selezionato e fatto scomparire molti testi che ci sarebbero stati preziosi, così come ha conservato l'opera di Platone e fatto scomparire (o almeno contribuito a far scomparire) quella di Democrito. [7] Ma se le ricerche sono difficili in queste condizioni, diventano solo più appassionanti. Lenôtre disse, credo, che i non iniziati non potevano immaginare le gioie  intellettuali riservate agli specialisti del problema di Luigi XVII. Questa affermazione mi sembra ancor più vera per coloro che si concentrano sul problema delle origini cristiane.

NOTE

[7] Alfaric ha avanzato l'ipotesi che alcuni testi greci, ora perduti, avrebbero potuto essere distrutti molto prima dell'apparizione del cristianesimo da parte delle monarchie macedoni o greche (si veda Alfaric: «A l'école de la raison», introd. di Jacqueline Marchand, pag. 41). Ma Lucrezio conosceva ancora l'opera di Epicuro, e Cicerone leggeva quella di Democrito: tutto ciò esisteva a Roma, e nessun imperatore romano ne ordinò la distruzione. La chiesa, che pretende di essere stata custode della civiltà nel crollo dell'impero, ha conservato solo ciò che le sembrava favorevole, se non avesse cominciato da quel momento a bruciare le opere dei materialisti. E non dimentichiamo che Gregorio I (590-604) ha consegnato al fuoco numerose opere pagane.

sabato 17 agosto 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Gesù mito solare»

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Gesù mito solare

Nell'ammissione di queste diverse prove, conviene restare prudenti. La tesi del mito di Gesù ha talvolta sofferto di essere sostenuta troppo alla leggera, con argomenti dubbi o reversibili.

Ad esempio l'analogia del mito di Gesù con certi miti solari, che avrebbe impressionato papa Paolo III, può sembrare attraente, e non si è mancato di ripeterlo: nato al solstizio d'inverno, dotato di dodici discepoli corrispondenti ai dodici segni dello zodiaco, rinato all'equinozio di primavera, Gesù rassomiglia in ciò ad altre divinità solari. Ma queste analogie sono fuorvianti, e contrarie ai dati della Storia.

Non è per nulla certo che il numero di discepoli derivi da un simbolismo zodiacale. Non sarebbe piuttosto in relazione con le dodici tribù di Israele? Ma soprattutto, nulla stabilisce che i primi apostoli fossero dodici: gli stessi evangelisti non concordano sui loro nomi.

La natività del 25 dicembre è ben in relazione con un culto solare, ma per una deviazione molto tarda. La tradizione primitiva ignorava (e per una buona ragione) a quale data Gesù sarebbe nato, e celebrava questo evento in primavera; è ancora questo che ci riporta, nel III° secolo, Clemente di Alessandria. Ciò che si celebrava il 25 dicembre era la nascita di Mitra, dio solare; ed è per detronizzare il culto di Mitra, concorrente pericoloso, che la Chiesa romana fu mossa tardivamente a fissare il 25 dicembre la nascita di Gesù. Questo d'altronde non è l'unico caso in cui un festa pagana si trova all'origine di una festa liturgica. Ma questo trasferimento è sufficiente a rovinare l'argomento che si potrebbe derivare dalla data a favore di Gesù mito solare.

venerdì 16 agosto 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Divergenze»

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Divergenze

Io mi trovo dunque in buona compagnia, al seguito di tutti questi specialisti ai quali devo tanto. Ma non intendo mai fare appello alla loro autorità in quanto tale; se io cito Loisy, Couchoud o Alfaric, non è perché sostituisco la loro autorità a quella dei vangeli, è perché il valore della loro dimostrazione mi avrà convinto.

Accadrà che non io sono d'accordo con loro su certi dettagli. A differenza dei dogmi, la tesi degli storici razionalisti può comportare delle varianti, tenuto conto dell'incertezza dei documenti: è facile evidentemente sottolineare queste differenze, e opporle alla bella unità della dottrina cristiana! Quest'ultima procede da affermazioni non controllate, e beneficia di sedici secoli di unificazione: la Chiesa ha purgato le sue eresie, ma alle origini si sapeva ben poco sulla dottrina che si è imposta dopo secoli di lotte!

Noi, che non crediamo ad alcun dogma, che non abbiamo l'autorità centrale per unificare (e se necessario soffocare) le nostre divergenze, sappiamo bene che la conquista della verità è un compito laborioso. Abbiamo la triplice preoccupazione di comprendere prima come sono andate le cose, di verificare e di controllare le fonti confrontandole, infine di dimostrare quella che ci sembra essere la verità scoperta. Nessuno di noi chiede di essere creduto sulla parola, portiamo in piena luce i nostri argomenti e i nostri riferimenti.

Ma è inevitabile che rimangano molte oscurità, e questo margine di inesattezza porta a punti di vista contraddittori nei dettagli, nelle ipotesi necessarie.

Ciò che mi sembra straordinario, al contrario, è che le nostre conclusioni sono, nel complesso, così simili, che noi concordiamo sull'essenziale (l'esistenza stessa di un Gesù, che non sarebbe il fondatore del cristianesimo, essendo solo una questione secondaria); è il fatto che la scoperta dei manoscritti del Mar Morto sia arrivata esattamente a confermare le ricerche di Alfaric. Tutto ciò ci conferma che noi siamo sulla buona strada, e ancora di più la concordanza delle diverse prove, ciascuna di cui isolatamente sarebbe insufficiente, ma il cui insieme costituisce un monumento oramai incrollabile, perfino se restano alcuni dettagli da mettere a posto.

giovedì 15 agosto 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Cronistoria della tesi»

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Cronistoria della tesi

Sarà ripresa in Francia nel XVIII° secolo da Dupuis, per il quale Gesù, come qualsiasi altra divinità, non sarebbe che un mito solare («L'origine de tous les cultes», 1794).

Nel XIX° secolo, i tedeschi, poi gli inglesi, riprenderanno il problema con mezzi più scientifici. Le loro opere, divergenti sotto molti aspetti, porteranno a delle conclusioni piuttosto vicine, che saranno sintetizzate da Bauer (1842) e da Drews (1906: «Il mito di Cristo», tradotto in francese nel 1926 da Robert Stahl). I partigiani del mito hanno anche largamente beneficiato del lavoro degli storici rimasti fedeli alla tesi di una esistenza reale, specialmente della scuola tedesca di Tubinga, di Strauss.

Non è sorprendente che questi studi sono vecchi solamente di un secolo: oltre al pericolo che si associava in precedenza a tali ricerche, fu solo per uno studio scientifico dei testi che si è riuscito a scoprirli, per poi dimostrarne la natura artificiale. Tuttavia, il metodo della critica razionale dei testi è stato messo a punto solo nel XIX° secolo. Voltaire lo ha approcciato senza beneficiarne. Prima di lui, chi avrebbe osato mettere in dubbio l'autenticità integrale dei vangeli? Pascal derivò l'argomento, in buona fede, dei testimoni che si sarebbero fatti assassinare, senza dubitare dell'esistenza dei primi martiri. E Bossuet, come lo ricorda Renan, ammirava molto questo miracolo di «Ciro nominato duecento anni prima della sua nascita», senza sospettare che questa menzione prova, al contrario, che il passo di Isaia «dove Ciro è nominato è stato composto proprio al tempo di questo conquistatore». [6]

È Renan che rilanciò in Francia lo studio critico dei testi cristiani, seguito da Loisy, Turmel, Guignebert. Ma la tesi mitica non tardò a beneficiare del loro lavoro, e trionfò con Couchoud e Alfaric.

NOTE

[6] RENAN: «Souvenirs d'enfance et de jeunesse».

mercoledì 14 agosto 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Origini della tesi»

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Origini della tesi

Sebbene poco nota al pubblico, questa tesi non è nuova, e io non ho neppure la pretesa di basarla su dei nuovi argomenti. Proverò solo a presentarla in modo chiaro e completo, riunendo i diversi studi, a volte difficili da trovare, che sono già stati fatti, e soprattutto facendo la sintesi di opere frammentarie e sparse.

La tesi non è accettata all'unanimità dai razionalisti, anche se guadagna tra loro molto terreno. Prima del 1939, gli storici liberati (o che si credevano liberati) dai dogmi cristiani, si pronunciavano ancora a favore dell'esistenza di un uomo chiamato Gesù, crocifisso sotto Ponzio Pilato intorno all'anno 30 della nostra era. Era, nel secolo scorso, la posizione di Renan, ma le informazioni di Renan erano ancora insufficienti, e possiamo pensare che, se fosse vissuto ai nostri giorni, egli avrebbe rivisto la sua opinione. Più vicino a noi, Loisy, Turmel, Guignebert sono rimasti fedeli alla soluzione di Renan: sarà quindi utile esaminare i loro argomenti. Lo farò tanto più volentieri poiché questi argomenti mi sono a lungo apparsi decisivi. Ma in effetti, si vedrà, non vi è così tanto divario come appare tra questi punti di vista, perché il Gesù, di cui persistono ad ammettere la realtà, non avrebbe giocato alcun ruolo nell'origine della religione cristiana, per cui la sua esistenza resta senza interesse.

A quando data la tesi che fa di Gesù un puro mito? Evidentemente dalle origini, ma questo fa parte della dimostrazione. Da allora in poi, e se crediamo ad alcune testimonianze, essa sarebbe stata ammessa per la prima volta da ... dei papi! Leone X (1513-1521), per esempio, avrebbe dichiarato al suo segretario, il cardinale Bembo: «Si sa da secoli quanto questa favola di Cristo abbia recato profitto a noi e ai nostri». Da qui il titolo del presente libro.

Di gran lunga più precisa è la testimonianza dell'ambasciatore spagnolo presso il Vaticano Mendoza, riguardante il papa Paolo III (1534-1549). Secondo lui, questo papa «spinse l'empietà fino ad affermare che Cristo non era altro che il sole, adorato dalla setta mitraica, e Giove Ammonio, rappresentato nel paganesimo sotto la forma dell'ariete o dell'agnello. Spiegava le allegorie della sua incarnazione e della sua resurrezione col parallelo (letto in san Giustino) di Cristo e di Mitra ... Diceva che l'adorazione dei magi non era altro che la cerimonia nella quale i sacerdoti di Zoroastro offrivano al loro dio l'oro, l'incenso e la mirra, le tre cose assegnate alla stella della luce. Obiettava che la costellazione della Vergine, o meglio di Iside, che corrisponde a questo solstizio e che presiedette alla nascita di Mitra, era stata egualmente scelta come allegoria della nascita di Cristo, cosa che, secondo il papa, era sufficiente a dimostrare che Mitra e Gesù erano lo stesso dio. Osava dire che non esisteva alcun documento di irrevocabile autenticità che provasse l'esistenza di Cristo come uomo, e che, per lui, la sua convinzione era che egli non fosse mai esistito». [5]

Sarebbe occorsa a Paolo III una singolare incoscienza per fare tali osservazioni davanti a uno sconosciuto, e l'autenticità di queste parole mi sembra dubbia, perfino da parte dell'ex «cardinale del cotillon», divenuto papa mediante un sotterfugio piuttosto immorale e noto per il suo ateismo. Ma, quand'anche non avesse la garanzia di un sovrano pontefice, questa tesi è molto interessante, e Mendoza non ne ha inventato la sostanza. Si deve supporre che nel XVI° secolo si sarebbe avuto accesso a Roma, a seguito dell'arrivo di eruditi bizantini cacciati dal disastro del 1453,  di documenti che si sarebbe fatto sparire da allora? Non è impossibile. In tutti i casi, si deve riconoscere all'autore di queste osservazioni una singolare chiaroveggenza giacché, a dispetto di alcuni errori inevitabili, questa critica ai testi è molto avanzata per i suoi tempi. Ma la tesi sembra essere in seguito caduta in letargo, per mancanza di elementi e di un buon metodo di esegesi.

NOTE

[5] Maurice LACHATRE: «Histoire des papes», volume II, pag. 447, citato da P. Alfaric, Cahier du Cercle Ernest Renan, 3 trim. 1961.

martedì 13 agosto 2019

La Favola di Gesù Cristo — «La tesi»

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La tesi

Non è dunque in virtù di un ragionamento logico a priori, tanto meno in virtù di una propensione alla negazione, che sarò portato ad assicurarvi, come ha fatto Prosper Alfaric alla Sorbona, il 17 dicembre 1946, che «Gesù è un puro mito, analogo a Osiride, Adone, Attis, Mitra, Ermes o Apollo». [4] È perché uno studio attento dei testi mi ha condotto (lentamente) alle seguenti conclusioni, che mi propongo di dimostrarvi:

1°) Non abbiamo alcuna prova dell'esistenza dell'uomo Gesù; tutte quelle che invocano i credenti sono incoerenti o false;

2°) La nascita e la diffusione del cristianesimo si spiegano allo stesso modo, che Gesù sia esistito o meno, perché Gesù non è il fondatore del cristianesimo;

3°) Il cristianesimo è nato in Siria, non in Palestina;

4°) Il mito di Cristo si è formato lentamente, a partire da elementi eterogenei; non è il frutto di un fatto accaduto ad una data precisa nella storia, ma il risultato di un'elaborazione graduale, nella quale sono intervenute delle numerose influenze estranee all'ambiente ebraico.

Detto altrimenti, il Cristo è un mito composito, sul quale si è innestato nel II° secolo la leggenda di un Gesù immaginario.

NOTE

[4] P. ALFARIC: «Les origines sociales du christianisme», conferenza pubblicata presso Cahiers Rationalistes (1947, n° 93).

lunedì 12 agosto 2019

La Favola di Gesù Cristo — «La Ragione»

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La Ragione

Intendo, in effetti, fare appello alla vostra ragione e non imporvi una nuova dottrina.

Che Gesù sia esistito o no, è un fatto, questo non è un dogma. Un fatto storico si prova tramite i testi: nessuno può dire a priori se sia esatto o meno.

Ammettere l'esistenza di Gesù non è affatto contrario alla ragione: nulla contraddice la possibilità dell'esistenza di un fondatore della religione. Noi sppiamo che parecchie religioni sono state istituite da degli uomini la cui esistenza è ben stabilita, come Maometto, Lutero, il padre Antonio o il Cristo di Montfavet. Ciò pone un problema molto diverso: quello della presa che questi uomini sono riusciti a esercitare su certi spiriti, avidi di miracoli o del soprannaturale; ma la loro esistenza è esente da ogni discussione.

In altri casi, noi non sappiamo affatto come sia nata la leggenda, ma ammettiamo la possibilità che si basi sull'esistenza di un uomo, divinizzato dopo la sua morte. Tale è il caso del Buddha, di Ercole. L'esistenza di Mosè è incerta ma possibile.

Infine, in un gran numero di altri casi, vediamo che il mito ha preceduto l'umanizzazione dell'eroe: si è prestata a Osiride, ad Adone, a Mitra, ad Attis, a Dioniso, un'esistenza terrestre, sebbene nulla supporti questi fatti; al contrario, vediamo che, in questi culti, il ​​rito è anteriore alla leggenda, da cui noi concludiamo logicamente che si è creata la leggenda per spiegare il rito.

Ora, numerosi fedeli hanno creduto all'esistenza terrena, alla morte e alla resurrezione di Osiride, di Adone, di Attis o di Mitra. Dato che questi culti sono estinti, nessuno ne difende più la leggenda, che si basava su un dogma e non su un fatto. Ma si avrebbe oltraggiato i credenti di queste religioni negando l'esistenza reale del loro dio incarnato.

Razionalmente, nel caso di Gesù, nulla permette di propendere per una soluzione piuttosto che per l'altra. L'educazione e l'abitudine sole ci fanno paragonare Gesù a  fondatori reali, ma vi si deve guardare più da vicino.

domenica 11 agosto 2019

La Favola di Gesù Cristo — «L'impostura»

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L'impostura

Allora, direte voi, tutto è dunque «falsificato»? Senza alcun dubbio: la storia del cristianesimo si basa su una monumentale impostura. «Più si avanza nella ricerca delle origini del cristianesimo, più ci si rende conto che si basano su un immenso inganno». [3]

I vangeli sono stati scritti nella seconda metà del II° secolo da delle persone che non sapevano nulla di Gesù. I testi che ci sono pervenuti sono stati rimaneggiati fino al IV° secolo. La Chiesa ha «corretto» alla sua maniera le epistole di Paolo, ha fatto scomparire un buon numero di testi che la disturbavano. Ma ha potuto farlo solo al prezzo di lunghe lotte e controversie, la cui storia occupa parecchi secoli. Oggi non si insegna che una storia rifabbricata, guardandosi bene dall'insistere sulle contraddizioni che sussistono (perché, fortunatamente per gli storici, la correzione è molto imperfetta). 

Un immenso inganno, una monumentale impostura, pensate che questo non meriti di essere studiato, dimostrato, denunciato? Sentitevi liberi di pensare che sia meglio attenersi a una comoda leggenda, che non disturba affatto le vostre abitudini di pensiero. Ma se il problema vi interessa, se stimate che valga almeno la pena di sapere come pretendiamo di distruggere quella leggenda, allora leggete e giudicate da voi stessi.

NOTE

[3] G. Ory, Cahier du Cercle Ernest Renan, 4° trim. 1960.

sabato 10 agosto 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Il paradosso»

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Il paradosso

Non basta dire, scrollando le spalle, che negare l'esistenza storica di Gesù è un'opinione stravagante. Io mi propongo di dimostrare che Gesù non è mai esistito, io chiedo di esaminare gli argomenti: rifiutare di prenderne conoscenza non è una posizione oggettiva.

Inoltre, perché questa opinione sarebbe stravagante? Si è impresso nel vostro cervello, fin dall'infanzia e per un incessante lavaggio del cervello, che, quasi duemila anni fa, dei perfidi ebrei avrebbero ottenuto da Ponzio Pilato, governatore romano della Giudea, la condanna di un innocente, di un uomo dolce e mite che predicava una morale di carità. Ma perché Pilato, che non aveva alcun motivo di addossarsi la memoria di questo crimine, avrebbe consapevolmente condannato un innocente al supplizio della croce?

Perché, senza dubbio risponderete, se non si ammette questo fatto, la nascita e la diffusione del cristianesimo diventano inspiegabili. E se vi dimostro che si spiegano senza questo fatto?

Perché, direte ancora, se Gesù non è esistito, non si può comprendere l'ostinazione degli apostoli, il loro martirio. E se vi dimostro che nemmeno gli apostoli sono esistiti, che il loro martirio non è che una bella leggenda, che nessuno sa dove e come sarebbero morti Pietro e Paolo, che nel III° secolo della nostra era Origene ignorava tutto della loro fine, ma assicurò che il numero di martiri era scarsamente importante?