mercoledì 20 marzo 2019

LE TESTIMONIANZE SULLA STORICITÀ DI GESÙ di Arthur DrewsPlinio e Svetonio.

Il Talmud.
LE TESTIMONIANZE ROMANE

1. PLINIO E SVETONIO

Veniamo ora alle testimonianze romane sulla storicità di Gesù.

Di Plinio il Giovane non è necessario parlare ulteriormente a questo proposito. Fu trascinato nella discussione del “mito di Cristo” in una fase posteriore, semplicemente per ampliare la lista dei testimoni della storicità di Gesù. Nessuno crede seriamente che tali prove siano state trovate in Plinio. [1] Nella sua corrispondenza con l'imperatore Traiano, che si ritiene abbia avuto luogo intorno all'anno 113, e che si occupa del problema di come Plinio, da Proconsole della provincia di Bitinia in Asia Minore, doveva comportarsi nei confronti dei cristiani, informa l'Imperatore che gli aderenti alla setta cantano inni a Cristo all'alba “come se fosse un dio (quasi deo). Ciò che questo prova riguardo la realtà storica dell'uomo Cristo dovremmo essere soddisfatti di averlo spiegato razionalmente. [2] Ciò che è stato detto sull'argomento fino ad oggi è semplicemente frivolo, adatto solo ad una cerchia di lettori o ascoltatori completamente sprovvisti di pensiero. Eppure perfino un uomo come Jülicher non esita a citare Plinio tra i testimoni profani. Menziona anche Marco Aurelio, che esprime la sua ira contro i cristiani nelle sue Meditazioni (intorno all'anno 175!),e ci assicura che ciò che vi è inteso per cristianesimo è la comunità di coloro che credevano nel Gesù dei nostri e dei loro vangeli come loro Dio e Salvatore (pag. 17). Siamo grati per questa “informazione”, ma dovremmo aspettarci che uno studioso come Jülicher abbia qualcosa di più serio da dirci sull'argomento.

Sembra esserci più significato nelle parole dello storico romano Svetonio (77-140 E.C.), che ci comunica nella sua Vita di Claudio (25) che quell'imperatore “espulse da Roma gli ebrei perché, su istigazione di Chrestus, stavano perpetuamente creando problemi” (Claudius Judaeos impulsore Chresto  assidue tumultuantes Roma expulit). Se solo sapessimo esattamente chi sia inteso con questo Chrestus! Il nome nel testo non è “Christus”, ma “Chrestus” (e in alcuni manoscritti Cherestus), che non è affatto la consueta designazione di Gesù, mentre si tratta di un nome comune, specialmente tra i liberti romani. Quindi l'intero brano di Svetonio non può avere nulla a che fare con la menzione del cristianesimo. Può anche riferirsi a qualsiasi disturbo causato tra gli ebrei da un certo Chrestus, e non dice molto per lo spirito “scientifico” dei teologi il fatto che lo interpretano nel loro senso personale senza ulteriori indugi.

È stato fatto un tentativo di collegare il passo di Svetonio all'attesa messianica degli ebrei, e di interpretarlo nel senso di un riferimento o a dispute nella comunità ebraica a Roma dovute alla credenza di coloro che sostenevano che Gesù fosse il Messia che si aspettavano tutti, oppure ad una generale agitazione dell'ebraismo romano a causa delle sue idee messianiche e dell'ostilità al mondo pagano. La prima alternativa, tuttavia, non è molto utile in considerazione del fatto che, quando Paolo venne a Roma circa dieci anni dopo per predicare il vangelo, sembra che gli ebrei non avessero saputo nulla di nulla circa Gesù; e, secondo il resoconto in Atti, il suo arrivo non portò alcun disturbo tra loro. [3] La seconda alternativa, d'altra parte, non contiene alcuna prova della storicità di Gesù, poiché, anche se sostituiamo Christus al posto di Chrestus, “Christus” è semplicemente la traduzione greco-latina di “Messia”, e la frase “su istigazione di Chrestus” si riferirebbe al Messia in generale, e non necessariamente al particolare Messia Gesù come una personalità storica. [4]

In ogni caso, comunque interpretiamo il passo di Svetonio, non ha alcun peso sulla questione della storicità di Gesù. Jülicher e Weinel lo ammettono quando omettono Svetonio nella loro enumerazione di testimoni profani. J. Weiss ammette a sua volta: “Il passo di Svetonio relativo ai disordini ebrei a Roma al tempo dell'‘impulsore Chresto’ di Claudio tradisce una conoscenza così inaccurata dei fatti che non può essere considerata seriamente una testimonianza” (pag. 88).

NOTE

[1] È caratteristico della tattica dei nostri avversari il fatto che certi scrittori cattolici hanno cominciato ad appellarsi a Porfirio, il filosofo neoplatonico, che visse nel 232-304 E.C. Scrisse parecchie opere contro il cristianesimo, che conosciamo solo per via indiretta dalle confutazioni di Metodio e di Eusebio. Nessuno può dire precisamente cosa contenevano, siccome l'Imperatore Teodosio II, ordinò prudentemente che venissero bruciati in pubblico nell'anno 435. Cosa importa di ciò al teologo fintantoché egli può portare un nome in più nel campo?

[2] Per di più, l'autenticità di questa corrispondenza di Plinio e di Traiano non è affatto certa. Giustino non la menziona in un'occasione quando dovremmo aspettarci che lo faccia, e perfino il presunto riferimento di Tertulliano ad esso (Apol., cap. 2) è molto dubbio. La tendenza delle lettere a porre i cristiani in una luce il più possibile favorevole è troppo ovvia per non destare qualche sospetto. Per quelle e altre ragioni la corrispondenza è stata dichiarata spuria da esperti perfino al tempo della sua prima pubblicazione, al principio del sedicesimo secolo; e autorità recenti, come Semler, Aubé (Histoire des Persecutions de l'Église, 1875, pag. 215, ecc.), Havet (Le Christianisme et ses Origines, 1884, IV, 8), e Hochart (Études au Sujet de la Persecution des Chretiens sous Neron, 1885, pag. 79-143; confronta anche Bruno Bauer, Christus und die Cäsaren, 1877, pag. 268, ecc., e l'opera pubblicata in forma anonima di Edwin Johnson, Antiqua Mater, 1887), che hanno disputato la sua autenticità, o nella sua totalità oppure in punti specifici.

[3] Atti 28:17, ecc.

[4] Nella sua Geschichte der Römischen Kaiserzeit, Bd. I, Abt. I (1883), pag. 447, Hermann Schiller collega a sua volta l'espulsione degli ebrei sotto Claudio ai loro disturbi locali, e dice: “È tempo di desistere dalla pratica di identificare l'impulsor Chrestus in Svetonio con Cristo. Parole che terminano in ‘tor’ stanno per una proprietà costante, oppure per un atto che imprime un carattere definito e permanente sul soggetto in questione; in nessun caso possiamo riferire questo a Cristo, che non era mai stato a Roma, e non era più vivo da parecchio; l'attività dell'impulsor può legarsi solo agli assidue tumultuantes ivi riferiti”.

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