lunedì 18 marzo 2019

LE TESTIMONIANZE SULLA STORICITÀ DI GESÙ di Arthur DrewsFlavio Giuseppe.

Filone e Giusto di Tiberiade.
2. FLAVIO GIUSEPPE. 

Dobbiamo successivamente vedere come stiamo in relazione allo storico ebreo Flavio Giuseppe (37-100 E.C.), il contemporaneo e l'oppositore politico di Giusto di Tiberiade. È il primo scrittore profano che può essere seriamente citato per la storicità di Gesù. Giuseppe scrisse tre grandi opere: la storia degli ebrei, la storia dell'ultima guerra ebraica, e una difesa della religione ebraica. In queste, secondo il punto di vista teologico, non può avere avuto alcuna occasione per trattare la comparsa di Gesù, un episodio di nessun significato nella storia degli ebrei, o il cristianesimo. Al tempo in cui scriveva il gruppo era quasi estinto come una setta ebraica, e in ogni caso di nessuna rilevanza di sorta. Per di più, dicono i teologi, sarebbe stato difficilissimo per lui trattarlo dal punto di vista di entrambe le parti.

Ma Giuseppe ha menzionato personaggi molto meno importanti che, come Gesù, originarono un movimento messianico e subirono la morte per questo.

Giuseppe ci ha lasciato un ritratto luminoso di Pilato. Lo dipinge in tutta la sua brutalità e mancanza di scrupoli. [1] Possiamo supporre che si fosse trattenuto dal raccontare come, nel caso di Gesù, i suoi compatrioti costrinsero l'orgoglioso romano a cedere a loro? O non sapeva nulla di tali eventi? È possibile che non abbia mai sentito parlare degli avvenimenti emozionanti che, come riportano i vangeli, si sono verificati nella metropoli della Giudea — l'entrata trionfale di Gesù a Gerusalemme, mentre la gente lo acclamava come il Messia atteso, l'ira montante dei partiti al potere, la cattura di Gesù di notte, il turbamento davanti alla dimora del Governatore, l'abbandono di uno del loro stesso popolo da parte del Sinedrio alle odiate autorità romane, la scomparsa del corpo dal sepolcro, ecc.? Non sarebbe facilissimo dimostrare che Gesù e le sue vicende sembrassero “insignificanti” a Giuseppe nella stesura della storia degli ebrei, e che la setta da lui portata in esistenza sembrasse indegna di menzione. A quel tempo il movimento cristiano avrebbe dovuto raggiungere un posto di rilievo nella vita pubblica e attirare l'attenzione generale. Può essere definito un fatto insignificante il momento in cui una nuova setta religiosa entra in una tale rivalità con l'antica religione, da cui è scaturita, come quella che si ascrive al cristianesimo primitivo negli Atti degli Apostoli, [2] e questo solo un brevissimo tempo dopo la morte del suo fondatore? Dobbiamo solo rammentare le tremila anime che dovrebbero essere state battezzate in un unico giorno a Gerusalemme, nel cuore stesso del culto ebraico! Si tratta, naturalmente, di un'enorme esagerazione cristiana; ma, in ogni caso, il cristianesimo deve aver fatto grandi progressi prima della distruzione di Gerusalemme, se vogliamo prestare qualche fede di sorta al racconto dei suoi primi anni dato nel Nuovo Testamento.

È stato suggerito che Giuseppe celasse ai Romani l'intero movimento messianico tra il suo popolo  e desiderasse rappresentare gli ebrei come cittadini estremamente innocui, pacifici e filosofici; e questo spiega la sua singolare condotta. In altre parti delle sue opere, tuttavia, Giuseppe non manifesta la minima difficoltà circa le agitazioni messianiche del popolo della Palestina. Nelle Antichità, [3] ad esempio, illustra l'episodio del falso Messia che indusse i Samaritani a salire con lui sul sacro monte Garizim, dove avrebbe mostrato loro i vessilli sacri che si credeva fossero stati ivi sepolti da Mosè, e avrebbe potuto così infiammarli per insorgere contro i loro padroni romani. Racconta di Giuda il Gaulonita, che aizzò il popolo contro il censimento di Quirino. [4] Riferisce anche di come Teuda pretendesse di essere un profeta e dicesse di poter indurre, con la sua sola parola, le acque del Giordano a dividersi, e permettere così a coloro che lo seguirono di attraversare in sicurezza. [5] Qualcuno crede seriamente, infatti, che Giuseppe potesse aver nascosto ai romani, che avevano a lungo governato la Palestina e che erano più accuratamente informati quanto alla disposizione dei loro sottoposti, le speranze e le agitazioni messianiche dei suoi compatrioti, e averli rappresentati innocui, in opere che erano particolarmente interessate alle loro tese relazioni con i loro oppressori? Sarebbe più o meno la stessa cosa se un polacco, scrivendo la storia del suo paese, dovesse, pur di allontanare una cattiva percezione dei suoi compatrioti, non dire nulla del loro sogno di una restaurazione dell'antico regno di Polonia, e rappresentare i polacchi “cittadini estremamente innocui, pacifici e filosofici”!

Anzi, non è affatto meno ridicolo rendere ogni simile sentimento così tenero per la sensibilità di Roma il motivo del singolare silenzio di Giuseppe, come fanno Weinel e molti altri teologi, di quanto lo sia per von Soden, un altro teologo, dichiarare che Giuseppe sarebbe stato “imbarazzato” di pronunciare un giudizio sui cristiani e il capo della loro setta da entrambe le prospettive. [6] Quali prospettive intende? Dalla prospettiva romana? Ma potrebbe essere stata una questione di completa indifferenza per loro quale giudizio un Giuseppe avrebbe pronunciato su ciò che era — così von Soden avrebbe voluto farci credere — agli occhi dello storico ebreo, la setta insignificante dei cristiani? Intende dalla prospettiva ebraica? Sarebbero stati del tutto d'accordo con lui se l'avesse condannata. È suggerito che avesse un'opinione favorevole dei cristiani? Questo è, in effetti, il punto di vista di J. Weiss, e si armonizza molto bene con la predilezione di Giuseppe per gli esseni. Gli sembra un'indizio di “una disposizione amichevole, o almeno imparziale” il fatto che Giuseppe non menzioni i cristiani e il loro fondatore. Rifiuta quindi il punto di vista, avanzato da Jülicher, secondo il quale Giuseppe non disse nulla intorno ai cristiani perché la loro setta poteva screditare la fede ebraica. Secondo Jülicher, “non è difficile indovinare” perché Giuseppe abbia omesso la setta cristiana dal suo racconto:  “non per vergogna e non per odio, ma perché non poteva proprio allo stesso tempo rappresentare gli ebrei, a cui era principalmente interessato, come sostenitori della monarchia romana e della civiltà umana, e descrivere i cristiani (del primo secolo), che erano considerati nemici del mondo intero, come un prodotto dei suoi pacifici ebrei. Essere silenti intorno a loro era una tattica più astuta che vigorosamente scuoterseli di dosso” (!). È singolare quali cose stupefacenti diranno questi teologi. Giuseppe non avrebbe fatto di meglio, se ci avesse badato come dice Jülicher, che aver separato sé stesso il più possibile dai cristiani? “Allo stesso modo in cui condanna gli zeloti”, dice Weiss, "che erano responsabili di tutte le disgrazie del suo paese, egli avrebbe avuto un'occasione adatta per marchiare i folli o i fanatici che avevano tratto queste false conclusioni dai detti dei profeti; per lui specialmente i cristiani devono essere stati i più adatti parafulmini”. Secondo Weiss, quindi, il silenzio di Giuseppe non è “nessun segno di odio per i cristiani, ma piuttosto il contrario. Un nemico dei cristiani avrebbe sicuramente attirato l'attenzione su di loro per dispensare l'ebraismo dall'accusa di avere qualcosa a che fare con la setta”. “Il suo silenzio è ancora più sconcertante” (pag. 90). Non potrebbe essere la semplice spiegazione il fatto che al tempo di Giuseppe i cristiani non differivano a sufficienza dall'ebraismo ufficiale per richiedere una menzione speciale? Non dobbiamo concludere da questo silenzio di Giuseppe che egli non sapesse nulla intorno a Gesù, però, se Gesù fosse realmente esistito e le cose fossero successe come afferma la tradizione, egli avrebbe certamente dovuto sentirne parlare e menzionarlo, così come menziona un Giovanni il Battezzatore e si riferisce ad altri pretendenti al titolo messianico e agli istigatori del popolo? Weinel sostiene che Giuseppe avrebbe solo potuto contare da testimone contro la storicità di Gesù se avesse parlato del cristianesimo e avesse taciuto soltanto circa Gesù (pag. 107). Ma che cosa se lui non ebbe nessuna occasione di parlarne perché la nostra intera visione moderna della nascita della cristianità, e del ruolo che ha svolto durante il primo secolo, è radicalmente falsa?

Giuseppe, tuttavia, non tace su Gesù. Nelle sue Antichità Giudaiche (18, 3, 3) leggiamo: “Allo stesso tempo, circa, visse Gesù, uomo saggio, se pure uno lo può chiamare uomo; poiché egli compì opere sorprendenti, e fu maestro di persone che accoglievano con piacere la verità. Egli conquistò molti Giudei e molti Greci. Egli era il Cristo. Quando Pilato udì che dai principali nostri uomini era accusato, lo condannò alla croce. Coloro che fin da principio lo avevano amato non cessarono di aderire a lui. Nel terzo giorno, apparve loro nuovamente vivo: perché i profeti di Dio avevano profetato queste e innumerevoli altre cose meravigliose su di lui. E fino ad oggi non è venuta meno la tribù [setta?] di coloro che da lui sono detti Cristiani”.

Qui, a quanto sembra, abbiamo quello che cerchiamo. Sfortunatamente, l'autenticità del brano non è in alcun modo ammessa. Ci sono due opinioni su di esso. Secondo un punto di vista, l'intero passo è un'interpolazione; secondo l'altro, è stato semplicemente alterato da una mano cristiana.

Esaminiamo le parole di Giuseppe che rimangono dopo l'espulsione delle presunte possibili interpolazioni. Sono come seguono: “Allo stesso tempo, circa, visse Gesù, uomo saggio. Egli conquistò molti Giudei e molti Greci. Quando Pilato udì che dai principali nostri uomini era accusato, lo condannò alla croce. Coloro che fin da principio lo avevano amato non cessarono di aderire a lui. E fino ad oggi non è venuta meno la setta di coloro che da lui sono detti Cristiani”. Immediatamente prima di questo Giuseppe racconta di una sollevazione degli ebrei, a causa di un duro sentimento per la condotta di Pilato, e della sua soppressione sanguinosa da parte del potere dominante. Le parole che seguono immediatamente il brano sono: “Intorno a questo medesimo tempo un'altra grave disgrazia scompigliò gli ebrei”; e ci viene raccontato dell'espulsione degli ebrei da Roma da parte di Tiberio a causa della condotta di alcuni dei loro compatrioti.

Qual è il legame tra il riferimento a Gesù e queste due narrative? Che ci debba essere qualche legame, se Giuseppe in persona ha scritto il passo su Gesù, va da sé, in considerazione del carattere dello scrittore. Giuseppe è sempre attento ad avere un legame logico tra le sue affermazioni. La repressione degli ebrei da parte di Pilato, naturalmente, dev'essere stata considerata da Giuseppe “una disgrazia”. Allo stesso modo capiamo la preoccupazione dello storico ebreo per l'espulsione dei suoi compatrioti da Roma. Questi due episodi sono direttamente legati per loro stessa natura. Ma che cosa hanno a che fare con loro la condanna e la crocifissione di Gesù? Se Giuseppe considerava davvero il fato di Gesù una disgrazia del suo popolo, perché si accontentò di dedicargli un paio di frasi magre e inespressive? Perché stette zitto intorno ai seguaci di Gesù? Abbiamo già visto che le ragioni solitamente avanzate per questo silenzio sono senza valore. Da un punto di vista razionale, Giuseppe non ebbe alcuna occasione di mettere il brano circa Gesù nella connessione in cui lo troviamo. Che, d'altra parte, i cristiani successivi avessero tutto l'interesse ad inserire il brano, e di inserirlo proprio in questo punto, dove vi è menzione di eventi nel tempo di Pilato e delle disgrazie degli ebrei, è abbastanza chiaro; dev'essere stato per i cristiani un fatto di profondo stupore e preoccupazione che a tale proposito non ci fosse nemmeno una parola intorno a Gesù, il cui nome era per loro intimamente legato a quello di Pilato. E non era la condanna di Gesù su richiesta dei capi ebrei la più grande disgrazia che gli ebrei avessero mai affrontato? [7] Nell'edizione di Origene pubblicata dai Benedettini è detto [8] che non c'era assolutamente nessuna menzione di Gesù in Flavio Giuseppe prima del tempo di Eusebio (300 E.C. circa, Storia Ecclesiastica, 1, 11). Per di più, nel sedicesimo secolo Vossius aveva un manoscritto del testo di Flavio Giuseppe in cui non c'era una parola circa Gesù. Sembra, perciò, che il passo debba essere stato un'interpolazione, sia che sia stato o meno modificato successivamente. Siamo condotti alla stessa conclusione dal fatto che né Giustino, né Tertulliano, né Origene, né Cipriano citano mai Giuseppe come testimone nelle loro controversie con ebrei e pagani. Eppure Giustino, almeno, non avrebbe potuto avere argomenti migliori della testimonianza di un compatriota nel suo dialogo con l'ebreo Trifone. Infatti, Origene dice espressamente che Giuseppe non aveva riconosciuto Gesù come il Messia. [9

Le stesse difficoltà sorgono per quanto riguarda l'altro passo di Giuseppe, [10] dove lo storico ebreo racconta come il più giovane Anano (Anna), nel momento in cui il governatore Festo morì e il suo successore Albino era ancora in viaggio, convocò un Consiglio, vi portò dinanzi Giacomo, il “fratello di Gesù, che fu chiamato Cristo”, e fece lapidare lui e alcuni altri per trasgressione della legge (62 E.C.). È estremamente dubbio se Giacomo sia interpretato da Giuseppe come il fratello biologico di Gesù, poiché la fratellanza potrebbe benissimo significare soltanto la sua appartenenza alla setta di Gesù. In quel senso Giuseppe avrebbe semplicemente detto che Giacomo era un “fratello di Gesù”, oppure il capo di coloro che veneravano il Messia (Cristo) sotto il nome di Gesù. È più probabile, tuttavia, che questo passo sia a sua volta una successiva interpolazione, come Credner [11] e Schürer sono disposti ad ammettere. Anche Weiss (88) considera questo passo nel testo un'interpolazione cristiana; e anche Jülicher dice, nel suo saggio su “La Religione e il Principio del Cristianesimo”, in Kultur der Gegenwart (seconda edizione del 1909) di Hinneberg, che Giuseppe lascia Gesù “non menzionato” (loc. cit., pag. 43).

Comprendiamo, perciò, perché Origene non sa nulla del passo. Nella sua opera polemica contro Celso non ne parla quando viene a parlare di Giacomo, [12] sebbene si riferisca ad un altro in cui Giuseppe rappresenta la distruzione di Gerusalemme una punizione degli ebrei per aver messo a morte Giacomo; il che certamente non concorda con i fatti.

NOTE

[1] Antichità Giudaiche 18:3, 1 e 2; 4, 1, ecc.

[2] 2:41.

[3] 18:4, 1.

[4] Antichità 18:1, 1; 1, 6; 20:5, 2; Guerra Giudaica, 2:8, 1.

[5] Antichità 20:5, 1.

[6] Hat Jesus gelebt?, pag. 13.

[7] Si veda Origene, Contra Celsum, 1:47.

[8] 1:362.

[9] Contra Celsum 1:47.

[10] Antichità 20:9, 1.

[11] Einleitung in das neue Testament, 1836, pag. 581.

[12] 1:47. 

Nessun commento: