giovedì 31 gennaio 2019

«Il Dio Gesù» (di Paul-Louis Couchoud) — La leggenda umana di Gesù (XX): L'UMANIZZAZIONE DI GESÙ

(segue da qui)

PARTE QUINTA

LA LEGGENDA UMANA DI GESÙ

L'UMANIZZAZIONE DI GESÙ

Nella persecuzione legale e continua, i cristiani del secondo secolo si sono purificati, fortificati. Essere trattati da criminali quando si è virtuosi, quale forza! Hanno sperimentato una sublime conformità tra la loro fede e la loro vita. Gesù si avvicina tragicamente a loro. Paolo aveva raccomandato ai Filippesi di imitare l'umiltà di Cristo Gesù, il quale essendo Dio si è fatto obbediente fino a prendere forma di schiavo al fine di morire in croce. Ora i fedeli imitano più da vicino il Dio suppliziato, loro che sono repressi nei tormenti. Il Dio salvatore diventa per loro il prototipo del martire. Per il loro sangue costantemente offerto, l'avvicinamento a Gesù proseguirà, deificando il martire, umanizzando Gesù.
Ne abbiamo la chiave nella Epistola agli Ebrei, l'opera di un istruttore ispirato che su dei punti importanti modifica la dottrina di Paolo. Egli si rivolge ai cristiani di origine ebraica di una grande chiesa (apparentemente quella di Antiochia) che sembra aver raccolto molti sacerdoti sacrificatori, indifesi e abbandonati dalla distruzione del Tempio di Gerusalemme (V. Burch.) Per questo uditorio d'elitè l'autore presenta una immagine nuova di Gesù, dove si fondono in una sintesi l'Agnello immolato di Giovanni e il Crocifisso di Paolo. Gesù è sia la Vittima divina che il Sommo Sacerdote che offre il suo sangue nel santuario eterno. La crocifissione è la preparazione dell'atto redentore. Questo si realizza tramite l'entrata di Gesù nel Tempio celeste, secondo la figura del sommo sacerdote ebreo che penetra, il giorno dell'Espiazione, nel Santo dei Santi per aspergere di sangue il piatto sacrale. L'umanità ha ora il suo Sommo Sacerdote permanente. Presenta il suo proprio sangue in espiazione. Il suo sacerdozio eterno, annunciato misteriosamente da Melchisedec, abroga il sacerdozio levitico. Gesù, nostro Sommo Sacerdote misericordioso, nostro perpetuo intercessore, è alla pietà cristiana un'immagine più vicina e più dolce rispetto all'Agnello terribile dell'Apocalisse, rispetto al Crocifisso stesso di Paolo, che si fa beffe dei suoi carnefici demoniaci.
In Paolo, la morte redentrice di Gesù è nell'atemporale. È un atto divino costantemente continuato fino alla Manifestazione prossima di Gesù. Nell'Epistola agli Ebrei ha avuto luogo, al contrario, nel tempo,  una sola volta per tutte (hapax). Non si ripeterà mai. L'autore esige, con tutta la sua grande anima severa, che gli apostati che, per vigliaccheria, hanno rinunciato alla redenzione che devono al sangue di Cristo, non possono più essere redenti. È nel rigore intransigente dei primi giorni di persecuzione. Con questa decisione di interesse penitenziale, la Redenzione degli uomini diventa un fatto realizzato. Si esprime all'aoristo, il tempo storico. Questo è di grande conseguenza per l'origine dei vangeli. Dove fissare nella Storia la morte-resurrezione di Gesù? Era naturale collocarla alla fine dei tempi, poco prima delle cristofanie accordate a Pietro, ai Dodici, ai cinquecento fratelli di Gerusalemme. Sarà difficile ora mantenerla al di sopra della terra. Perché non avrebbe avuto luogo sulla terra? L'autore di Ebrei, idealista se mai vi fosse stato uno, non arriva affatto fino a questa conclusione. Per lui, il sacrificio sacerdotale di Gesù, per quanto sia temporale, non è affatto un avvenimento di questo mondo. Ha avuto luogo fuori dal mondo e i cristiani devono uscire dal mondo se vogliono incontrare il Crocifisso: “Gesù patì fuori della porta della città per santificare il popolo. Usciamo dunque anche noi fuori dal campo per andare verso di lui, portando il suo obbrobrio, perché non abbiamo quaggiù una città duratura (13:12). Presto una pietà più realista conoscerà in questo mondo inferiore il luogo preciso che ha inumidito il sangue del Redentore.
Paolo infine, guidato e ossessionato dalla sua grande antitesi tra la carne e lo spirito, riconosce in Gesù un corpo piuttosto che una carne. Dio ha mandato suo Figlio “in forma rassomigliante a carne del peccato” (Romani 8:3) perché in questa falsa rassomiglianza di carne il peccato fosse annientato. Il corpo stesso di Gesù, quello che è assiso alla destra del Padre, che viene distribuito ai fedeli nell'Eucaristia, che è costituito in pieno dalla massa degli eletti, è di spirito e di gloria, non di carne. Spirituale ma non carnale, celeste non terreno, sarà il corpo della nostra resurrezione: “Carne e sangue non possono ereditare il Regno di Dio, né ciò che è corruttibile può ereditare l'incorruttibilità” (1 Corinzi 15:20). Ma ora che i martiri soffrono nel profondo della carne ferite e torture, che sostengono nella carne il combattimento mortale, non sembra più giusto che la loro carne sia annientata. Le chiese rivendicano, contro l'insegnamento di Paolo, la resurrezione della carne. E se Gesù è il modello supremo dei martiri, conviene (questa piccola parola conviene, da dove la teologia intera può scaturire) conviene che Gesù abbia avuto, nella sua morte e nella sua resurrezione, una vera e propria carne. Per poter compatire le nostre infermità, per divenir solidale con noi, conviene che sia stato sottomesso alle stesse prove e tentazioni, agli stessi tormenti dei martiri. Il salmo 22: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?...” che ha garantito a Paolo la visione della Crocifissione, ha ispirato di più al successore di Paolo quella di un'agonia di angoscia: “Egli (il Figlio di Dio) nei giorni della sua carne, con alte grida e con lacrime offrì preghiere e suppliche a colui che poteva salvarlo dalla morte ed è stato esaudito per la sua pietà. Benché fosse Figlio, imparò l'ubbidienza dalle cose che soffrì” (5:7). Gli evangelisti seguiranno la via così aperta. Essi non avranno paura di sottomettere il Figlio di Dio a delle tentazioni, di mostrare in lui le sofferenze della carne per accrescere la vittoria dello spirito. In lui si uniranno la divinità e la carne (“il Verbo si è fatto carne”). Anche a questo proposito l'Epistola agli Ebrei si colloca al centro del percorso che va da Paolo ai vangeli.
La novità radicale dei Vangeli sarà quella di considerare la morte-resurrezione di Gesù come un avvenimento umano, che termina nel supplizio e nella gloria un passaggio del Figlio di Dio sulla terra. Questa concezione che gli evangelisti ci hanno così fortemente imposto, nessun profeta o maestro prima di loro l'ha avuta. Questa non è una tradizione storica. Questa è una prospettiva nuova della fede. È una rivelazione dello Spirito. Dal momento che si insisteva sulla carne di Gesù e che la sua morte permanente, relegata sullo sfondo, non serviva più che a rendere conto dell'Eucaristia, era inevitabile che la sua crocifissione, trattata da avvenimento della Storia, fosse imputata non più agli Arconti invisibili, ma ai Romani, persecutori del nome cristiano, e i soli a praticare questo atroce supplizio. Flavio Giuseppe aveva raccontato la durezza del procuratore romano Ponzio Pilato. Il più antico testo datato dove il nome di Cristo è congiunto a quello di Ponzio Pilato è l'allusione di Tacito, nei suoi Annali scritti a Roma prima del 118, un'allusione quasi certamente ricavata dagli interrogatori dei cristiani.  Qualche anno prima, nel 112, Plinio, in Asia Minore, non era informato che di un culto reso a Cristo in quanto Dio. Nel Nuovo Testamento, a parte i vangeli, Ponzio Pilato è nominato una sola volta, in 1 Timoteo 6:13: “Cristo Gesù, che testimoniò da martire (marturêsas) la sua bella confessione davanti a Ponzio Pilato”, che è verosimilmente del primo quarto del secondo secolo. “Ha sofferto sotto Ponzio Pilato” si trova a metà del secondo secolo nel credo comune della fede. Sappiamo da Giustino che questo articolo del Credo è stato omologato e sancito dall'autorità sovrana dello Spirito: “Molti dei nostri, cioè dei cristiani, hanno guarito, e tuttora guariscono, tanti indemoniati, in tutto il mondo e nella nostra stessa città, esorcizzandoli nel nome di Gesù Cristo, crocifisso sotto Ponzio Pilato, fiaccando e cacciando i demoni che li possiedono, mentre tutti gli altri esorcisti, incantatori e somministratori di filtri, non erano riusciti a guarirli” (2 Apologia 6). Così i miracoli operati dallo Spirito Santo sotto il regno di Antonino hanno attestato alla coscienza cristiana che il Figlio di Dio era stato veramente un uomo storico, crocifisso centoventi anni prima sotto Ponzio Pilato.

mercoledì 30 gennaio 2019

«Il Dio Gesù» (di Paul-Louis Couchoud) — La leggenda umana di Gesù (XIX): LA PERSECUZIONE

(segue da qui)


PARTE QUINTA

LA LEGGENDA UMANA DI GESÙ

Entriamo con rispetto nel santuario cristiano. Osserviamo cosa vi succede là, una generazione o due dopo il volo dei primi profeti di Gesù, tra i figli e i nipoti di coloro che hanno potuto ascoltare la voce di Paolo e quella di Giovanni nei primi cenacoli.
La parola vangelo, che fino ad allora designava il bell'annuncio della fine dei tempi, del giudizio finale, e della redenzione misteriosa degli uomini mediante l'immolazione-supplizio di un Dio, si applica con un  significato nuovo ad una vita terrena dell'Uomo-Dio, a una singolare vita umana dove traspare il fulgore della divinità. Diversi vangeli appaiono nelle chiese. È bello conoscere l'ambiente religioso in cui sono nati, i materiali spirituali di cui sono fatti, i bisogni ai quali rispondono, il modo in cui ciascuno è composto dal suo autore anonimo.

LA PERSECUZIONE

Dall'era eroica dei grandi profeti Paolo e Giovanni, il mistero del Dio immolato e crocifisso ha fatto il suo cammino nelle anime. Al soffio dello Spirito le confraternite cristiane si sono moltiplicate. In Siria, in Asia Minore, in Italia. Brillano nell'universo come delle stelle scintillanti (Eusebio). L'incendio spirituale si propaga intorno a Roma, ad Antiochia, ad Efeso. Il popolo di Gesù era già più numeroso del popolo ebraico. Siamo ahimè! mal informati di questa seconda espansione del cristianesimo. La legge ferrea della Storia è che tutto ciò che la scrittura non fissa, l'oblio l'assorbe. Le imprese e le sofferenze dei santi, le effusioni dei profeti, le parole d'ordine dei capi, tutto ciò che la bocca ha proferito, più importante e più intenso dello scritto, è perduto. Del lungo periodo dal 70 al 132 (dall'una all'altra delle due guerre degli ebrei contro l'Impero romano), epoca decisiva della formazione cristiana, sussistono solamente qualche testo disperso, di cui nessuno è datato con una precisione soddisfacente. Questi sono in primo luogo gli scritti che noi chiamiamo deutero-paolini, epistole fittizie di Paolo e di Pietro (Ebrei, Efesini, 1 e 2 Timoteo, Tito, 1 e 2 Pietro). La dottrina di Paolo, oramai trionfante, è adattata alle situazioni nuove e alle aspirazioni delle masse cristiane. Paolo e Pietro riconciliati nella tomba sono le guide presunte delle chiese. Aggiungiamo una lettera a Giacomo, un piccolo manuale orientale del culto (la Didachè), le lettere infiammate del martire di Antiochia, Ignazio, in rotta verso il Colosseo a Roma, dove attende la sua nascita in cielo per le zanne delle belve. E due pezzi di origine romana. L'epistola che la chiesa di Roma invia ai Corinzi per mano del segretario Clemente, per ristabilire l'ordine nella loro chiesa. E il Pastore, il libro del profeta Erma che, per solitudine o timidezza, dà lettura di ciò che gli ispira lo Spirito, invece di proclamarlo. Tra questi scritti sparsi, nel gruppo di coloro che sono detti deutero-paolini, si inseriscono i vangeli (Goguel).
A partire dall'anno 100 circa, una tensione terribile diventa il clima delle chiese. L'era della persecuzione comincia. Al I° secolo le ignobili esecuzioni dei cristiani, falsamente accusati dell'incendio di Roma, le torce viventi nel giardino di Nerone, le donne consegnate nell'anfiteatro alle corna dei tori sotto il nome di Dirce, violentate e stuprate sotto il nome di Danaidi, avevano costituito un improvviso massacro, al quale aveva risposto il grido di vendetta dell'Apocalisse. Secondo il caso di Paolo, i magistrati romani non avevano ancora alcuna giurisprudenza nei confronti dei cristiani. Sotto Domiziano le vessazioni fiscali, la morte di personaggi di alto rango accusati di ateismo non supponevano affatto una proibizione ufficiale del cristianesimo. Ma sotto Traiano (98-117) lo strano progresso di questa religione incivile preoccupa lo Stato (Duchesne). Non è più permesso essere cristiano. Il dolce Plinio, proconsole in Bitinia e Ponto, tortura due diaconesse per ricavarne informazioni. L'imperatore gli indica la regola da seguire. I cristiani non devono essere ricercati. Ma se vengono denunciati, saranno messi in obbligo di sacrificare agli dèi dell'Impero. Se rifiutano, sono passibili di morte. Tutte queste persone sono proscritte, dei condannati in anticipo. Non si perseguita in loro un crimine diverso da quello della professione cristiana, il nome. Pietro scrive dall'oltretomba: “Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida o ladro o malfattore o delatore.  Ma se uno soffre come cristiano, non ne arrossisca!” (1 Pietro 5:15). Il Gesù di Marco annuncia ai fedeli: “Voi sarete odiati da tutti a causa del mio nome, ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato” (Marco 13:13). Chiamarsi cristiano significa iscriversi per il fatto stesso al supplizio.
Quando sopraggiunge la prova del sangue, tutti tremano. Questo non è affatto un difetto. Gesù stesso, secondo il salmo, ha tremato e agonizzato. I deboli soccombono e commettono apostasia. “Forse anche voi volete andarvene?” dice agli altri il Gesù dei vangeli (Giovanni 6:67). E: “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo Regno” (Luca 12:32). I forti che sopportano, nell'attesa immobile, i tormenti e la morte sono considerati superiori ai profeti. Sono i più alti testimoni di Gesù. Lo Spirito è donato loro in tutta la sua purezza e mette nella loro bocca quello che hanno da dire. Se sopravvivono o muoiono, hanno il posto d'onore sui seggi della chiesa o nelle sue litanie. L'oscura esaltazione del martire di Antiochia, Ignazio, vibra nella sua supplica ai cristiani di Roma: “Lasciate che sia pasto delle belve per mezzo delle quali mi è possibile raggiungere Dio. Sono frumento di Dio e macinato dai denti delle fiere per diventare pane puro di Cristo... Potessi gioire delle bestie per me preparate e m'auguro che mi si avventino subito... Il fuoco, la croce, le belve, le lacerazioni, gli strappi, le slogature delle ossa, le mutilazioni delle membra, il pestaggio di tutto il corpo, i malvagi tormenti del diavolo vengano su di me, perché voglio solo trovare Gesù!... Il mio rinascere è vicino... Lasciate che riceva la luce pura!”
“Chi ha insegnato agli evangelisti”, chiede Pascal, “le qualità di un'anima perfettamente eroica, per dipingerla così perfettamente in Gesù Cristo?” È la persecuzione.

«Il Dio Gesù» (di Paul-Louis Couchoud) — Visita agli dèi di salvezza (XVIII): MITRA

(segue da qui)

PARTE QUARTA

VISITA AGLI DEI DI SALVEZZA

MITRA

La Persia lontana, la Persia nemica, ha avuto, anch'essa, un dio salvatore da offrire ai soldati e ai proletari di Roma. Il culto di Mitra è l'ultimo in ordine di tempo (con quello di Gesù) dei culti romanizzati di salvezza. E, in embrione, il primo degli ordini cavallereschi.
Mitra è un dio regale antichissimo, della nostra antica eredità, per noi europei. Il suo nome, secondo Hrosný, designa la Corona (mitra, mitra) dell'alba, questa bandiera di pura luce che precede il calderone incandescente del sole. La coppia Mitra-Varuna (Ouranos) sembra segnare due aspetti del cielo, il calmo e il diurno, il burrascoso o notturno, e anche, secondo le opinioni penetranti di Georges Dumézil, [1] due forme della regalità. L'una regolata, esatta, giuridica, benevolente, l'altra ispirata, rapida, magica, terribile. Mitra e Varuna sono attestati già nel XV° secolo prima della nostra era come gli dèi di un re ariano dei Mitanni, nell'Alta Mesopotamia. In particolare, attorno a loro erano già state create società di uomini (mariyanni) che sembrano annunciare quelle che, molti secoli dopo, si riformeranno intorno a Mitra nell'Impero romano.
La riforma religiosa di Zoroastro tendeva a ridurre Mitra (questa è la forma iraniana del nome) alla condizione di una divinità subalterna. Ciononostante manteneva il grado più alto, al di sotto del Dio supremo, Auhra Mazda, nella religione di Stato dei Gran Re persiani. Un culto maggiore continuò ad essergli reso nelle parti più occidentali del loro Impero. Quando queste parti caddero sotto la dominazione greca, dei magi medi o persiani (i Maguseni), semi-indipendenti dal sacerdozio riformato, perpetuarono il culto di Mitra. I re greci presero Mitra per loro dio personale. Antioco di Commagene eresse nella montagna una statua colossale di Apollo-Mitra. La testa cancellata è arrivata fino a noi, volto dolce e grave sotto la mitria decorata di lampi. Mitra faceva del bene col suo sguardo. Diffondeva sui re questa aura misteriosa, la gloria (hvarenô), garante di vittoria. Se Mitridate (dono di Mitra) avesse vinto i Romani, o Racine, Mitra sarebbe diventato il dio internazionale di un Impero d'Asia, incombente sull'Europa.
I magi emigrati in Cappadocia “non avevano né libri né discepoli, trasmisero il culto di padre in figlio” (san Basilio). Il momento venne, tuttavia, quando certi lo trasmisero a degli estranei. Un'iscrizione bilingue cita lo stratega aramaico di una piccola città di Cappadocia che “divenne mago di Mitra”. [2] Gradualmente il clero persiano fu estromesso, il nome del mago svanì, i confratelli greci degli adoratori di Mitra si organizzarono autonomamente e si misero a sciamare. Questo è lo stato nel quale li trova la conquista romana, quando le legioni di Tiberio, di Nerone e di Vespasiano occuparono e incorporarono l'Anatolia. Mitra piace per la sua rettitudine al soldato romano. Delle confraternite in lingua latina si formano. Attraverso gli spostamenti dei legionari e degli schiavi pubblici, esse si propagano lungo le frontiere dell'Impero e le principali vie di traffico. Un mitreo è attestato a Roma intorno all'anno 101; il gruppo di Mitra con il toro (ora al British Museum) è stato donato da uno schiavo del prefetto del Pretorio.
Mitra non ha un tempio aperto al pubblico. I suoi misteri si celebrano in cripte semi-sotterranee che figurano “l'antro fiorito, cosparso di sorgenti”, teatro della sua impresa primordiale. La cripta mistica è preceduta da una sala comune e da un apparitorium dove i mystes rivestono i costumi e le maschere rituali. Poteva contenere un centinaio di iniziati, ordinati per grado, distesi o inginocchiati su due lunghi banchi in muratura. La navata centrale permette agli officianti di procedere alle cerimonie, di distribuire pani e coppe di comunione. I rituali, gli inni, gli insegnamenti sacri erano affidati alla memoria. Tutto è dunque perito, nello stesso modo in cui è affondato l'immenso sapere dei druidi. Della massa orale inghiottita un solo verso greco è stato salvato, dove il mystes è assimilato a Mitra “Mystes, uccisore del toro, figlio della destra del Padre luminoso [3] …”. Resta qualcosa degli edifici, delle sculture, degli affreschi e mosaici, delle iscrizioni, dei magri testi letterari. Tutto ciò che sappiamo è tratto da ciò.
La cripta rappresenta il mondo (Porfirio). La volta di pietra è il cielo. Sette porte ad arco raffigurano, in mosaico o in pittura, l'accesso ai sette Pianeti che l'anima deve attraversare dopo la morte per ricevere le sue vesti di immortalità. Questi sono i quattro Elementi: sugli altari il Fuoco perpetuo; in una sorgente viva, o in un cratere, l'Acqua pura; la Terra e l'Aria sono raffigurati dal serpente e dall'uccello. Dalla lotta dei quattro, il mondo si genera e rigenera costantemente. Qui i mystes sono al centro del mondo. Sono anche al centro del tempo: contemplano sia il principio che la fine. Ecco la statua del Tempo, il primo dio (Zervan), raffigurato come un uomo dalla testa di leone, nudo, alato, circondato da un serpente che rappresenta le pieghe sinuose del sole sull'ellittica. Il suo soffio di fuoco divora tutto. Ogni ora ci avvicina al consumo dell'Era.
Ecco le tavole delle origini. Al gioioso mattino dei secoli, Mitra nasce, duro e spesso, da una roccia, oltre a filtrare da un monte la prima luce del giorno. Egli soggioga dapprima il Sole che, in ginocchio, gli rende omaggio e riceve da lui la sua corona luminosa. Salgono sullo stesso carro d'oro. Associati, preparano il mondo per gli uomini. Secondo il sentimento comune dei poeti religiosi dell'Iran e dell'India, il mondo poteva essere fondato e stabilizzato solo con il sacrificio. Giove-Oromasde (Ahura Mazda) ha creato dunque un primo essere vivente, un toro selvaggio. Mitra, per una prodezza di tauromachia ammirata da popoli pastori, lo prende per le corna, si lascia sollevare sul suo dorso, infine, lo costringe a mettere il muso a terra e lo trascina, pungolandolo da dietro, fino ad una grotta, la prima sacra cripta. È riluttante ad uccidere un essere benefico. Ma l'ordine dall'alto gli è portato dal Corvo. Solleva il coltello sacrificale e realizza l'atto che introduce la vita nel vasto e vuoto universo. Dal corpo del toro le piante si arricchiscono e abbondano, in primo luogo i cereali; dal suo sperma, purificato dalla luna, nascono gli animali.
Tale è la grande scena che occupa il posto di un altare maggiore in fondo a ciascuna cripta. Il più bello di questi gruppi di Mitra Sacrificatore, a firma dello scultore ateniese Critone, è stato rinvenuto nel 1939 in uno dei quattordici mitrei di Ostia. [4] Il giovane dio in piedi, con la testa scoperta e il vestito corto come un eroe greco, mantiene la vittima tra le sue ginocchia, raddrizzando dolcemente il muso finché il collo non è verticale. Prima di immolare, lancia al cielo un immenso sguardo di trionfo e di estasi. Non si può meglio tradurre in greco il nome persiano del dio: Nabarze, il Vincitore (anche Gesù è chiamato, nell'Apocalisse, il Vincitore, ma è lui che è l'Agnello immolato fin dalla costituzione del mondo). Altrove il soggetto è appesantito dai dettagli. Mitra indossa il mantello persiano rigonfio, il berretto frigio. Le spighe spuntano dalla ferita del Toro. Il cane, capo degli animali del Dio buono, si precipita. Lo scorpione, emissario dell'inferiore Dio Arimane, insinua il suo veleno nel seme originale. Così, alla creazione buona, una creazione malvagia è confusa. Il dovere del mitraico è di supportare l'una, di distruggere l'altra. Ogni volta che schiaccia un rettile, un topo, un verme, una formica, fa un atto di pietà, come simbolo di atti superiori. La sua forza gli proviene da Mitra. Certi giorni, prima che Mitra sacrifichi il toro, riceve in comunione un pane e un calice d'acqua, su cui vengono pronunciate parole di consacrazione (Giustino). Egli è così salvato dal sangue eterno versato in sacrificio: Et vos servastis eternali sanguine fuso (iscrizione del mitreo di san Prisco a Roma). Egli è, secondo il termine mazdeo, rinato (navazud). Il pasto sacro di Mitra è quasi identico materialmente all'eucarestia cristiana. La differenza essenziale è che il sangue salvifico viene versato da Mitra, ma non è il sangue di Mitra
Alla fine dei tempi, Mitra tornerà nel mondo per incendiarlo (bassorilievo del mitreo di Dieburg). Colpirà uomini e cavalli con la sua mazza (gadâ), come farà Gesù con la sua verga di ferro. I morti risorgeranno nei loro corpi. Un toro finale sarà sacrificato. Il suo grasso mescolato con il vino sarà per il risorto la bevanda della vita eterna. Così sarà colmato il desiderio smodato degli uomini, per i quali l'immortalità senza il corpo, senza la carne non è quella della persona. In uno dei due mitrei di Hederheim, nel Nassau, il bassorilievo  di Mitra sacrificante poteva girare su un perno di ferro. In un batter d'occhio, i fedeli venivano trasportati dalla genesi del tempo alla loro fine. Vedevano, in anticipo, un grande toro immolato dietro al quale Mitra prepara il corno da bere mentre il Sole gli presenta un grappolo ammirevole (Museo di Darmstadt). La visione mitraica delle cose ultime si incontra su questo tratto con la visione cristiana (“Io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel Regno di Dio”).
Il mitraismo è un ordine di uomini. (Si trova per eccezione a Tripoli d'Africa una dama che porta il titolo di leonessa, lea. Tertulliano segnala delle vergini, forse dedite ai compiti di sacrestia). In linea di principio discendevano nelle cripte solo gli uomini. Sono ripartiti in una gerarchia di sette gradi, che rappresentano i sette gradi dell'ascensione dell'anima. Ciascun rango possiede il suo pianeta tutelare, il suo costume, il suo attributo, la sua funzione, il suo voto (sacramentum). Lo schiavo si può ritrovare uguale o superiore alle seguaci. Si chiamano fratelli, come fanno altrettanto i mystes di Attis e i cristiani. Disciplina e onore sono la legge di tutti.
In basso, due gradi preparatori. Il corvo (corax, hierocorax), sotto la tutela di Mercurio e l'emblema del caduceo, è assegnato ai messaggi, al servizio dei pasti sacri. Il promesso Sposo (nymphus, cryphius), sotto la tutela di Venere, è nascosto sotto un grande velo giallo. Tiene nell'oscurità la lampada accesa  [5] come la sposa che attende lo sposo (e come le vergini sagge nel vangelo). Aspetta la presentazione (ostendere cryphios) che gli aprirà il grado superiore. Il Soldato (miles), sotto il segno di Marte, deve sottoporsi nudo a dure prove: un attacco con la spada (affresco del mitreo di Capua), una morte fittizia. L'imperatore Commodo, gladiatore per vocazione, uccise realmente un mystes, con il pretesto di iniziarlo. Dopo la prova, il soldato di Mitra indossa la tunica militare bianca con tre strisce porpora sul polso, mantello in spalla, elmo e lancia. Una corona gli viene presentata sulla spada. Allontanandola dalla sua mano tesa, dice: “Mitra è mia corona!” Da quel giorno non deve più accettare una corona di alloro nell'esercito o ai banchetti una corona di rose. Egli riceve il battesimo dell'acqua, il sigillo posto sulla sua fronte al fuoco ardente, la comunione di pane e calice, “l'immagine della resurrezione”. Tertulliano, che offre questi dettagli nel De praescriptione haereticorum, era figlio di un centurione; sembra ben informato sull'iniziazione mitraica, così vicina per tanti punti all'iniziazione cristiana.
I titolari dei quattro gradi superiori partecipano alle funzioni sacerdotali. Il Leone (leo), sotto il segno di Giove e del fulmine, è vestito di rosso. Il suo attributo è la pala piatta a manico lungo che serviva ad attizzare il fuoco dell'altare e a trasportare le braci. Le sue mani e la sua lingua sono consacrate con il miele, per essere mantenute pure da ogni male (Porfirio). Egli porta all'altare le vittime animali, i recipienti d'acqua, i pani, accende le candele, fa scaturire le scintille della profondità incandescente del Tempo, brucia l'incenso che offrono i mystes per essere consumati loro stessi: Ramos Accipite, sancti leones, per quos thura damus, per quos consumimur ipsi (mitreo di san Prisco). Il Persiano (Perses, phylax carpôn) sotto il segno della Luna, porta una falce e un mazzo di spighe. Il suo strumento è la spada uncinata (harpe) con cui Perseo, l'antenato mitico dei Persiani, ha colpito la Medusa. La impiega per immolare gli animali sacrificali per garantire la prosperità dei raccolti. Il Corriere solare (heliodromus), sotto il simbolo del Sole, ha un mitra a raggi d'oro e porta un globo azzurro. Sale con Mitra sul carro del Sole. Può quindi dispensare la scienza astrologica. Infine, al piano più elevato, il Padre (Pater) sotto la tutela di Saturno-Zervan, è assiso in un mantello rosso, avvolto da una tunica rossa, il berretto frigio ricamato. I suoi attributi sono il gancio delle libagioni e la bacchetta magica. Se vi sono molti Padri, uno è il Pater patrum. Lui conferisce le iniziazioni. In alcuni giorni tutti gli iniziati gli sfilano davanti offrendogli un saluto persiano:Nama (onore) al Padre”. Risponde:Nama ai soldati! Nama al Leone Teodoro! ecc...” (Mitreo di san Prisco). Le cripte non sono soggette ad alcuna autorità centrale, sono indipendenti. Quando una è troppo numerosa, alcuni iniziati di grado elevato ne troveranno un'altra. Come talpe sacre, camminano silenziosamente attraverso l'Impero. Le cripte cristiane le hanno talvolta continuate. La tiara del Papa ebbe origine nel berretto frigio bianco concesso da Costantino a san Silvestro e ai suoi successori. [6] Tra altri onori cristiani, la mitra dei vescovi, la porpora cardinalizia, i titoli di Padre e di Santo Padre sono di spirito mitraico. [7]
Io sono nato nella città antica di Vienne, vicino ai resti di un mitreo. Ho spesso guardato le strane sculture che sono state rimosse. Il Tempo, padrone di tutto, mostro crudele dal volto orribile di leone e che un serpente avvolge, quante cose ha divorato che si credeva fossero durature! A partire dal suo proprio culto. Mi ha fatto rammentare la frase sonora di Renan: “Se il cristianesimo fosse stato fermato alla sua nascita da una qualche malattia mortale, il mondo sarebbe diventato mitraico”. Vana idea. La crescita del mitraismo è stata arrestata da una malattia mortale: la ristrettezza del reclutamento. Una società segreta di uomini duri non può espandersi alle dimensioni del mondo. Gesù che ha vinto non aveva delle logge chiuse, ma una Chiesa aperta e una vasta presa sui cuori femminili.
Il mitraismo è vicino al cristianesimo per la concezione fondamentale che entrambi hanno attinto dalla religione iraniana (uno direttamente, l'altro attraverso l'intermediario ebraico). Il mondo non è interamente impegnato, come credevano i greci, in cicli eterni, sempre rinnovati. Non è un eterno ritorno. Sta andando dritto verso il suo completamento, che sarà una catastrofe, seguita dalla Resurrezione definitiva. Il tempo è limitato, quindi si deve riempirlo con uno sforzo morale e far progredire il mondo. Il tempo è il luogo della salvezza. L'esistenza è una prova, il risultato sarà felicità o sofferenza interminabile. Tra il Padre altissimo e gli uomini vi è un Mediatore che agisce. Ha preso parte alla fondazione del mondo tramite una vittoria primordiale. È in lotta contro le potenze del male. Le annienterà alla fine e sarà l'agente del Rinnovamento. A quelle idee, quale precisione inaudita, quale sovraccarico esplosivo ha donato il cristianesimo! Ha in comune con il mitraismo il sacramento del pane e del calice. Quale virtù infinita vi è stata infusa!
Attraverso il cristianesimo una vena mitraica serpeggerà. È da lei che emergeranno gli ordini militari del Medioevo, la prodezza dell'onore cristiano. Ritorna di nuovo: Henry de Montherlant è, nel pensiero, un mitraico in mezzo a noi. O Zervan abolito, dalle mascelle rotte, vecchio Leone, alcune scaglie di fuoco sfuggiranno ancora.

“La nostra vanità fa durare il nostro essere al di là della tomba”. Questa riflessione di Plinio il Vecchio ucciderebbe le religioni di salvezza se si trattasse solamente e meramente di vanità. La storia delle religioni dimostra che l'uomo nella società, non appena ha conquistato un certo grado di coscienza personale, non sa più, senza un contrappeso di immortalità, senza un al di là, senza nessun altro a equilibrare la sua povera vita. Ha tutto la potenza di vivere solo negando l'annientamento. La morte muore in me. Devo negarlo e cambiarlo in salvezza. “L'uomo non esiste veramente che nella lotta contro i propri limiti” (Silone). Egli sente nel fondo di sé un impulso capace di attraversare in qualche modo il confine della tomba. L'uomo non si inganna quando presagisce oscuramente che esiste per lui più di un modo di esistenza. Esiste una coscienza nella quale tutte le coscienze comunicano. La civiltà umana, che cos'è se non il bellissimo capitale accumulato dai morti? L'umanità non è composta più da morti che da vivi? Nell'universo umano quasi tutto ciò che è, è passato.
La grande rivoluzione religiosa dell'Occidente è cominciata nel sesto secolo prima della nostra era, quando il fremito orfico ha percorso la Grecia e i misteri di Eleusi hanno diffuso il loro splendore. Gli spiriti bruti della Natura, gli dèi duri della Città e dello Stato, avevano regnato da soli fino ad allora. Gli uomini conobbero degli dèi più gentili che davano un valore ad ogni individuo, senza distinzione di patria, e lo conducevano alla beata immortalità. La parola salvezza acquista un significato nuovo. Non si applica più solo alla preservazione dello Stato ma a quella di ogni persona umana. La conquista romana, che mandò in frantumi tanti Stati, distrusse le religioni nazionali e accelerò la rivoluzione. L'Egitto, la Frigia, la Cappadocia tendono verso l'eterna salvezza dell'anima. Fanno scaturire dal loro vecchio fondo di divinità degli dèi di salvezza universale. La minuscola Palestina, paese della pietà più intensa e più pura, trasfigura a sua volta il suo Dio nazionale Jahvè in Gesù, il volto perfetto del Dio salvatore. La rivoluzione si diffonde e si decide in favore di Gesù, nel IV° secolo della nostra era, per l'adesione dell'imperatore Costantino. Lo Stato abdicò al proprio culto quando Graziano nel 382, fece rimuovere dal Senato la statua della Vittoria. Nel VI° secolo, la rivoluzione persegue le sue conquiste. Non restano più dèi nazionali attorno al Mediterraneo e nell'Europa occidentale, tranne che tra i Longobardi e gli Anglo-Sassoni. Oggi la rivoluzione è finita. Da mare a mare Gesù fa sentire il suo regno sui due terzi dell'umanità. Lo Stato è svuotato di ogni funzione religiosa. Le chiese, ristoratrici di anime, depositari di una dottrina e di uno strumento di salvezza, rivolgono alla salvezza eterna il grande sforzo degli uomini. “Una piccola parte dell'energia spesa alla conquista della vita eterna sarebbe stata sufficiente a fondare cento imperi” (Bernanos). Che cosa valgono cento imperi al prezzo della vita eterna? “La mia ambizione è più alta di quella di coloro che ambiscono alla monarchia del mondo” (san Cirano, pensando a Richelieu). La vita presente è senza valore. “La vita è una notte da trascorrere in un malvagio albergo” (santa Teresa).
L'era delle grandi creazioni religiose è probabilmente chiusa, come è chiusa, su un'altra scala, quella delle grandi creazioni della vita. Noi non vedremo nuove religioni di salvezza eterna. Il cristianesimo espanderà o restringerà la sua azione. Verosimilmente non sarà sostituito. Nella lenta evoluzione dell'umanità (come della vita), nessun grande passo è ripreso.

Al ritorno dai nostri pellegrinaggi ai vecchi santuari di salvezza, distinguiamo meglio in quale clima del mondo è apparso il nuovo Dio.
Che cosa importa al barbaro o al folle dei racconti sacri? Gli dèi si cristallizzano nell'ansioso inconscio degli uomini. Dioniso smembrato, divorato e vivo, Core che risale dagli inferi alla luce del giorno, Osiride il cadavere che riprende vita, Attis il dolce castrato che versò il suo sangue, Mitra il sacrificatore che effonde il sangue eterno, essi hanno tutti realizzato un gesto di liberazione. Hanno tutti aperto il cammino verso l'immortalità. Introduttori alla speranza, hanno fatto sopportare la morte, hanno collocato la breve vita dell'uomo in un magnifica sporgenza sull'eternità. È attraverso di loro che la salvezza dell'anima è diventata la grande vicenda umana. Ciascuno, salvo Mitra, è un dio che muore e che rinasce all'eternità: “Un Dio che muore è il solo Dio a cui l'umanità possa credere” (Vinet). Hanno fatto desiderare un vincitore della morte che fosse sia sacrificato che trionfante. Il Dio che si sottomette all'immolazione e al supplizio e che resuscita in gloria li surclassa, li spoglia e li realizza. Reca agli uomini un nuovo e possente mistero: l'immortalità concepita come un'assoluzione donata alla natura umana. Il cristianesimo si mostrerà il bisogno più disperato dell'uomo.
Sullo sfondo, la dolorosa Demetra, la buona Iside, la Grande Madre degli Dei, hanno abituato gli afflitti, gli inquieti ad essere surriscaldati e teneri nel seno di una Madre compassionevole. I cuori muoiono come fichi maturi. La fede cristiana raccoglierà le immagini ancestrali, le tradizioni lontane, il pianto infinito e l'inesauribile richiesta della creazione, così tante preghiere lasciate, rituali imperfetti, slanci impetuosi e diffusi. Tutti i torrenti spirituali andranno a convergere sullo stesso fiume.

Ritorniamo ora al Dio Gesù. Dobbiamo ancora spiegare cosa ha di proprio: la sua leggenda umana. Nessuno degli altri dèi salvatori ha, se ne ha avuta, l'equivalente. Gesù è il Dio perfetto di salvezza perché, derivato dall'abisso divino, si immerge nella profondità stessa dell'umanità. Come si è formata la storia semplice e persuasiva, dettagliata, che si legge nei vangeli? Cercare di dirlo è il più delicato e il più decisivo del nostro compito. È la contro-prova della soluzione alla quale siamo giunti, la chiave ultima del problema dell'Uomo-Dio.
Percepiremo quando, perché, in quali ambienti, in quali misure il Mistero cristiano è riuscito ad esprimersi in una quadrupla narrazione sacra, dove Gesù, Dio eterno, ha preso la figura di un uomo storico e famoso. La ricerca sarebbe vasta e ardua se non fosse stata preparata dalla minuziosa opera di critica di cui i vangeli sono stato oggetto. I commentari sono troppo copiosi: il ramoscello spesso nasconde l'albero. È improbabile che questo studio riduca il rispetto o la tenerezza che si associano ai quattro libri sacri che tante generazioni hanno baciato, dove tante labbra arse hanno attinto l'acqua viva.

NOTE

[1] Mitra-Varuna, Parigi, Leroux, 1940, 2° edizione, Gallimard, 1948; Naissance d'Archanges, Parigi, Gallimard, 1945.

[2] Pubblicato da Henri Grégoire. Citato da Cumont. Les Religions orientales..., 4° edizione, pag. 272.

[3] Firmico Materno, Fr. Cumont, Textes et monuments relatifs aux mystères de Mithra, Bruxelles, Lamertin, II (1986), pag. 14.

[4] Al Museo di Ostia. Riprodotto da Cumont nei Comptes rendus de l'Académie des Incriptions..., Parigi, Didier, 1945, pag. 413.

[5] Affresco del mitreo di san Prisco, mosaico di Felicissimus in un mitreo di Ostia.

[6] L. Duchesne, Origines du culte chrétien, 5° edizione, Parigi, de Boccard, 1925, pag. 414.

[7] “E non chiamate alcuno sulla terra vostro padre, perché uno solo è il Padre vostro, quello che è nei cieli”, Matteo 23:9.

lunedì 28 gennaio 2019

«Il Dio Gesù» (di Paul-Louis Couchoud) — Visita agli dèi di salvezza (XVII): CIBELE E ATTIS

(segue da qui)

PARTE QUARTA

VISITA AGLI DEI DI SALVEZZA

CIBELE E ATTIS

Gesù si sta avvicinando a noi. Ha ancora due rivali da rimuovere, due Salvatori universali che, senza essere della sua forza, gli disputeranno per più di trecento anni l'impero delle anime. Dall'aspetto li si direbbe gemelli. Giovani e senza barba entrambi, coperti tutti e due dal berretto frigio. Di carattere sono opposti. L'uno è sconfitto ai piedi della Grande Madre degli Dèi, l'altro combatte valorosamente. Uno proviene dalla religione più barbara dell'Asia: è il dio castrato, lo sterile Attis. L'altro dalla più cavalleresca: è il nobile Mitra, il dio sacrificatore.

La dea selvaggia dei Frigi, Cibele o Cybêbê (Koupapash in geroglifici ittiti) è una delle forme della montanara Dea-madre, Regina degli animali, che ha regnato in Asia Minore, sulle sommità di Creta (Rea), nell'aspra Micene (la Porta dei leoni). Il suo carro rotolò con uno schianto sulla cima delle montagne, dove la terra e il cielo si uniscono nelle tempeste. Le pinete vi crebbero per lei, proibite all'ascia (Arriano). Pastori e contadini, figure dell'età neolitica, celebravano per lei delle feste furibonde. Ruggendo, correndo, roteando, alla maniera di leoni assassini di tori, sotto il richiamo del tamburello che guida gli animali, gli uomini e gli dèi, si tagliavano i loro membri, facevano sgorgare il sangue e pervenivano ad un orribile rapimento. Alcune di queste frenesie sussistono tra i dervisci Mevlevi di Konia e tra altri. Ho visto, in Kairouan, l'estasi travolgente, i coltelli e gli aghi nella carne. Roteando esausti cadevano incoscienti sulla spalla del loro capo, che li rianimava accarezzandoli.
Cibele si chiamava, secondo i monti, l'Idea, la Dindimenia, la Berecyntia. Recava i titoli di Grande Madre (Megalê Mêtêr), di Madre degli Dei. Era servita da un clero di sacerdoti castrati, i galli, che si erano evirati per lei nel delirio di una festa sanguinosa. Il sommo sacerdote risiedeva a Pessinunte e portava i nomi sacri di Attis e di Papas (il padre, il papa). Questi erano i nomi del giovane dio-prete, sposo della Grande Madre. Un padre, se si vuole, ma molto subordinato, quasi un adolescente, e il figlio stesso della sua sposa, ciò che permetteva l'antica usanza della tribù matriarcali, ciò che tollera ancora l'usanza dei Kudiya nell'India dravidica (Thurston). Un padre, infine, che per servire e onorare la Grande Madre gli ha sacrificato la sua virilità.
Perché la castrazione? Secondo un mito antico riportato da Arnobio, [1] Agdistis, la dèa primitiva del monte Agdos a Pessinunte era bisessuale. “Aveva una forza invincibile, un'intrattabile ferocia di cuore, un'audacia impossibile da contenere”. Bacco fece addormentare per mezzo del vino la terribile ermafrodita e gli pose mentre dormiva coi piedi infilati sotto di lui, un collare così ingegnoso che al risveglio, nel sollevarsi, si castrò. Sotto questo racconto sacro traspariva il pensiero rozzo e ardito dei mandriani, dei castratori e domatori di bestie feroci. Se la violenta e indomabile Natura si lasciava castrare, si addolciva, la selvaggia. Sarebbe diventata tutta femminile, tutta materna! Simbolicamente si tagliava sul monte uno dei pini proibiti. Intorno al pino i galli, in un furore sacro, eviravano con una selce la loro virilità. Diventavano sacerdoti effeminati di Colei che non sarà più Agdistis, ma la Madre universale, “Signora di ogni vita, principio di ogni nascita” (Giuliano).
Attis è loro modello divino. Alcuni dèi sono momenti eterni dell'uomo. Nel racconto mitico, il pastore Attis, in una follia di cui si dà varie spiegazioni, si evira sotto un pino. Secondo alcuni, sopravvive, secondo altri muore. In un caso e nell'altro, è glorificato da Cibele che lo fa salire sul suo carro. Gli dona il berretto astrale che gli si vede sulla sua grande statua distesa del Museo d'Ostia. Lo rende “pastore delle bianche stelle” (Ippolito).
Per un lancio di dadi del destino, nel 204 prima della nostra era, dopo una disgrazia pubblica e la consultazione dei Libri Sibillini, la rude dèa dei pastori selvatici di Frigia fu solennemente trasportata a Roma. Vi giunse sotto forma di una pietra rosso-nera, piuttosto piccola, anfratta (Arnobio). Fu accolta con riverenza e grandi onori dalle prime signore romane, depositata nel santuario della Vittoria poi ospitata al Palatino con il suo clero di eunuchi. La pietra divenne il volto informe di una statua d'argento, ricoperta di gioielli, prototipo di future Vergini nere. Il culto urlante dei galli era confinato al segreto del tempio. Cibele usciva solo un giorno all'anno, in primavera, per realizzare, sul rio dell'Almo sulla strada per Ostia, il rito della lavatio che procurava le piogge desiderabili. Presto dimostrò il suo potere. Il primo anno, i raccolti furono splendidi. Il secondo, Annibale fu cacciato dall'Italia, sconfitto in Africa. La Grande Madre degli Dei Idea era entrata nella cerchia stretta dei più grandi dèi di Roma. Augusto, suo vicino del Palatino, confermò il suo rango elevato quando restaurò la vecchia religione.
Attis fu tenuto lontano dalla sua Madre-sposa fino al regno di Claudio. In Asia Minore, a Cizico, troviamo un gallo fiero della sua evirazione sacra e dei suoi doni profetici (iscrizione del Louvre). Ma a Roma il gallo questore che trascinava nei vicoli il suo vestito da donna, la sua guancia dipinta e il suo falsetto non ispiravano alcun rispetto. “I racconta frottole dei suonatori di tamburo, dei mascalzoni!” dice un personaggio di Plauto. Catullo che mise in poesia, su un languido ritmo frigio, la follia del giovane sacerdote Attis conclude con questa deprecazione: “Grande dea, dea Cibele, dea e domina di Dindymo, fuori restino da casa mia i tuoi aspri furori. Altri guida, concitati, altri guida, imbestialiti!”
Claudio, forse consigliato dai suoi liberti frigi, riformò integralmente il culto di Cibele e di Attis. [2] Le feste di Attis e le iniziazioni ai suoi misteri furono autorizzate in tutto l'Impero. Le castrazioni volontarie, tollerate in Frigia solamente, furono soggette a una tassa personale. A Pessinunte, un collegio di undici Attis, sotto la presidenza di un sommo sacerdote, non castrato, dal lungo abito ricamato, amministrava i luoghi santi della religione. In ciascuno degli altri centri era installato un sacerdote superiore, l'arcigallo, non castrato, che da solo aveva il diritto di vaticinare secondo lo spirito di Cibele e di Attis. Gli arcigalli nominati dal senati locali e collocati sotto l'autorità del sommo pontefice, vale a dire dell'imperatore, divennero ben presto, così come l'Attis di Pessinunte, i migliori sostenitori del culto imperiale.
In questa cornice statale, le feste e i misteri frigi presero  a Roma e in tutto l'Impero un'incredibile diffusione. Le feste di Attis furono incluse nel calendario ufficiale. A Roma, il 15 marzo, Canna intrat, delle rose sono portate al tempio del Palatino. Evocano le rive sacre del Sangarios, a Pessinunte, dove si celebrano le cerimonie modello. Il 22 marzo, Arbor intrat, il pino tagliato nel boschetto di Cibele fa il suo ingresso sul dorso dei dendrofori, per essere eretto, come un albero di Natale, nel recinto del tempio. È fasciato come un uomo ferito (o come un uomo morto). Indossa corone di violette (i fiori nati dal sangue di Attis), un'effige del dio, il suo bastone di pastore, tamburelli, cimbali, siringa, flauti, serpenti a sonagli. Un digiuno di tre giorni comincia, in cui il pane e il vino sono vietati. Il 24 marzo, Sanguis, è il giorno in cui Attis ha consumato il suo sacrificio sanguinoso (l'equivalente del nostro Venerdì santo). Intorno al pino, il lutto doloroso conduce il suo corso. I cimbali fanno baccano, i flauti gemono. Il sangue scorre dalle schiene fustigate, dalle braccia tagliate, dai petti colpiti dalle pigne. Se ne cosparge l'Albero e gli altari. Il 25 marzo, Hilaria, giorno dell'equinozio ufficiale, primo giorno in cui il Sole ha la forza di rendere la luce più lunga della notte, Cibele viene a rianimare (o resuscitare) il suo figlio-sposo. Attraverso lo spargimento di sangue umano, fonte di vita, il dio è stato rigenerato. Al fresco del mattino si grida: “Attis rivive! Salve, o promesso, salve, luce nuova!” Attis sale al carro d'argento della Grande Madre, trainato da quattro leoni d'argento, per una processione nuziale, che ci mostra, alla Brera di Milano, il grande stemma di Parabiago. [3] Tutto è giubilo e mascherata. Coribanti danzano davanti al carro, colpendo i loro scudi con le loro spade corte. Le Stagioni, l'Eternità, il Sole, la Luna, i Titani, l'Oceano, le Naiadi fanno festa. Si lanciano fiori e pezzi di monete. Il 27 marzo, il Lavatio della Signora nera nel laghetto dell'Almo. I Quindecimviri (ministri dei culti dell'Impero) conducono la processione. I più nobili Romani camminano a piedi nudi davanti alla carrozza in transito.
I misteri propri di Attis e l'iniziazione (initium) si celebravano  il 28 marzo, non al Palatino, ma in Vaticano, presso il circo di Caligola (Caianum). Sotto un pavimento chiaro è sistemata una fossa. Il mystes vi discende, vi giace. Sopra di lui l'arcigallo, circondato dal clero celebrante: cantanti, dendrofori, coribanti, timpanisti, cimbalieri, sacrificano con una lancia di caccia un agnello o un toro (criobolo o taurobolo). Il sangue caldo che si riversa a fiotti inonda il volto del mystes, cola nella sua bocca, bagna e inzuppa la sua veste. I genitali della vittima sono tagliati. Così il mystes realizza per sostituzione la castrazione di Attis. Esce dal battistero sanguinoso come da una matrice di eternità, per una vita immacolata e incorruttibile. Porta i genitali in offerta a Cibele, al tempio del Palatino.
Il resto delle cerimonie ci è noto solo per la parola d'ordine che egli pronuncia per entrare nella parte proibita del santuario: “Ho mangiato dal timpano, ho bevuto dal cembalo, ho portato il kernos, ho giaciuto nel pastòs”. Ha mangiato un boccone in un timpano, bevuto un sorso in un cembalo? Pierre Boyancé preferisce credere che queste parole designavano l'entusiasmo meraviglioso in cui lo ha gettato la musica di Cibele: mi sono nutrito del timpano che trasfonde la forza, inebriato dal cembalo. Al centro del kernos, vaso che si porta sulla testa e che contiene in secchielli separati tutti i semi, ha portato i genitali, assimilati a quelli di Attis che davano fertilità a tutti i semi della terra? Il Letto sacro (pastos) è il letto nuziale di Cibele e di Attis. Nel passare al di sotto, il mystes diventava, senza dubbio, un Attis, figlio e sposo della Grande Madre. “Il mystes di Attis è stato un morto. Dopo il cambiamento è un dio” (Ippolito). Nella chiesa greca di Parigi, ho visto, il Venerdì santo, i bambini passare sotto la tela mortuaria di Gesù, per attraversare un'aura sacra.
Così dei riti barbari tra tutti si sono raffinati con il tempo e penetrati di spiritualità. L'evirazione di Attis è stata considerata come l'esempio supremo del dominio sul corpo e sui suoi istinti. Quello dell'ardente cristiano Origene avrà lo stesso significato. (Quando Gesù, nel vangelo di Matteo, cita coloro che si sono fatti eunuchi per il Regno dei cieli, quando il vescovo Melitone è chiamato un santo eunuco, è chiaro che la parola eunuco è presa alla lettera). L'idea di espiazione si è sviluppata. In Frigia i colpevoli scrivono su una stele la confessione delle loro colpe (Cumont). La virtù del taurobolo è stata estesa ad altre persone rispetto al sacrificatore, molto spesso alla salvezza dell'imperatore. (Allo stesso modo, i cristiani di san Paolo a Corinto ricevono il battesimo per i loro morti). La fede nell'immortalità data da Attis si è affermata e precisata. Dalla sua iniziazione il mystes risale al suo vero giorno di nascita (natalicium). Dice a sé stesso tramite criobolo e taurobolo rinato per l'eternità, renatus in aeternum. (Allo stesso modo, il cristiano, rinato al battesimo, assume quel giorno il suo vero nome, che a volte è proprio Renato). Sulla tomba del mystes, si fanno il 24 marzo i lamenti di Attis, la spiga verde veniva raccolta. È disseminato di violette, vi si erige spesso una figura pensosa di Attis, a garanzia della vita eterna. Un busto funebre di Attis, il più bello che ho visto, è al Museo archeologico di Vienne, vicino al Rodano tremolante. Attis porta la mano chiusa davanti al petto, e piega l'indice misteriosamente. [4] È così profondo, così puro, così premuroso da essere dapprima preso per una statua cristiana del XIII° secolo. Il berretto frigio dimostra che è proprio Attis e non il fratello di uno dei santi meditativi di Chartres.
Ora, dalla fine del regno di Nerone, la salvezza di Attis e la salvezza di Gesù furono, nella provincia d'Asia, in violenta rivalità. San Giovanni, nell'Apocalisse, profetizza che Gesù, quando verrà, troverà insediata la potenza di un Mostro a sette teste che simboleggia sia Roma sia gli dèi del paganesimo. Una testa (un dio) attira soprattutto l'attenzione. Per un prestigio dovuto a Satana, imita l'immolazione e la resurrezione di Gesù. “Una delle sue teste come ferita a morte; ma la sua piaga mortale fu sanata” (13:3). Il nome di questo dio sarà recato dai suoi fedeli in tatuaggio sulla fronte e sulla mano. Il profeta designa questo nome, in enigma, mediante il valore numerico delle lettere. La cifra (616 o 666 secondo i manoscritti) è quella di ATTEI (“ad Attis!”) oppure di ATTEIN (“Ahimè! Attis!”). [5] Alcuni sacerdoti di Attis erano, infatti, tatuati nel nome del dio con degli aghi arroventati dal fuoco. Dopo la loro morte si copriva sul loro cadavere il nome divino tramite una lamina d'oro (Prudenzio).
Per rassomiglianza con il Dio dei cristiani la cui formula divina è: “Colui che è, che era e che viene”, il Mostro ha per formula: “Colui che era e non è più, ma riapparirà” o “colui che era ma non è più, ma salirà”. L'ascesa (anabasis), la riapparizione (parusia) sono parole del linguaggio dei misteri. Convenivano  al demone Attis, nella sua fama di resurrezione. Per quanto riguarda il Dio Gesù, la sua anabasi è una resurrezione autentica (anastasis) e la sua parusia avrà luogo quando lui verrà nella gloria sulla terra.
Giovanni vede la Roma di Nerone, assassina di cristiani, nelle vesti della puttana Cibele, pretesa Grande Madre degli Dèi. Lei cavalca il Mostro come Cibele il suo leone, e tiene come Cibele una patera: “La donna era ammantata di porpora e di scarlatto, adorna d'oro, di pietre preziose e di perle, teneva in mano una coppa d'oro... Sulla fronte aveva scritto un nome, un mistero: Babilonia la Grande Madre delle puttane e degli abomini della terra (17:3-5). In questo nome sono impliciti il nome di Roma: Babilonia la Grande, e quello di Cibele: la Grande Madre degli abomini (cioè, in termine biblico, degli dèi pagani).
Alla ferita ignobile di Attis si oppone la santa ferita dell'Agnello celeste ucciso. Alla Grande Puttana trionfante, madre-sposa di un demone, si oppone e fa da contrasto la casta Donna celeste, madre e poi sposa di Gesù. La prima si confonde con Roma maledetta che sarà annientata. La seconda è la benedetta Gerusalemme del Cielo, che sussiste eternamente. Tra il mistero satanico di Attis e il mistero di Gesù, vi sono le relazioni che suppone l'antitesi. Quando il profeta cristiano mostra l'entrata al Cielo dei primi martiri di Gesù, si direbbe che parli degli iniziati di Attis, le cui vesti erano state inzuppate di sangue nella fossa del Vaticano: “Hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello” (7:14). Quello che è rito effettivo con Attis è simbolo in Giovanni. [6] Sorprendiamo il mistero cristiano, ancora molto fluido, nell'atto di copiare dei tratti, per  meglio combatterlo, dal mistero di salvezza, che in questa provincia d'Asia, in questo momento storico, è il suo rivale più pericoloso. Gesù è cresciuto a spese degli dèi pagani, “spogliandoli e trascinandoli, scherniti, dietro il suo carro” (Paolo).
Cibele e Attis hanno, nell'Impero, appiattito le vie a Gesù e a sua madre. La Settimana santa di Attis all'equinozio di primavera (evoluzione stessa delle feste di Adone-Tammuz) con il giorno del Sangue, quello della Gioia, il digiuno, le iniziazioni, ha fornito un modello esteriore alla Settimana santa cristiana, dove i battesimi avevano luogo il giorno di Pasqua. Le popolazioni dell'Impero, particolarmente in Italia del Nord, in Dalmazia, in Gallia, sono passate dal paganesimo locale alla religione imperiale della Mater Deum Augusta prima di passare al cristianesimo. A Vienna e a Lione nel 177, lo scontro tra le feste di Attis e le feste pasquali potrebbe essere stato all'origine delle esecuzioni dei cristiani a fil di spada e in pasto alle belve (Audin). Ad Autun, il pesante carro di Cibele percorreva la campagna per la Lavatio, quando il giovane cristiano Sinforiano lo sfidò al prezzo della sua vita.
Le chiese cristiane, dirette dapprima da profeti indipendenti e da collegi di anziani, hanno acquisito presto la forte organizzazione data da Claudio alle comunità della madre del culto. Il vescovo unico è l'equivalente dell'arcigallo. Il Vaticano, luogo sacro del Phrygius Vates, sede centrale delle iniziazioni di Attis, diventerà, per la tomba reale o fittizia e la cattedra di san Pietro, per la basilica e il battistero che vi saranno legati, la sede centrale del cristianesimo occidentale.
Infine, se la Grande Madre degli Dèi non fosse stata così a lungo, così ferventemente implorata nell'immenso dominio che Gesù ha conquistato su di lei, la Madre di Cristo forse non avrebbe affatto ricevuto il nome inaudito, popolare, di Madre di Dio che suona così strano nella religione del monoteismo. “Lei è della razza degli uomini”, obiettava dolcemente il patriarca Nestorio, “è impossibile a un uomo generare un Dio...” Fu condannato. Il 22 giugno 437, Maria è proclamata nella basilica a cielo aperto di Efeso (al di fuori il popolo acclama, illumina, le donne fanno fumare le casse d'incenso) sotto il titolo che ha mantenuto attraverso i secoli di Madre di Dio, Theotokos, Dei Genitrix, Grande Madre, Altissima Madre di Dio.

NOTE

[1] Adversus nationes, 5:5. Arnobio ha attinto da un opera perduta del teologo Timoteo, probabilmente questo sacerdote di Eleusi che ha partecipato alla creazione dei misteri di Iside. Eleusi aveva una sorta di primato sugli altri misteri di salvezza.

[2] Girolamo Carcopino. Aspects mystiques de la Rome païenne, Parigi, L'Artisan du Livre, 1941. Dimostrazione brillante.

[3] Il dipinto è disegnato nell'opera esaustiva (per nulla affatto selettiva) d'Henri Graillot; Le Culte de Cybèle, Mère des Dieux à Rome et dans l'Empire romain, Parigi, Fontemoing, 1912.

[4] Espérandieu. Recueil des bas-reliefs de la Gaule romaine, I (1907), 356 (descritto come “un Partico”).

[5] Si veda l'Apocalisse, Parigi, Rieder, 1930.

[6] P. Touilleux, L'Apocalypse et les cultes de Domitien et de Cybèle. Parigi, Geuthner, 1930, pag. 132-139. Newman ammette che dei riti pagani sono stati santificati dalla Chiesa e resi strumenti di grazia.

domenica 27 gennaio 2019

«Il Dio Gesù» (di Paul-Louis Couchoud) — Visita agli dèi di salvezza (XVI): ISIDE E OSIRIDE

(segue da qui)

PARTE QUARTA

VISITA AGLI DEI DI SALVEZZA

ISIDE E OSIRIDE

Segreto Egitto, santo e ossessionato antenato, copia del cielo, tempio del mondo intero! Si poteva vedere tutto in questa terra di estraneità, dove i cadaveri rivendicavano la vita tanto quanto i vivi, dove i re, fiore della cultura greca, adoravano gli animali, dove il clero più orgoglioso dedicava ai conquistatori stranieri onori più divini di quanto aveva consentito ai suoi propri sovrani. Così, intorno al 290 della nostra era, il compagno di Alessandro, Tolomeo I°, creò per decreto un Dio Supremo, Serapide, per il culto comune dei greci e degli egiziani, per sostituirlo ad Osiride, l'unico dio venerato dall'intero Egitto, per unirlo a Iside, sposa fedele di Osiride, per modellare infine, con l'aiuto tecnico di Timoteo, sacerdote di Eleusi, dei misteri di salvezza accessibili a tutti, senza distinzione di nazione o di lingua. Si videro queste temerarie decisioni di Stato riuscire a meraviglia, perché si accordavano a dei veri bisogni religiosi. Una bravo scultore, Briasside, diede a Serapide una forma maestosa e oscura. Ci saranno quarantadue templi di Serapide nel fertile Egitto, altri in Grecia e in Italia. I misteri di Iside partivano alla conquista del mondo. 
Nell'antico Egitto, Iside era la regina divina che aveva ottenuto dagli dèi che il cadavere di Osiride, suo fratello-sposo, fosse rianimato. Il Racconto sacro di questo fatto divino era già stato fissato al tempo delle Piramidi, [1] mentre Demetra fluttuava ancora nel limbo cretese. Attratto in una trappola da suo fratello Set, il buon re Osiride viene ucciso, gettato nel fiume dove il suo corpo, diventato verde e nero, galleggia. Iside e la sua alleata Nefti, la donna di Set, percorrono il paese alla sua ricerca. Lo ritrovano, Iside lo tira fuori dall'acqua. Fanno la veglia funebre. “Iside piange, Nefti grida; gli dèi di Buto (da dove Osiride era originario) si colpiscono le braccia e si strappano i capelli”. Nuit, la madre di Osiride, si china verso di lui “riaggiusta le ossa, rimette il cuore, rimette la testa”. Gli dèi si prendono cura di lui, il grande dio Ra gli sostiene la testa. L'ordine è dato a Osiride di risvegliarsi. Osiride si risveglia a una seconda vita, insensibile, manifestata nell'organo virile. Iside si era distesa sotto forma di un avvoltoio, sul corpo del suo sposo, rimane incinta di lui. Fugge nelle paludi del Delta, si rifugia nei cespugli di papiro. Mette al mondo Horus “il bambino dal dito in bocca”. Lei ne fa un vendicatore. Cavaliere, apprende a trafiggere il coccodrillo. Divenuto uomo, Horus combatte l'assassino di suo padre, e davanti al Tribunale degli dei, a Eliopolis, fa riconoscere i diritti di suo padre e dei suoi. Osiride governerà i morti. È “il dio che non ha nemici ... L'afflizione ha preso fine, il riso è tornato”.
La rianimazione di Osiride è diventata la pietra angolare della religione egiziana. “Il cuore di Osiride è in tutti i sacrifici”. È ripetuta liturgicamente ogni anno nelle feste drammatiche di Abido con il lungo lamento: “O bel giovane vieni nella tua dimora. Sono tua sorella che tu ami” e tutti i giorni nel rituale del culto divino. (Così la morte-resurrezione di Gesù sarà ripetuta ogni anno a Pasqua, ogni giorno alla Messa). È imitata dai riti costosi che, dopo la morte, preservano e fanno rivivere i cadaveri, al fine di assicurare ai defunti la sopravvivenza. Solo il faraone riceve la garanzia d'immortalità prima della morte.
Ora, sotto i Tolomei, Iside si ingrandirà smisuratamente. Nel segreto delle cripte, Osiride è relegato a una remota pienezza di maestà. Non è mai stato che un dio venerabile da semi-risvegliato. Iside diventa la Dea universale. Lei ha mille nomi. Gli stranieri la adorano sotto quelli di Cibele, Atena, Afrodite, Artemide, Demetra, Era. Gli egiziani la chiamano con il suo vero nome: la Regina Iside. Lei è il principio femminile che agisce divinamente nell'Universo, l'Eterno in forma femminile che Goethe evocherà e che tanti cuori umani hanno invocato nella loro notte. Canta su una stele del tempio di Ptah, a Menfi, la sua alta monodia: [2]
Io, Iside, unica sovrana dell'Eternità...
Io, ho dato agli uomini le leggi,
decreto che nessuno può cambiare...
Io, io mi levo nella Stella del Calore,
io sono chiamata Dea dalle donne...
Io, io ho separato il cielo dalla terra,
mostrato il cammino per le stelle,
stabilito la marcia del sole e della luna,
inventato la navigazione...
Ho prescritto ai bambini di amare i genitori,
con mio fratello Osiride ho messo fine al cannibalismo.
Io, io ho rivelato agli uomini i misteri,
insegno ad adorare le statue degli dèi,
fissato i territori dei templi degli dèi,
rovesciato il governo dei tiranni,
obbligato gli uomini ad amare le donne, 
reso la Giustizia più forte dell'oro e dell'argento,
ordinato di considerare bello il vero...
Io, io sono vittoriosa sul Destino,
Il Destino mi obbedisce ...
Io, io sono tutto ciò che era, che è e che sarà.
Lei è la “grandissima Dea, Signora di Salvezza”. [3] Ad uno di coloro che ha scelto, dice: “Ecco, mi presento, Lucio, mosso dalle vostre preghiere, Me, Madre della Natura, Padrona di tutti gli elementi, emanazione originale dell'Eternità, divinità suprema, regina dei morti, prima delle entità celesti, uniforme volto degli dei e delle dèe... Vivrai felice, vivrai glorioso sotto la mia tutela. E quando, compiuta l'età, discenderai agli inferi, anche là, in questo emisfero sotterraneo, io che ti vedo, io brillerò nelle tenebre dell'Acheronte, io regnerò nelle profondità dello Stige. E tu, che vivrai nei campi elisi, tu adorerai spesso quello che ti sarà propizio... Saprai che prolungare la tua vita al di là dei limiti fissati dal destino è  mio unico potere”.
Per gli uomini perseguitati e solitari delle grandi città nuove non è più questione di acquistare mediante delle pratiche funerarie effettuate sul cadavere irrigidito, gonfio, putrefatto, una dubbia sopravvivenza. Vi affidate a dei genitori per assicurare la vostra immortalità? No, è a voi, gli indifesi, gli estenuati, è durante la vostra vita, proprio come al faraone, che deve essere data la garanzia di immortalità. Fui, non sum, non curo (ero, io non sono, non me ne f...), questa maniera di affrontare la morte, che si vede su alcuni  epitaffi antichi è la meno naturale per l'uomo. In mezzo alla vita, rappresentare sé stesso (questo lucido me che è tutto me stesso) come non esistente assolutamente, dà un brivido al più coraggioso. Prima della morte e dopo la morte l'uomo naturale ha il sentimento di Gilgamesh: l'attacco di panico. Quanto più è isolato e cosciente, invecchiato e per tre quarti inghiottito dalla morte, tanto più tende la mano verso l'inconoscibile. Il Misericordioso prende questa mano contratta. Perpetua salvatrice del genere umano (humani generis sospitatrix perpetua), Iside “ha trovato il rimedio che conferisce l'immortalità” (Plutarco). Non salva gli uomini in grandi gruppi presentati da un ierofante, in una sola festa, come Demetra ad Eleusi. No, lei elegge e chiama chi gli pare tramite una rivelazione personale (proprio come Gesù ha eletto e chiamato Paolo). Lei gli permette di macerare e maturare nell'attesa, alla fine gli concede la sua grazia dal ministro e nella notte che lei ha scelto. Lei non ha, come Demetra,  un obbligo nei confronti degli uomini, li ama per puro favore.
Alla fine della piacevole storia d'amore in cui fa passare il suo eroe attraverso le tre condizioni dell'asino, dell'uomo e del dio, Apuleio ci racconta la sua iniziazione isiaca. A Chencrea, uno dei porti di Corinto, dopo aver visto e ascoltato la dea in un sogno, e prestato giuramento nella sua santa milizia, affittò una camera nelle sale del suo tempio. Segue in solitudine (diremmo da oblato) la liturgia quotidiana. Al levar del sole, delle porte del tempio aperte e delle bianche vele ammainate, adora in silenzio la statua vivente. Abbandona la sua anima ad una contemplazione che non conosce il tempo, mentre il sacerdote pronuncia in lingua egiziana, con l'intonazione desiderata, le parole consacrate e purifica il santuario con l'acqua del Nilo. Sospira dopo la sera quando la camera da letto (cubiculum) della Dea si aprirà per lui. La notte santa è infine designata da Iside. Il sacerdote che avrà il terribile fardello dell'iniziazione sarebbe colpito a morte se procedesse senza un ordine divino, “perché i recinti dell'inferno e la guardia della salvezza sono nelle mani della Dea”. L'iniziazione (traditio) è celebrata sotto la forma di una  morte volontaria e di una resurrezione anticipata. “Sì, quelli che, compiuta la vita, si tengono sulla soglia dove finisce la luce, quelli, voglio dire, a cui avrebbero potuto essere confidati i grandi silenzi (magna silentia) della religione, la Dea tramite il suo potere li attira a lei. La sua provvidenza li fa, in un certo modo, rinascere e riaprire per loro la carriera di salvezza”.
Rigenerato da un battesimo di purezza, emaciato, purificato da un'astinenza di dieci giorni, Apuleio vestito di lino è guidato dal discreto iniziatore dalla testa rasata fino alla camera sotterranea di Iside. Legato dal segreto, non dice quello che è successo nelle ore immense della notte, in questo uditorio divino. Esprime solamente la verità mistica: “Ho raggiunto il confine della morte, oltrepassando la soglia di Proserpina, passando attraverso tutte le stelle. Nel mezzo della notte ho visto il sole brillare di luce bianca. Ero alla presenza degli dèi di sotto e degli dei dell'alto, li ho adorati più da vicino”. Secondo un oscuro testo di Firmico Materno, una statua di Osiride era posata a pezzi su una barella. Delle lamentazioni venivano cantate in silenzio. Quindi le membra scomposte erano rimesse al loro posto. La luce era portata. Il sacerdote faceva un'unzione sulla gola dei mystes tremanti, mormorando in un soffio: “Coraggio, mystes, il dio è salvato. Anche a voi, dai dolori verrà la salvezza”. [4]
L'alba è nata. I mystes risalgono. Su una piattaforma eretta davanti alla statua di Iside, Apuleio, nello stridore dei sistri e nel lungo movimento del flauto, viene presentato ai fedeli come un nuovo Osiride. Al mattino porta la veste osiriaca: dodici vesti di consacrazione, tunica di lino di un colore brillante, clamide prezioso che cade ai piedi, torcia in mano, corona palmata sulla fronte, come il sole. Una statuetta in smalto di Cirene, [5] che rappresenta un iniziato di Iside, conferma la descrizione di Apuleio. La parte inferiore del corpo è stretta, come una mummia, nelle bende. Un mantello di porpora cade dalle spalle, un diadema rosso cinge la testa. Quindi due fasi successive sono mostrate contemporaneamente: la morte e la trasfigurazione.
Il battesimo cristiano è definito da Paolo come una partecipazione mistica alla morte e alla resurrezione di Gesù. L'iniziazione isiaca ne è una bozza nella modalità minore. Per la bontà della Divinità suprema, da garanzia di salvezza, l'iniziato di Iside rinato  in qualche modo (quodammodo renatus) è pienamente assimilato al Dio morto e resuscitato. Anche prima della morte diventa un Osiride. Tuttavia il Dio, sole dei morti, non agisce in lui. Non vive in lui costantemente e intensamente come Dioniso nell'Orfico, Gesù in Paolo.
Cleopatra, novella Iside, e Antonio, novello Dioniso, se fossero stati vincitori al largo di Azio, avrebbero istituito, forse, la religione di Iside come religione dell'Impero e inaugurato l'attesa età dell'oro. In questo giorno fatidico Iside non ha soggiogato il Destino. Augusto e Tiberio la detestavano. Vincerà il fervore di Caligola, fedele alla memoria del suo antenato Antonio, il compiacimento del cupo Domiziano, di Adriano, anima leggera, del brutale Caracalla. Ma lei sarà abbandonata da altri imperatori. Il suo culto, stabilito per decreto di Stato, languiva non appena si indeboliva il protettore, per poi riaccendersi con un nuovo fervore. Era troppo impregnato forse dell'odeur de femme per compiacere a lungo gli austeri romani. Per una castità colpevole, la Delia di Tibullo, che è sposata, si mantiene vergine per ottenere da Iside che il suo giovane amante non parta per la guerra. Accadde che una signora romana venuta al tempio nella speranza di un'apparizione di Anubi vi trovasse un audace, inviato da un sacerdote. Grande scandalo (Flavio Giuseppe). Giovenale tratta crudamente la santissima Iside come una puttana. Osserva con disgusto un'esaltata rompere il ghiaccio del Tevere, immergersi tre volte fino ai capelli e poi trascinarsi nuda, sulle sue ginocchia sanguinanti, attorno al tempio di Iside nel Campo di Marte.
Gesù, rivale attivo dell'inerte Osiride, sarà infine il più forte. Nel 391, i cristiani prenderanno d'assalto e distruggeranno l'enorme Serapeo di Alessandria. Per un secolo e mezzo Iside manterrà un ultimo tempio a Philae, per i barbari della Nubia. Oggi il piccone degli archeologi scopre a volte, in Francia, in Germania, delle statuette in maiolica, i rispondenti (chaouabti) che gli iniziati di Iside mettevano nelle loro tombe. Oppure una situla d'argento per l'acqua sacra del Nilo, come quella del Museo di Bruxelles, che ha la forma perfetta di una goccia d'acqua. La festa del Navigium Isidis descritto da Apuleio si continua nella festa delle Saintes Marie de la Mer, dove i gitani (posterità vagabonda di egiziani) guidano in mare la barca di Iside e Nefti, divenuta quella di Maria di Giacomo e Maria Salomé. Il saio nero dei melanefori di Iside si è trasmesso ai monaci d'Egitto e da loro ai nostri benedettini. Iside che allatta Horus sorride in alcune delle nostre madonne. Horus, sotto il nome di san Giorgio, continua a uccidere il coccodrillo sul retro della sterlina. Iside ritroverà un riflesso di esistenza al momento in cui Maria Antonietta adottava il suo fisciù annodato e orlato e si faceva modellare il corpetto in un'acconciatura isiaca. Il suo ultimo devoto era Mozart. Come un sacrificio di profumi alla luna, lei è svanita nella musica divina del Flauto magico.

NOTE


[1] È ricostruito da Erman, La Religion des Egyptiens, Parigi, Payot, 1937, pag. 96-97 e da Sainte-Faire Garnot. La Vie religieuse dans l'ancienne Egypte, Parigi, Presses Universitaires de France, 1948, pag. 51-52.

[2] Inno ricostruito secondo le iscrizioni trovate a Cymé, Io, Andros (Peck, Der Isis Hymnus von Andros und verwanddte Texte, Berlino, 1930) e secondo l'iscrizione della statua di Iside a Sais (Plutarco, De Iside, 9).

[3] Iscrizione di Philae, 74 dopo Gesù Cristo.

[4] De errore profanarum religionum, 22.

[5] Pubblicato da Ghislanzoni, riprodotto in Cumont. Les Religions orientales..., 4° edizione, p. 5, 3.