martedì 31 dicembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Il Messia sofferente»

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Il Messia sofferente

La concezione di un Messia che ristabilisce una regalità terrena è necessariamente svanita, dopo la repressione della rivolta. Un'altra idea del Messia si è allora imposta, e ha permeato il cristianesimo. Ma quest'altra concezione non era ignorata dagli ebrei, almeno da alcuni ebrei: poco attraente, non poteva sognarsi di prevalere sulle attrazioni della prima, ma sarebbe sbagliato credere che tutti gli ebrei sognassero l'impero del mondo. Alcuni avevano già sostenuto il disprezzo delle ricchezze, il disprezzo del potere temporale, ed elaborato il concetto di un primato puramente spirituale. Quando la disfatta militare ridusse gli altri al silenzio (o allo sterminio), come non avrebbero offerto al popolo represso e indifeso il conforto della loro rivelazione, della loro speranza?

Ora, questi spregiatori del potere avevano meditato su un testo sorprendente di Isaia:

«Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi... Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori...»

«Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca, era come agnello condotto al macello... Fu eliminato dalla terra dei viventi, per l'iniquità del suo popolo fu percosso a morte...» (Isaia 53:2-12).

Questo testo (e altri dello stesso genere) permettevano di fabbricare l'immagine di un Messia pacifico e umiliato, che si sacrifica per redimere gli uomini: è evidentemente questa nozione che è passata nei vangeli, quasi letteralmente. Dal momento che questa immagine si oppone alla precedente, dal momento che quelle due concezioni del Messia sono inconciliabili, non si dovrebbe concludere che la seconda sia di origine cristiana: scritta in Isaia, essa esisteva prima del cristianesimo. È soltanto la disfatta del 70 che le ha permesso di imporsi, che ne ha fatto la speranza suprema di un popolo abbattuto e il solo modo di conciliare le profezie con gli eventi. Ma essa esisteva prima di allora; soltanto, gli ebrei che l'avevano elaborata non erano gli stessi ardenti patrioti della grande guerra. 

Se noi ci domandiamo in quale ambiente aveva potuto nascere l'immagine di un Messia «non violento», umiliato, allontanatosi dalle attrattive di questo mondo ma che salvava gli uomini con il suo sacrificio, la nostra attenzione sarà presto attirata dalla setta degli Esseni. Ed è abbastanza sorprendente che non vi si sia pensato prima. 

Guignebert respingeva l'ipotesi, col pretesto che nulla permetteva di attribuire al secondo Isaia una natura profetica. Tuttavia, l'uso che ne è stato fatto nei vangeli avrebbe dovuto bastare a provare che, almeno in certi ambienti ebraici, gli si attribuiva quella qualità. Altrimenti, perché i cristiani sarebbero andati a riesumare questo testo? Ma il problema è oggi risolto, dopo le scoperte del mar Morto: sappiamo ora che la comunità di Qumran (e probabilmente altre comunità essene) considerava profetico il libro di Isaia. 

«È ormai certo — e questa è una delle più enormi rivelazioni dei ritrovamenti del mar Morto —, che l'ebraismo, nel I° secolo PRIMA di Gesù Cristo, ha visto fiorire, attorno alla persona del Maestro di Giustizia, un'intera teologia del Messia sofferente, del Messia redentore del mondo». [5]

Ma parleremo più avanti degli Esseni.

NOTE

[5] DUPONT-SOMMER: «Aperçus préliminaires sur les manuscrits de la Mer Morte», pag. 116.

La Favola di Gesù Cristo — «L'Apocalisse»

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L'Apocalisse

Ma, si può dire, questa concezione del Messia conquistatore, che nessuno discute, era un controsenso, e il cristianesimo si è ben guardato dal cadere in questo errore: il Gesù dei vangeli accetta di pagare il tributo a Cesare, e non gli importa della dominazione romana, poiché il suo regno non è di questo mondo. Non si può realizzare la sua salvezza sotto il giogo romano?

Questo è molto facile da dire, ora che è dimostrato che la rivolta ebraica era destinata al fallimento. Ma i primi cristiani ne erano così sicuri? Questo equivarrebbe a dimenticare un testo molto importante, uno dei primi del cristianesimo, l'Apocalisse. Questo testo ebraico, scritto durante la grande guerra (69 circa) e impregnato dell'odio contro i Romani, la cui maggior parte è dedicata ad annunciare l'imminente rovina della «grande Babilonia» (Roma) e la vittoria del Messia, non è, nella sua versione primitiva, un documento cristiano: ma come spiegare che, intorno al 95, un autore cristiano abbia sentito il bisogno, aggiungendovi tre capitoli introduttivi, di annetterlo e di inviarlo a sette comunità cristiane? Non è forse la prova che, almeno per alcuni cristiani, l'idea del Messia trionfante e del suo regno terreno non era esclusa? Infatti l'annuncio di questo Messia sanguinario, così diverso dal Gesù dei futuri vangeli, è stato proprio fatto, intorno al 95, ai cristiani. L'autore ignora chiaramente che Gesù sia vissuto sessantacinque anni prima, e attende la venuta del Messia che annuncia come imminente: tutto ciò che è scritto in questo libro deve accadere presto, i tempi sono vicini, Egli verrà. 

E non apprendiamo da nessuna parte che i destinatari (nemmeno quelli di Efeso, che avevano ricevuto le predicazioni di Paolo) hanno protestato, sia per l'ignoranza del cosiddetto Giovanni riguardo alla vita di Gesù, sia per quella falsa immagine di un Messia assetato di sangue!

Del fatto che alcuni cristiani, all'origine, abbiano creduto nel Messia trionfante descritto nell'Apocalisse, ne restano tracce anche nei vangeli. Nello pseudo-Luca, Gesù dice: «Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e come vorrei che fosse già acceso!» (Luca 12:49), e ancora: «E quei miei nemici che non volevano che io regnassi su di loro, conduceteli qui e uccideteli in mia presenza» (la parabola è trasparente, 19:27). E cosa si fa profetizzare a Maria incinta? «Ha rovesciato i potenti dai troni... Ha soccorso Israele, suo servo, secondo la promessa che era stata fatta… ad Abramo e alla sua discendenza» (Luca 1:51-55). 

Ma tutto ciò fu presto dimenticato, ed è per inavvertenza che questi passi non sono stati corretti. L'Apocalisse stessa fu discussa per tre secoli poiché non concordava più con il dogma che si era imposto. Certo, il cristianesimo ha subito rinnegato l'idea di un Messia vincitore dei Romani con la spada, ma il messaggio dell'Apocalisse non ha alcun senso, se questa idea non ha almeno tentato, all'origine, di infiltrarsi nelle comunità, al seguito delle controversie sulla persona del Messia (Cristo).

domenica 29 dicembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «La rivolta armata»

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La rivolta armata

Per pervenire a questo risultato, era importante prima di tutto cacciare i Romani, sconfiggere gli eserciti romani. Per quanto stravagante ci appare oggi questo progetto, spiega la serie di rivolte armate che, dal 6 al 135, insanguineranno la Palestina e spingeranno i Romani a terribili rappresaglie. Un partito, quello degli «Zeloti» (che si potrebbero definire «combattenti della Resistenza»), incita alla lotta fino al trionfo finale predetto dai profeti. [4] Flavio Giuseppe accusa questo partito di aver causato molto male al popolo ebraico, e questo è probabilmente vero. Ma cosa si poteva obiettare a questi esaltati il cui ardore era sostenuto dall'idea che Dio non poteva aver mentito, che quel che era predetto doveva necessariamente accadere, che bastava ribellarsi e che Dio avrebbe preso in mano le vie del trionfo ?

Ho segnalato che nell'anno 7, al momento del censimento, un certo Giuda di Galilea aveva preso il comando della rivolta: il pagamento della tributo a Cesare era il segno della servitù, e Giuda non poteva tollerare che il popolo ebraico vi si sottomettesse; aiutato dal fariseo Sadoc, ci dice Giuseppe, incitò alla rivolta e provocò gravi disordini, prima di essere ucciso. Sotto Tiberio, e ai tempi di Ponzio Pilato, un uomo si presentò come un nuovo Giosuè (Gesù) e armò un gruppo numeroso che portò a cercare un tesoro nascosto da Mosè. Sotto l'imperatore Claudio, un certo Teuda invitò la folla a seguirlo sulle rive del fiume Giordano, che egli pretendeva di attraversare a piedi asciutti, come il mar Rosso. Più tardi un Egiziano radunò 30.000 persone sul monte degli Ulivi, promettendo di far crollare le mura di Gerusalemme come quelle di Gerico. È Flavio Giuseppe che ci racconta la storia di tutti questi esaltati, ma il loro stesso successo prova che l'idea della liberazione era nell'aria. Purtroppo per loro, si scontrarono con la repressione spietata da parte dei procuratori. 

Poi ci fu la grande guerra del 67-70, che tenne in scacco gli eserciti romani per tre anni, prima di culminare nel disastro della presa di Gerusalemme da parte di Tito. Più tardi ancora, ci fu l'ultima rivolta di Bar-Kochba (132-135). Menahem nel 67, Bar-Kochba nel 132 si presentavano come il Messia predetto dalle Scritture. Ogni volta, i Romani dovettero fare grandi sforzi per sottomettere gli ebrei, ai quali non si poteva negare il coraggio, in mancanza di chiaroveggenza. Quanto questo coraggio doveva essere sostenuto dalle promesse divine delle Scritture!

NOTE

[4] Beninteso la rivolta ha anche altre cause: miseria del popolo sfruttato dai Romani, dai sacerdoti, dalle autorità pubbliche che collaboravano con l'occupante e ne traevano profitto; sussulto religioso contro l'invasione del paganesimo, ecc...

sabato 28 dicembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Il Messia trionfante»

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Il Messia trionfante

Una prima immagine del Messia lo rappresentava come un conquistatore vittorioso, che avrebbe liberato gli ebrei dall'occupazione romana e ristabilito a loro vantaggio una monarchia indipendente e gloriosa.

Numerosi passi dell'Antico Testamento supportavano questa speranza. Oltre a Daniele (tenuto per profetico, anche i cristiani ne convengono), si potrebbe citare il Salmo 110: «Io farò dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi», — il secondo Isaia: «I re... si prostreranno davanti a te, con la faccia a terra, baceranno la polvere dei tuoi piedi» (49:23), — molti altri ancora.

Una tale concezione è logica in un popolo oppresso. La vendetta sui Romani era l'aspirazione dei più ardenti, che evocavano la vittoria di Giuda Maccabeo e ricordavano come Dio avesse una volta spogliato brutalmente Babilonia del suo splendore. La nostalgia dei tempi di Salomone incitava a sognare la restaurazione di una monarchia ebraica, che avrebbe sostituito i Romani nella dominazione del mondo, come Daniele sembrava averlo predetto: «Il regno, il dominio e la grandezza dei regni sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dell'Altissimo» (7:27). Per una strana aberrazione, ma che trae le sue fondamenta dai testi interpretati soggettivamente, gli ebrei erano arrivati a concepire un Messia che, non limitandosi a liberarli dai Romani, avrebbe dato loro, al posto dei Romani e sullo stesso modello, l'impero universale per semplice sostituzione. Non ci si domandava come ciò potesse realizzarsi, poiché Dio l'aveva annunciato pe mezzo dei suoi profeti e promesso in cambio dell'alleanza: più la cosa sembrava impossibile, più grande sarebbe stato il miracolo atteso. 

Ascoltate cosa ne dice un autore cristiano:

«Quando i primi successi di Giuda (Maccabeo) avrebbero acceso il loro coraggio, quando l'incombenza sempre più pressante dei Romani minacciò di assoggettare tutte le monarchie, il libro di Daniele insegnò agli ebrei, esaltati dalla fiducia, a contare sulla venuta dell'ultimo degli imperi, quello di Dio che sarebbe stato anche il loro. In questo immenso fermento di nazionalità, da cui emergeva una nozione più solida dell'unità di tutti gli uomini... il nazionalismo ebraico era pronto a concepire il re di un impero universale sotto i tratti del suo Messia». [3]

NOTE

[3] LAGRANGE: «Le judaïsme avant Jésus-Christ», pag. 2.

venerdì 27 dicembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «L'attesa del Messia»

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1°) L'ATTESA DEL MESSIA

Il Cristo è tutt'altra cosa rispetto al Messia ebraico, ma è stato assimilato a questo Messia: il nome «Cristo» non significa altro del resto. È quindi importante vedere quale concezione gli ebrei avevano del Messia, per verificare in quale misura questa concezione è passata nel mito di Gesù.

Le due concezioni del Messia

L'attesa del Messia era generale tra il popolo ebraico, ed era inevitabile che si cercasse di farsi in anticipo un'idea di questo personaggio. 

Meditando sui testi considerati profetici, si era arrivati a identificare, non una, ma due immagini del futuro Messia, a seconda che si trattenessero alcuni testi o altri.

Beninteso, i testi non dicono nulla di preciso e non hanno per scopo di dirlo. Il libro di Daniele, ad esempio, non è che una trasposizione degli eventi dell'inizio della rivolta dei Maccabei: ma interpretandolo come una visione del futuro, secondo una procedura che non è totalmente scomparsa ai nostri giorni (profezie di Nostradamus e di altri), si era arrivati a dare un significato preciso alle espressioni, a prendere alla lettera le immagini di un sogno. Ben più, è la casualità di queste espressioni che ha contribuito a formare l'immagine del Messia, e a formare per mezzo di essa certi tratti di Gesù.

giovedì 26 dicembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Gli elementi ebraici»

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CAPITOLO IV

GLI ELEMENTI EBRAICI

L'esistenza di elementi ebraici nel cristianesimo e nel mito di Gesù è innegabile, anche se si ha tendenza ad esagerarne l'importanza.

Perché, quando i cristiani si sono separati dagli ebrei, non hanno eliminato queste fonti? Alcuni ci hanno tentato, e soprattutto Marcione, ma non ci sono riusciti:

— perché la tradizione, ancora troppo recente, non ignorava che il cristianesimo era derivato dalle comunità ebraiche della «dispersione»

— perché i cristiani avevano bisogno di basare il mito del Cristo sulle profezie dell'Antico Testamento: abbiamo visto che la vita di Gesù è interamente costruita con l'aiuto di queste profezie; respingerle, equivaleva a privarsi di ogni fondamento;

— e perché, nelle loro controversie con gli ebrei, i cristiani avevano bisogno delle stesse profezie per sforzarsi di convincerli che il Cristo era proprio il Messia delle Scritture.

Restano dunque nel cristianesimo numerosi elementi di origine ebraica, e i cristiani si affidano ancora ai libri dell'Antico Testamento (che peraltro la maggior parte non legge). 


Utilizzo dell'Antico Testamento

Abbiamo già visto che un buon numero di testi (autentici o apocrifi) dell'Antico Testamento sono stati utilizzati per sostenere la messianicità di Gesù e per fabbricare i tratti profetici della sua esistenza terrena. Tuttavia, alla lettura imparziale di questi testi, non si ha l'impressione che essi dicano tutto ciò che si è fatto dire loro: il fatto è che abbiamo perso il senso dell'interpretazione simbolica o profetica. Ma questa procedura era molto favorita tra gli ebrei, e ancor più tra gli Esseni.

A) Anche coloro che hanno respinto l'interpretazione che ha portato al cristianesimo, che hanno rifiutato di ammettere un Messia sofferente e umiliato e attendevano un Messia glorioso che li liberasse dalla tutela romana, anche costoro interpretavano nel senso dell'annuncio del Messia i testi che, letteralmente, non hanno quella intenzione. Il fatto è che, nella loro mente, uno scritto «ispirato» contiene sempre molte più cose di quanto sembra dire. 

B) È la stessa procedura che fu impiegata per giustificare l'attesa di un Messia umile e pacifico: gli autori di queste ricerche non erano gli stessi delle precedenti, ma operavano con lo stesso spirito. Infatti, è importante precisarlo, non sono stati i cristiani che, dopo il fatto, e per primi, avrebbero scoperto nell'Antico Testamento come giustificare le predizioni del Messia applicandole a Gesù: l'utilizzo di questi testi, specialmente di Isaia e del libro di Enoch, in un senso messianico, è precedente al cristianesimo. Non abbiamo la prova che fu così per Isaia in altre cerchie ebraiche, ma sappiamo almeno che era così nella setta degli Esseni, che utilizzava largamente Isaia in senso profetico (due esemplari di Isaia sono stati trovati tra i manoscritti del mar Morto), e ancor più il libro di Enoch, che è forse un'opera di origine essena (questa era già l'opinione di Padre Lagrange e di Alfaric; sembra confermata dalla scoperta dei manoscritti del Mar Morto).

C) Questa maniera di interpretare i testi dell'Antico Testamento era così generale che vi si cercava persino la predizione di eventi storici: è così che, in uno dei manoscritti del mar Morto, l'arrivo dei Romani in Palestina (sotto il nome di «Kittim») è ritenuto predetto dal libro di Abacuc, da cui il commentatore ricava numerose applicazioni a cominciare dalla formula: «questo significa che...». La stessa procedura era impiegata nella ricerca delle profezie relative al Messia. 

Allo stesso modo, poco importa che, secondo l'opinione di San Lassalle, [1] i Salmi 22, 60 e 69 contengono allusioni biografiche ad un personaggio, che sarebbe forse Onia III, assassinato nel 170 A.E.C.: non è più Onia che si vedeva in questi testi, era il Messia.

D) Del resto, gli scrittori dei vangeli non hanno nemmeno avuto la pena di raccogliere i testi dell'Antico Testamento considerati come relativi al Messia: è ben stabilito oggi che questi testi erano stati riuniti in una raccolta che non hanno dovuto che distinguere. Detto altrimenti, l'insieme dei testi considerati come profetici, e che si riferivano al Messia, costituiva già una vita di Gesù ante litteram; è stato sufficiente attingervi.

E) Resta tuttavia il fatto che, secondo l'osservazione di Alfaric, la «virtù feconda del controsenso» dedita in queste interpretazioni non ha potuto agire «in una direzione continua a meno che questa direzione fosse preesistente nella mente dei lettori. Se si sono orientati verso il cristianesimo, è perché un orientamento pre-cristiano si stava già affermando negli ambienti dove hanno preso nascita». [2]

Dovremo quindi ricercare prima di tutto quale sia l'apporto propriamente ebraico al mito di Gesù, e specialmente come Gesù sia stato assimilato al Messia più o meno predetto dall'Antico Testamento, — e in seguito quale fosse questo orientamento pre-cristiano che ha guidato alcuni commentatori o interpreti verso la scelta di testi molto particolari che hanno dato a Gesù un'immagine così poco conforme al Messia atteso dal popolo ebraico. 

Detto altrimenti, dapprima parleremo del messianismo in generale, poi della forma molto particolare che aveva preso l'attesa del Messia nell'ambiente esseno, dove è ormai ben stabilito che si deve cercare l'origine delle prime comunità cristiane.

NOTE

[1] «Onias III et les Psaumes macchabéens», Bull. Cercle E. Renan, dicembre 1961.

[2] ALFARIC: «A l'école de la raison», pag. 57.

La Favola di Gesù Cristo — «Conclusione»

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Conclusione

Come il battesimo, il rito eucaristico è estraneo all'ambiente ebraico e deriva dai culti misterici. È tuttavia probabile che fu preso dapprima in senso simbolico: sono i concili che hanno in seguito obbligato a prendere alla lettera il dogma della transustanziazione, che Voltaire giudicava così contrario alle leggi della fisica: «Centomila briciole di pane diventate in un istante altrettanti dèi» [17] No, mai gli ebrei avrebbero fino a questo punto abbassato la divinità!

NOTE

[17] Senza dimenticare le conseguenze della digestione. Si veda Dizionario filosofico, V° Transustanziazione.

mercoledì 25 dicembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Il rito cristiano»

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Il rito cristiano

In quale momento i cristiani sono passati dal semplice pasto comunitario all'idea di mangiare il loro dio? È difficile da precisarlo, ma senza dubbio molto tardi. Abbiamo visto che ai tempi di Paolo si era ancora ai semplici pasti: non si potrebbe quindi ammettere l'opinione di Guignebert, secondo la quale il paolinismo avrebbe adottato del tutto naturalmente un rito diffuso nei culti misterici.

La trasposizione del pasto in rito di comunione è posteriore a Paolo. Loisy la situa verso la fine del I° secolo, e la crede quindi anteriore a Marcione, ma non vedo su cosa appoggia quest'ipotesi. Turmel, al contrario, ammette che è Marcione ad aver introdotto nell'epistola ai Corinzi l'interpolazione: «Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: questo è il mio corpo» (1 Corinzi 11:23). Ciò rassomiglia molto alle idee di Marcione, e Couchoud, nella sua ricostruzione del vangelo di Marcione, dà un passo simile. [14] Questa opinione sarà peraltro confermata da Tertulliano, secondo cui è il Cristo di Marcione che fece del pane la rappresentazione del suo corpo. [15] Sappiamo quindi che il rito esisteva intorno al 140, nulla permette di assicurare che esistette prima di quella data.

Ma questo rito, l'abbiamo visto, proviene dal paganesimo, con l'esatto significato che gli davano i culti pagani: si trattava di annettersi le virtù del dio mangiandolo. Clemente d'Alessandria non dirà altro, sebbene sotto una forma ancora più idealizzata: «Mangiare e bere la Parola divina equivale ad aver conoscenza dell'essenza divina».

Che un uomo potesse mangiare dio e partecipare così all'essenza divina, era un'idea capace di far morire un ebreo di apoplessia. Ma Paolo, originario della Siria, sa talmente bene come il rito rassomiglia ad altri che mette in guardia: «Voi non potete bere il calice del Signore e il calice dei démoni, voi non potete partecipare alla mensa del Signore e alla mensa dei démoni» (1 Corinzi 10:20-21). Beninteso, non è più il vero Paolo che parla, il Paolo che si indignava delle bevute comunitarie; è forse Marcione, è in ogni caso qualcuno che sa che esistono un calice [16] e una mensa in altri riti, e che la confusione è possibile. 

NOTE

[14] «Jésus, le dieu fait homme», pag. 191, secondo TERTULLIANO (Adv. Marc. 3:40) che precisa: «Christus panem sibi corpus finxit, qua corporis carebat veritate».

[15] «Panem quo ipsum corpus repraesentat...» (Adv. Marc. 1:14).

[16] In Marcione, il calice conteneva dell'acqua, e non del vino (Epifanio, Panarion 42:3).

martedì 24 dicembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «La teofagia»

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La teofagia

L'idea di mangiare il dio, per incorporarsi la sua forza, è totalmente estranea all'ambiente ebraico. Noi sappiamo, al contrario, che la legge di Noè vieta di consumare del sangue. Per contro, troviamo delle numerose analogie con l'idea di teofagia (l'atto di mangiare il dio) in numerosi culti pagani.

A) Alle origini, si doveva mangiare la carne stessa degli animali sacrificati. Questo è ciò che vediamo nel culto del Dioniso Trace: i partecipanti strappano coi loro denti la carne del toro che rappresenta il dio, al fine di appropriarsi della sua forza. L'idea è comune, nelle religioni primitive, che mangiando la carne di un animale sacro (o quella di un nemico, tra i primitivi), si partecipa alla sua sostanza, alle sue virtù; allorché l'animale simboleggia il dio, si passa del tutto naturalmente all'idea di mangiare il dio stesso.

B) Ma con la civilizzazione il gusto si raffina, e il sangue doveva ripugnare, poiché non tarderà ad essere sostituito simbolicamente dal vino: questo vino, per una cerimonia magica, diventa il sangue del dio, che il fedele assorbe. Questa seconda fase è chiaramente stabilita nel culto di Iside, dove si dicevano queste parole di consacrazione sulla coppa: «Tu sei vino e non sei vino, ma le viscere di Osiride». [10] Si vede l'esatta analogia con il rito cristiano, dove il vino consacrato diventa il sangue di Gesù.

C) Faremo un passo ulteriore con i misteri di Cibele e di Attis: questo culto comportava una autentica «cena» che Firmico Materno paragonava già a quella dei cristiani. Tertulliano arriva persino a dire che a causa di questa analogia alcuni confondevano i due culti! Il rito è mal conosciuto, ma sappiamo che dopo aver mangiato ciò che conteneva il tympanon (attributo di Cibele) e bevuto ciò che conteneva il cimbalo (attributo di Attis), l'iniziato diceva: «Io sono divenuto il miste di Attis». E una formula gli rispondeva: «O te felice, beato, che invece d'un mortale ora sarai un dio». [11]

Cosa mangiava e cosa beveva? Se pensiamo che Attis era comunemente assimilato al chicco di grano, abbiamo tutte le ragioni per credere che l'alimento fosse un pane qualunque, ma che questo alimento rappresentava il dio stesso, e che così l'iniziato mangiava il suo dio. È più difficile sapere se la coppa sacra contenesse vino o un'altra bevanda.

D) L'esistenza di queste nozioni di teofagia ci è peraltro garantita da Cicerone, che le deride: «Quando chiamiamo Cerere le messi e Libero il vino usiamo un modo di dire: pensi davvero che ci possa essere qualcuno tanto pazzo da ritenere che sia un dio ciò che egli mangia?» [12] Ciò sembrò irragionevole a quest'uomo di buon senso, ma non avrebbe scritto queste righe se non avesse sentito parlare di questa follia. Per gli iniziati delle sette misteriche, la ragione non era la virtù dominante, e il principio di identità poteva essere violato per magia: per quanto irragionevole possa sembrare, l'idea di mangiare il dio non sconvolgerà di più i cristiani.

E) Più precisa e più inquietante infine è questa corrispondenza con il culto di Mitra: sappiamo che nel corso di una cerimonia si presentava all'iniziato del pane e una coppa, pronunciando, ci dice Giustino, «certe formule che voi sapete o che voi potete sapere». [13] Non ci dà sfortunatamente la formula, ma è evidente che si tratta di una formula di consacrazione, e siamo in presenza di un rito identico a quello del cristianesimo.

NOTE

[10] Citato da GUIGNEBERT: «Le Christ», pag. 373, secondo Wesely, e da ALFARIC: «Origines sociales du christianisme», pag. 210.

[11] Ippolito. Citato da BRIEM, op. cit., pag. 308.

[12] Della natura degli dèi 3:16.

[13] Apologia 1:46:4.

domenica 22 dicembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Eucarestia e teofagia»

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2°) EUCARESTIA E TEOFAGIA

I Vangeli ci raccontano l'ultima «cena» di Gesù, probabilmente ispirata a quella di Mitra. Tutt'altro è il significato simbolico che si darà a questo pasto, al pane e al vino che vi si sono consumati. Da dove proviene questo rito?

I pasti comunitari

Esistono in diversi culti antichi (Mitra, Cibele, Baal siriani) dei pasti sacri, a cui i fedeli partecipano assieme. Si è molto lontani da questo pasto all'idea di mangiare il dio stesso, e non è necessario cercare un'origine speciale al semplice fatto di mangiare insieme.

È tuttavia solo l'esistenza di semplici pasti comunitari ad essere attestata alle origini del cristianesimo. [9] Nella sua lettera a Traiano, Plinio il giovane riporta che i cristiani hanno l'abitudine di riunirsi per mangiare in comune «dei cibi innocenti». Troviamo ancora più dettagli in una lettera di Paolo: vi vediamo che a questi pasti ognuno portava la sua pietanza, e che questi apporti erano molto disuguali; vediamo anche questi pasti finire in bevute. L'apostolo si indigna a constatare che «mentre l'uno ha fame, l'altro è ubriaco. Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? ... e volete far vergognare chi non ha niente?» (1 Corinzi 11:21).

Questo passo, così contrario al significato mistico che prenderanno i pasti, non può essere stato aggiunto, né da Marcione né dai cristiani del II° secolo; ha quindi molte possibilità di essere autentico. Lo stesso non è vero del verso sulla comunione rituale che vi è stato aggiunto, e che contrasta con questo quadro poco edificante dei pasti in comune.

NOTE

[9] Si vedano Atti degli Apostoli: «Prendevano il loro cibo» (2:46). Daniel ROPS ne conviene: «Queste  agape comuni sono dei veri e propri pasti» (L'église des apôtres et des martyrs, capitolo 1).

La Favola di Gesù Cristo — «Conclusione»

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Conclusione

Sconosciuto all'ambiente ebraico, e persino, secondo la tradizione evangelica, a Gesù, presentando del resto delle profonde analogie con i battesimi pagani, dobbiamo ammettere che il battesimo cristiano, con la sua virtù di rigenerazione e di rinascita, deriva dai culti misterici, come lo lascia intendere Paolo. Trovando una sorta di concorrente in Giovanni il Battista, i cristiani lo hanno annesso, il che fu tanto più facile dal momento che il battesimo di Giovanni era ben lungi dall'avere lo stesso valore del battesimo cristiano.

Una sola cosa complica un po' il problema: gli Esseni, come vedremo, praticavano a loro volta un battesimo di purificazione (e non è escluso che il Battista sia stato esseno). Ma conosciamo ancora molto poco le origini dell'Essenismo: la setta è molto ai margini dell'ebraismo ufficiale, ed è probabile che anch'essa abbia subito delle influenze straniere. È attraverso di essa che queste influenze sono penetrate nel cristianesimo, oppure proprio il cristianesimo proviene dalla fusione di una setta essena di Damasco con un altro culto misterico? Questi problemi restano da risolvere. 

venerdì 20 dicembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Il battesimo mandeo»

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Il battesimo mandeo

A Giovanni il Battista si collega la setta dei Mandei, che pratica ancora un battesimo rituale. Ma il legame con Giovanni appare qui ancor più artificiale che nel cristianesimo: nulla ci permette di pensare che i Mandei venissero dalla Palestina, è una setta iraniana, e il dio Manda si lega al culto babilonese di Marduk. Il battesimo mandeo comunica la Vita, e la formula sacramentale lo precisa: «Il nome della Vita e il nome di Manda d-Haiyê sono su di te pronunciati». Ma siamo molto lontani dalle concezioni ebraiche, malgrado il riferimento, introdotto successivamente, a un Giordano celeste. Nulla ci permette di prestare una concezione del genere al Battista, a meno che pure quest'ultimo non derivi da qualche influenza babilonese (attraverso l'esilio di Babilonia), ciò che probabilmente ignoreremo per sempre.

giovedì 19 dicembre 2019

La Favola di Gesù Cristo — «Il battesimo di Giovanni»

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Il battesimo di Giovanni

Si dirà forse che il battesimo non è così estraneo all'ambiente ebraico, poichè Giovanni il Battista lo praticava. In realtà, non sappiamo granché di questo Giovanni, ma si può ammettere che era ebreo e che battezzava per immersione nelle acque del Giordano. I cristiani hanno tentato in seguito di integrarlo al mito di Gesù, sia per sminuirne l'importanza sia per farlo servire da garanzia per Gesù, ma questa presentazione tardiva è artificiale. Era l'avviso di Loisy: «Tutti i passi del Nuovo Testamento dove si parla di Giovanni sono dominati da una preoccupazione comune, che è quella di sfruttare o semplicemente di neutralizzare, a vantaggio del cristianesimo, Giovanni e i ricordi o le idee che si associavano al suo nome». [7] «La tradizione evangelica aveva trovato opportuno abbastanza presto associare Giovanni a Gesù, come precursore e introduttore del suo ministero...  come se la tradizione cristiana si fosse appropriata di una leggenda di Giovanni, concepita dapprima per la sua gloria e indipendente da quella di Gesù». [8]

Ciò potrebbe rendere molto interessante la dottrina del Battista, se la conoscessimo e supponessimo che ne avesse una. Ma tutto quello che sappiamo di lui, è che praticava un battesimo di semplice purificazione, che lavava dai peccati senza alcuna partecipazione alle virtù di un dio e senza effetto di rinascita (Matteo 3:11). Il battesimo di Giovanni non è quindi probabilmente all'origine del battesimo cristiano, di cui ignorava la natura sacramentale. E soprattutto non sappiamo a quale setta pagana il Battista ha improntato il suo rito. 

NOTE

[7] LOISY: «Le mandéisme et les origines chrétiennes», pag. 45.

[8] LOISY: «L'évangile selon Luc», introd. pag. 25.

La Favola di Gesù Cristo — «I battesimi pagani»

(segue da qui)

I battesimi pagani

Le analogie tra il battesimo cristiano e quelli dei misteri avevano colpito Tertulliano: 

«In certi misteri, per esempio quelli di Iside e di Mitra, i convertiti diventano iniziati per mezzo del battesimo..... e i riti di Apollo e di Eleusi comportano il battesimo; e credono che il risultato di questo battesimo sia una rigenerazione e la remissione dei loro peccati». [6

Il battesimo cristiano è così ben legato ai culti misterici che, nei primi tempi, i cristiani si sforzavano di mantenere segreti il significato e l'efficacia di questo rito: si imponeva il silenzio, e si esigevano delle garanzie (i padrini). Cirillo d'Alessandria, nel suo scritto contro l'imperatore Giuliano, dirà ancora: «Parlerei del battesimo, se non temessi che il mio discorso pervenga a coloro che non sono iniziati».

NOTE

[6] TERTULLIANO: De baptismo, 5.

La Favola di Gesù Cristo — «Battesimo e rinascita»

(segue da qui)

Battesimo e rinascita 

Non è sufficiente ricevere lo Spirito, e questa comunicazione non sarebbe stata generalizzata a tutti i convertiti: la sua importanza non tarderà a diminuire, e vi si sostituirà un altro effetto del battesimo, molto più importante per gli iniziati: il battesimo fa partecipare alle virtù e agli effetti della resurrezione del dio.

Nella maggior parte dei culti misterici, troviamo questa idea di una partecipazione, e un rito di assimilazione per il quale l'iniziato si associa al destino del Salvatore: soffrendo e morendo con lui, l'iniziato risorgerà anche con il suo dio, per la virtù del dio che gli è stata comunicata, trasmessa nel sacramento. Attraverso il battesimo, l'iniziato muore e rinasce, acquisisce una personalità nuova, è un uomo nuovo. Molto spesso, per segnare questa rinascita, prende un altro nome, così come l'apostolo, dopo l'iniziazione ricevuta a Damasco, ha cambiato il suo nome di Saulo in quello di Paolo. [5]

Questa virtù del battesimo, pure Paolo la conosce: «Siamo stati battezzati nella sua morte. Siamo dunque stati sepolti con lui mediante il battesimo nella sua morte, affinché, come Cristo è stato resuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita» (Romani 6:3-5). Non importa qui ancora se questo testo sia o no del vero Paolo: viene direttamente dal paganesimo. Attraverso il battesimo, il cristiano, simbolicamente, muore e rinasce, proprio come moriva e rinasceva simbolicamente l'iniziato di Eleusi. Egli diventa, secondo le parole di Paolo, una «nuova creatura» (Galati 6:15). Una tale nozione non ha dei precedenti ebraici, ma è comune nei misteri.

La stessa idea sarà ripresa nello pseudo-Giovanni: «Se uno non è nato di nuovo non può vedere il regno di Dio» (3:3). Per meglio accentuare il significato, l'autore presta al sempliciotto Nicodemo questa domanda: come un uomo già vecchio può rinascere ? Può rientrare nel grembo di sua madre? Allora Gesù precisa: «Se uno non nasce da acqua e da Spirito...» (3:5).

La virtù del battesimo proviene dalla partecipazione al sacrificio del Salvatore, ed è per questo che il cristiano non era battezzato inizialmente che «nel nome del Signore» (1 Corinzi). È molto tardi che si introdurrà nel rito battesimale la formula della Trinità, che proverrà da una lunga elaborazione dei dogmi.

NOTE

[5] Esistono altre spiegazioni possibili di questo cambiamento di nome (Paolo sarebbe il nome greco dell'ebreo Saul, oppure un soprannome perché era piccolo, ecc.) Non è meno curioso constatare che il promotore del battesimo ha seguito l'usanza degli iniziati dei culti siriani. 

La Favola di Gesù Cristo — «Il battesimo e lo Spirito santo»

(segue da qui)

Il battesimo e lo Spirito santo

In un testo ermetico, citato da Guignebert, [2] si trova questa formula: «Coloro che sono stati battezzati con lo (o nello) Spirito, costoro hanno partecipato alla conoscenza e sono diventati perfetti». Il Battesimo comunica quindi lo Spirito, ed è proprio ciò che vediamo nei testi cristiani:

— Paolo ripeterà la stessa cosa: «Noi tutti siamo stati battezzati in un unico Spirito per formare un unico corpo, Giudei e Greci, schiavi e liberi, e tutti siamo stati abbeverati di un solo Spirito» (1 Corinzi 12:13). Non importa, da questo punto di vista, ricercare se il tema proviene da Paolo stesso o dai suoi editori successivi;

— Gli «Atti degli Apostoli» conoscevano solo questa virtù del battesimo: esso comunica lo Spirito. Lo scrittore che, verso la fine del II° secolo, ha fuso assieme due fonti diverse per distorcere la prospettiva delle origini cristiane, presta addirittura a Gesù una frase sconosciuta ai vangeli: «Giovanni battezzò sì con acqua, ma voi sarete battezzati in Spirito Santo fra non molti giorni» (1:5). Il battesimo degli apostoli è dunque il fuoco celeste della Pentecoste, non vi è nemmeno più l'acqua! [3] Questa frase si ripete in occasione del battesimo allegorico del centurione Cornelio: è lo Spirito Santo che cade dapprima sui «Gentili» (10:44), prima ancora che Pietro conceda loro l'acqua del battesimo (10:47), e quest'ultimo, per giustificarsi in seguito, invocherà questa «discesa» dello Spirito (11:15), assimilata a quella di cui gli apostoli sono stati onorati «al principio». Come dice Loisy, la scena è un allestimento artificiale: «È la pentecoste dei pagani... dopo la Pentecoste degli ebrei», [4] ed era necessario riportare proprio a Pietro, trasformato in capo della Chiesa, il primo battesimo dei pagani per fargli avallare in anticipo la feconda innovazione delle comunità di Antiochia o di Damasco. Resta il fatto che, in questo allestimento fittizio, il battesimo è considerato solo come una comunicazione dello Spirito. Questo è ciò che è precisato per il battesimo da Paolo stesso: egli è «riempito di Spirito» (9:17), e subito (9:20) si mette a predicare nelle sinagoghe.

Ora, questa comunicazione dello Spirito attraverso il battesimo è sconosciuta agli ebrei; è sconosciuta a Giovanni il Battista, se crediamo alla versione degli «Atti». La vediamo nascere in Siria dove, come per caso, fioriscono i culti che praticano un rito simile, in ambiente paolino e non a Gerusalemme: uno degli scopi principali degli «Atti» sarà proprio di riportare artificialmente a Pietro le originalità del cristianesimo siriano di Paolo.

NOTE

[2] «Le Christ», pag. 344.

[3] La chiesa moderna ammette anche il battesimo dei moribondi, convertiti in extremis, direttamente dallo Spirito Santo.

[4] «Les Actes des apôtres», pag. 451.

La Favola di Gesù Cristo — «Le fonti pagane: battesimo ed eucarestia»

(segue da qui)

CAPITOLO III

BATTESIMO ED EUCARESTIA

Secondo la Chiesa, è Gesù che avrebbe istituito il battesimo e il rito di comunione. In realtà, le cose sono molto più complesse, e quei due «sacramenti» provengono dal paganesimo ellenistico.

1°) IL BATTESIMO


Secondo la tradizione cristiana stessa, Gesù non battezzava. Con qualche imbarazzo, lo pseudo-Giovanni lo ammette (4:2); egli ha quindi il ricordo di un cristianesimo primitivo dove non si entrava ancora attraverso il battesimo. Non è detto da nessuna parte che gli apostoli sarebbero stati battezzati: in ogni caso, Gesù non impone loro quella condizione.

Per contro, Paolo conosce il battesimo, e le virtù che gli si attribuiscono nei misteri. Egli stesso doveva battezzare (si veda 1 Corinzi 1:14-17), e gli «Atti degli Apostoli» precisano che, alla sua conversione, fu battezzato a Damasco (9:18)..... da un discepolo chiamato Anania, che era forse un «pio giudeo secondo la Legge» (22:12), ma che poteva difficilmente essere cristiano, poiché nessuna propaganda poteva allora aver raggiunto la città di Damasco. Vedremo che si trattava di un Esseno.

Il battesimo è un rituale comune nei culti misterici: sono stati trovati perfino dei battisteri pagani.


Il significato del battesimo

Il rito ha prima di tutto il significato di una purificazione: il battesimo lava dalle impurità. Paolo dice: «Voi siete stati lavati» (1 Corinzi 6:11). E Voltaire deride: «Che strana idea quella, ispirata al bucato, secondo cui una brocca d’acqua deterga tutti i delitti!» [1] Ma presto l'acqua non sarà più che un simbolo e il battesimo prenderà un significato più profondo.

NOTE

[1] Dizionario filosofico, V° Battesimo.