giovedì 31 maggio 2018

Gli Inizi del Cristianesimo Gnostico : Le Odi di Salomone: La Loro Dottrina (III) — Il Termine “Il Signore”

(segue da qui)


CAPITOLO III

LE ODI DI SALOMONE: LA LORO DOTTRINA

2. IL TERMINE “IL SIGNORE”

Commentatori che giungono allo studio di quelle Odi con la determinazione di trovarvi il Gesù dei vangeli, rispetto a cui non esiste nessun modo più certo di fallire di comprenderle, prendono il termine “il Signore” dovunque c'è la minima possibilità di dubbio — e a volte quando non c'è nessuna — come un riferimento ad un Cristo umano. Il termine occorre davvero di frequente, ma in un'Ode soltanto — l'Ode 31 — sembra necessario prenderlo per un riferimento alla Parola; e c'è una spiegazione possibile dell'eccezione apparente. Considerando l'intima dipendenza delle Odi dai libri sapienziali e dai salmi, in cui naturalmente “il Signore” significa sempre Dio, il profondo principio critico equivale a comprendere il termine come un'allusione a Dio dovunque non ci sia nessuna prova chiara del contrario. Dal momento che le Odi sono la produzione di una sfera di pensiero religioso che contribuì allo sviluppo della dottrina cristiana, in loro troviamo necessariamente idee e frasi che sono riprodotte nella successiva letteratura cristiana; ma frequentemente quando questo è il caso l'espressione di quelle idee ricorre con qualche cambiamento o sviluppo indicativi di un progresso nel pensiero. E una trasformazione simile è osservabile quando risaliamo alla letteratura in cui le idee religiose delle Odi avevano la loro nascita. Considera, per esempio, la frase “Ma io so che il mio Redentore vive” (Giobbe 19:25). Questa frase naturalmente fu scritta a proposito di Dio e lo scrittore non aveva nessuna nozione della dottrina cristiana di redenzione tramite Cristo. Anche nelle Odi Dio è Redentore, Salvatore, e il “Vivente”, ed è necessario diffidare dell'assunzione che il termine “il Salvatore” abbia qualche relazione con Gesù. [5] Qui, comunque, è occorso un progresso nel pensiero. La Parola è il mezzo mediante cui Dio ha offerto salvezza agli uomini; infatti mediante unione con la Parola essi diventano uniti a Dio e così si assicurano una vita eterna. È naturale e facile ma piuttosto acritico per le persone, quando incontrano nelle Odi certi termini stereotipati e costrutti cristiani, attribuire una sviluppata cristologia che è loro del tutto aliena. Un esempio calzante si trova nell'Ode 3, dove è scritto: “Io davvero non saprei amare il Signore, se lui non mi amasse”. L'insicurezza dell'assunzione che “il Signore” in questa dichiarazione significa Cristo è constatata tramite un confronto con l'Ode 16:3: “Il Signore è il mio amore”. È abbastanza chiaro dai versi che seguono che “il Signore” qui è l'Altissimo:

E perciò io devo a lui cantare. ... Aprirò la mia bocca; il suo Spirito annunzierà per mezzo mio la gloria del Signore e la sua bellezza, l’opera delle sue mani e il lavoro delle sue dita, la pienezza del suo affetto e la forza della sua parola. [7]


Come una materia di fatto, la continuazione dell'Ode 3, da cui è stato citato “Io davvero non saprei amare il Signore, ecc.”, rende chiara la materia. infatti immediatamente di seguito a quelle parole leggiamo, “Io ardo per l’Amato”. “L'Amato” è chiaramente “il Signore”, che era stato menzionato appena prima. Poi l'Odista continua: “E l’anima mia lo ama; dov’è la sua quiete, là son anch’io”. Potremo vedere che “la quiete” è la quiete di Dio in confronto al salmo 95:11. E ogni dubbio possibile è bandito dal verso successivo dell'Ode, “E non sarò estraneo — vale a dire, nella “sua quiete —, perché presso il Signore Altissimo e affettuoso, non c’è gelosia”. Poi vi segue immediatamente: “Mi son congiunto con lui”. Il “lui” può solo essere il Signore Altissimo. Infine leggiamo nel verso 9: “Chi del Vivente si compiace, vivo sarà”. Così abbiamo in tutta la chiarezza desiderabile la dottrina di salvezza dello scrittore. La salvezza, o redenzione, è l'ottenimento della certezza di vita eterna tramite un'unione con il Vivente, che è il Signore Altissimo. Ma, come sottolineato in precedenza, l'unione è assicurata tramite la mediazione della Parola — anche definita lo Spirito del Signore — che penetra nell'anima dell'adoratore, recandogli accidentalmente la conoscenza del Dio altrimenti inconoscibile. La Parola è chiamata “il Cristo”, ma certamente non è considerata come “una persona”. Egli è definito anche “il Salvatore” nell'Ode 41:

La sua Parola è con noi per tutto il cammino. Il Salvatore, che dà la vita e le anime nostre non rifiuta.


La frase finale può essere interpretata a partire da un Ode (7) citata in precedenza. Significa probabilmente che la Parola non disdegna di penetrare nelle anime degli uomini. Si poteva dire che essa umilia sé stessa. Ma se ci sono delle interpolazioni in quelle Odi la frase immediatamente seguente — “L’uomo, che fu umiliato e per la sua giustizia fu elevato” — è certamente una. La frase stride con il suo contesto come una nota stonata in una musica. Mai da nessun'altra parte la Parola è chiamata “un uomo”, e una simile designazione è totalmente in conflitto con la dottrina dello scrittore. E neppure noi da qualsiasi altra parte troviamo la “giustizia”, o qualsiasi altra simile qualità umana, attribuita alla Parola. Essa non è “giusta” ma è la causa della giustizia negli uomini. Essa si potrebbe ritenere una personificazione della qualità astratta della giustizia; ma è davvero significativo che il termine non è mai usato in associazione ad essa; piuttosto è essa, in qualità di entità divina, la personificazione di “grazia” e “verità”, e la portatrice di “luce” e “vita”. La frase citata suggerisce la mentalità di un cristiano del secondo secolo o del tardo primo secolo. Grammaticalmente è completamente avulsa dal suo contesto. L'identificazione pratica della Parola con Dio si trova nell'Ode 29:
“Ho creduto difatti nel Cristo del Signore e mi è apparso che lui [ossia, il Cristo] è il Signore [=Dio]”. 
È chiaro da questa identificazione che la Parola dev'essere stata concepita come Spirito; abbiamo visto di fatto che “la Parola” e “lo Spirito del Signore” sono termini sinonimi; e non è discernibile alcuna dottrina di “incarnazione” diversa dalla dottrina dell'incarnazione della Parola negli eletti di Dio, la congregazione dei santi.
Nell'Ode 14 leggiamo: “La tua mitezza rimanga, o Signore, con me”. La mitezza è una qualità attribuita così di frequente a Gesù nella letteratura cristiana che un cristiano nel leggere questa frase è naturalmente incline ad assumere che qui ad ogni caso abbiamo una preghiera rivolta a Cristo e che lo scrittore potrebbe aver pensato al Gesù dei vangeli. Ma i versi che seguono mostrano che l'assunzione sarebbe stata errata:

Insegnami i canti della tua verità perché, col tuo aiuto, produca frutti. Aprimi la cetra del tuo santo Spirito, sì che in ogni melodia ti lodi, Signore.


Evidentemente il Signore che è indirizzato è Dio. Applicare il termine “mitezza” a Dio sarebbe abbastanza naturale per uno scrittore così ben familiare coi salmi come lo era l'Odista, poiché nel salmo 18:35 leggiamo, “la tua mitezza mi ha reso grande”, rivolta a Dio. Lo scrittore — come concluse Harnack — non era certamente a conoscenza di alcun vangelo e non c'è proprio nessuna prova che il suo Cristo fosse stato derivato in minima misura da una conoscenza del Gesù cristiano. Di conseguenza ogni tentativo di interpretare le Odi alla luce di qualità o epiteti associati convenzionalmente a Gesù possono solo condurci fuori strada. [7] Noi siamo ora nella posizione di esaminare in maggior dettaglio l'importante Ode 7.
2. La mia gioia è il Signore e la mia corsa, verso di lui. 3. Bella è questa mia strada, perché ho un aiuto rispetto al Signore: 4. egli mi svelò sé stesso, senza riserbo, con semplicità. La sua soavità ha reso esigua la sua grandezza. 5. Egli divenne come me, perché lo potessi ricevere; 6. simile a me fu creduto, perché lo potessi rivestire. 7. Ed io non tremai, quando lo vidi, perché lui è la mia clemenza. 8. Egli divenne come la mia natura, perché imparassi a conoscerlo, e come il mio sembiante, perché da lui non mi ritraessi. 9. Padre della Gnosi è la Parola della Gnosi. 10. Colui che la sapienza ha creato delle sue opere è più saggio; la conoscenza invero egli ha stabilito come suo sentiero. 11. Chi mi creò prima che esistessi sapeva ciò che avrei fatto quando fossi esistito. Perciò fu clemente con me nella sua grande clemenza e mi concesse di poterlo supplicare e di ricevere del suo sacrificio. 13. Egli è immortale, la perfezione dei mondi e loro padre. 14. Egli ha dato sé stesso per farsi vedere da chi è suo, perché riconoscessero il loro fattore.


Il linguaggio dell'Ode è altamente poetico e metaforico. A dispetto dei termini “semplicità” e “soavità”, “il Signore” è Dio per tutto il tempo, “chi mi creò prima che esistessi”. Confronta, per esempio, i versi 4 e 10: “Egli mi svelò sé stesso, senza riserbo ...  la conoscenza invero egli ha stabilito come suo sentiero”. Il soggetto della seconda di quelle frasi è “il Padre della Gnosi”, “colui che la sapienza ha creato”, da cui dobbiamo concludere che è il Padre colui che “mi svelò sé stesso”. La stessa conclusione è raggiunta da un confronto dei versi 7 e 14. Nell'ultimo verso è ovviamente il Padre che “si è dato per farsi vedere”; di conseguenza il soggetto del verso 7 dev'essere a sua volta il Padre. Le versioni inglesi delle Odi recitano “lui” al posto di “sé stesso” nel verso 14; ma ciò non ha alcun senso ed è grammaticalmente insostenibile. Non c'è nessuna persona menzionata in precedenza a cui “lui” possa riferire; e il Creatore non poteva indurre le persone a riconoscere il loro fattore” mostrando loro qualcun altro. Wellhausen tradusse correttamente la frase, “Er lässt sich schauen von den Seinen”. E quando confrontiamo “Egli ha dato sé stesso per farsi vedere”  con “egli mi svelò sé stesso” nel verso 4 ricaviamo una conferma dell'opinione che anche in quel verso “Egli” è Dio. Siamo anche indotti a comprendere che “vedere” è scritto poeticamente al posto di conoscere, proprio come in Sapienza 6:12, della Sapienza è scritto che “facilmente è contemplata da chi l'ama”. Lo scrittore non aveva mai “visto” la Sapienza letteralmente; e neppure l'Odista suppose che qualcuno avesse mai visto Dio o la Parola.
La metaforica “contemplazione” di Dio e la presenza di Dio nella congregazione si presentano in alcuni dei salmi. Per esempio, il salmo 17:15 : “Quanto a me, per la mia giustizia, contemplerò il tuo volto”. 16:8: “Io ho sempre posto il Signore davanti agli occhi miei; poiché egli è alla mia destra”. 73:23 : “Ma pure io sono sempre con te”. 82:1 : “Dio sta nell'assemblea divina”. Potremo anche paragonarvi Sapienza 1:2 : [Il Signore] si mostra a coloro che non ricusano di credere in lui”. Nella Sapienza di Salomone la conoscenza di Dio è impartita dalla Sapienza, “essa infatti tutto conosce e tutto comprende”. Nelle Odi la manifestazione avviene tramite la Parola; e dal momento che la Parola non è vista letteralmente sarebbe piuttosto irrilevante dire in un senso letterale che “egli divenne come me”, la qual cosa implicherebbe un'apparizione oggettiva. Dobbiamo interpretare la frase a partire da espressioni trovate altrove. E dato che la dottrina dell'Odista, come è stato mostrato, è che Dio diventa conosciuto tramite l'ingresso della Parola come una porzione dello Spirito divino nell'uomo interiore, la dichiarazione “egli divenne come me” deve significare che egli si assimilò a me penetrando in me.
In quest'Ode è implicato che ricevere la Parola equivale ad acquisire conoscenza di Dio; e, quasi a non lasciare alcun dubbio in merito al suo significato, lo scrittore aggiunge: “Padre della Gnosi è la Parola della Gnosi”. La frase nel verso 12 — “mi concesse di poterlo supplicare e di ricevere del suo sacrificio” — è oscura. Il testo in un buon numero di punti è corrotto e in alcuni la lettura originale non è di certo recuperabile. L'idea che Cristo morì come un “sacrificio” è piuttosto aliena al pensiero dell'Odista; e se non lo fosse, “ricevere del” suo sacrificio sarebbe un'espressione particolare. Ma lo scrittore qui si sta riferendo, non in particolare alla Parola, ma al “Padre della Gnosi”, “Colui che la sapienza ha creato”, “la perfezione dei mondi e loro Padre”, e il ricevere del suo sacrificio è qualcosa che era concesso allo scrittore “di poter supplicare”. Le parole che seguono sembrano essere intese come una spiegazione: “egli è immortale ... egli ha dato sé stesso per farsi vedere”; ed era dall'incorruttibilità del Padre e dalla Parola emessa che lo scrittore si era rivestito di eternità. Il “suo sacrificio” significa probabilmente un sacrificio a lui, da cui colui che lo offre riceverà beneficio. [8] Si può comprendere come l'immaginazione vivente di uomini per i quali il pensiero puramente astratto non era loro congeniale avrebbe trasformato la ricezione della sapienza e della parola di Dio da parte della mente degli uomini nell'idea che essi fossero stati permeati dallo Spirito divino. Come è stato sottolineato in precedenza, un'idea analoga si trova nella letteratura egiziana gnostico-ermetica. E anche là il Logos e il Nous non sono essenzialmente separabili da Dio oppure separabili l'uno dall'altro.
La parola “semplicità” nel verso 4 dell'Ode 7 probabilmente non significa semplicità di una natura mentale o morale. La parola greca corrispondente è haplotēs, che, sebbene può significare semplicità nel senso comune, è anche il contrario di complessità, a significare unicità oppure l'assenza delle parti. C'è supporto a questa interpretazione della parola nell'Orazione ai Greci di Taziano, 5, dove il pensiero è simile a quello dell'Ode e potrebbe essere stato derivato da esso, o direttamente oppure indirettamente. Tiziano scrisse:
Con lui [Dio] vi erano tutte le cose, ma con lui per la potenza del Logos. Egli e il Logos, il quale era in lui, sussisteva. Il Logos poi brillò fuori per volontà della haplotēs di lui. Questo Logos non passato nell'aere, egli è l'opera primogenita di Dio.

La parola “semplicità” sarebbe utilizzata in maniera appropriata in questo senso nell'Ode, perché nella dottrina dello scrittore è mediante l'unicità della Parola col Padre che Dio stesso diventa conosciuto. Nell'Orazione di Taziano, come nelle Odi, il Logos è originariamente “in Dio”, una parte della sostanza spirituale di Dio, da qui egli scaturisce come un'emanazione spirituale, separabile nel pensiero, ma non essenzialmente, ed è da qui definita metaforicamente “l'opera primogenita di Dio”, portando alla concezione della Parola come il Figlio di Dio. La concezione è molto più antica del cristianesimo. Tot, “la lingua” [=la Parola], viene in esistenza nel dio primigenio, e quando tutte le cose create sono derivate da Horus e Tot (la Sapienza e la Parola), Tot si unisce con Pta. [9] Nelle Odi di Salomone anche la Parola è definita “Figlio di Dio”:
Il Figlio dell’Altissimo è apparso, nella perfezione di suo Padre. La luce rifulse dalla Parola, da tempo presente in lui — vale a dire, il Padre. Il Cristo è uno davvero.


Quando si confronta questo passo con Sapienza 7:26-27, diventa evidente che quei due versi erano nella mente dell'Odista mentre egli stava scrivendo, e che il suo Logos è la Sapienza sotto un altro nome: 
 È un riflesso della luce perenne, uno specchio senza macchia dell'attività di Dio e un'immagine della sua bontà. Sebbene unica, essa può tutto.

 NOTE

[5] Nei Salmi di Salomone anche Dio è chiamato parecchie volte “Salvatore” — ad esempio, 3:7: “La certezza dei giusti proviene dal Signore loro salvatore”.

[6] Qui come altrove la fraseologia è reminiscente della fraseologia dei salmi; ha pochissime affinità di sorta con quella del Nuovo Testamento.

[7] Si vedano i Salmi di Salomone, 5. “E chi é la speranza del misero e del povero, se non tu, Signore? E tu presti ascolto: infatti chi é buono e comprensivo all'infuori di te?”.

[8] Confronta i salmi 1,14,15, 22,23, dove “offerta” — nei versi 14 e 23 — equivale, in ebraico, a sacrificio.

[9] Dall'iscrizione egiziana nel Brit. Mus., considerata risalente all'ottavo secolo A.E.C., tradotta da Reitzenstein, Poim., pag. 62.

mercoledì 30 maggio 2018

Gli Inizi del Cristianesimo Gnostico : Le Odi di Salomone: La Loro Dottrina (III) — La Parola Interiore e la Gnosi

(segue da qui)

CAPITOLO III

LE ODI DI SALOMONE: LA LORO DOTTRINA

1. LA PAROLA INTERIORE E LA GNOSI


Per comprendere adeguatamente la dottrina delle Odi di Salomone è necessario rammentare continuamente che il loro compositore fu un poeta e un mistico. I commentatori hanno errato nel prenderlo troppo letteralmente. Un poeta personificherà astrazioni, e un mistico le vedrà come qualcosa di concreto; e nella mente dei mistici ebrei il confine tra una metafora poetica e la rappresentazione concreta di una qualità astratta era fluttuante e definita a malapena. Ci furono gnostici che personificarono il “Principio” che appare nel primo verso di Genesi. In Proverbi e nella Sapienza di Salomone la Sapienza è raffigurata come una donna che cerca, ama, e proclama; ma lo scrittore della Sapienza ad ogni caso non credeva veramente che lei fosse una donna, sebbene per lui lei fosse qualcosa di più di un'astrazione. Lei era uno spirito onnipervasivo che penetra nelle anime dei pii e li rende saggi. Nelle Odi di Salomone è la Parola a fare questo; e sebbene l'Odista scrive a volte di lui come se egli fosse una persona, egli non è più un uomo nelle Odi di quanto fosse una donna la Sapienza dello scrittore più antico. La vivida immaginazione di uno scrittore per il quale le astrazioni avevano un'esistenza reale, al pari delle “Idee” di Platone, e che personificavano Grazia e Verità, potrebbe aver visualizzato eventualmente la Parola come un uomo, ma mai come un uomo che era vissuto sulla terra. La dottrina dello scrittore, dichiarata concisamente, era che la Parola, al pari della Sapienza il cui posto aveva preso, è un'emanazione spirituale da Dio, illimitata nello spazio e capace di penetrare nella mente o nell'anima degli uomini. Questa visione della Parola e la sostituzione della Parola alla Sapienza è dovuta molto probabilmente ad un'influenza egiziana; infatti nell'antico pensiero egizio la parola pronunciata aveva una realtà oggettiva. Il dio più alto era creduto aver “emesso” gli dèi inferiori — ossia, che li avesse portato in esistenza pronunciando i loro nomi. In un inno egiziano davvero antico preservato nel British Museum è detto che “Tutti gli uomini, tutto il bestiame, tutti i rettili vivono perché Pta pensa ed emette qualunque cosa egli vuole”. Il pensiero [=Sapienza] e l'emissione [=Parola] si personificano rispettivamente come Horus e Tot, ma nella dottrina mistica dello scrittore essi non sono distinguibili da Pta. [1]
Nell'Ode 12 è scritto: “Dimora della Parola è il figlio dell’uomo”. Lo scrittore non dice e non può intendere che la Parola dimora tra gli uomini. Egli sta dicendo della Parola che cosa era stato detto in precedenza circa la Sapienza — che da generazione a generazione lei passa in anime sante. La dichiarazione si potrebbe prendere a implicare che la Sapienza è multipla: lo scrittore si guarda dall'equivoco dicendo nello stesso verso (Sapienza 7:27): Sebbene unica, essa può tutto”. Potremmo vedere da questo esempio che ci stiamo muovendo in un regno del pensiero dove non si deve richiedere una precisione logica. Lo scrittore delle Odi ad una misura maggiore dello scrittore della Sapienza sta tentando di esprimere concezioni metafisiche nel linguaggio della metafora, il solo tipo di linguaggio in cui esse si possono esprimere; e, a meno che riusciamo a portare le nostre menti in sintonia col suo misticismo, la sua rappresentazione concreta di astrazioni, e in generale la mentalità del mondo antico, non lo comprenderemo mai. La letteratura sapienziale fornirà di frequente un eco al pensiero reale che risiede nascosto al di sotto del suo linguaggio simbolico. Una frase nell'Ode 41 che è stata equivocata da alcuni commentatori — “il Cristo è uno davvero” — è illuminata dal verso della Sapienza riferito sopra. Dall'Odista è detto che il Cristo [=la Parola] è  davvero unico per la stessa ragione per la quale si disse che la Sapienza era unica. Nell'anima di ogni uomo santo la Parola ha il suo luogo di dimora; nondimeno la Parola non è multipla ma davvero unica.
La stessa concezione si trova nella dottrina dei Sabei, una setta mesopotamica. Come essi la espressero, il Creatore è sia unico che multiplo. Egli è uno per quanto riguarda la sua natura essenziale, priorità di esistenza, ed eternità, ma multiplo nel fatto che egli si diffonde per tutte le forme materiali nelle quali penetra, specialmente nei corpi di uomini buoni, saggi e distinti. [2] Sebbene non si trova nessuna menzione di questa setta prima della nascita del maomettismo, con cui venne in conflitto, la sua dottrina, come ha illustrato Reitzenstein, è rintracciabile alla teosofia greco-egiziana del primo secolo e ancor prima. Dal momento che la Sapienza divina non si poteva considerare il Pensiero di Dio, sarebbe facile assimilare la Parola al Pensiero di cui essa è espressione. In questa maniera in alcuni degli scritti ermetici, la cui dottrina è pre-cristiana in origine, il Logos si identificava con Nous, la Mente divina. La sostituzione della “Parola” al posto della “Sapienza” appare in un altro verso dell'Ode 41 col confronto della dichiarazione che “egli [il Cristo] fu conosciuto, già prima della fondazione del mondo, con Proverbi 8:24: “Io [la Sapienza] fui generata quando non c'erano ancora abissi”.
Il pensiero che uomini giusti siano il luogo di dimora della Parola ricorre nell'Ode 32:
I beati la gioia hanno dal loro cuore, la luce da chi in loro dimora. E la Parola dalla Verità che da sé esistette. Poiché con la forza di questa il santo dell’Altissimo si è rinvigorito, immobile egli è pure nei secoli eterni.

La Parola in quelle Odi è “il Salvatore”, ma non mediante un sacrificio espiatorio e “un'espiazione”. Essa salva gli uomini recando loro la conoscenza del vero Dio; non insegnando loro come la parola che insegna è capita generalmente, ma penetrando in loro. Nell'Ode 12 leggiamo:
 Egli moltiplicò in me la sua conoscenza, perché la bocca del Signore è la Parola verace e la porta della sua luce. L’Altissimo la diede ai suoi mondi. L’agilità della Parola è inesprimibile ... Spinti essi furono dalla Parola e riconobbero il loro fattore.

La frase “agilità della Parola” è degna di nota perché mostra che, comunque potrebbe essere poeticamente personificata la Parola, egli è concepita veramente come uno Spirito onnipervasivo, “penetrante”. Questo appare chiaramente al confronto con la Sapienza:
La Sapienza è il più agile di tutti i moti; per la sua purezza si diffonde e penetra in ogni cosa (Sapienza 7:24).

Sostituisci “la Parola” al posto della “Sapienza” in questa citazione, e tu hai la dottrina dell'Odista. Per completare il confronto si potrebbero citare Sapienza 1:7 e Proverbi 2:10:

Lo Spirito del Signore [la Sapienza] riempie l'universo. Quando la sapienza entrerà nel tuo cuore ... la riflessione ti custodirà.


È una dimostrazione della data davvero antica di quelle Odi il fatto che, sebbene nel complesso “la Parola” abbia sostituito la “Sapienza”, tuttavia il pensiero dello scrittore oscilla a volte tra le due in un modo che sarebbe stato impossibile per un “cristiano”. Dal momento che ciascuna di loro è “lo Spirito del Signore”, ciascun termine si potrebbe usare. La sostituzione, comunque, è avanzata così lontana che il nome Sapienza non si trova realmente. Che sia intesa la Sapienza è percettibile chiaramente dal confronto colla Sapienza di Salomone oppure con Proverbi. La differenza è piuttosto una differenza di aspetto che una differenza essenziale. In uno o due punti si fa la distinzione allo scopo di illustrare qualche punto della teosofia dello scrittore. Ma è abbastanza probabile che un re-orientamento graduale della dottrina fosse all'opera durante il periodo in cui si composero le Odi. Un esempio capita in un passo dell'Ode 33 citato in precedenza, dove è detto che una “vergine intatta” entra nei figli e nelle figlie degli uomini per renderli saggi, cosicché non periscano. Questa vergine è ovviamente la Sapienza. In Ecclesiastico 6:31, è detto: “Te ne rivestirai come di una veste di gloria”. “Rivestirsi di lei” è un'altra maniera per dire “prenderla dentro di sé”. E troviamo la stessa variazione di espressione in riferimento alla Parola nell'Ode 7: “Essa divenne come la mia natura, perché imparassi a conoscerla”.
Secondo l'antico modo di pensare, lo spirito che entrava in un corpo avrebbe preso la forma del corpo. [4] Quindi allo scopo che la Parola possa essere “rivestita” essa era “diventata come la mia natura”. Lo stesso pensiero si trova nell'Ode 6:
Come la mano si muove sulla cetra e le corde parlano, così parla nelle mie membra lo spirito del Signore ed io parlo nel suo amore.

Lo Spirito del Signore che “parla” è la Parola. La Gnosi e la “vita” sono acquistate mediante un'“unione” con lo Spirito di Dio dalla persona in cui la Parola è entrata. Così nell'Ode 3:
Chi è unito all’immortale, anche lui sarà immortale ... È questo lo spirito del Signore, senza inganno, che istruisce i figli dell’uomo, perché conoscano le sue vie.

Il valore supremo della Gnosi e il suo potere vivificante sono illustrati in varie forme di discorso. Nell'Ode 6 è l'acqua della vita:
Tutti gli assetati sulla terra bevvero; la sete fu smorzata ed estinta. Dall’Altissimo la bevanda fu concessa. 
Potremmo paragonare con questo Proverbi 16:22: “Il senno è una fonte di vita”. Di nuovo, nell'Ode 30:
Attingete acqua per voi dalla fonte viva del Signore. ... Dalle labbra del Signore zampilla e dal cuore di lui proviene il suo nome. Senza limiti e non vista arrivò e fin quando nel mezzo fu portata non fu conosciuta.

Nota in particolare l'ultima frase. Essa insegna che la Gnosi, la conoscenza di Dio, non provenne mediante un'istruzione odibile o visibile, né attraverso la voce di un uomo e neppure le lettere di un libro — quindi non dall'Antico Testamento. La dottrina è la dottrina dei mistici di tutte le età — vale a dire, che Dio si deve conoscere immediatamente mediante un'intuizione spirituale. Per l'Odista è lo Spirito del Signore, la Parola di Dio, ad impartire la conoscenza di Dio tramite una comunicazione interiore con la mente o l'anima della persona che lo riceve. Dal momento che la parola di Dio è l'espressione della mente divina, non c'è nessuna separazione chiara tra la Parola, la Volontà, e il Pensiero di Dio. “La Parola del Signore e i suoi voleri sono l’Idea santa; suo Pensiero è la vita eterna”. È chiaro che non stiamo trattando qui le realtà del mondo materiale ma astrazioni metafisiche. Con la frase, “dalle labbra del Signore zampilla”, potemmo paragonare: “Io sono uscita dalla bocca dell'Altissimo” (Ecclesiastico 24:3). Qualsiasi cosa lo scrittore di Ecclesiastico pensasse di Dio in possesso di una bocca è piuttosto difficile da dire. Dalla sua dichiarazione che Dio fece l'uomo secondo la sua stessa immagine si potrebbe ricavare che egli avesse una bocca. Lo scrittore della Sapienza, d'altra parte, dice che Dio fece gli uomini ad immagine della sua “propria natura”, oppure, secondo alcune autorità, della sua propria “eternità”, che sembra come una correzione deliberata del racconto di Genesi. L'Odista aveva respinto certamente quella storia, e dal momento che il suo Dio era spirito, egli può aver scritto “le labbra del Signore” solo come metafora poetica. Questo potrebbe sembrare troppo ovvio da meritare una menzione; ma, in vista del fatto che alcuni commentatori hanno errato per via di una tendenza ad un'interpretazione letterale, sembra necessario reiterare ed enfatizzare una cautela rispetto alla natura simbolica dello scritto. L'essere, o gli esseri, che lo scrittore adorava, a dispetto di una personificazione occasionale o di una materializzazione metaforica, sono esseri spirituali, o piuttosto sostanze spirituali, dal momento che per la mente antica lo spirito era materia assottigliata. Potremmo procedere ulteriormente e dire che essenzialmente si tratta di astrazioni metafisiche concepite e rappresentate più o meno concretamente.
 Un confronto della frase citata sopra dall'Ode 30 con il verso corrispondente di Ecclesiastico mostra che nella prima frase “il Signore”, come al solito nelle Odi, significa Dio. Potremmo interpretare anche l'offerta della Parola “nel mezzo” del verso 2 dello stesso capitolo, dove è detto: “Nell'assemblea dell'Altissimo lei apre la bocca”. La Gnosi è paragonata anche alla rugiada nell'Ode 35:

La rugiada del Signore di quiete mi ha coperto ... E redenzione così io ebbi ... mi drizzai verso l’Altissimo e fui salvo accanto a lui.


Si noti di nuovo come il ricoprimento “di quiete” indica un'infusione spirituale. In altre Odi la Gnosi è “latte” che proviene dai seni del Padre. Evidentemente una metafora poetica. Dio in quelle Odi è spirito, illimitato nello spazio e capace di estensione illimitata. Perciò egli è in grado di passare nelle anime degli uomini. Colla designazione “Spirito dello Signore” dobbiamo comprendere questo stesso Spirito. In realtà c'è solamente uno. Ma lo scrittore, tenendo la visione gnostica che Dio si sarebbe contaminato col contatto diretto con la materia, distingue tra l'Altissimo, lo Spirito che rimane in Cielo, e la Parola, quell'estensione dello Spirito divino che penetra nelle anime degli uomini. Leggiamo del Padre, lo Spirito Santo, e della Parola, ma dovremmo fare un grande sbaglio se qui dovessimo supporre che lo scrittore avesse qualche conoscenza, oppure avesse perfino pensato, a proposito del dogma cristiano della Trinità; tuttavia è abbastanza probabile che qui abbiamo il suo germe. Non ci sono tre persone in una persona. Parlando in senso stretto, non c'è affatto nessuna “persona”. C'è un unico Spirito che è visto sotto aspetti diversi. Proprio come la Parola, sebbene presente in molti, è “una davvero”, così la Parola è una sola con l'Altissimo. Quell'idea dello Spirito divino che diventa incarnato negli uomini è definita “la Parola”, “Grazia”, “la luce della Verità”, il “Pensiero”, oppure la “Volontà” di Dio. La Parola di Dio nel momento in cui influenza gli uomini direttamente — il legame spirituale, così per dire, tramite cui gli uomini diventano uniti con l'immediatamente inconoscibile Altissimo, e così ottenere la sua conoscenza. La dichiarazione si fa in maniera categorica e senza possibilità di equivoco nell'Ode 7: “Padre della Gnosi è la Parola della Gnosi”. Al pari della Sapienza la Parola è 
Un'emanazione della potenza di Dio, un effluvio genuino della gloria dell'Onnipotente ... È un riflesso della luce perenne (Sapienza 7:25).
di conseguenza una porzione dello Spirito divino. La stessa conclusione si può derivare dall'Ode 32 citata in precedenza, dove è detto che colui nel quale la Parola ha un luogo di dimora “è rinvigorito dal santo potere dell'Altissimo”.

NOTE

[1] Reitzenstein, Poimandres, pag. 63. La parola di Dio è oggettivata nel Salmo 147:15: “La sua parola corre velocissima”.

[2] Reitzenstein, Poim., pag. 169.

[3] Il significato del termine “il Cristo” in quelle Odi sarà considerato in seguito.

[4] Questo modo di pensare non è tuttavia obsoleto, dal momento che il “fantasma” di una persona è creduto un facsimile di quella persona.

martedì 29 maggio 2018

Gli Inizi del Cristianesimo Gnostico : Le Odi di Salomone: Loro Natura e Probabile Data (II) — La Loro Data Probabile

(segue da qui)

CAPITOLO II

LE ODI DI SALOMONE: LORO NATURA E PROBABILE DATA

3. LA LORO DATA PROBABILE

La questione della data non si può decidere finalmente finché la dottrina delle Odi non sia stata esaminata in dettaglio. Da ciò che è stato scritto fin qui il lettore probabilmente avrà ricavato l'impressione che esse devono essere antiche. Dal fatto che furono incluse ad uno specifico tempo tra i testi dell'Antico Testamento si potrebbe inferire che furono scritte prima dell'anno 70, dopo la cui data l'ebraismo diventò farisaico e tutti gli scritti ebraici ritenuti eterodossi furono proscritti. Solo coloro che i cristiani trovarono più o meno congeniali sono sopravvissuti. E dal momento che la comunità O, al pari degli esseni, dei terapeuti, e dei mandei, era certamente una setta ebraica, sebbene una eterodossa, dev'essere stata in esistenza per qualche tempo prima dell'espugnazione di Gerusalemme da parte di Tito. Dopo quell'evento nessun ebreo ellenistico può essere stato permesso entro il recinto dell'ebraismo, che allora assunse la stessa natura esclusiva che ha preservato fino ad ora; e nessuna setta ellenistica può essere entrata in esistenza al suo interno.
La stessa natura primitiva dello gnosticismo, che ha maggiore affinità con la dottrina della Sapienza di Salomone piuttosto che con quella dei più antichi eretici gnostici a noi noti, indica una data che non può essere più tarda rispetto alla metà del primo secolo e potrebbe essere più antica di parecchio. La dottrina della Sapienza-Parola delle Odi sembra essersi sviluppata nella stessa regione della speculazione ellenistica ebraica che produsse la dottrina della Sofia-Logos di Filone; ma in Filone si vede che la dottrina ha raggiunto una fase alquanto successiva del suo sviluppo. W. Bousset identifica nella dottrina di Filone l'influenza diretta di quel misticismo orientale che è così di gran lunga più evidente nello gnosticismo successivo; ma l'aumento di complessità osservabile nel passaggio dalla Sapienza di Salomone alle Odi è così leggero che è improbabile un intervallo di tempo considerevole tra le date di composizione di quelle due opere. Avremmo potuto così ricavare ragionevolmente per le Odi una data non più tarda dei primi anni del primo secolo. Harnack giunse alla conclusione che nella loro forma originale esse furono prodotte da qualche parte intorno all'anno 30; e dato che il pregiudizio dei teologi era datarle il più tardi possibile, questa data poteva essere presa come il limite più basso. Era presa di fatto così da Grimme, secondo cui esse furono scritte tra gli anni 100 A.E.C. e 30 E.C. È possibile, comunque, avvicinare i suoi limiti, dal momento che la Sapienza di Salomone dev'essere stata nota allo scrittore e qualche tempo si deve permettere per uno sviluppo, sulla cui base si potrebbe sostituire l'80 E.C. al limite superiore proposto da Grimme del 100 A.E.C., e c'è ragione per pensare che il suo limite inferiore sia fin troppo basso.
I fatti che nei cataloghi antichi i Salmi e le Odi di Salomone sono sempre accoppiati assieme e che nei manoscritti esistenti sono associati assieme e perfino numerati proprio in maniera consecutiva, col primo dei salmi che era numerato 43 a seguire l'ultima delle Odi, che è la 42, si potrebbero prendere per un indizio che furono prodotti approssimativamente nello stesso periodo. Le somiglianze nel pensiero e nell'espressione sono percettibili, come se fossero state modellate sotto un'influenza comune. La prospettiva religiosa fondamentale è di certo davvero differente; ma i salmi, a dispetto della loro natura giudaica, sembrano essere state influenzate ad una certa misura dal pensiero religioso che si è espresso nella Sapienza di Salomone. Concordano con le Odi nella negazione di una resurrezione del corpo e nella proclamazione dell'immortalità dell'anima. Per un confronto si allegano un po' di versi dai salmi : 

Infatti la vita dei giusti é per sempre, mentre i peccatori saranno portati alla rovina e non si potrà più trovare ricordo di loro.
Coloro che temono il Signore si rialzeranno per la vita eterna e la loro vita sarà nella luce del Signore e non finirà più.
E chi é la speranza del misero e del povero, se non tu, Signore? E tu presti ascolto: infatti chi é buono e comprensivo all'infuori di te?
Beato l'uomo il cui cuore é pronto ad invocare il nome del Signore: poiché ricorda il nome del Signore sarà salvato.  

Coll'ultimo verso si potrebbe paragonare in particolare la frase nell'Ode 25, citata sopra: “Divenni del Signore nel nome del Signore”. E in alcune delle Odi leggiamo della “bontà” e della “comprensione” del Signore. Ma le rassomiglianze vanno abbastanza al di là della generalità per rendere probabile il fatto che lo scrittore di una delle opere fosse familiare con l'altra, e non sembra neppure impossibile che passi in almeno due dei salmi siano dipendenti su passi delle Odi. Si sa dall'evidenza interna che i salmi furono composti lungo una serie di anni durante cui accadde la conquista di Gerusalemme da parte di Pompeo, e nel salmo 2 la morte di Pompeo (48 A.E.C.) è allusa. Ad opinione dei migliori critici i limiti probabili della data sono 70 e 40 A.E.C. Ora siccome ci sono quarantadue Odi, in confronto a diciotto Salmi, è probabile che la composizione delle prime si estendesse a sua volta su un periodo di anni, nel cui caso i periodi avrebbero potuto sovrapporsi, così che un po' dei salmi potrebbero essere stati scritti in una data successiva rispetto alla più antica delle Odi. Nel Salmo 14 troviamo le parole seguenti:

Il Paradiso del Signore, gli alberi della vita, sono i suoi pii. Essi sono piantati in modo da rimanere radicati per l'eternità, non saranno sradicati per tutti i giorni del cielo. La parte e l'eredità di Dio é Israele. Ma non così i peccatori e i trasgressori.
Se quei versi si confrontano con quelli citati in precedenza dall'Ode 38, si vedrà che entrambi i passi si basano sui salmi canonici 52 e 92; ma c'è una curiosa divergenza nel caso del salmo salomonico. Nell'Ode, come nel salmo canonico, l'uomo giusto è paragonato ad un albero fecondo, una metafora naturale e appropriata. Ma nel salmo salomonico abbiamo un riferimento al Paradiso, in cui i santi son detti gli alberi della vita. Potremo perciò investigare da dove il salmista derivò quest'idea; e nell'analisi delle Odi troviamo nell'Ode 20 una menzione del Paradiso e dell'albero del Signore che vi cresceva. Se c'è una dipendenza qui è il Salmista che era dipendente sull'Odista. Spingendoci un po' più ulteriormente, comunque, e speculando riguardo al motivo dello scrittore, potremmo forse identificarlo nell'enfasi piuttosto superflua con cui, a meno di non star scrivendo con intento polemico, asserisce che i santi nel Paradiso, la porzione del Signore e la sua eredità, sono il popolo di Israele. L'Odista, con la sua prospettiva universalista, invita tutti coloro che si affideranno alla grazia del Signore a venire nel suo Paradiso e fare una ghirlanda dal suo albero. È possibile immaginare il Salmista obiettare a questo e replicare: “No! Gli alberi della vita non devono essere toccati da nessuno. Gli alberi della vita sono i santi e i santi sono gli eletti di Israele”. L'identificazione dei santi con gli alberi della vita nel Paradiso è davvero artificiale. È decisamente più naturale pensare all'albero della vita come di un albero da cui può essere raccolta una ghirlanda datrice di vita. Nella misura in cui va, perciò, il paragone sembra indicare la priorità dell'Ode.
C'è un riferimento al Paradiso anche nell'Ode 11: 

Egli mi condusse nel suo Paradiso. Felici, Signore, son quelli piantati nella tua terra, quelli che un posto hanno nel tuo paradiso, crescono col crescere dei tuoi alberi.
La prima e l'ultima riga mostrano che in questo passo i santi non sono identificati con gli alberi che crescono nel Paradiso. La parola “piantati” è così solo un modo figurato per dire che i santi sono collocati dal Signore nel suo Paradiso e insediati là.
Un altro caso è nell'Ode 41, un cui verso — “presso di lui i suoi figli saranno riconosciuti” — è stato paragonato in precedenza con Salmo di Salomone 17:30, il quale c'è ragione di credere che sia di una data relativamente successiva. Il pensiero dell'Odista è un pensiero che gli sarebbe abbastanza naturale, e non esiste la minima ragione per supporre che fosse suggerito dal verso corrispondente del salmo, in cui il pensiero, di fatto, non è lo stesso. La dichiarazione esprime l'universalismo dello scrittore; il significato è che Dio conosce i suoi propri figli, di qualunque razza possa capitare che siano. Non sarebbe stato necessario dire che Dio conosceva il suo proprio popolo eletto, gli ebrei. Il salmista, comunque, sta scrivendo a proposito del popolo santo gli ebrei, naturalmente che sarà raccolto assieme dal Messia, e poi dice, in maniera piuttosto superflua: “infatti li conoscerà perché sono tutti figli del loro Dio. Qui di nuovo, se c'è una dipendenza, c'è una leggera presunzione che l'Ode fosse stata scritta prima del salmo.
Quelle coincidenze sembrano creare qualche misura di probabilità, ma la loro natura non è tale da ammettere una conclusione fiduciosa riguardo alla relativa priorità dei salmi e delle Odi in questione. Riesaminando l'evidenza nel complesso, comunque, potremmo trovarvi una giustificazione insufficiente per un riavvicinamento dei limiti di Grimme almeno fino al punto di collocare la composizione delle Odi nel periodo tra l'anno 80 A.E.C. e gli ultimi anni dell'ultimo secolo pre-cristiano. Quando abbiamo esaminato la dottrina delle Odi più minuziosamente e l'abbiamo confrontata con quella dei più antichi documenti cristiani, ricaveremo una conferma di questa datazione.
L'Odista era bilingue, poiché se l'opinione migliore sembra essere che scrisse in siriaco e utilizzò sia fonti ebraiche che siriache, c'è una prova dell'utilizzo della Septuaginta greca. Questa circostanza avrebbe potuto spiegarsi supponendo la presenza di più di uno scrittore. L'unità di stile potrebbe essere dovuta allora forse al fatto che la fraseologia di un certo tipo era diventata stereotipata nella comunità. Qualche leggera variazione dottrinale è osservabile, sebbene difficilmente sufficiente per provare che le Odi non fossero state scritte tutte dalla stessa persona. Si potrebbe spiegare ipotizzando che il periodo di composizione si estendesse lungo un numero di anni; oppure ipotizzando che la dottrina fosse ancora alquanto fluida, non essendosi ancora cristallizzata in dogmi rigidamente definiti. Un'inchiesta critica libera da preconcetti esistenti è desiderabile.
Harris offre ragioni per pensare che il luogo di composizione delle Odi fosse Antiochia. Sembrano essere state note ad Ignazio. Un pezzo interessante della prova è la menzione nell'Ode 11 di “acqua parlante”. Harris sottolinea la presenza di una “fontana parlante” a Dafne, un sobborgo di Antiochia. L'espressione si trova anche nell'ignaziana Epistola ai Romani, 7 : “Un'acqua viva mi parla dentro”. È degno di nota a questo proposito che secondo gli Atti degli Apostoli c'era ad Antiochia ad una data molto antica una comunità importante di cristiani che avevano respinto la Legge mosaica. Paolo, sembra, era un maestro in questa chiesa, che è detta composta principalmente da greci. Niente si può ricavare dalle dichiarazioni di Atti in relazione alla data della sua fondazione, o della sua dottrina primitiva.   

lunedì 28 maggio 2018

Gli Inizi del Cristianesimo Gnostico : Le Odi di Salomone: Loro Natura e Probabile Data (II) — Esse Sono Gnostiche

(segue da qui)
CAPITOLO II

LE ODI DI SALOMONE: LORO NATURA E PROBABILE DATA

2. ESSE SONO GNOSTICHE

Il secondo punto importante da stabilirsi è che le Odi si potrebbero propriamente caratterizzare come gnostiche. Se definiamo lo gnosticismo come un sistema di teosofia di cui il nucleo è l'alto valore associato alla Gnosi, la conoscenza di Dio, in un senso davvero speciale, che comprende il credo che la Gnosi è vita, esse sono indiscutibilmente gnostiche. Il pensiero espresso in Ecclesiastico 17:7-11 : “Pose davanti a loro la scienza ... per mostrar loro la grandezza delle sue opere. Loderanno il suo santo nome”, è enfatizzato ed espanso nell'Ode 6 in : “La conoscenza di sé il Signore ha accresciuto; nel suo zelo cercò che fosse conosciuto ciò che nella sua bontà ci fu dato. La sua lode ci diede per il suo nome”. Di nuovo, nell'Ode 7 leggiamo: “La conoscenza invero egli ha stabilito come suo sentiero; vi ha posto sopra le tracce della sua luce”. Che la gnosi sia la condizione essenziale di salvezza e il mezzo per assicurarsi la vita eterna è un tema costantemente ricorrente. Termini sinonimi ed espressioni metafisiche per indicare la Gnosi si ritrovano di frequente. È verità ed è luce. “La sua luce ha tolto ogni tenebra dal mio volto. Ho udito la sua verità”. Le tenebre sono le tenebre dell'ignoranza, ma ignoranza in un senso speciale. È ignoranza del vero Dio, che non solo i pagani ma anche gli ebrei non hanno conosciuto. Infatti la conoscenza del vero Dio e delle sue “vie” non si deve ricavare dal Pentateuco o dai libri storici dell'Antico Testamento. Secondo l'Ode 33 fu recata agli uomini dalla “Vergine intatta”, la Sapienza, o lo Spirito Santo, la quale, sebbene è detta poeticamente colei che proclama e chiama, rende gli uomini realmente saggi — vale a dire, impartisce loro la Gnosi — penetrando in loro. E questo, come constatiamo dalla stessa Ode, è, in linea con la dottrina gnostica, la condizione della “vita”. Altrimenti è la Parola di Dio, il Logos, che è il datore; e ciò continuò ad essere la dottrina dello gnosticismo per tutta la sua storia. Le antitesi di luce e tenebre, verità ed errore, così prominenti nelle Odi, sono caratteristiche dello gnosticismo successivo.
Ci sono riferimenti alla luce e alla verità nei salmi, ma le parole non vi hanno il senso particolare che hanno acquisito nelle Odi. Questo lo si potrebbe constatare da un confronto della prima parte dell'Ode 38 con i versi sui quali è basata. Una singola parola è stata aggiunta, ma quella parola fa tutta la differenza. Il porto  a cui lo scrittore è condotto dalla luce della verità (la Gnosi) è il “porto di salvezza”. Lo scrittore ha una dottrina di salvezza o redenzione; ma non è una dottrina cristiana cattolica; è la dottrina gnostica che la ricezione della Gnosi è la condizione di vita eterna. Nell'Ode 35 mediante una metafora poetica la Gnosi è paragonata alla “rugiada del Signore”. “La rugiada del Signore di quiete mi ha coperto. ... E salvezza così io ebbi”. La parola “rugiada” è presa da Isaia, ma provvista di un significato diverso. In Isaia i morti sono risorti e la rugiada è la loro “salute”. Invece di questo l'Odista scrisse, “e salvezza così io ebbi”, e per “salvezza” egli intese la vita eterna dello spirito. Dall'Ode 33 vediamo che la “redenzione” è la stessa cosa della “salvezza”. “Ascoltatemi e siate salvi. Chi mi ha rivestito ... incorruttibilità nel nuovo mondo”. Questa dichiarazione comporta la dottrina gnostica che solamente lo spirito è capace di “vita”, e che la morte del corpo non è una morte in alcun senso reale. Così anche, quando l'Odista scrisse (Ode 5), “quand’anche ciò ch’é visibile perisse, io non morrei”, egli stava pensando evidentemente sé stesso come uno spirito immortale la cui vita rimane svincolata quando perisce il corpo “visibile”. L'idea di una morte e resurrezione separati da un intervallo di tempo durante cui il corpo è dissolto è negata nell'Ode 15: “Col suo nome ho rivestito l’immortalità. La morte è scomparsa dinanzi al mio volto. Vita immortale si levò sulla terra del Signore”. La concezione del corpo come una veste effimera si trova nell'Ode 25: “Fui investito con la veste del tuo spirito e mi levai gli abiti di pelle”. Quelle citazioni esprimono la dottrina che, per l'uomo spirituale, non c'è nessuna morte e di conseguenza nessuna “resurrezione”. Questa è la dottrina che Giustino stava condannando quando scrisse (Dial. 80:5) :
“Se dunque incontrate dei cristiani che tali sono chiamati ... e affermano che non c'è resurrezione dei morti, ma che al momento della morte le loro anime vengono assunte in cielo, non dovete considerarli cristiani”.
La stessa dottrina gnostica fu attaccata da Tertulliano nel suo trattato De Carnis Resurrectione. Tertulliano naturalmente credeva nell'immortalità dell'anima, ma in un senso piuttosto differente; ed egli protestò vigorosamente contro l'antitesi gnostica di corpo e spirito. Egli sosteneva che non solo l'anima, ma anche il corpo, devono sprofondare nella Geenna per esservi puniti, perché il corpo è stato partecipe delle azioni dell'anima. Sarebbe stato impossibile per lui scrivere che la morte fosse stata “distrutta”, e utilizzare una simile espressione come “vita immortale”; perché ciò che intendeva per morte era il termine dell'esistenza terrena. In un passo del suo argomento contro la visione gnostica della morte egli scrisse: “Nessuno può parlare dei morti che sono nelle tombe se non come di corpi e carne”. Egli credeva che Gesù mediante la sua resurrezione avesse “conquistato” la morte, non che l'avesse “distrutta”. Molti cristiani moderni sembrano essere in grado di riconciliare la visione gnostica e la cattolica, ma un pensiero confuso su questa materia era impossibile al principio dell'era cristiana, quando si trattava di un soggetto di forte controversia.
Alcuni teologi critici — ad esempio, Gunkel, von Stölten, e Bousset — hanno riconosciuto la natura gnostica delle Odi, ma da altri è messa in discussione sulla base che la dottrina gnostica dell'emanazione degli Eoni e il mito di Sofia non si trovano in loro. Ma un insieme così elaborato di dottrine come quelle degli gnostici del secondo secolo non venne in esistenza completamente sviluppata. Devono avere avuto un principio relativamente semplice e un periodo di sviluppo piuttosto lungo. Incontriamo una forma più semplice di gnosticismo nell'ultima parte del primo secolo, ma perfino là siamo chiaramente non all'inizio. Il fatto che, mentre troviamo nelle Odi alcuni dei principi basilari dello gnosticismo, non vi troviamo la cosmogonia fantasiosa di Basilide e Valentino prova semplicemente che i membri della comunità O erano gnostici di un tipo primitivo. Pallis [8] descrive le Odi come “una collezione di inni gnostici” e presta attenzione ad analogie tra loro e gli scritti mandei, osservando, comunque, che la corrispondenza prova soltanto che le Odi come pure gli scritti mandei appartenevano al movimento gnostico.
Bousset tenta di derivare lo gnosticismo cristiano dall'Oriente. Nel secondo secolo vi sembra essere stata qualche copiatura piuttosto rapida dalla mitologia babilonese. Ma quella mitologia non fu semplicemente presa per costruirci un sistema ab initio. Lo gnosticismo occidentale non si può spiegare solo a partire da copiature orientali. Gli elementi devono essere stati elaborati in un sistema già esistente. I sette Arconti planetari, per esempio, non si trovano nei più antichi documenti gnostici ebraici. Bousset considera che il dualismo è la qualità distintiva della Gnosi. È vero che lo gnosticismo fu sempre dualista; ma originariamente il dualismo non era del tipo orientale, che attribuiva la presunta natura malvagia della materia al suo essere stata creata da una deità o demone malefico. Né negli scritti di Filone e neppure nella Sapienza di Salomone e neppure nelle Odi di Salomone vi è discernibile qualche teoria simile, sebbene i tre autori credevano che il peccato abbia la sua radice nell'imperfezione della carne. Ciò senza dubbio fu una visione gnostica, ma non così distintamente gnostica da giustificare la definizione di gnosticismo nei suoi termini. Il nome gnostico fu scelto dagli gnostici per sé stessi, e si deve prendere perciò a indicare ciò che loro stessi ritenevano fosse il loro tratto distintivo. E l'opinione che, secondo il loro stesso credo, li separava da altri era che il possesso della Gnosi — conoscenza divina rivelata misticamente — è la condizione di vita eterna. Per quella ragione le Odi di Salomone si potrebbero definire  propriamente gnostiche, perfino se non dovessimo tener conto dei loro altri aspetti specificamente gnostici.
La non-correttezza dell'opinione che il dualismo orientale sia l'essenza dello gnosticismo è dimostrabile dall'esempio degli gnostici ebioniti, i quali credevano che l'Universo fosse stato creato da Dio. Essi attribuivano il peccato all'istigazione di demoni. Il credo ebraico nei demoni potrebbe essere giunto da Babilonia, ma quel credo non era in alcun modo limitato agli gnostici. Ulteriore prova che questo tipo di dualismo non è primitivo nello gnosticismo ebraico si trova nel fatto che in un antico libro dei Naasseni gli uomini sono detti esser stati prodotti spontaneamente dalla terra. In associazione a questa dichiarazione troviamo la pura dottrina gnostica non adulterata che la causa del vizio è l'ignoranza di Dio. Che è sostanzialmente la dottrina della Sapienza di Salomone, la quale insegna che per essere virtuosi gli uomini devono ottenere la “sapienza”, che nel posteriore idioma gnostico = Gnosi. Nell'antica dottrina naassena, inoltre, il “Caos”, la base delle cose materiali, è scaturito dall'Auto-generato, l'origine divina di tutte le cose. Non c'è nessun dualismo orientale nella più antica cosmogonia recuperabile di quegli gnostici. C'è anche una prova del fatto che la creazione da parte di un “Arconte” non era parte della dottrina originale dei Perati.
Bousset insiste molto sul fatto che l'antitesi di luce e tenebre è un aspetto dello gnosticismo orientale come lo è dello gnosticismo cristiano. Nelle Odi di Salomone la luce è nominata di frequente come una qualità di Dio e la “tenebra” appare come un sinonimo di errore. Ma non c'è ragione per derivare quelle idee direttamente dall'Oriente; esse occorrerebbero facilmente ad un pensatore religioso e sono presentate nella Sapienza di Salomone, nei Salmi, e in Isaia. Nel capitolo 60, versi 1-3, del Profeta si predice la dissipazione della tenebra religiosa da parte della luce che deve brillare da Israele, e leggiamo nel Salmo 36:9 : “Per la tua luce noi vediamo la luce”. Potremmo definire gnostiche le idee in questione, ma erano derivabili dai primi gnostici ebrei a partire da fonti ebraiche, alcune delle quali senza dubbio erano state influenzate dal pensiero greco o greco-egizio. Nello gnosticismo successivo quelle idee divennero molto più definite e l'influenza persiana potrebbe essere responsabile di ciò. La luce non è più semplicemente una qualità di Dio; è diventata un nome di uso comune per indicare sia l'Essere Supremo che il Salvatore. Le preghiere sono rivolte a Zoe (Vita) e Phōs (Luce). Potremmo ricavare una data antica per le Odi di Salomone dal fatto che in loro questa fase non è stata raggiunta. Dio è pensiero di parimenti “Vita” e “Luce”, ma quest'ultimo nome in particolare non è diventato stereotipato come un titolo per lui, e nessuno di loro si applica del tutto alla Parola.
Gnostici successivi sovrapposero di nuovo alla loro dottrina di redenzione un apparato di riti magici tramite cui ritenevano che la redenzione potesse assicurarsi con maggiore certezza. I Marcosiani sono particolarmente menzionati da Ireneo per aver fatto questo, ma egli dice che alcuni di loro si attennero all'idea originale che soltanto la Gnosi fosse la redenzione dell'uomo interiore. [9] W. Anz [10] ritiene che il significato della Gnosi si debba apprendere dalla definizione contenuta nell'Inno Naasseno. Se così le Odi forse si sarebbero potuto difficilmente classificare come gnostiche. Ma la differenza tra la Gnosi nelle Odi e nell'inno non è generica; è specifica. La connotazione in quest'ultimo è più piena e più complessa, ma il significato fondamentale è lo stesso. In tutti e due, la Gnosi è un tipo speciale di conoscenza salvifica ispirata divinamente. Il suo possesso è l'unico e solo mezzo di redenzione. Nella concezione successiva della Gnosi, alla conoscenza della natura di Dio e delle condizioni di salvezza da lui costituite si associò la conoscenza di certi incantesimi e nomi segreti disponibili per l'espulsione dei demoni e delle potenze planetarie. Il contenuto della Gnosi si espanse, ma la sua natura essenziale e il suo obiettivo non erano mutati. L'errore di Anz e Bousset, proprio come essi hanno ragione in molti aspetti, consiste nel loro non aver tenuto conto delle fonti ebraiche dello gnosticismo ebraico pre-cristiano. Una distinzione tra lo gnosticismo ebraico e lo gnosticismo orientale si potrebbe fare legittimamente. Il primo è rintracciabile alla Sapienza di Salomone, e l'influenza straniera che lo formò è principalmente greca. Gli ebrei posteriori all'Esilio avevano conoscenza delle religioni babilonese e persiana, ma per lo scopo della presente inchiesta non è necessario risalire indietro più oltre della letteratura sapienziale. Che la dottrina fondamentale dell'Odista sia il potere salvifico della conoscenza della verità rivelata divinamente è dimostrato abbondantemente nelle Odi. La prova data in precedenza si potrebbe rafforzare dall'Ode 38:
 La Verità mi pose sulle braccia della vita immortale. Camminò con me, mi procurò quiete e non permise che fossi sedotto, perché essa era ed è la Verità. In nulla sbagliai, perché le diedi ascolto. ... Quanto non sapevo mi mostrava: tutti i veleni della Seduzione e quelle piaghe che simili alla dolcezza son credute. E saggio io divenni, perché non caddi nelle, mani del Seduttore, e mi congratulai con me stesso perché con me camminava la Verità. Poi ripresi forza, ebbi la vita e fui salvo.
Questa è semplicemente un'espansione e accentuazione di ciò che si dice attorno alla Sapienza nei libri sapienziali. Diventare sapienti equivale a seguire la verità divina e ad essere redenti. Le favole gnostiche successive riguardanti l'emanazione e la passione di Sofia erano elaborate a partire da Platone ed altre fonti, ma le idee basilari che lei fosse un'emanazione del Pleroma e che tramite lei una scintilla dello spirito divino fosse stata impartita negli uomini sono presentate nella Sapienza (7:25-27):
 [La Sapienza] è un effluvio genuino della gloria dell'Onnipotente, entrando attraverso le età nelle anime sante.
La dottrina si trova nelle Odi di Salomone nella forma che la Parola, un'emanazione spirituale da Dio, diventa incorporata nei santi.
Lo gnosticismo era coerentemente anti-giudaico e disprezzava l'Antico Testamento. Il cristianesimo cattolico, sebbene respinse l'ebraismo istituzionale, e a dispetto della sua condanna degli ebrei, accettò l'Antico Testamento come divinamente ispirato e assorbì in quantità considerevole idee ebraiche. [11] Le Odi di Salomone sono anti-giudaiche nello stesso senso in cui lo erano gli gnostici. Un'allusione diretta all'Antico Testamento, oltre che ai Profeti, ai Salmi, e ai libri sapienziali, è estremamente dubbia. L'implicazione di Genesi 3:5 sembra essere deliberatamente contraddetta nell'Ode 18: “Tu l’errore non conosci, perché anch’esso non ti conosce”. Alla prova di anti-giudaismo data in precedenza si potrebbe aggiungere un esempio interessante dall'Ode 25: “Divenni del Signore nel nome del Signore”. Il lettore che abbia paragonato i passi citati dalle Odi con i passi corrispondenti dell'Antico Testamento avrà osservato che in ciascun caso dove è utilizzato il termine “il Signore” esso significa Dio. Quella è la regola quasi invariata dello scrittore, com'è la regola nei libri da lui utilizzati. Da qui l'assunzione di alcuni commentatori che “il Signore” nella frase citata sopra debba significare Cristo [= Gesù] e che l'Odista intese dire di essere stato chiamato un Cristiano secondo Cristo è del tutto gratuita. Il suo significato e la sua intenzione si possono interpretare da Isaia 44:5 :

Questi dirà: Io appartengo al Signore, quegli si chiamerà Giacobbe; altri scriverà sulla mano: Del Signore, e verrà designato con il nome di Israele.


II significato di questo è che, come un membro del popolo eletto, un uomo avrebbe potuto pretendere l'appartenenza a Jahvè per il nome di Giacobbe o di Israele. In linea col suo anti-giudaismo e col suo credo che la congregazione dei santi — non necessariamente ebrei tutti loro — avesse soppiantato la congregazione di Israele nel ruolo del popolo eletto di Dio, lo scrittore sostituisce “il nome del Signore” al posto di “il nome di Giacobbe” o “di Israele”. Il suo motivo per fare l'affermazione che fece era enfatizzare la sua convinzione che non a causa del suo essere un israelita egli apparteneva al Signore; altrimenti non avrebbe dovuto diventare del Signore, egli sarebbe già appartenuto al Signore. Il verso di Isaia non potrebbe essere stato, comunque, il solo incentivo dello scrittore. Nel suo giorno un'importanza davvero grande era attribuita ai nomi, specialmente ai nomi divini, che erano tenuti segreti e ritenuti in possesso di efficacia mistica. Gli egiziani pensavano che ognuno a conoscenza del nome segreto di un dio acquisisse un'influenza su di lui, come se fosse in possesso di una parte del dio stesso. In una preghiera gnostica occorrono le parole “Io conosco il tuo nome”. È evidente da numerosi passi nelle Odi che il loro scrittore in qualche misura condivideva questa visione del potere mistico del nome divino. Per esempio, “Col suo nome ho rivestito l’immortalità”, nell'Ode 15. Il punto della sua considerazione è illustrato ulteriormente da un verso dei Salmi di Salomone (9:17): “Perché tu hai scelto la stirpe di Abramo invece di tutti i gentili hai posto su di noi il tuo nome, Signore”. Qui si dichiara chiaramente che il nome fu dato al popolo perché esso era stato scelto. L'Odista afferma l'esatto opposto, “Noi, se ebrei o gentili , siamo diventati gli eletti per il nome”. Se si potesse concludere — e, come apparirà in seguito, c'è qualche leggera evidenza di ciò — che l'Odista e il Salmista scrissero occasionalmente un verso polemicamente, l'uno contro l'altro, la conclusione aiuterebbe davvero molto a fissare la data approssimata della composizione delle Odi.


NOTE


[8] Mandean Studies, pag. 163.


[9] Cont. om. Haer. I, 21:2.


[10] Ursprung des Gnostizismus, pag. 10.

[11] “Vi sono vari motivi per ritenere che la polemica dello gnosticismo contro l'Antico Testamento e l'ebraismo abbia radici più profonde nella sua prospettiva generale che nei contatti con il cristianesimo”. W. Bousset, Kyrios Christos, pag. 231.

domenica 27 maggio 2018

Gli Inizi del Cristianesimo Gnostico : Le Odi di Salomone: Loro Natura e Probabile Data (II) — Esse Sono Ebraiche

(segue da qui)

CAPITOLO II

LE ODI DI SALOMONE: LORO NATURA E PROBABILE DATA

1. ESSE SONO EBRAICHE

Il primo punto da stabilirsi è che la comunità che utilizzò le Odi era composta originariamente da ebrei e che quando vennero scritte era ancora prevalentemente ebraica. Pochi forse negherebbero questo; ma riguardo al testo c'è stata parecchia controversia. La controversia, comunque, è a qualche misura una controversia verbale che sorge a partire dall'ambiguità del termine ebreo. Quando Rendel Harris, per esempio, nega che le Odi siano ebraiche è evidente dal suo argomento che il suo significato reale è che esse non siano giudaiche — la qual cosa è certamente vera. Esse sono in realtà anti-giudaiche; ma la conclusione di Harris che dal momento che sono anti-giudaiche esse devono essere cristiane è debole; poiché abbiamo visto una ragione per credere che agli inizi del primo secolo esistevano sette ebraiche non-conformiste, alcune delle quali potrebbero essere state perfino anti-giudaiche. Come vedremo, avrebbero potuto chiamarsi cristiane in un certo senso; ma ciò dipenderebbe dalla nostra definizione del termine cristiano. Quando commenta sulle Odi senza alcun oggetto controverso in vista, Harris chiarisce che il suo riconoscimento della natura ebraica della comunità e dell'uomo che scrisse il suo libro di salmi è abbastanza definita. Così egli esprime l'opinione che “lo stile poetico, o la poesia, delle Odi è più ebraico e più siriaco antico che efraimita; e con qualche riserva ... ci spingeremo a aggiungere che è più ebraico che siriaco antico”. [1] In altra sede egli scrive: “l'Odista vive alla porta accanto alla Sinagoga e nel quartiere ebraico”, e conclude che le Odi vennero scritte ad un tempo “quando la Chiesa era ancora adiacente alla Sinagoga”.
Quelle sono le osservazioni di un acuto studioso; ma si deve ricordare l'obiezione che nell'utilizzo del termine “la Chiesa” Harris stava ragionando al di là della sua data. La conclusione ammissibile è che la comunità le cui dottrine sono incarnate nelle Odi, che per convenienza di riferimento io etichetterò la comunità O, fosse “adiacente alla Sinagoga” —in altre parole, non si era separata da molto tempo dall'ebraismo ortodosso. Non c'era nessuna “Chiesa” cristiana nel senso in cui Harris utilizza il termine perfino alla data a cui egli fa risalire le Odi — vicino la fine del primo secolo della nostra era. Come ha scritto il dottor W. Voelker, “La ʻgrande Chiesaʼ [secondo secolo] non è, come assumono gli studiosi, la Chiesa Cattolica, ma una sciolta federazione di comunità che non aveva ancora assunto le forme altamente organizzate di governo e teologia che si definiscono cattoliche”. [2] La comunità O era probabilmente una di quelle comunità; e se fosse ancora entrata nella “sciolta federazione” dipende dalla data in cui le Odi vennero scritte. Ci sono buone ragioni per pensare che la data di Harris sia troppo tarda.
Grimme ha sostenuto che la lingua originale delle Odi fosse l'ebraico. Il commento del dottor J. H. Bernard è che “gli argomenti di Grimme tendono a favorire la teoria di un originale semitico per le Odi — non necessariamente o probabilmente in ebraico biblico, ma in aramaico o siriaco”. Secondo il dottor Menzies esse sono completamente ebraiche. Qualche altro critico pensa che siano cristiane. Harnack, il quale considerò che nella loro forma originale esse fossero puramente ebraiche, suppose che furono interpolate da un cristiano intorno al 100 E.C. Anche Grimme ha avanzato la teoria di un'interpolazione cristiana. Il peso dell'opinione degli esperti è, comunque, opposta a quella teoria. È stata screditata dagli argomenti di Clemen [3] e di Dom. Conolly. [4] Harris pone enfasi sull'unità di stile che esibiscono le Odi e le considera l'opera di un singolo autore. In riferimento alla suggestione che siano da trovarsi strati di un pensiero teologico posteriore in alcune delle Odi egli osserva che sono quelle stesse Odi che potrebbero risultare in possesso della più antica attestazione letteraria. Il dottor Bernard ha scritto, “Lo stile e la maniera delle Odi sono gli stessi dappertutto”.
La teoria di un'estesa interpolazione si potrebbe perciò scartare; ma non è necessario concordare con i suoi avversari nell'assumere che non ci siano affatto interpolazioni. Un testo antico utilizzato dai cristiani per un considerevole intervallo di tempo del tutto libero da interpolazioni sarebbe una sorta di curiosità, e potremmo aspettarci di trovarne pochi. Le ragioni positive per caratterizzare le Odi come ebraiche, in aggiunta alle prove linguistiche riferita in precedenza, sono quelle: quattro libri dell'Antico Testamento, o canonici o apocrifi, erano attribuiti in tempi antichi a Salomone — cioè, i Proverbi, l'Ecclesiaste, i Cantici, e la Sapienza. Dal momento che tutti quelli sono indiscutibilmente ebraici, la presunzione è che le Odi di Salomone siano a loro volta un'opera ebraica. La presunzione è di gran lunga rafforzata dal fatto che nei manoscritti esistenti le Odi sono associate ai Salmi di Salomone, riguardo alla cui natura ebraica non c'è nessuna questione. In un catalogo del sesto secolo di testi sacri pubblicato sotto il nome di Atanasio, un elenco dei libri canonici dell'Antico Testamento è seguito (col. 239) da: “Oltre a questi ci sono anche altri testi dell'Antico Testamento, non considerati canonici ma letti ai catecumeni”. Questa frase è proprio simile a una frase dell'autentico Atanasio nel suo elenco di testi sacri, ed entrambi gli scrittori poi hanno continuato a menzionare i libri della Sapienza, dell'Ecclesiastico, di Ester, di Giuditta, e di Tobia. Ma pseudo-Atanasio aggiunge ad un periodo successivo (col. 432) “Maccabei ... Salmi e Odi di Salomone, Susanna”. [5] “La Sticometria di Niceforo è un elenco di testi scritturali ridotto alla sua forma presente, secondo Zahn, intorno all'anno 850. La seconda parte dell'elenco recita come segue: coloro che non sono respinti ma non accettati come canonici — Maccabei, Sapienza di Salomone, Sapienza del Figlio di Siracide (Ecclesiasticus), Salmi e Odi di Salomone, Ester, Giuditta, Susanna, Tobit, e Tobia. Quelli scrittori potrebbero essere stati a copiare una lista più antica”. [6] Sarà così visto che ad un'antica data non si fece nessuna distinzione tra le Odi di Salomone e altri testi non canonici dell'Antico Testamento. Inoltre, passi delle Odi sono citati come Scrittura da Lattanzio e in Pistis Sophia (270-300 E.C.). In quest'ultima opera le Odi sono citate proprio nella stessa maniera dei salmi canonici. E Harris ha mostrato [7] che Lattanzio attinse probabilmente la sua citazione da un Libro delle Testimonianze, in cui il dogma cristiano era supportato da citazioni dell'Antico Testamento. Harris conclude che agli inizi del secondo secolo le Odi si potevano citare come sacra scrittura. La sua conclusione è cauta, dal momento che nella sua opinione il Libro delle Testimonianze in questione era pre-evangelico. Da qui sarebbe irragionevole dubitare che le Odi siano un'opera ebraica e più strettamente collegate all'Antico Testamento che al Nuovo. Bisogna ammettere che la dottrina trovata in loro è di gran lunga lontana dall'ebraismo ortodosso rispetto a quella della Sapienza di Salomone. La conclusione da trarre dai fatti noti è che il testo fosse il libro dei salmi di una setta ebraica non-conformista. Il netto disaccordo dei critici riguardo al suo essere ebraico o cristiano prova che le circostanze della sua origine non sono state comprese. Una teoria che spiegherà e riconcilierà la differenza d'opinione possiede una rivendicazione di prima facie ad una considerazione favorevole.
Un'approssimazione alla soluzione corretta è stata raggiunta dal dottor Menzies, il quale ha concluso che le Odi siano interamente l'opera di ebrei, ma di ebrei gentili — con ciò potremmo intendere ellenistici — provvisti di una prospettiva universalista. Una certa misura di assenso si può anche concedere all'opinione di Harris secondo cui esse sono cristiane primitive, ma sarà prima necessario rispondere al quesito: quanto primitive? Cristiane nel senso pieno non lo sono di certo. Dogmi così specificamente cristiani come quelli dell'Espiazione Vicaria, della Giustificazione per Fede, della Resurrezione del Corpo, ivi comprese la Resurrezione di Cristo, e un Giudizio Finale, sono del tutto assenti dalle Odi. Il nome “Gesù” non vi occorre mai. E lo scrittore è completamente ignorante, non solo dei vangeli come letteratura, ma di tutti i dettagli della storia evangelica. Somiglianze come quelle che i commentatori hanno identificato risiedono interamente nella regione del dogma. Anche i dogmi che avrebbero potuto considerarsi cristiani non sembrano essere stati derivati da alcun documento cristiano conosciuto; al contrario, la forma nella quale sono presentate sembra essere indipendente e più primitiva. Di fatto, non è scopribile nessuna dottrina che non avrebbe potuto essere stata derivata dalla letteratura sapienziale, dai salmi, e da Isaia. L'ipotesi che lo scrittore fosse familiare con qualche letteratura cristiana è superflua e perciò logicamente ingiustificabile. In effetti, non ha semplicemente preso in mano la dottrina che ha trovato. Un notevole sviluppo è stato all'opera tra la data della Sapienza e quella delle Odi, ma le idee basilari sono essenzialmente le stesse. Nel caso dei salmi è diverso; là l'accordo è di frequente semplicemente verbale, dato che l'Odista utilizza le stesse parole in un senso diverso, oppure, dove necessario, varia la fraseologia. Allo scopo di mostrare quanto fosse completamente dipendente dall'Antico Testamento io collocherò in colonne parallele passi delle Odi e quelli che li suggerirono:
Ode 1

Il Signore è sul mio capo come corona; non mi separerò da lui. La vera corona è stata intrecciata per me.... Essa non somiglia a corona inaridita, che non germoglia.
Gli hai posto in capo una corona d'oro finissimo. Egli ti aveva chiesto vita, e tu gliel'hai data. (Salmo 21:3)
E la tua maestà era sulla corona della sua testa. (Sapienza 18:24)
La Sapienza metterà sul tuo capo un ornamento di grazia, ti circonderà di una corona di gloria (Proverbi 4:9) 
Ode 3

3. Io davvero non saprei amare il Signore, se lui non mi amasse. 5 Io ardo per l’amato e l’anima mia lo ama; dov’è la sua quiete, là son anch’io. 12. È questo lo spirito del Signore, senza inganno, che istruisce i figli dell’uomo, perché conoscano le sue vie.
 O Signore, mia forza, io ti amerò affettuosamente. Il Signore è la mia rocca, e la mia fortezza, e il mio liberatore. (Salmo 18:1) 
Amate il Signore, voi tutti i suoi santi! Il Signore preserva i fedeli. ( Salmo 31:23)
Perciò giurai nella mia ira: Non entreranno nel mio riposo. (Salmo 95:11)
La Sapienza è uno spirito amico degli uomini. (Sapienza 1:6)
Chi ha conosciuto il tuo pensiero, se tu non gli hai concesso la Sapienza? (Sapienza 9:17)
O Eterno, fammi conoscere le tue vie, insegnami i tuoi sentieri. (Salmo 25:4)
Ode 5

Verranno i miei persecutori, ma non mi vedranno. Nube tenebrosa cadrà sui loro occhi. Ciò che han tramato, ricada sui loro capi. Con cattiva intenzione si san preparati; si sono trovati senza successo. Quand’anche ciò ch’é visibile perisse, io non morrei, perché il Signore è con me ed io sono con lui. E poiché il Signore è la mia salvezza, non temerò.
La loro malizia li ha accecati. (Sapienza 2:21)
Ma gli empi per i loro pensieri riceveranno il castigo. (Sapienza 3:10)
Certamente la luce del malvagio si spegnerà ... e i suoi progetti lo faran precipitare. (Giobbe 18:5,7)
Vana la loro speranza e le loro fatiche senza frutto, inutili le opere loro. (Sapienza 3:11)
Le anime dei giusti, invece, sono nelle mani di Dio ... la loro speranza è piena di immortalità. (Sapienza 3:1, 4) L'Eterno è la mia luce e la mia salvezza; di chi temerò? (Salmo 27:1)
Ode 7

Egli [il Logos] simile a me fu creduto, perché lo potessi rivestire. La conoscenza invero egli ha stabilito come suo sentiero. Vi ha posto sopra le tracce della sua luce e dal principio ho raggiunto la fine. Per poterla salvare, ogni cosa prenderà.
Te ne rivestirai [della Sapienza] come di una veste di gloria. (Ecclesiastico 6:31)
Se cerchi la giustizia, la raggiungerai e te ne rivestirai come di un manto di gloria. (Ib. 27:8)
Tu mi mostrerai il sentiero della vita. (Salmo 16:11)
Paragonata alla luce, risulta superiore. Questa ho amato e ricercato fin dalla mia giovinezza, ho cercato di prendermela come sposa, mi sono innamorato della sua bellezza. (Sapienza 8:2)
Egli armerà il creato per castigare i nemici. (Sapienza 5:17)
Ode 14

Come gli occhi del figlio son rivolti al padre, così i miei occhi sono rivolti a te, o Signore, in ogni tempo. Stendimi ognora, Signor mio, la tua destra; siimi guida fino alla fine, conforme al tuo volere.
Ecco, come gli occhi dei servi guardano la mano del loro padrone ... così gli occhi nostri sono rivolti al Signore, al nostro Dio. (Salmo 123:2)
Poiché questo Dio è il nostro Dio in sempiterno: egli sarà la nostra guida fino alla morte. (Salmo 48:14) 
Ode 15

La sua luce ha tolto ogni tenebra dal mio volto. Ho avuto orecchi ed ho udito la sua verità. La via dell’errore ho abbandonato; Col suo nome ho rivestito l’immortalità. La morte è scomparsa dinanzi al mio volto; lo Sheol è stato abolito dalla sua Parola.
Il Signore è Dio e risplende su di noi. (Salmo 118:27)
Per i tuoi santi risplendeva una luce vivissima. (Sapienza 18:1)
I malvagi diranno: Abbiamo dunque deviato dal cammino della verità; la luce della giustizia non è brillata per noi. (Ib. 5:6)
O Signore, insegnami la tua via; io camminerò nella tua verità. (Salmo 86:11)
O Dio, salvami per amor del tuo nome. (Salmo 54:1)  
Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. Né gli inferi regnano sulla terra, perché la giustizia è immortale. (Sapienza 1:13)
Poiché tu non abbandonerai l'anima mia in potere della morte, né permetterai che il tuo santo subisca la decomposizione. (Salmo 16:10)
Ode 16

Aprirò la mia bocca e il suo Spirito annunzierà per mezzo mio la gloria del Signore e la sua bellezza, l’opera delle sue mani, e la forza della sua Parola. La Parola del Signore scruta ciò che è invisibile. La camera del tesoro della luce è il sole; tesoro delle tenebre è la notte. E, con l’alternarsi a vicenda, la bellezza divina proclamano. I mondi esistettero per la sua Parola. Le creature corrono per i loro corsi e non conoscono riposo o inazione; le sue armate celesti ubbidiscono alla sua Parola.
Ma nell'uomo c'è uno spirito, ed è il soffio dell'Onnipotente che gli dà intelligenza ... Parlerò e mi sfogherò, aprirò le labbra e risponderò. (Giobbe 32:8, 20)
Ricorderò ora le opere del Signore. Con le parole del Signore sono state create le sue opere. Della gloria del Signore è piena la sua opera. (Ecclesiastico 42:15,16)
Egli scruta l'abisso e il cuore ... nessun pensiero gli sfugge. (Ecclesiastico 42:18)
Puoi tu, come lui, distendere i cieli? (Giobbe 37:18)
Sei forse entrato nei depositi della neve? Li hai visti i depositi della grandine? (Giobbe 38:22)
I cieli raccontano la gloria di Dio. Un giorno rivolge parole all'altro, una notte comunica conoscenza all'altra.(Salmo 19:1, 2)
I cieli furono fatti dalla parola del Signore. (Salmo 33:6) Tu hai predisposto una strada anche nel mare, un sentiero sicuro anche fra le onde. ... Tu non vuoi che le opere della tua sapienza siano inutili. (Sapienza 14:3, 5)
Ode 17

Mi sono liberato dalle vanità. Viso e somiglianza di nuova persona ho ricevuto; quanti mi videro, furono stupiti; come straniero sembrai loro. Il pensiero della verità mi ha guidato; gli sono corso dietro e non mi smarrii. Ed io aprii le porte che eran serrate. Le sbarre di ferro io infransi.
Detesto quelli che si affidano alle vanità ingannatrici.(Salmo 31:6)
La sua vita [del giusto] è diversa da quella degli altri, e del tutto diverse sono le sue strade. (Sapienza 2:15)
Per amor tuo io sopporto gli insulti, la vergogna mi copre la faccia. Io sono diventato un estraneo per i miei fratelli. (Salmo 69:7)
Sono diventato per molti come un prodigio. (Salmo 71:7)
O Signore, fammi conoscere le tue vie. Guidami nella tua verità. (Salmo 25:4)
Abbiamo dunque deviato dal cammino della verità.(Sapienza 5:6)
Io spezzerò le porte di bronzo, romperò le spranghe di ferro. (Isaia 45:2)
Ode 20

Non cercare di ingannare il tuo prossimo né privarlo di ciò che copra la sua nudità. Tu riceverai parte della sua dolcezza e del suo favore e davvero sarai rigoglioso con la lode della sua santità.
Senza motivo infatti hai angariato i tuoi fratelli e delle vesti hai spogliato gli ignudi. (Giobbe 22:6)
Quanti confidano in lui comprenderanno la verità; coloro che gli sono fedeli vivranno presso di lui nell'amore, perché grazia e misericordia sono riservate ai suoi eletti.(Sapienza 3:9)
Ode 21

Il mio aiuto mi ha sollevato verso la sua pietà e la sua redenzione. Aiuto straordinario mi fu il pensiero del Signore e la comunione di lui imperitura. Il mio cuore uscì fuori e si trovò sulla mia bocca ed apparve sulle mie labbra.
O Eterno, sii tu il mio aiuto! (Salmo 30:11)
Ti esalterò, o Eterno, perché tu mi hai tratto in alto. (Ib. 1) Il rispetto delle leggi [della Sapienza] è garanzia di immortalità e l'immortalità fa stare vicino a Dio. (Sapienza 6:18)
Mi sgorgano dal cuore parole soavi. La mia lingua sarà come la penna di un veloce scrittore.... Le tue labbra sono ripiene di grazia. (Salmo 45:1, 2)
Ode 23

L’amore appartiene agli eletti, il suo volere scese dall’alto. Esso fu inviato come freccia dall’arco, scoccata con vigore. Ora, una ruota la ricevette e quella scese su essa. Tutto ciò che la ruota impediva, essa lo mieteva e lo recideva. Era la lettera con l’ordine che tutti i paesi insieme si radunassero..... Questi tutto ereditò e prese.
Grazia e misericordia sono riservate ai suoi eletti.(Sapienza 3:9)
La tua Parola onnipotente dal cielo, dal tuo trono regale, guerriero implacabile, si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio, portando, come spada affilata, il tuo ordine inesorabile. (Sapienza 18:15)
Ecco, ti rendo come una trebbia acuminata, nuova, munita di molte punte; tu trebbierai i monti e li stritolerai, ridurrai i colli in pula. (Isaia 41:15, LXX)
Chiedi a me, ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra. (Salmo 2:8)
Ode 25

Divenni del Signore nel nome del Signore. Fui reso giusto per la sua cortesia.
Io lo leverò in alto al sicuro, perché conosce il mio nome. (Salmo 91:14)
La tua benignità mi ha reso grande. (Salmo 18:35)
Ode 26

Chi può spiegare le meraviglie del Signore? Quegli difatti che spiega passerà, ma rimarrà colui che è spiegato.
La potenza della sua maestà chi potrà misurarla? ... Non è possibile indagare le meraviglie del Signore. Quando uno ha finito, allora comincia; quando si ferma, allora rimane perplesso. (Ecclesiastico 18:4-7)
Ode 30

Attingete acqua per voi dalla fonte viva del Signore, perché vi è stata aperta. Venite, voi tutti, assetati, e prendete la bevanda; ristoratevi alla sorgente del Signore. Le sue acque sono più dolci del miele; il favo delle api non è paragonabile con essa. Dalle labbra del Signore zampilla. Senza limiti e non vista arrivò.
Voi attingerete con gioia l'acqua dalle fonti della salvezza.(Isaia 12:3)
O voi tutti assetati venite all'acqua. (Isaia 55:1)
Poiché il ricordo di me è più dolce del miele, il possedermi è più dolce del favo di miele.... e quanti bevono di me, avranno ancora sete. (Ecclesiastico 24:20)
Io sono uscita dalla bocca dell'Altissimo. (Ib. 3)
Ho ricoperto come nube la terra. Su ogni popolo e nazione ho preso dominio. (Ib. 3, 6)
Io sono come un canale derivante da un fiume. Ed ecco il mio canale è diventato un fiume, il mio fiume è diventato un mare. (Ib. 30, 31)
Ode 33

La bontà si levò sull’alta vetta e fece uscire la sua voce dai confini ai confini della terra. Sorse però una vergine intatta, che annunciò, gridò e disse: «Figli dell’uomo, convertitevi e voi, loro figlie, venite! Abbandonate i sentieri di questa corruzione ed affrettatevi a me! Io entrerò in voi, vi farò uscire dalla distruzione e vi istruirò nei sentieri della verità. Non vi corrompete e non rovinate. Il vostro giudice io sono. Chi mi ha rivestito non sarà ingannato, ma possederà incorruttibilità nel nuovo mondo. Miei eletti, camminate in me! A chi mi cerca farò conoscere i miei sentieri».
La Sapienza forse non chiama? ... In cima alle alture essa si è posta. (Proverbi 8:1,2)
Difatti lo spirito del Signore riempie l'universo. (Sapienza 1:7)
Essa si estende da un confine all'altro con forza. (Ib. 8:1)
La Sapienza esclama.... A voi, uomini, io mi rivolgo, ai figli dell'uomo è diretta la mia voce. (Proverbi 8:4)
Volgetevi alle mie esortazioni: ecco, io effonderò il mio spirito su di voi. (Ib. 1:23)
Perché la sapienza entrerà nel tuo cuore ... l'intelligenza veglierà su di te, per salvarti dalla via del male. (Ib. 2:10-12)
Venite, mangiate il mio pane. Abbandonate la stoltezza e vivrete. (Ib. 9:5,6)
Infatti, chi trova me trova la vita. (Ib. 8:35)
Così furono raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra; essi furono salvati per mezzo della Sapienza. (Sapienza 9:18)
Te ne rivestirai come di una veste di gloria.(Ecclesiastico 6:31)
Il rispetto delle leggi è garanzia di immortalità. (Sapienza 6:18)
La Sapienza facilmente è contemplata da chi l'ama e trovata da chiunque la ricerca. (Ib. 6:12)
Ode 35

La rugiada del Signore di quiete mi ha coperto.... E redenzione così io ebbi. Scossi tutti furono e spaventati; da loro usciron fumo e giudizio. Io però tranquillo mi trovavo per ordine del Signore e lui fu per me più che ombra, più che fondamento.
I morti risorgeranno e si leveranno nelle tombe, e quelli che sono sulla terra saranno allietati; poiché la tua rugiada è come la rugiada dell'aurora. (Isaia 26:19, LXX)
Quando il Signore avrà lavato le brutture delle figlie di Sion e avrà pulito l'interno di Gerusalemme dal sangue che vi è stato versato con lo spirito di giustizia e con lo spirito dello sterminio. Allora l'Eterno creerà su ogni dimora del monte Sion e sulle sue assemblee una nuvola di fumo durante il giorno ... perché su tutta la gloria vi sarà una protezione. E vi sarà una tenda per far ombra contro il caldo di giorno, e per servire di rifugio e di asilo contro la tempesta e la pioggia. (Isaia 4:5, 6)
Ode 38

Salii sulla luce della Verità come su carro e la Verità mi condusse e mi trasportò. E da scogliere e marosi mi ha salvato. Essa divenne per me porto di salvezza. Le mie fondamenta furon poste per mano del Signore, perché è lui che mi piantò. Egli difatti pose la radice, la inaffiò, le diede consistenza e la fece attecchire. I suoi frutti durano in eterno. Il Signore soltanto fu lodato, per la sua piantagione e la sua coltura.
Manda la tua luce e la tua verità, perché mi guidino. (Salmo 43:3)
Egli riduce la tempesta al silenzio e le onde del mare si calmano. Ed egli li conduce al porto tanto sospirato. (Salmo 107:29, 30)
Ma io sono come un olivo verdeggiante nella casa di Dio; io confido per sempre nella bontà di Dio. (Salmo 52:8)
Quelli che sono piantati nella casa del Signore fioriranno nei cortili del nostro Dio. Porteranno ancora frutto nella vecchiaia; per annunciare che il Signore è giusto; egli è la mia rocca. (Salmo 92:13-15)
Ode 39

Fiumi impetuosi son le forze del Signore.... Quelli però che con fede li attraversano, non saranno scossi. Il Signore con la sua Parola ha gettato un ponte su essi... Le sue impronte rimanevano nell’acqua e non si guastarono....
Scorra piuttosto il diritto come acqua e la giustizia come un torrente perenne! (Amos 5:24)
Quando dovrai attraversare le acque, io sarò con te; quando attraverserai i fiumi, essi non ti sommergeranno. (Isaia 43:2)
Così dice il Signore che offrì una strada nel mare e un sentiero in mezzo ad acque possenti (Ib. 16)
Tu apristi la tua via in mezzo al mare, i tuoi sentieri in mezzo alle grandi acque. (Salmo 77:19)
Ode 41

Lodino il Signore tutti i suoi figli.... Noi viviamo nel Signore per il suo favore e per il suo Unto [la Parola] vita riceviamo. Nella sua luce i nostri volti rifulgano; meditino i nostri cuori nel suo amore notte e giorno. Quanti mi scorgono rimarranno stupiti. La luce rifulse dalla Parola, da tempo in essa presente. L’Unto è uno davvero e fu conosciuto, già prima della fondazione del mondo, come colui che vita avrebbe dato alle anime in eterno.
Con l'aiuto di Dio celebrerò la sua Parola. (Salmo 56:10)
Perché tu hai liberato l'anima mia dalla morte. (Ib. 13)
Infatti li conoscerà perché sono tutti figli del loro Dio. (Salmi di Salomone 17:30)
[I malvagi dicono] la luce della giustizia non è brillata per noi. (Sapienza 5:6)
La sua legge medita giorno e notte. (Salmo 1:2)
Io sono per molti come un prodigio. (Salmo 71:7)
Come molti erano stupiti di te. (Isaia 52:14)
La rivelazione delle tue parole illumina. (Salmo 119:130)
Fui generata quando non c'erano ancora abissi.(Proverbi 8:24).
Sebbene unica, essa può tutto, attraverso le età entrando nelle anime sante. (Sapienza 7:27)

Si sarà notato che l'Odista non cita quasi mai. La sua mente era ricolma della conoscenza di certi testi dell'Antico Testamento, ed egli espone quella conoscenza nella sua maniera personale, riassumendo liberamente, ed esprimendo le sue idee personali in una lingua che nel suo contesto originario potrebbe aver avuto un significato diverso. In alcuni casi la rassomiglianza è leggera, e se le rassomiglianze fossero state poche esse potrebbero ritenersi accidentali. Ma il loro stesso vasto numero pone abbastanza fuor di questione una coincidenza. Per quella ragione io ho considerato necessario citare abbondantemente. Alcuni antichi scrittori cristiani citano liberamente dall'Antico Testamento; ma il loro metodo è abbastanza diverso. Le loro citazioni sono fatte col fine di provare la correttezza della loro posizione dogmatica. E i dogmi che cercano di stabilire sono definiti più precisamente di quelli che incontriamo nelle Odi, in cui le idee della letteratura sapienziale sono in processo di essere modellate in una teosofia coerente. L'Odista è più vicino alle sue fonti di qualsiasi scrittore cristiano conosciuto. Egli non le impiega a favore di una dottrina in precedenza esistente, ma sta sviluppando una nuova forma di dottrina a partire da loro. Nella mente dell'Odista — e senza dubbio anche nella mente di alcuni dei suoi contemporanei —le idee della letteratura sapienziale sono state a subire un cambiamento; tuttavia là appare che siano essenzialmente nuove. La conoscenza dei Salmi ha contribuito allo sviluppo, ma quelli sono stesso troppo ebraici da essere congeniali. Da qui, mentre c'è una reminiscenza frequente della fraseologia originale, il contenuto non è più sempre lo stesso.

Sarà utile intanto notare alcune differenze che illustrano il metodo dello scrittore e fornire un indizio della sua prospettiva mentale. Nell'Ode 14 abbiamo il riassunto di un verso del salmo 123, dove l'attitudine degli uomini verso Dio è descritto come quello dei versi verso il loro padrone. Dal momento che l'Odista considerò la relazione di Dio con gli uomini al pari di quella di un padre amorevole coi suoi figli, egli coerentemente modificò il paragone. Ma questa visione della relazione non fu raggiunta spontaneamente da lui. È data nella Sapienza di Salomone, e quella in nessun limitato senso ebraico. La gentilezza amorevole di Dio è espressa in alcuni dei salmi, e anche se una limitazione potrebbe essere stata intesa, l'Odista, col suo approccio mentale universalistico, l'avrebbe necessariamente trascesa. Nella stessa Ode c'è una citazione quasi alla lettera delle parole “egli sarà la nostra guida fino alla morte” del Salmo 48. Ma l'Odista obiettò all'implicazione contenuta nella dichiarazione introduttiva che Dio è particolarmente il Dio degli ebrei, “nostro Dio”; così egli volse la dichiarazione in una preghiera al “mio Signore”. E, sebbene fosse ebreo, Dio non era per lui il “mio Signore” in virtù di ciò, come apparirà quando esaminiamo più in dettaglio la sua dottrina. La sua prospettiva universalista è in effetti apparente negli estratti già dati. Un indizio di questo si può constatare in particolare nell'Ode 38, dove l'idea di “piantare” è stata chiaramente suggerita dal salmo 92:13-15. Ma le espressioni “casa del Signore” e “cortili del nostro Dio” sono accuratamente evitate poiché significano il tempio di Jahvè a Gerusalemme. Lo scrittore le sostituisce con “mano del Signore”. Un'altra distinzione qui trovata è a sua volta importante. Per il salmista l'esistenza era terminata con la morte del corpo, così che il “portare del frutto” non poteva continuare nella sua visione più oltre della “vecchiaia”. L'Odista, che credeva nell'esistenza continua dello spirito, corresse la sua dichiarazione in “i suoi frutti durano in eterno”.
L'approccio anti-giudaico dello scrittore si vede nella sua omissione delle parole “patto” e “legge”. Vediamo questo nell'Ode 20, ma l'omissione è specialmente marcata e chiaramente deliberata nell'Ode 41, dove una frase dal salmo 1 è citata quasi letteralmente, e dove l'Odista al posto diSulla sua legge medita giorno e notte scrisse “meditino i nostri cuori nel suo amore notte e giorno”. Nell'Ode 17 le parole “mi sono liberato dalle vanità” sembrano essere state scritte col salmo 31:6 in mente; e la soppressione della frase “io odio quelli” si potrebbe prendere per un indizio che sebbene l'Odista non ritenesse sbagliato pregare che le trame dei suoi persecutori potessero ricadere su di loro (Ode 5), non pensava che fosse giusto odiare qualcuno. Non c'è nelle Odi la minima traccia della crudeltà che sfigura così tanti dei salmi. Un'altra alterazione interessante è osservabile nell'Ode 16, dove lo scrittore ha corretto l'espressione del salmista “I cieli sono stati fatti per la parola del Signore” in “i mondi esistettero per la sua Parola”. Ma allo scopo di preservare la menzione dei “cieli” egli ha aggiunto in seguito “le armate celesti ubbidiscono alla sua Parola”. L'aggiunta mostra che egli aveva in mente il verso del salmo quando egli scriveva. La descrizione della creazione nella stessa Ode, non tutto di cui è stato citato, era dipesa dai due capitoli di Giobbe, 37 e 38. I capitoli sono stati riassunti davvero liberamente e la rassomiglianza verbale è leggera; ma l'espressione “camera del tesoro” è una riproduzione di “depositi” in Giobbe 38:22. Evidentemente lo scrittore pensava che la parola tesoro sarebbe stata applicata in maniera più appropriata al sole e alla luna più che alla neve e alla grandine, dal momento che egli riteneva Dio preminentemente il datore di “luce”.

NOTE

[1] The Odes and Psalms of Solomon, Vol. II, pag. 131.

[2] Das Bild vom nichtgnostischen Christentum bei Celsus.

[3] Theologische Rundschau, gennaio, 1911.

[4] Journal of Theological Studies, gennaio, 1912.

[5] Dottor Bernard, Texts and Studies, Vol. VIII, Numero 3.

[6] Ibid.

[7] Opera citata, Vol. I, pag. 8 s.