mercoledì 31 gennaio 2018

Il Problema Gesù: Una Riaffermazione della Teoria del Mito (I) — L'Approccio

(procede da qui)



CAPITOLO I

L'APPROCCIO

Come fu spiegato nel preambolo a The Historical Jesus (1916), quel lavoro fu offerto come prolegomena ad una concisa riaffermazione della tesi che il Gesù evangelico è una costruzione mitica. Quella tesi è stata esposta in maniera discorsiva dallo scrittore in due grossi volumi, Christianity and Mythology e Pagan Christs, e sintetizzati in A Short History of Christianity, dove l'argomento nei primi due combina una critica negativa del racconto del Nuovo Testamento con un'esposizione delle prove del mito. Siccome la critica ha preso in gran parte la forma di una negazione che i ricordi fossero non-storici, era necessario chiarire il terreno mostrando che tutti i vari tentativi della generazione passata di trovare nei vangeli un nucleo storico hanno fallito del tutto nel soddisfare verifiche critiche. Quei tentativi, in conflitto com'erano l'un con l'altro, e collassando come fanno su sé stessi, offrono un supporto inaspettato alla conclusione che la storia evangelica è priva di una base storica.
Rimane da riaffermare con eguale brevità la teoria mitica la quale, proposta da lungo tempo su una base molto limitata, è stata di recente sviluppata di nuovo alla luce della mitologia e antropologia moderne, ed ha trovato rapidamente in anni recenti un'accettazione crescente. Inevitabilmente le diverse linee di approccio hanno comportato varietà di speculazione; il professori Drews e W. B. Smith hanno sviluppato abilmente e indipendentemente la teoria in vari modi; e sono diventate necessarie una panoramica e una riaffermazione a vantaggio della stessa teoria non meno che a beneficio di quei lettori che auspicano una dichiarazione condensata.
Questa è a sua volta in sé stessa provvisoria. Se l'analisi progressiva della materia in oggetto dal punto di vista della sua storicità ha significato un secolo e mezzo di dibattito ed un'immensa letteratura speciale, non si deve supporre che la teoria che nega le assunzioni fondamentali di quella letteratura possa essere pienamente sviluppata e stabilita in un unica generazione, grazie ad un po' di scrittori. Il problema “Che cosa accadde realmente?” è di fatto assai più ampio per la difesa della teoria mitica piuttosto che per il critico che tenta di estrarre una biografia dai documenti. Nella sua prima forma, come proposta da Dupuis e Volney, la teoria mitica fu confinata semplicemente a certi parallelismi tra il mito cristiano e pagano, e alla base astronomica di un loro numero. Da questo punto di vista la reale origine storica del culto fu poco considerata. Strauss, di nuovo, sviluppò con grande potere e precisione la tesi che la maggior parte del dettaglio nel racconto evangelico è costruzione mitica sulle linee della profezia ebraica e del dogma. Ma Strauss non accettò mai pienamente la teoria mitica, avendo sempre assunto l'esistenza di un maestro come un nucleo per l'intero. A parte i continuatori di Dupuis e Volney, fu Bruno Bauer che, ponendosi coll'obiettivo di estrarre una biografia dai vangeli, e non trovando alcun terreno solido, propose per prima una teoria mitica da quel punto di vista.
La sua costruzione, essendo sostanzialmente una costruzione arbitraria di un ipotetico evangelista che creò un mito e perciò fondò il culto, naturalmente non fece progresso; e la sua artificialità allungò le mani di coloro che pretesero di lavorare induttivamente sui documenti. Fu in ragione di un fallimento simile nel trovare un piedistallo storico dove egli lo aveva preso all'inizio per garantito che il presente scrittore fu condotto gradualmente, lungo le linee di ierologia comparativa e di mitologia e antropologia comparative, alla concezione dell'evoluzione del culto di Gesù dalle radici di un culto “pre-cristiano”. Il fatto che questa tesi sia stata raggiunta indipendentemente da uno studioso come il Professor W. B. Smith, che si approcciò al problema dall'interno piuttosto che per via di un metodo comparativo, sembra in sé stesso una conferma davvero importante.
Ciò che ora dev'essere fatto è una rassegna della teoria generale alla luce di uno studio ulteriore come pure delle sue esposizioni altamente importanti da parte del Professor Smith e altri studiosi. Un tentativo è ora fatto definitivamente non semplicemente per combinare concisamente la prova di un culto di Gesù pre-cristiano, ma per illustrare come quello crebbe storicamente nel “cristianesimo”, sostituendo così una difendibile tesi storica con un racconto mitico degli inizi. E questo, naturalmente, è una forte impresa.
La domanda, “Che cosa metti al suo posto?” è spesso rivolta al critico devastante di una credenza, non con qualche comprensione filosofica del fatto che una rimozione completa è effettuata solo ponendo un giudizio verificato o logico al posto di un giudizio indimostrato o illogico, ma con un senso di offesa, come se una falsa credenza fosse una proprietà personale, per la cui rimozione vi debba esserci una “compensazione”.
In punto di fatto, il processo distruttivo è raramente tentato senza un parallelo processo di sostituzione. Perfino dire che un testo particolare è spurio equivale a dire che qualcuno lo falsificò o inserì dove esso è, per uno scopo. Quel concetto è “qualcosa al suo posto”. Alcuni seguaci di Comte, di nuovo, sono abituati a commettere la contraddizione di affermare che “nessun credo è realmente distrutto senza una sostituzione”, e, nell'attimo successivo, a condannare razionalisti che “distruggono senza sostituire”. Entrambe le proposizioni non possono reggersi.
Se  si intende semplicemente insistere che una spiegazione è una sostituzione, e che una spiegazione è una parte necessaria di un processo positivo o completo di distruzione, la risposta è che è difficilmente possibile perfino tentare di cancellare un credo senza porvi un credo differente al suo posto; e che è quasi sempre tramite l'introduzione di un nuovo credo che un credo vecchio è assalito. L'antica accusa contro il razionalismo, di “distruggere senza edificare”, è storicamente piuttosto falsa. Quasi invariabilmente, l'innovatore ha offerto una nuova dottrina o concezione al posto della vecchia. È vero, essa avrebbe potuto non essere apparentemente una equivalente, per il credente che voleva una di tipo equivalente. Un'idea di Dio screditata non è per me sostituibile da un'altra idea di Dio: la sola “sostituzione” razionale è una sostituzione di una cosmologia ed un'etica autoritarie con una cosmologia ed un'etica ragionate.   Ma nella via di ragionate sostituzioni gli innovatori sono stati solo troppo rapidi, in generale, per formulare nuove concezioni, nuovi credi. Essi sono veramente stati troppo ardenti di costruire da capo, e molte formule e ipotesi insostenibili ne sono le conseguenze.
Quelli stessi tentativi, naturalmente, sono fatti costantemente bersaglio di un contro-attacco ancor più frettoloso. Ogni forma della teoria mitica con cui sono familiare, qualunque ne siano i difetti, è stata il risultato di molta fatica, e anche se astratta può essere chiaramente dichiarata “frettolosa” solo nel senso che si dimostra inadeguata. Non è così con la maggior parte della contro-critica. Il lettore potrebbe star tranquillo che non è possibile per alcuna esposizione della nuova teoria essere altrettanto “frettolosa” com'è solitamente il suo rigetto. [1] Teologi di professione che lanciano quell'epiteto sono in generale  riconoscibilmente uomini che credevano al loro credo ereditario prima che fossero capaci di pensare, e a nessuna fase successiva hanno reso buona la prima inevitabile omissione.  Le teorie mitiche, profonde o superficiali, sono i tentativi di studiosi che trovano i documenti incredibili come Storia per elaborare, alla luce dei documenti e di una mitologia e ierologia comparative, il processo tramite cui vennero ad essere prodotti; e anche se tutto il mito non è che una forma di errore tradizionale, così ogni tentativo di rintracciare la sua crescita corre il rischio di errore. È una cosa mostrare, per esempio, che il Pentateuco non può essere stato scritto da “Mosè”, visto come una figura non-storica: è un'altra cosa definire come furono creati realmente i testi. In questi casi, il “qualcosa al posto” della tradizione dev'essere accertato solo dopo una lunga e paziente inchiesta e contro-critica. Così con l'inchiesta della storia fantastica dell'antica Roma. Dopo che parecchi studiosi hanno avanzato dubbi fondati, il problema fu gestito abilmente e sistematicamente dal libero pensatore francese Louis de Beaufort nel 1738. Agli inizi del diciannovesimo secolo, Niebuhr, tentando fiduciosamente “con l'aiuto di Dio” di pervenire alla verità, e disprezzando falsamente il lavoro di Beaufort come totalmente “scettico”, offrì una ricostruzione che da allora è stata trovata superficiale in larga misura, sebbene a lungo familiare per gli studiosi inglesi. [2] In queste materie non c'è realmente alcuna finalità. Se una storia ben documentata deve essere riscritta in ogni età, non meno inevitabile è la riscrittura di ciò che è raggiunto solamente mediante processi di deduzione. E il problema evangelico è il più difficile di tutti. Ancor più che nel caso del problema del Pentateuco, molte revisioni saranno probabilmente necessarie prima che sia raggiunta una soluzione generalmente soddisfacente.
Non c'è niente da fare se non tracciare e rintracciare, considerare e riconsiderare un plausibile processo storico. Ostacolata com'è da alterne accuse di iconoclastia spericolata e costruzione “frettolosa”, il corso adeguato per il detentore della teoria mitica è ripetere con vigilanza spassionata entrambi i suoi processi — mostrare prima che lo sforzo progressivo per estrarre dai vangeli una biografia sostenibile è terminato in un completo collasso critico, rivelando solo uno strato di mito; e poi tentare di indicare come la pseudo-storia giunse ad essere compilata: in altre parole, come sorse il mito. Questa è stata la mia procedura nel volume precedente e in questo.

Si potrebbe sostenere naturalmente che la precedente critica negativa dei documenti evangelici sia non decisiva; che l'ammissione di Loisy: “Se il processo e la condanna di Gesù, come preteso Messia, si potessero mettere in dubbio, noi non dovremmo avere nessuna base per affermare l'esistenza del Cristo” non compromette altre inchieste, oppure che la storicità del racconto del processo non è stata realmente screditata; che la nullità del presunto Evangelo non è stata stabilita; oppure che la distruzione completa di precedenti teorie biografiche pretesa da Schweitzer per sé stesso e da Wrede non è stata realizzata. La risposta è che quelle questioni non sono riaperte nei seguenti capitoli. Esse furono accuratamente affrontate nel volume precedente, al quale io non ho visto nessun tentativo ad una risposta comprensiva e ragionata.

[L'attacco più recente che ho visto proviene da un antagonista precedente, che sembra porre la sua  lamentela principale contro il libro sulla base che esso “omette di notare la teoria del problema sinottico che appare in ogni moderno manuale”, cioè, “l'ipotesi dei due documenti”. E là affiora quest'accusa:
Siccome la teoria ha un effetto vitale sui valori relativi di diversi strati di tradizione, il signor Robertson non può permettersi di ignorarla. Se applicassimo a lui stesso il crudo principio che egli applica a Paolo e agli evangelisti, vale a dire, che se loro non menzionano una cosa loro non la conoscono, noi dobbiamo assumere che il signor Robertson è ancora ignorante degli stessi elementi del problema che egli sta professando di risolvere. Poiché egli non ha una opinione chiara o sostenibile dei documenti e delle loro relazioni reciproche, egli ovviamente non può rispondere alle domande storiche che sollevano. [3] . . . Apparentemente egli manca di farne menzione perché egli non scorge il suo significato. [4]
Prima di giungere alla materia principale, è necessario chiarire l'accusa riguardo ad un “crudo principio” applicato a Paolo e agli evangelisti. Il “principio” realmente applicato fu questo, che se “Paolo” in tutti i suoi scritti, a parte due passi interpolati, non mostra nessuna vera conoscenza di sorta dei vangeli, e nessuna conoscenza di sorta o della vita o degli insegnamenti di Gesù come ivi ricordati, noi siamo indotti a dedurre o che quei dettagli non fossero noti in alcuna forma a Paolo, oppure che, se li avesse saputi, egli non vi credette. Non è una questione del suo non sapere “una cosa”: ciò è il sofisma del critico; è una questione del suo non conoscere alcuna cosa sul soggetto. E così coi sinottici e il quarto vangelo. Quando un lato riferisce qualcosa di vitale da ricordare, di cui l'altro lato non mostra nessuna conoscenza di sorta [5] — come, per esempio, grandi miracoli — noi siamo costretti a dedurre che il lato silente, quando è il documento più antico, o non la sapeva oppure non credeva alla storia. Oppure, di nuovo, quando Giovanni presume che i discepoli battezzarono liberamente e i sinottici non fanno alcuna menzione di ciò, è chiaro che noi non possiamo supporre che loro, nelle presunte circostanze, siano stati ignoranti di questo fatto; mentre, se si suppone che essi hanno saputo ciò e tuttavia hanno mantenuto un silenzio, il loro credito come storici è seriamente scosso. Il “principio”, di fatto, è quello del comune senso critico; e la sua versione da parte del critico è una perversione apologetica.
Sull'argomento successivo, è bene forse spiegare al lettore laico che l'“ipotesi dei due documenti” è semplicemente ciò che Schmiedel — con un'implicazione davvero giustificabile - nominò “la cosiddetta teoria delle due fonti”, un mero aspetto della “ipotesi di copiatura” che costituisce la sostanza principale del nucleo della discussione documentaria dei vangeli nell'ultimo secolo, e che è semplicemente la maniera più ovvia del tentativo di spiegare i fenomeni documentari. Essa risale a Papia. Come asserisce il critico, essa è la teoria dei manuali in generale. E per gli obiettivi principali della comprensione storica, essa non è né qui né là. La teoria delle due fonti non può eventualmente coprire tutti i dati, perfino dal punto di vista biografico. L'effetto dell'articolo di Schmiedel — un modello di onestà critica e generale buon senso che i suoi successori avrebbero potuto utilmente cercare di copiare a quel riguardo — è mostrare che l'ipotesi è piuttosto inadeguata perfino come una teoria documentaria; e dal punto di vista dello studioso razionale essa è semplicemente neutrale per la questione vitale. Che cosa accadde realmente, nel complesso? Colui che ha realizzato che l'Entrata, il Tradimento, l'Ultima Cena, l'Agonia, i Processi, e la Crocifissione, sono tutti altrettanto mitici come la Resurrezione, non è a quel punto interessato alla disputa relativa alla priorità tra i vangeli, o tra qualche loro paragrafo. Nessun'ipotesi documentaria può rendere eventualmente vero il mito.
Al punto vitale, di fatto, l'ipotesi dei due documenti non è neppure apparentemente applicabile: il racconto sinottico è un unico racconto primario, soggetto a modifiche minori. È ammesso da Harnack che è stato assente da “Q”, la “fonte” di Logoi che è ritenuta essere stata attinta da Matteo e Luca. E quell'unico racconto, come io ho sostenuto, non è per nulla in origine un racconto “evangelico”, ma la semplice trascrizione   di un dramma misterico, con quasi il minimo di necessaria inserzione narrativa. Se l'esegeta potesse spingersi a contemplare razionalmente la mia ipotesi, egli potrebbe ritrovarsi alleggerite le sue fatiche documentarie. [6].
È vero senza dubbio che la determinazione della forma più antica, come contro la più recente, di un minore episodio narrativo, oppure di un insegnamento, è spesso essenziale all'inquadramento di una nozione vera per quanto riguarda la sua maniera di introduzione; e questa determinazione io ho tentato parecchie volte. Ma la nozione che la storicità è una materia di priorità di documenti è, come osserva Schmiedel, la fallacia delle fallacie. Imprigionati in quella presupposizione, gli esegeti che difendono i documenti raggiungono inevitabilmente lo stesso fallimento che loro attribuiscono: essi sono “ignoranti degli stessi elementi del problema che essi stanno professando di risolvere” — cioè, il problema di ciò che accadde realmente. Essi non possono realizzare le condizioni sotto cui i vangeli furono compilati. Essi costruiscono ciò che ritengono una tesi “chiara oppure sostenibile” dei documenti mediante il processo di evadere le considerazioni che la rendono insostenibile oppure inadeguata, e poi esigono che la loro formula documentaria sarà soddisfatta da una in pari materia. La risposta per loro è che le loro assunzioni psicologiche come pure le loro assunzioni storiche sono false. Le cose non accaddero in quella maniera. E due versioni di un mito evidente non supportano a favore della sua storicità.
L'accusa contro di noi, in breve, è un'illustrazione della maniera di difesa teologica discussa sopra. Tu tenti di mostrare che i presentimenti più attenti di una data concezione storica falliscono di reggere verifiche critiche, e tu vai incontro alla risposta: “Noi non siamo interessati a discutere i presentimenti che tu tratti, che non sono generalmente accettati: noi esigiamo che tu discuti la teoria documentaria che in quei presentimenti è trattata come obsoleta. Se tu non fai questo, ti riveli un incompetente”.  Quando d'altra parte è indicato il significato critico di una teoria più vecchia, si solleva la risposta che quella teoria è “obsoleta”. Una teoria è troppo nuova, un'altra è troppo vecchia, per una discussione. Nel frattempo, la teoria su cui è fondata la difesa è realmente la più vecchia di tutte. Fu di fatto l'ovvia inadeguatezza della familiare ipotesi documentaria che dettò la nostra discussione di teorie più aggiornate, siccome essa le aveva provocate. Se l'ipotesi favorita del nostro esegeta avesse avuto qualche efficacia nel soddisfare studiosi indipendenti, noi non dovremmo aver avuto trattati come quelli del reverendo dottor Wright e del dottor Flinders Petrie, oppure l'analisi di ricerca e il commentario del signor Loisy, per non dire niente del vigoroso dottor Blass.
Nel trattamento di questi scrittori, e in particolare nel seguire la procedura “reale” del signor Loisy sulle questioni principali del fatto storico, io presi ciò che mi sembrò il candido corso controverso. Ricorrere invece ad una mera esposizione dell'ovvia insufficienza dell'“ipotesi dei due documenti” sarebbe equivalente a sostenere come se la Genesi fosse la sola alternativa alla teoria darwiniana. L'“ipotesi orale” del dottor Wright è una rinascita vivida e interessante di quel che, come sottolineai, era da tempo stata la veduta “predominante”. [7] Il nostro esegeta nondimeno ammette che io la considero “come qualcosa di nuovo in Inghilterra”. Per il  lettore laico io spiegherei di nuovo la situazione così affrontata. Una discussione teologica sui vangeli si è mossa in cicli, a causa dell'immutabile presupposizione quanto alla storicità, che fu un fattore principale nel fallimento parziale della teoria mitica come introdotta da Strauss. Come io ho dichiarato espressamente, l'ipotesi orale fu prima di Strauss “ben stabilita”. Poi seguì la discussione di lunga data delle ipotesi documentarie. Al termine del diciannovesimo secolo troviamo uno Schmiedel che dice:
Ultimamente, gli studiosi stanno anche cominciando a ricordare che gli evangelisti non necessitavano di attingere il loro materiale solo da libri, ma che fin dalla giovinezza essi ne furono familiari in virtù di una tradizione orale e potevano facilmente sottoporla alla scrittura precisamente in questa forma in ciascun caso — se non l'avevano di fronte a loro in nessuna forma scritta, oppure se l'avevano in una diversa forma scritta. In questa materia, di nuovo, noi stiamo cominciando a stare in guardia contro l'errore di supporre che nel problema sinottico noi dobbiamo considerare semplicemente date quantità, oppure quantità tali che si possono facilmente accertare [8].
Se io avessi scritto ciò, di me si dovrebbe dire senza dubbio che io consideravo “nuova” l'ipotesi orale. Il dottor Schmiedel, è da sperarsi, potrebbe sfuggire al metodo denigratorio del mio critico. In effetti, un ritorno all'ipotesi orale era inevitabile in vista dell'insufficienza dell'altra. Sfortunatamente essa è stata fatta sulla vecchia e fatale presupposizione della storicità del mito; ma, come presentata dal dottor Wright, essa sembrò ben degna di una considerazione critica. Il mio critico disprezza quella e altra propaganda in quanto “non impongono non una vasta misura di assenso universale”. La mia testimonianza, temo, non aiuterà il dottor Wright; ma io dirò che io lo trovai uno scrittore onesto ed estremamente interessante, egregiamente libero da malizia teologica, e soprattutto in grado di esibire una posizione completamente indipendente della sua tesi. Che quantità di assenso si sia assicurato è una questione irrilevante. Io posso solo dire che lo trovai davvero leggibile. Lo status accademico e intellettuale del dottor Flinders Petrie, di nuovo, è tale da  rendere forse non necessario dire — specie contro un simile disprezzo nel suo caso — che una tesi abbracciata seriamente e vigorosamente da lui in quanto una che soppianta parimenti le vecchie ipotesi documentarie e orali, mi sembrò ben titolata ad essere presa in considerazione.]

L'esame delle posizioni recenti di scrittori indipendenti che cercano di costruire una teoria documentaria è stata sufficiente, io penso, a salvaguardare l'onesto studioso laico della teoria mitica contro il tipo di falsa confutazione avanzata da coloro che, a loro volta a digiuno di ogni ricerca originale, pretendono che la storicità fondamentale dei vangeli sia stabilita da un “consenso di accademici”. Non c'è nessun consenso di accademici. Io osservo che il signor Loisy, a cui dedicai uno studio speciale, è disprezzato giornalisticamente dallo stesso reverendo Dean Inge. Quel disprezzo — il quale, pure io constato, ho l'immeritato onore di condividere — non si imporrà su seri studenti, i quali realizzeranno che Dean Inge, egli stesso evidentemente non ortodosso, non ha alcuna risorsa in queste materie se non disprezzare tutti coloro che lavorano con qualche misura di scopo razionale per porre conclusioni coerenti dove i dignitari ecclesiastici inevitabilmente preferiscono mantenere una mistificazione retorica.  Per gli obiettivi di studiosi seri, il signor Loisy è un investigatore importante, Dean Inge un trascurabile saggista.
È vero che una delle posizioni da me discusse — quella della scuola di Weiss — non è “nuova”. Ma in quel caso la ragione per la sua selezione non fu semplicemente che essa fu uno degli sforzi per raggiungere qualcosa di meno neutrale dell'“ipotesi dei due documenti”, ma quella è in sostanza la posizione di alcuni dei più recenti e più virulenti critici inglesi della teoria mitica. Essa è di fatto l'essenza della polemica del dottor Conybeare. Io ho mostrato, coerentemente, che la tesi di una biografia primaria è psicologicamente assurda in sé stessa; e, inoltre, che al pari di tutte le altre ipotesi documentarie essa è stata piantata in asso dai più recenti esegeti tedeschi, i quali, assumendo espressamente la storicità di un Gesù, e fondandosi sui vangeli per il loro caso, li riducono ad un minimo di tradizione di fronte a cui il signor Loisy deve levarsi atterrito. È in Inghilterra, in breve, che la scuola biografica, come rappresentata da Dean Inge e dal dottor Conybeare, è vista più completamente estranea al movimento di critica razionale.
È in Inghilterra, anche, che troviamo l'affidamento più acritico sull'“impressione di una personalità” detta essere esposta dai vangeli. Questo argomento è ancora utilizzato senza alcun tentativo di un'auto-analisi psicologica, senza alcuno sforzo di elaborare che cosa sia degno di un'impressione. Una generazione fa o due, esattamente la stessa posizione si prese riguardo al quarto vangelo: entrambi gli Arnold, per esempio, erano fiduciosi che la visione di Gesù là offerta fosse particolarmente reale. Uno studio critico da allora ha costretto tutti salvo che i tradizionalisti giurati che esso non può essere reale se c'è qualche verità sostanziale nel presentimento dei sinottici. Lentamente è stato realizzato che i metodi che producono una vivida impressione di “personalità” sono metodi suscettibili di arte fittizia, e differiscono solo in dettaglio dai metodi del Bhagavadgītā oppure dai metodi di Omero. Se una forte impressione di una personalità è un certificato di storicità, che cosa di Zeus e di Era, di Atena e di Achille, di Ulisse e di Nestore? La maggior parte dei critici che affrontano il problema sembrano lavorare in vacuo, senza riguardo per i fenomeni e le tecniche di letteratura fittizia in generale, anche quando sono costretti ad accettare un'ipotesi di finzione.
La visione presentata nel quarto vangelo è prima facie più realistica di quella dei sinottici, perché il suo autore artificiale è un artista più dei suoi predecessori. È stato giustamente affermato dal Professor W. B. Smith che
La nozione ricevuta che nelle prime narrazioni marciane il Gesù è particolarmente umano, e che il processo di deificazione è compiuto in Giovanni, è precisamente il contrario della verità. In Marco non c'è realmente nessun uomo del tutto: il Gesù è Dio, oppure almeno essenzialmente divino, completamente. Egli indossa solo un trasparente mantello di carne. Marco storicizza soltanto. Anche Matteo storicizza e chiaramente umanizza. Luca umanizza più fortemente; mentre Giovanni non solo umanizza ma comincia a rendere sentimentale. [9]
Studiosi tedeschi contemporanei, come Wellhausen, lavorando sui sinottici, cominciano con riluttanza a notare la perdita di realtà e verosimiglianza nel presentimento ivi fornito, denunciando un deficit di qualità biografica dove dilettanti inglesi ancora distrattamente affermano una veridica ingenuità. Wellhausen, tacitamente aggrappandosi all'assunzione biografica, rinuncia a paragrafo dopo paragrafo di Marco, dove i nostri dilettanti in modo primitivo acclamano come dettaglio biografico genuino un elemento come “addormentato sul guanciale” (Marco 4:38). Seguendo un altro fuoco fatuo, Wellhausen è mosso a pretendere che l'episodio dell'obolo della vedova (Luca 21:1-4) ha un sapore biografico, come se l'inventore riconosciuto di altri episodi lucani non potesse aver fabbricato questo in un modo dottrinale. Non c'è nessuna scienza in simili tentativi. Essi non ci comunicano altro che la ricerca di una base soggettiva del credo quando la critica ha dissolto le basi oggettive della vecchia assunzione.
Quando è preteso, come da parte del dottor Conybeare, che la teoria mitica si basa e cresce solamente dai dettagli soprannaturali nella storia evangelica, il caso è semplicemente falsificato. Questo scrittore non sembra mai padroneggiare la sua materia in oggetto. Prima di Strauss, come da parte di Strauss, la teoria mitica fu ampiamente applicata ad una materia non-soprannaturale; e ipotizzare un Gesù storico dietro quei dettagli è stato il primo passo in tutta l'indagine moderna. L'asserzione che il rigetto della storicità di Gesù “non è realmente la conclusione finale delle loro [dei teorici del mito] ricerche ma un'assunzione iniziale non provata” [10] è categoricamente falsa. La dichiarazione biografica del Professor Smith lo nega. [11] Come io ho dichiarato ripetutamente, io cominciai senza perplessità coll'assumere un Gesù storico, e cercai di rintracciarlo storicamente, considerando il mito della nascita e gli altri come mere espansioni. Ma il primo vero passo nell'indagine strettamente storica rivelò difficoltà che la scuola biografica e parimenti i tradizionalisti semplicemente non avevano mai affrontato. Le questioni se Gesù fosse “di Nazaret”, “Nazareno” in quel senso, oppure “il Nazireo”; e perché, se egli fu entrambi di quelli, egli non fu mai nominato così nelle epistole, si trovavano proprio di fronte al problema, totalmente ignorate da coloro che professano di rintracciare un Gesù storico col metodo storico. Il problema dei “dodici” è a questo giorno tralasciato con eguale disattenzione da critici che professano di lavorare lungo linee storico-critiche; e la questione dell'autenticità degli insegnamenti non è più affrontata scientificamente. Fu perché ad ogni passo lo sforzo per trovare un fondamento storico fallì completamente che dopo anni di investigazione io cercai e trovai in una completa applicazione della teoria mitica la soluzione dell'enigma. Invariabilmente quella offre una luce dove l'assunzione storica produce oscurità.
È propriamente caratteristico dello spirito in cui operano alcuni campioni della visione biografica che, in seguito alla falsificazione del problema appena osservato, noi otteniamo da loro la richiesta che se rinunciamo alla storicità di Gesù, noi dovremmo rinunciare a quella di Solone e di Pitagora; e che “ovviamente Gesù ha una probabilità molto più grande  di essere realmente esistito rispetto a Solone” [12]. Questo utilizzo della concezione di “probabilità” rivela il tipo di dialettica con cui stiamo trattando. Si ricorda la derisione di Newman della posizione di Paley che le “probabilità” fossero a favore dell'esistenza di un Dio. “Se neghiamo ogni autenticità all'insegnamento di Gesù”, ci viene chiesto, “cos'è della  tradizionale sapienza di Solone?”. Bene, e allora? Esso deve essere autenticato colla minaccia che deve andarsene se neghiamo che il Discorso della Montagna sia un discorso? I frammenti dei versi di Solone pretendono di essere stati scritti da lui: abbiamo noi qualcosa che pretende di essere stato scritto da Gesù? Lo stesso fatto che noi disponiamo solo di frammenti di Solone è in sé stesso un argomento a favore della loro autenticità: a Gesù ogni evangelista poteva attribuire qualsiasi detto a volontà. [13]
Come al solito, il critico falsifica il dibattito, affermando che “le storie di Plutarco circa di lui [Solone] sono, come dice Grote, 'contradditorie come pure apocrife'.” Ciò che dice veramente Grote [14] è che le storie di Plutarco “quanto al modo in cui Salamina fu riottenuta” sono contradditorie come pure apocrife”. Egli non fa un'asserzione del genere riguardo le storie della vita di Solone in generale, tuttavia, come ogni altro storico critico, egli riconosce che furono in ultima istanza attribuite a Solone molte cose che appartengono a tempi più tardi. [15] Ma i frammenti genuini dei versi e delle leggi di Solone sono profondo materiale storico. Come afferma Meyer, [16] il repertorio dell'Arconte è altrettanto valido come i Fasti romani. È precisamente a causa degli elementi solidi nelle testimonianze che Solone emerge come una figura storica, mentre Licurgo è tralasciato in quanto una deità evemerizzata. [17] Sui principi del dottor Conybeare, noi dobbiamo rinunciare a Solone perché noi rinunciamo a Licurgo, oppure accettare Licurgo se accettiamo Solone. La critica storica non fa una cosa del genere. Essa decide i casi sui loro meriti tramite verifiche critiche, e trova il fatto di una legislazione di Solone storicamente tanto certo quanto la legislazione di Licurgo è fantastica. L'elemento che la famiglia di Solone pretese di essere discesa da Poseidone non è un motivo per dubitare della storicità di Solone, perché queste pretese erano normali nell'antica Grecia. Si pretende che affermazioni di essere il Figlio di Dio fossero normali nel tardo ebraismo?
La tattica di dire che noi dobbiamo accettare la storicità di Gesù se noi accettiamo quella di Solone è semplicemente un nuovo travestimento della vecchia pretesa che noi dobbiamo credere alla resurrezione se noi crediamo all'assassinio di Cesare. Entrambe le tesi si bsasano su false analogie: ed entrambe parimenti si sconfiggono, la più vecchia facendo seguire l'implicazione che i prodigi alla morte di Cesare sono altrettanto storici al pari del suo assassinio; la più nuova facendo implicare la conseguenza che Solone accredita non solo Licurgo ma Eracle e Dioniso, Ulisse ed Achille. 
L'argomento di Pitagora è una tattica ancor più fatale. Di lui “non è uun compito facile offrire un resoconto che possa pretendere di essere considerato come Storia”. [18] E delle opinioni di Pitagora noi sappiamo perfino meno che della sua vita.” [19] Si dà per certo che egli insegnò la dottrina della reincarnazione e originò certe proposizioni in matematica; ma mentre l'elemento matematico non ha analogia nei vangeli, la concezione restante di un Pitagora che vendeva in religione solo un insieme di tabù “completamente primitivi” condannerebbe, per analogia, la tesi che il Gesù reale fosse il talmudico Ben Pandira, che risale al 100 A.E.C. circa, e fu considerato un operatore di portenti tramite magia. Questa è una conclusione abbastanza zoppicante e impotente da parte di una polemica a favore del Gesù evangelico, che lo lascia, in effetti, un mito, come mantiene la teoria mitica. Quanto ad Apollonio di Tiana, lo si considera storico [20] solo perchè il suo racconto mitologico è alla fin fine comprensibile come Storia, la quale è precisamente ciò che non è il racconto di Gesù.
Detto questo, The Historical Jesus si potrebbe lasciare esposto, come esso è, ad una confutazione critica. Il presente volume è costruttivo in teoria, e non ritorna senza motivo sull'altro. Esso è aperto a sua volta ad una critica refutativa.
Quella descrizione, si potrebbe osservare, non sarebbe accordata da me ad una mera asserzione che ci “deve” essere una base storica per i vangeli in un personaggio che corrisponde in generale al Gesù evangelico. Ognuno che tiene fiduciosamente un'opinione del genere difficilmente ha bisogno di turbarsi del tutto per la presente tesi: e per me ognuno che pretende di liquidare la questione semplicemente sbarazzandosi del “deve” sta semplicemente ridicolizzando la questione. Coloro che, d'altra parte, non propendono istintivamente ad un credo del genere potrebbero essere invitati rispettosamente a riconsiderarlo alla luce dell'intera ierologia. Che ci “debba” essere un processo storico di causalità dietro ogni culto è un truismo: non ne segue minimamente che la base storica debba essere la storicità del Dio o Semidio attorno al cui nome si incentra il culto.
Molti dèi Salvatori sono stati oggetto di culto, nel mondo antico come nel moderno. C'erano estese e durevoli adorazioni di Eracle, Dioniso, Osiride, Attis, Adone, in aggiunta ai culti secolari degli Dèi “Supremi”. Si afferma che ci “deve” essere stato uno storico Eracle, o Dioniso, o Adone? Se così, si pretende ulteriormente che ci deve essere stato uno storico Geova, un Giove, una Cibele, una Giunone, una Venere? Se gli Dèi-Padri e le Dèe-Madri potevano essersi evoluti da una protratta mitopoiesi, perchè non gli Dèi-Figli?
È perfettamente vero, come fu sollecitato al tardo Sir Alferd Lyall, che in India e altrove uomini famosi potrebbero a questo giorno essere deificati; che il culto degli antenati giocò una gran parte nella creazione degli Dèi; e che gli Dèi tribali sono evoluti in molti casi da capi famosi. Ma questi casi confutano in realtà la conclusione derivata da loro. Non si può mostrare in nessun caso che una simile fabbricazione di Dio avesse mai originato ciò che può ragionevolmente essere definita una religione mondiale. Le religioni mondiali sono il prodotto di una causalità assai più protratta e complessa. Essi crescono da radici di gran lunga più ampie. Soprattutto, non sono mai cresciute senza i servizi di un clero numeroso oppure di Testi Sacri, o di entrambi.
Si pretende allora che un Testo Sacro deve rappresentare l'insegnamento originario di un personaggio reale e dei suoi discepoli? Potrebbe oppure non potrebbe; ma ciò che non segue per nulla è che la personalità deificata oppure decantata nel Testo Sacro fosse reale. Maometto fu una persona reale: egli non fece nessuna pretesa alla divinità: egli adorò un Dio stabilito. I nomi di Zoroastro e di Buddha erano probabilmente non quelli di personaggi reali: il primo figura come un sacerdote fondatore di un culto; il secondo come un Maestro, avvolto dall'inizio in un mito rigoglioso, da cui la sua deificazione pratica. In entrambi i casi il centro specifico della religione è il Libro o i Libri; ed è fuor di questione che in entrambi i casi molte mani operarono su quelli. Dire che solo una personalità principale di anormale grandezza potesse aver ispirato la scrittura dei libri è davvero equivalente a dire che ci deve essere stato un Geova storico per spiegare l'Antico Testamento, e un Allah storico per spiegare il Corano. Sia liberamente concesso che gli scrittori di Libri Sacri fossero in molti casi personalità notevoli. Quella è una proposizione totalmente diversa da quella che stiamo considerando.
L'affermazione che i vangeli avrebbero potuto aver origine solo attorno alla memoria di una personalità ispiratrice e amorevole è in realtà un'evasione dei molteplici fatti della ierologia. L'Europeo che non vede nulla nel fatto che il mitico Krishna è amato da milioni di indù; che in età classica milioni di adoratori erano assorbiti dall'amore di Dioniso, si mutilavano per Attis, e piangevano per Adone, non è veramente pronto ad un verdetto su che cosa “debba” essere stato per quanto riguarda la costruzione di un culto qualsiasi.  Sono i Salmi, una volta di più, una testimonianza della storicità di Geova, oppure è l'inno di Ippolito ad Artemide, in Euripide, una dimostrazione di alcunchè se non che gli uomini possono amare una fantasia? 
La speciale pretesa di un Gesù storico sorge dallo stesso fatto che Gesù solo tra gli Dèi Salvatori dell'antichità (Buddha essendo ecluso da quella categoria) è celebrato in un insieme di Testi Sacri in cui egli figura nello stesso tempo come un Dio Sacrificato e un Dio Che Istruisce. [21] Ma le adorazioni dei Salvatori Dioniso ed Eracle ed Adone, sprovviste di Testi Sacri (a parte liturgie del tempio), erano altrettanto pieni di fede come l'adorazione di Gesù. La produzione di Testi Sacri è in sè stessa qualcosa di più di una testimonianza della realtà umana di un Dio Salvatore rispetto all'adorazione a cui vengono associati?
Storicamente parlando, l'emergenza di Testi Sacri come accompagnamento di un culto popolare è un risultato di speciali condizioni culturali. Nel caso dell'ebraismo quelle non sono mai state rintracciate scientificamente, a causa delle presupposizioni del passato. [22] Ma noi possiamo rintracciare casi più recenti. L'antico culto di Cristo si fondò principalmente sui Libri Sacri dell'ebraismo; ed esso ebbe bisogno di produrre libri per suo conto se doveva sopravvivere contro il culto dominante dei predecessori.  Se non fosse per quei libri, il culto di Cristo sarebbe scomparso come fece il Mitraismo, di cui la scarsa letteratura ieratica rimase occulta, liturgica, non popolare, laddove il culto di Cristo si impegnò in una propaganda dalla direzione ebraica. Fare di Testi Sacri prodotti sotto quelle condizioni speciali un argomento speciale a favore della storicità dei loro contenuti, oppure della loro base narrativa, significa abbracciare la fallacia di un singolo caso. E quando i contenuti falliscono completamente di sostenere gli esami di una critica razionale documentaria, ricadere su un “deve” per una garanzia della realtà della figura che essi deificano significa semplicemente rinunciare alla ragione critica. 
Il problema razionale è tener conto storicamente della prospettiva nella sua totalità, per spiegare gli aspetti principali e tanti parecchi dettagli minori quanti ve ne potrebbero essere, proprio come spieghiamo la “personalità” e il mito di Eracle o Sansone o Adone, le dottrine e finzioni dei libri di Rut ed Ester, le religioni di Krishna e Mitra e Quetzalcoatl. Dobbiamo ora fare il tentativo in maniera sintetica.
Il signor Loisy ha dichiarato [23] “ci si può spiegare a sé stessi Gesù: non ci si può spiegare a sé stessi coloro che lo inventarono”. Nel volume precedente è stato obiettato che il signor Loisy ha decisamente fallito di “spiegare Gesù” come un personaggio possibile: in questo noi tentiamo di spiegare “coloro che lo inventarono”. Il signor Loisy è un illustre studioso del Nuovo Testamento: egli non è un mitologista o un ierologo comparativo. È molto probabile che egli troverebbe difficile spiegarsi coloro che inventarono Tezcatlipoca; ma difficilmente ne seguirebbe che Tezcatlipoca non fosse inventato. Come materia di fatto, una vasta porzione dell'importante abilità critica del signor Loisy consiste precisamente nello spiegare come invenzioni una moltitudine di elementi nella narrazione evangelica. Egli può comprendere un'invenzione di parecchie parti, e ammette che a meno che non siano rimosse esse rendono incoerente il tutto. Non c'è davvero più difficoltà a spiegare le altre parti come invenzioni simili che a spiegare quelle parti. Quindi la presunta difficoltà è illusoria.
Il compito di “spiegare a sé stessi” entità immaginarie è stato il compito di teologi per interi millenni. Vi possono ancora essere trovati perfino uno o due ierologi che credono nella storicità di Krishna; proprio come il giudizioso Mosheim nel diciottesimo secolo credeva fiduciosamente nella storicità di Mercurio e di Mitra. Quelli — e sono parecchi — che ora sono soddisfatti di vedere del mito nelle figure di Mitra e Krishna, con o senza l'aureola di Testi Sacri, potrebbero permettersi a questo punto di considerare la tesi di questo volume.
Non sarà una risposta appropriata perciò dire, come senza dubbio sarà detto, che la prospettiva dell'evoluzione del mito è insoddisfacente. Nella stessa natura del caso, le connessioni dei dati devono essere speculative. Potrebbe proprio essere che quelle qui tentate — alcuni di loro essendo modifiche di teorie precedenti — dovranno essere riformate su vari punti; e io invito il lettore a valutare accuratamente le opinioni dei Professori Drews e Smith laddove io divergo da loro. La costituzione completa di una costruzione storica sarà un'attività lunga e difficile. Ma nel suo minimo aspetto soddisfacente la teoria mitica è una sostituzione scientifica di ciò che è totalmente insoddisfacente — la costruzione totalmente non-storica fornita dai vangeli.
Quella è stata sotto revisione per cento e cinquanta anni, con uno spreco di fatica che è orribile da immaginare, in vista della totale futilità della ricerca — o, permetteci di dirlo, in vista della fatica in proporzione al risultato, poiché una fatica anche su falsi indizi ha prodotto qualche conoscenza che richiede una correzione. Ma la fatica ha comportato una costante diminuzione della fiducia in un rimanente decrescente di presunto fatto; sebbene ogni arretramento della linea di difesa ha suscitato un furioso clamore da parte di fedeli irriflessivi. Ai primi pii fabbricatori di “armonie” dei vangeli fu detto sdegnosamente dai pii più stupidi che non c'era nessun conflitto da armonizzare: gli Schmiedel e i Loisy di oggi, facendo del loro meglio per salvare qualcosa coi metodi razionali dal progresso razionale, sono esecrati da quelli che credono più di loro. I credenti più istruiti sono come infiammati nel loro risentimento della critica negativa più recente e più fresca come lo erano i loro padri verso l'esposizione sprezzante delle contraddizioni di un'“ispirazione”. L'ira, sembrerebbe, sopravviene sempre in soccorso di una fiducia scossa. Lascia giudicare al credente.
Non è l'ortodossia che sta combattendo oggi il caso della storicità di Gesù. L'ortodossia è dedita al miracoloso, alla Rivelazione, all'Incarnazione, alla Nascita Verginale, alla Resurrezione, e, se sarebbe coerente, all'Ascensione, che è sullo stesso livello di fede. Su queste assunzioni, non può esserci alcuna difesa critica degna del nome. La difesa sta per essere condotta principalmente da neo-unitariani dichiarati o non dichiarati delle varie chiese e regioni; e quelli stanno collocandosi semplicemente o sulla posizione assunta cinquant'anni fa da Renan, la cui “biografia” di Gesù fu ricevuta con molta più diffusione e non meno violenta tempesta di censura di quella che ora si sta abbattendo sulla teoria mitica; oppure si collocano sulla posizione più quasi negativa di Strauss, la quale fu censurata ancor più aspramente. La posizione di Renan, o di Strauss, è ora la posizione della massa di studiosi e studenti “moderati”. Quelli che quindi hanno visto un'eresia denunciata diventare il punto di vista di una fede accademica comune dovrebbero essere lenti a concludere che un'eresia più nuova non troverà col tempo un'accettazione simile.

NOTE

[1] L'accusa di fretta è postulata da preliminare ad una critica del reverendo dottor Thoburn nella sua opera su The Mythical Interpretation of the Gospels. Alcuni esempi della fretta del dottor Thorburn si troveranno nelle pagine seguenti.

[2] Vent'anni fa uno studioso francese gentilmente incluse me in questo rimprovero.


[3] Io ometto personalismi.

[4] Articolo di H. G. Wood in The Cabridge Magazine, Gennaio 1917.


[5] Si veda Historical Jesus, 128-139.

[6] Nel corso di un secondo attacco, il critico lamenta di non sapere di “alcuna teoria delle origini del vangelo, vivente o morta”, che concede che il racconto della tragedia si aggiunse ai vangeli come un blocco separato. Dopo che gli è stato ricordato che la scuola di B. Weiss fa terminare il loro “Vangelo Primitivo” prima della tragedia, egli replica in un terzo attacco che la scuola è “obsoleta” — vale a dire, né vivente e neppure morta?

[7] Essa sembra essere stata l'opinione del signor Cassels.

[8] Articolo Gospels in Encycl. Bibl., 2, col 1869.

[9] Ecce Deus, pag. 93.


[10] Historical Christ, pag. 182.

[11] Ecce Deus, pref. pag. 9.

[12] Dottor Conybeare, The Historical Christ, pag. 5.

[13] Historical Jesus, 112, 113, 128, 157, seq., 177 seq.


[14] Hist. of Greece, 10 vol. ed. 1888, 2, 462.

[15] Id. pag. 500.

[16] Gesch. des Alterthums, 2 (1893), 649. Si veda il contesto per la base storica in generale.

[17] Id. 427, 564.

[18] Burnet, Early Greek Philosophy, seconda edizione, pag. 91. Si veda 93 seq.

[19Id. pag. 100. Si veda 106-7, 123.

[20] P.C. 274 seq. Un professore predicatore cattolico di Glasgow ha rappresentato me come uno che nega la storicità di Apollonio, dopo esser arrivato a quell'opinione per intuizione.

[21] Il Bhagavadgītā, che glorifica Krishna, è successivo relativamente al culto.

[22] Si veda Gunkel, Zum religionsgeschichtlichen Verständnis des N.T., 1903, pag. 5 seq.

[23] Apropos d'histoire des religions, pag. 290.

domenica 28 gennaio 2018

Il Problema Gesù: Una Riaffermazione della Teoria del MitoNota introduttiva

Il Dio di Coincidenza

Può qualcuno negare che

Una cosa dopo l'altra

In sequenza e logica

Mai vista prima

Non può essere che la

Interferenza di un Dio

Determinata a provare che

Ognuno che pretende

Di conoscere ora

Una cospirazione è

Demente?


(Kent Murphy)


Lo sforzo di minimizzare o eliminare la natura violenta del sacrificio espiatorio di Gesù, specialmente da sedicenti pacifisti cristiani, fa parte di un'agenda teologica, e non qualcosa che si possa mostrare su basi storiche o linguistiche. Perfino se non si accetta la visione di Anselmo della ragione per cui un uomo-dio doveva essere sacrificato, è chiaro che il Nuovo Testamento è saldamente all'interno di quelle tradizioni del Vicino Oriente che vedevano il sacrificio come un metodo per scongiurare l'ira divina o per ottenere un favore dalla divinità.
(Hector Avalos, The Bad Jesus, Sheffield Phoenix Press, 2015, pag. 149, mia libera traduzione)
Nei tempi primitivi la paura dell'ignoto era normale; la gratitudine ad un ignoto era impossibile.
(J. M. Robertson)


Mentre i moderni crociati del 21° secolo dell'Era Comune, ovvero i folli apologeti cristiani, predicano inutilmente alle masse che Gesù (che fu chiamato Cristo) fu un reale personaggio storico crocifisso in Giudea per ordine di Ponzio Pilato, nessuno afferma seriamente che Adone, Attis e Osiride fossero personaggi storici. Allo stesso modo, Mitra, il cui culto rivaleggiò col cristianesimo in tutto l'Impero romano, e Huitzilopochtli e Quetzalcoatl, le antiche divinità azteche, sembrano ovviamente mitologici. Perché, quindi, si fa un'eccezione solo al presunto fondatore del cristianesimo? Non può essere perché gli eventi miracolosi associati ai “cristi pagani” siano incredibili; in realtà non lo sono più di quanto lo siano le storielle evangeliche. Il fatto che le religioni degli antichi egizi, greci e aztechi non abbiano seguaci oggi non smentisce le loro affermazioni. Una storia può essere vera anche se nessuno ci crede. Infine, non si può sostenere che il cristianesimo ha introdotto un nuovo messaggio etico, e neppure, come corollario, che tale messaggio abbia recato il marchio di un singolare genio religioso, dal momento che, alla luce della cattiveria intrinseca del Gesù di carta, questa è l'ennesima menzogna apologetica montata ad arte dai tendenziosi propagandisti del culto.

 Per affrontare queste obiezioni e stabilire un caso a favore della tesi che Gesù fu mitologico al pari di Attis ed Osiride, è necessario dimostrare che tutti gli dèi salvifici, di tutto il mondo, condividono tratti comuni a causa di antecedenti comuni. Il punto del miticista J. M. Robertson non è che tutte queste sette abbiano avuto origine in un centro dal quale si dispersero, ma che tutte si siano evolute dallo stesso tipo di rituale primitivo: il sacrificio umano.

In Giappone, si diceva che sacrificare una donna in un fiume impetuoso avrebbe placato lo spirito che vi viveva, consentendo la costruzione di ponti e il passaggio sicuro delle barche. Nel mito greco, il re guerriero Agamennone decide di uccidere sua figlia in cambio di un vento favorevole sulla rotta per Troia. Gli egizi seppellirono alcuni loro faraoni con dozzine di servitori, assicurandosi che i loro bisogni fossero ancora soddisfatti nell'aldilà. Le grandi civiltà pre-colombiane d'America sacrificavano migliaia di esseri umani ai loro dèi.

Gli antichi avrebbero potuto ucciderti in un milione di modi diversi e darti un milione di motivi diversi per cui era necessario farlo. In gran parte del mondo pre-moderno, il sacrificio rituale era considerato necessario per il bene della società in generale ― l'unico modo per garantire, per esempio, un raccolto abbondante o un successo in guerra.

Oppure per ottenere la purificazione dei peccati.




Ma chi era J. M. Robertson?

John Mackinnon Robertson nacque nell'Isola di Arran il 14 novembre 1856 e morì nel 1933. Lasciò la scuola all'età di tredici anni e in seguito si istruì completamente. Nonostante i primi handicap, la sua indomabile volontà e la sua energia gli permisero di padroneggiare completamente sei lingue e acquisire l'erudizione che lo qualificò per competere alla pari con i principali studiosi dell'epoca. Non solo era riconosciuto come un'autorità nel campo della religione comparativa, ma era anche un critico originale di Shakespeare.
Egli fu anche un parlamentare politico liberale.

Robertson era talmente provvisto di oscure conoscenze che il puro peso dell'erudizione a volte rischia di eclissare la sua tesi finale eccetto per coloro la cui cultura è altrettanto profonda — e sono pochi.

Il fatto che dalla morte di Robertson il miticismo sia stato considerato fuori moda è dovuto ovviamente alla crescente infestazione dell'accademia da parte dei dementi teologi e folli apologeti cristiani sotto mentite spoglie di storici, come costui.

La vasta erudizione ostentata da Robertson nei suoi libri era necessaria quando ha avanzato la sua teoria per la considerazione degli studiosi suoi contemporanei; ma per il lettore non specialista la complessità dell'argomento e l'abbondanza di dettagli distraggono indubbiamente l'attenzione dal profilo essenziale della tesi mitica.


 Io mi sono limitato pertanto a tradurre solo il suo libro dove espone meglio la sua ricostruzione delle Origini, ovvero “Il problema Gesù”, la cui funzione di sintesi per sua stessa ammissione, è “a vantaggio della stessa teoria non meno che a beneficio di quei lettori che auspicano una dichiarazione condensata” (pag. 2).

La teoria di J. M. Robertson è che Gesù non sia mai vissuto, né avrebbe potuto vivere, come persona storica. Lui non era nato, non lavorò, non soffrì, non incontrò e superò ostacoli e tentazioni reali, e neppure morì. Era una figura ideale. Gesù deriva presumibilmente  dalla stessa radice di Giosuè ― il suo significato è “Salvatore”, “Liberatore” e “Guaritore”. Gesù è semplicemente una riapparizione di Giosuè, che fu in origine la personificazione deificata del concetto di salvezza degli ebrei. Il suo era il nome di un dio “che era adorato in certi ambienti della Dispora ebraica e per il quale venne inventata una storia umana e simbolica—un mito religioso rivestito di leggende”. (The Historical Jesus, Prefazione XV)

Questo presupposto dà adito ad un problema: come dobbiamo spiegare l'origine del cristianesimo se non ci fosse stato un reale personaggio storico a dargli slancio? Per Robertson, l'origine del cristianesimo non era nei tempi indicati nel vangelo, ma nell'era pre-cristiana. Il cristianesimo fu probabilmente il culmine di un'evoluzione all'interno dell'ebraismo.

Robertson sostiene che non ci sono valide prove storiche dell'esistenza di Gesù in carne e ossa. Tutti i riferimenti extra-biblici a Gesù sono soltanto interpolazioni posteriori. Nelle lettere autentiche e non interpolate di Paolo emerge la conoscenza soltanto di un Cristo spirituale. I vangeli sinottici sono solo una collezione di leggende successive, mera propaganda a supporto del mito.

Esistevano molte sette segrete esistenti prima dell'inizio dell'era cristiana. Tra questi parecchi culti segreti figurava un culto pre-cristiano di Gesù.

Le idee e le pratiche di questo culto particolare, a cui più tardi venne data forma negli scritti del Nuovo Testamento, sono copiate da antiche religioni e miti pagani.  Quindi l'origine del cristianesimo risale ad un culto segreto ebraico che probabilmente era concentrato a Gerusalemme. La sua ricostruzione essenziale si trova in una citazione del suo libro Pagan Christs:
“Emerge all'inizio dell'era cristiana un culto associato al nome quasi storico di Gesù, che potrebbe connettersi a un personaggio storico reale, una figura elusiva di un Gesù che sembra essere stato messo a morte per lapidazione e impiccato circa un secolo prima della morte di Erode. D'altra parte, il nome di Gesù nelle sue forme ebraiche e aramaiche aveva probabilmente un antico status divino, essendo portato dal mitico liberatore Giosuè e di nuovo dal quasi-messianico Sommo Sacerdote del Ritorno. Era quindi adatto sotto tutti gli aspetti per essere il nome di un nuovo Semidio che doveva combinare in sé le due qualità del Messia-Liberatore-Incarnato e del Dio sacrificale dei culti più popolari del mondo greco-romano, egiziano, e asiatico occidentale”.
(J. M. Robertson, Pagan Christs, pag. 91, mia libera traduzione)

Vorrei ricordare Robertson in questo blog soprattutto per la sua tesi principale, ossia che la religione attuale si sia evoluta da idee primitive e rituali selvaggi, in primis il sacrificio umano e il cannibalismo.

Lungi dal costituire un'eccezione, in realtà il cristianesimo è un esempio evidente di un'evoluzione del genere. Infatti, esso rappresentò in origine:
...un culto sacramentale semitico primitivo, il cui sacramento è incentrato in un Dio-Salvatore ucciso, un Gesù, che si è assimilato ad un'astrazione della vittima sacrificatagli annualmente ― come nel caso dei culti di Adone ed Attis, entrambi a loro volta asiatici. Del rito sacrificale, che nel culto storico è rappresentato nell'Ultima Cena e nella storia drammatizzata della Passione, la memoria fu preservata in particolare tramite un rito ebraico di un Gesù Barabba, Gesù il Figlio del Padre, in cui una vittima passa attraverso una finta incoronazione, finendo infine, forse, in una finta esecuzione, dove una volta vi era stato un reale sacrificio umano.
(Il Problema Gesù, pag. 202, mia libera traduzione)

Secondo Robertson, le storiella evangeliche dell'Ultima Cena, l'Agonia al Getsemani, il Tradimento, la Crocifissione e la Resurrezione costituivano tutte parte di un dramma misterico che finì per essere accettato come resoconto di fatti reali. L'origine di questo dramma rituale è un antico rito palestinese in cui una vittima annuale, conosciuta come “Gesù (Giosuè), il Figlio del Padre”, veniva realmente sacrificata.

Le rappresentazioni della passione costituivano un aspetto comune della religione popolare di Grecia ed Egitto. Al pari di Cristo, divinità pagane come Adone, Attis, Osiride e Dioniso erano uccise durante un rituale periodico, per poi risorgere in trionfo. La tesi di Robertson è che la finzione del dramma costituisce un'evoluzione della realtà più primitiva e selvaggia del sacrificio umano. Nel libro Pagan Christs egli raccoglie una quantità impressionante di prove che mostrano come l'evoluzione delle idee e delle pratiche religiose segue un modello simile in tutto il mondo.

Sappiamo che in Messico e in Perù il sacrificio umano su vasta scala era praticato nel sedicesimo secolo dell'Era Comune. Nel mondo greco-romano, tuttavia, si era praticamente estinto all'inizio della nostra era. Che un tempo fosse prevalente in Medio Oriente, Giudea compresa, è abbastanza certo, e la favola di Abramo e Isacco riflette sicuramente la pratica del sacrificio umano da parte degli antichi ebrei.

Lo schema generale dei rituali sacrificali fino al tempo del cristianesimo si può descrivere come segue.

 Tutte le vittime, animali o umani, erano uccise e poi mangiate. Oltre alle offerte agli dèi c'erano due tipi di sacrificio:

(1) Sacrifici totemici, in cui la vittima veniva divorata o nei panni del dio oppure come un modo per unirsi con l'antenato divino oppure come una specie totemica.

(2) Sacrifici umani, che in genere coinvolgono prigionieri di guerra, che venivano mangiati come offerte di ringraziamento per la vittoria, oppure come offerte di espiazione, come incantesimi di vegetazione, o per servire allo scopo di santificare nuovi santuari.

In una fase successiva troviamo l'idea del pasto sacramentale benedetto da un'apposita casta sacerdotale. Quando ciò richiede il sacrificio umano, la vittima

(a) rappresenta il dio,
(b) è un re o il figlio di un re,
(c) è un primogenito o un figlio unico.

Tra le antiche popolazioni semitiche il re, in un momento di pericolo nazionale, a volte diede il proprio figlio per morire come un sacrificio per il popolo. Così Filone Erennio, nella sua Storia fenicia, dice:
“Era una usanza antica in crisi di grande pericolo che il regnante della città o nazione dovesse dare il suo amato figlio per morire per tutto il popolo, come un riscatto offerto ai demoni vendicatori; e i bambini offerti così venivano uccisi con riti mistici. Così Crono, che i Fenici chiamavano Israele, essendo re del territorio ed avendo un figlio unico Jeoud (poiché nel linguaggio fenicio Jeoud significa ‘unico-genito’), lo vestì in abiti regali e lo sacrificò su un altare in un periodo di guerra, quando il paese era in grande pericolo da parte del nemico”. 

Man mano che la civiltà progredisce, il sacrificio del figlio del re viene modificato col sacrificio di chi lo sostituisce, un criminale o un animale. Il cannibalismo nella sua fase più antica, costituito dal consumo collettivo della vittima, diede origine, a poco a poco, alla comunione simbolica a base di pane e vino. Riti paralleli all'eucarestia cristiana si trovano nel culto di Mitra e Dioniso e delle antiche divinità azteche.

Da queste origini primitive l'utilizzo di sostituti è un passo naturale verso società più civilizzate. Poi sono gli animali a prendere il posto della vittima umana, e quando anche i sacrifici di animali diventano discutibili il rito antico viene compiuto simbolicamente. Ora c'è un dramma misterico, per esempio, in cui un attore impersona un dio ucciso ingiustamente. Con l'ulteriore espansione del potere sacerdotale si forma un rituale ufficiale e quella che una volta era una festa cannibalistica si evolve e si raffina in una comunione simbolica, dove il pane e il vino vengono sostituiti a carne e sangue reali.

Da questo punto di vista, Il cristianesimo non è affatto unico. Nel culto di Dioniso la comunione con il dio è attuata per mezzo del vino. Nel culto di Mitra la comunione è compiuta tramite pane e  acqua, e i primi folli apologeti cristiani furono così scioccati dalla sua somiglianza con la Cena del loro Signore che la descrissero come un'invenzione di Satana per ingannare i fedeli. Nelle parole schiumanti di rabbia del folle apologeta cristiano Firmico Materno:
HABET ERGO DIABOLUS CHRISTOS SUOS.
 (De errore profanarum religionum 22.3)

C'erano altri, sorprendenti paralleli connessi ancor più chiaramente a un passato selvaggio e primitivo. La salvezza e la vita eterna erano conferite ai seguaci di Mitra mediante il battesimo con il sangue di un toro o di un ariete, da cui la derivazione dell'irrazionale frase cristiana “lavato nel sangue dell'agnello” e dell'altrettanto irrazionale invocazione “agnus dei qui tollis peccata mundi”.

La stretta connessione del rito centrale della Chiesa cristiana con riti simili, i quali costituiscono a loro volta raffinamenti di una consuetudine ancestrale del sacrificio umano, non elimina la possibilità di un Gesù storico però la mette seriamente in dubbio. Tutta questa consapevolezza richiede di diritto un riesame della storiella evangelica alla luce di ciò che si sa della religione antica.

Dopotutto, se piuttosto spesso nell'era pre-cristiana il sacrificio rituale dava origine ad una recita della Passione, non è forse possibile che la narrazione evangelica non sia a sua volta non “Storia ricordata” bensì la sceneggiatura di un dramma? Tale ipotesi si può verificare facilmente. Riceverebbe conferma se alcuni dettagli della storiella evangelica si possano spiegare una volta messi in parallelo con le procedure del sacrificio umano primitivo. 

Uno di quei dettagli, per Robertson, è il nome completo del fittizio personaggio di Barabba: Gesù Barabba”, come recita uno dei più antichi manoscritti del vangelo di Matteo (27:16), lettura attestata già dal folle apologeta cristiano Origene.

Robertson suggerì che la storiella del Nuovo Testamento sullo scambio di Gesù con Barabba (che significa "figlio del padre") derivò dalla tensione tra nuovi e vecchi settari dell'antico culto di un dio Gesù, o Giosuè.

In accordo con la convenzione primitiva che identificava la vittima con il dio, Giosuè “Figlio del Padre” sarebbe diventato lo stile e il titolo del dio stesso, e sarebbe rimasto tale quando il sacrificio fu interrotto. Quando la storiella della crocifissione di Gesù fu fatta circolare per la prima volta in un dramma sacro, gli ebrei fecero notare che si trattava semplicemente di un rifacimento dell'antico e, agli occhi degli ebrei, deplorevole mito di “Giosuè figlio del Padre” ―  alias “Gesù Barabba”. Per respingere questa denuncia, i cristiani inserirono nei vangeli una storiella che mostrava che il loro Gesù e “Gesù Barabba” erano due diversi personaggi, e che in realtà furono gli stessi ebrei ad aver salvato Barabba e mandato a morte al suo posto il vero Messia.

Ci sono molti esempi nelle religioni antiche della deificazione della vittima umana del sacrificio rituale durante il suo stesso processo. Un esempio che fortunatamente è passato sotto gli occhi di un osservatore scientifico si è verificato fino alla metà del diciannovesimo secolo nella provincia indiana dell'Orissa. Presso una tribù primitiva locale, quella dei Khondi, il sacrificio rituale prevedeva addirittura una crocifissione (!), l'offerta da bere alla vittima (!!), e la formula che la vittima fosse stata “comprata pagando un prezzo” (!!!). 

La finta incoronazione di Cristo ricorda anche la festa babilonese delle Sacee. In tutti i casi in cui era difficile da procurarsi una vittima annuale, c'era l'esca di un lusso illimitato e di una completa e assoluta libertà per l'intero intervallo di un anno. Alla fine di questo periodo, in Asia come in Messico, la vittima doveva essere derisa prima di essere uccisa. Costituiva una pratica comune anche l'offerta di un narcotico per alleviare il dolore durante l'esecuzione.

Per tutto l'Egitto e il Medio Oriente è un fatto indiscutibile l'esecuzione di drammi misterici che mettevano in scena un sacrificio rituale. Gli egizi recitavano la morte di Osiride. Si usavano le effigi di Adone e Attis nelle rappresentazioni della loro morte e resurrezione. Così anche per la sepoltura di Mitra e la sua resurrezione trionfante dalla tomba. Non sarebbe affatto sorprendente se l'originario mito cristiano non fosse stato a sua volta drammatizzato. Paolo, in Galati (3:1) sembra riferirsi alla personificazione di Cristo crocifisso. Una prova che la storiella della Cena, della Passione, del Tradimento, del Processo e della Crocifissione è basata su un dramma è data dalla compressione degli eventi per ragioni ovviamente drammaturgiche. Una prova evidente è la preghiera messa in bocca a Gesù quando nessuno avrebbe potuto udirla, visto che i vangeli stessi dichiarano che gli unici presenti (i suoi idioti discepoli) erano addormentati.  Solo nella trascrizione di un dramma sacro avrebbero potuto sorgere incongruenze del genere.

Nel caso del mitraismo e del cristianesimo, la memoria di questo culto primitivo e barbarico fu perduta, ma le vestigia residue possono essere riconosciute sotto la superficie simbolica del dramma religioso. Quello che un tempo era la consumazione letterale di una presunta vittima divina diventò la comunione con il dio in un rito simbolico. Coloro che parteciparono devotamente alla rappresentazione drammatica della morte e della resurrezione del dio, nonché alla sua consumazione , divennero persuasi che Mitra o Cristo fossero personaggi reali. Al pari di molti altri dèi salvatori, si trattava di personificazioni emerse da un rito.

A quel punto, il mito avrebbe solo potuto crescere, non diminuire. E avrebbe potuto farlo soltanto istanziandosi inevitabilmente nei mille rivoli di fittizie leggende e dicerie finalizzate a “spiegarlo” in un'evemeristica maniera, ovvero rifornendo deliberatamente il dio di un'intera Non-Vita sulla Terra, con tanto di madre umana, padre putativo e fratelli e sorelle, nonché di discepoli, cospiratori ebrei e carnefici romani. Ma per quel tempo, la fede nell'esistenza letterale del dio era già stata assicurata.
 IL PROBLEMA GESÙ
 UNA RIAFFERMAZIONE DELLA TEORIA DEL MITO
DI
J. M. ROBERTSON

Londra: 
Watts & Co. 
17 JOHNSON'S COURT, FLEET STREET, E.G. 4
1917


NOTA INTRODUTTIVA

La maggior parte delle proposizioni in mitologia e antropologia contenute in questo libro sono basate su elementi di prova dati nelle opere più grandi dell'autore. È sembrato giusto, perciò, riferirsi a quelle opere invece di ripetere centinaia di riferimenti là indicati. Lettori interessati alle questioni sono quindi invitate e abilitate a farlo. Per brevità, Christianity and Mythology  è citato come C.M. ; Pagan Christs come P.C. ; e le  Short Histories  del cristianesimo e del libero pensiero come S.H.C. e S.H.F., rispettivamente. Nei primi tre casi i riferimenti sono alle seconde edizioni; nell'ultimo caso, al terzo. The Evolution of States è citato come E.S. Un altro lavoro spesso riferito è il grande dizionario di Sir J. G. Frazer, The Golden Bough, che è citato come G.B., i riferimenti sono alla scorsa edizione. Altri nuovi riferimenti sono dati nel solito modo. L'Ecce Deus del professor W. B. Smith è citato nell'edizione inglese. I passaggi tra parentesi, non in grassetto, possono essere trascurati ad una prima lettura da parte dei lettori interessati principalmente a seguire la teoria costruttiva. Tali passaggi trattano polemicamente di contro-polemica.