domenica 29 maggio 2016

Detering sull'“Egiziano” (II) — più mie osservazioni...

 Esiste il contrario di déja vu. Lo chiamano jamais vu. È quando incontri le stesse persone o visiti gli stessi posti in continuazione, ma ogni volta è come fosse la prima. Tutti sono sconosciuti, sempre. Niente risulta mai familiare.
(Chuck Palahniuk)


Questa è la seconda e ultima parte della mia traduzione in italiano della recensione del Dr. Detering del libro “A Shift in Time” di Lena Einhorn. 
 
Sostanzialmente, Detering solleva tre obiezioni alla conclusione del libro. Non terrebbe conto di altri fattori che avrebbero potuto avere un ruolo altrettanto determinante nella nascita del cristianesimo. Questa critica sembra  trascurabile per chi è già a conoscenza di quali sarebbero quei fattori come elementi di background (mi meraviglio che a farla è il dr. Detering, notoriamente famigerato per essere stato ancora ad oggi fin troppo avaro nell'esporre una sintesi completa ed esauriente in inglese della sua ricostruzione delle origini cristiane. Ad ogni caso, se vuoi passare in rassegna completa tutta l'evidenza di background, leggi OHJ di Richard Carrier). 

La seconda obiezione è a dire il vero altrettanto opinabile come la prima, dal momento che è sollevata spesso contro i proponenti di turno di un Gesù sedizioso. In sostanza, Detering si chiede retoricamente dove sarebbe l'evidenza che alcuni ebrei insurrezionisti avessero deciso, dopo la morte del loro leader, di depoliticizzarne il messaggio apocalittico e sedizioso. A questa critica dal sapore, me lo si lasci dire, inconfondibilmente apologetico, è sufficiente obiettare con le giuste parole del prof Bermejo-Rubio:
Obiezione 17: L'ipotesi di un Gesù sedizioso è inconsistente coi posteriori sviluppi ed enfasi cristiani, che procedevano nella direzione del pacifismo.

Questa obiezione sfortunatamente ignora il tipo di processi invertenti e sorprendenti spostamenti che prendono luogo nella storia delle religioni, distanti dagli obiettivi dei fondatori (o presunte figure fondative). Ignora anche significativi sviluppi nel movimento stesso di Gesù. Per esempio, la missione di Gesù era esclusivamente diretta alla (alle pecore perdute della) casa d'Israele, non ai pagani (di cui Gesù non ebbe una lusinghiera opinione [ Si veda Marco 7:26-27; Matteo 5:47; 6:7-8,32; 15:22-26. ]). Questo fatto  —che ha causato un sacco di mal di testa e di imbarazzo per gli studiosi cristiani — non impedì alle persone che riverivano Gesù come loro Signore di trasferire le promesse del Tanak ai Gentili. Se questa innovazione ebbe successo, perché non potevano altre aver avuto luogo? E se Gesù l'Ebreo fu rapidamente pensato come non un Ebreo per nulla, e fu perfino trasformato in una sorta di figura antiebraica, e se un  imperfetto uomo Galileo consapevole dei propri limiti (vedi Marco 10:18) fu trasformato dai suoi seguaci in un essere irreprensibile e divino, perché dovremmo escludere la possibilità che un sedizioso anti-romano fu trasformato in uno stupendo pacifista? [Secondo una variante dell'obiezione, la rivendicazione di Gesù come esaltato Messia presuppone che la sua morte fosse ingiusta, ma  dichiarare tale morte un'ingiustizia sarebbe strano se Gesù fosse stato effettivamente un sedizioso (non ho trovato questa obiezione in un'opera accademica, ma , per quanto posso ricordare, fu avanzata da uno scrittore anonimo su una discussione in un blog). Questo, tuttavia, trascura il fatto che, per i suoi primi seguaci e molti altri ebrei, la crocifissione di Gesù era, per definizione, ingiusta, perché fu effettuata dalle odiate forze romane di occupazione, mentre Gesù, proprio perché era stato un pio Ebreo e aveva resistito alla potenza di Roma, era una specie di eroe; allo stesso modo, dal punto di vista degli scrittori evangelici, Gesù era stato una vittima innocente per mano dei suoi avversari ebrei.] Prendiamo l'esempio di Paolo. Come potrebbe l'apparentemente pro-romano Paolo predicare e onorare un anti-romano Gesù? [Si noti che la posizione politica di Paolo è stata (ed è tuttora) una questione molto dibattuta, con conclusioni contrastanti. Sull'ambivalenza di Paolo verso il discorso e il contesto dell'Impero Romano, vedi ad esempio Lopez 2008; Stanley 2011.] La risposta a questa presunta obiezione sta nel carattere della sua fede, e in alcune considerazioni generali di psicologia religiosa. Per quanto ne sappiamo, Paolo non era un testimone oculare dei fatti di Gesù, né uno dei suoi compagni o parenti. Era un entusiasta che derivò le sue idee su Gesù non solo dalla tradizione, ma anche da visioni estatiche, tramite le quali Paolo concesse a Gesù uno status sovrumano,  ed interpretò la sua morte come un evento salvifico. In questo senso, l'interesse di Paolo alla vita di Gesù deve essere stata piuttosto selettiva. Quando gli esseri umani  tengono seriamente credi religiosi, che sono confortanti e significativi per le loro vite, e specialemnte quando si riferiscono ad un essere considerato divino, un bel pò di dati concreti —del tutto più così quando sono potenzialmente  imbarazzanti — sono omessi oppure diventano irrilevanti.

(Fernando Bermejo-Rubio, È stata confutata l'ipotesi di un Gesù sedizioso? Una risposta sistematica, pag. 45, mia libera traduzione)


L'ultima critica sollevata da Detering, a differenza delle prime due (davvero trascurabili, per non dire ridicole), in effetti risulta decisamente più efficace.
Detering impugna proprio l'esempio di Menahem, citato da Einhorn ma non a proposito di Gesù. Leggiamo cosa dice di lui Flavio Giuseppe:
 Fu allora che un certo Menahem, figlio di Giuda detto il galileo, un dottore assai pericoloso che già ai tempi di Quirinio aveva rimproverato ai giudei di riconoscere la signoria dei romani quando già avevano Dio come Signore, messosi alla testa di alcuni fidi raggiunse Masada,  dove aprì a forza l'arsenale del re Erode e, avendo armato oltre ai paesani altri briganti, fece di questi la sua guardia del corpo; quindi ritornò a Gerusalemme e, assunto il comando della ribellione, prese a dirigere l'assedio.  Non disponevano però di macchine, e scalzare il muro all'aperto non era possibile perché venivano colpiti dall'alto; allora scavarono da lontano una galleria fin sotto una delle torri che rimase poggiata su un'armatura di legno, poi diedero fuoco a questa e fuggirono.  
Bruciatisi i puntelli, la torre all'improvviso rovinò, ma all'interno apparve un altro muro che intanto era stato innalzato; infatti gli assediati, avendo indovinato lo stratagemma, o forse anche sentendo che la torre si muoveva per i lavori di scavo, si erano muniti di un secondo baluardo.  
Questa vista improvvisa provocò negli attaccanti un grande abbattimento, anche perché credevano di avere ormai la vittoria in pugno; contemporaneamente quelli di dentro mandarono a chiedere a Menahem e ai capi della rivolta di poter uscire sotto determinate condizioni, ed essendo stata accordata tale concessione ai soli soldati regi e ai paesani, costoro uscirono.  
I romani, rimasti soli, furono presi dallo scoraggiamento; infatti non potevano aver ragione di una moltitudine così numerosa, e poi consideravano vergognoso lo scendere a patti, oltre a non fidarsi di eventuali concessioni. 
Allora essi abbandonarono il loro campo, che non era più difendibile, e si rifugiarono nelle torri regie, che si chiamavano Ippico, Fasael e Mariamme.  
Gli uomini di Menahem fecero irruzione nei luoghi che i romani stavano evacuando, presero e uccisero quanti non fecero in tempo a fuggire e, impadronitisi dei materiali, incendiarono l'accampamento. Ciò avvenne il sei del mese di Gorpieo. 
Il giorno dopo fu scoperto il sommo sacerdote Anania che si nascondeva presso il canale della reggia, e insieme col fratello Ezechia fu ucciso dai briganti; intanto i rivoluzionari stringevano d'assedio le torri badando che nessun soldato prendesse la fuga.  
La distruzione delle opere fortificate e la morte del sommo sacerdote Anania avevano esaltato Menahem fino alla ferocia, ed egli, ritenendo di non aver rivali come capo, si comportava da tiranno insopportabile.  
Ma contro di lui si levarono i partigiani di Eleazar, ripetendosi l'un l'altro che non era il caso di ribellarsi ai romani spinti dal desiderio di libertà per poi sacrificarla a un boia paesano, e sopportare un padrone che, se anche non avesse fatto nulla di male, era pur sempre inferiore a loro; e ammesso pure che ci dovesse essere uno a capo del governo, questo compito spettava a chiunque altro più che a lui; così si misero d'accordo e lo assalirono nel tempio; vi si era infatti recato a pregare in gran pompa, ornato della veste regia e avendo i suoi più fanatici seguaci come guardia del corpo.  
Come gli uomini di Eleazar si furono scagliati su di lui, anche il resto del popolo tutto infuriato afferrò delle pietre e si diede a colpire il dottore, ritenendo che, levatolo di mezzo, sarebbe interamente cessata la rivolta;   gli uomini di Menahem fecero per un po' resistenza, ma quando videro che tutta la folla era contro di loro, fuggirono dove ognuno poté, e allora seguì una strage di quelli che venivano presi e una caccia a quelli che si nascondevano.  
Pochi trovarono scampo rifugiandosi nascostamente a Masada, e fra questi Eleazar figlio di Giairo, legato a Menahem da vincoli di parentela, che in seguito fu il capo della resistenza di Masada.  
Quanto a Menahem, che era scappato nel quartiere detto Ofel e vi si era vigliaccamente nascosto, fu preso, tirato fuori e dopo molti supplizi ucciso, e così pure i suoi luogotenenti e Absalom, il principale ministro della sua tirannide. 
Il popolo, come ho detto, collaborò a quest'azione sperando in una risoluzione della crisi, mentre quelli avevano tolto di mezzo Menahem non per mettere fine alla guerra, ma per poterla condurre con maggior libertà di movimenti.

(Guerra Giudaica II:433-449)

Lo stesso Detering, nel suo articolo in tedesco del 2012 al quale rimanda nella sua recensione della tesi di Einhorn, aveva parlato più diffusamente di questo Menahem, cogliendo l'occasione per fare efficacemente il suo punto già allora, nei seguenti termini:

L'entrata messianica di Menaem a Gerusalemme, l'ostilità della classe sacerdotale, la disposizione del popolo che nel giro di pochi giorni passò da “Osanna” a “Crocifiggilo”, la fuga dei discepoli, la tortura finale e la morte dopo lunga agonia — è difficile per tutti non pensare al racconto cristiano della Passione. È da aggiungere che anche il messia Menaem, stando ad un'antica fonte rabbinica, dovrebbe essere nato a Betlemme e pure il suo fato è espressamente collegato alla distruzione del tempio. “Il suo nome è Menaem, il nome di suo padre è Ezechia.” La madre del bimbo Messia parla di un sinistro presagio: “infatti nel giorno della sua nascita, il tempio è stato distrutto.” Voi sarete ricambiati. Infatti noi siamo sicuri che proprio come egli segnò la sua distruzione, così egli lo costruirà una seconda volta”.  Più tardi, la madre dice che suo figlio le fu rapito: “venti e tempeste sopraggiunsero e lo strapparono dalle mie mani”.

 Già il teologo Adolf Schlatter sottolineò nella sua "History of Israel" del 1901 il parallelismo tra il destino di Gesù e quello di Menahem: “Ciò che stava accadendo in quel tempo”, disse Schlatter, “dovette rammentare ai cristiani il fato di Gesù, il suo ingresso regale a Gerusalemme, che fu seguito dalla sua crocifissione... perchè l'uccisione di Menahem fu una colpa inespiabile da Gerusalemme, separò  i suoi seguaci dalla comunità col loro popolo.  Di converso già Hugo Gressmann nel 1922 ipotizzava che la vicenda di Menahem poteva aver influenzato l'immagine di Gesù nei vangeli. La proposizione che il tempio sarebbe stato distrutto e ricostruito “in sé stesso” poteva “essere penetrata solo dopo la distruzione di Gerusalemme nella tradizione evangelica” e dovrebbe allora essere trasmessa da Menahem su Gesù. A sua volta, l'ingresso di Gesù in Gerusalemme era stato probabilmente derivato dal pattern di eventi di Menahem. La tesi di Gressman rimase a lungo inascoltata. Solamente Rudolf Augstein ha riespresso e sviluppato l'idea nel suo libro "Jesus Son of Man". Considerata l'assenza di affidabile evidnza storica circa l'uomo di Nazaret Augstein ritiene non impossibile che questa è finzione letteraria nella forma di Gesù. “Eventi posteriori alla morte di Gesù” potevano “essere molto più di un modello per la descrizione dei suoi ultimi giorni e settimane che erano probabilmente sconosciuti all'evangelista ed ereditati solo in frammenti sigillati della realtà”.
 Secondo l'opinione di Augstein, Marco avrebbe potuto avere in mente la figura storica di Menaem quando procedette scrivere la sua passione. Tuttavia altre persone, quali ad esempio Gesù figlio di Anania col suo “Guai, guai a Gerusalemme” a partire dall'anno 62 (Guerra 6:304f - si veda Marco 13) o la cifra ridicola di “Carabas” (Filone, In Flaccum, 36f) potrebbero aver soprapposto il loro destino sull'immagine del Gesù di Marco. Gesù è “una sintesi che fluiva da diverse figure e convergeva in una sola.”
...


...si arriva di nuovo ad una sorta di strano deja vu. Chi è un pò familiare con la storia del 1 secolo, a volte riceve l'impressione che l'immagine del Gesù dei vangeli è fusa a momenti con l'immagine di altri profeti messianici. Certamente ciò può essere collegato al fatto che le varie tradizioni messianiche al tempo della stesura dei vangeli spesso crescevano assieme e sembrano che difficilmente dovessero differire dalla distanza di più di un secolo.  Può anche essere spiegato dal fatto che gli evangelisti si presero enormi libertà letterarie e per formare l'immagine del loro Gesù non esitarono ad essere ispirati da altri eroi del I secolo e a trasferire i loro tratti su di lui. Un esempio moderno di come è stata fabbricata in tal modo una personalità “multipla” è l'eroe del romanzo “Doctor Faustus”, Adrian  Leverkühn. Thomas Mann ha trasferito tratti biografici di personalità davvero diverse su di lui. Non soltanto Friedrich Nietzsche, Ludwig Wittgenstein, Paul Tillich, Arnold Schoenberg e così via offrono al ritratto vita e colore dell'originario genio musicale.
Anche il Gesù del Nuovo Testamento, il personaggio letterario dei vangeli deriva da componenti davvero differenti. L'immagine di  Menahem figlio di Giuda sembra essere stata derivata come pure quella di alcuni profeti itineranti del I secolo. Sarebbe estremamente interessante, ma andrebbe al di là dell'ambito della domanda posta all'inizio, approfondire più dettagliatamente quell'aspetto. Il mio amico Robert M. Price ha  affrontato del suo libro davvero raccomandabile, Deconstructing Jesus dell'anno 2000, il compito di “decostruire” l'immagine di Gesù dei vangeli nelle sue varie componenti. Price elenca tra le figure profetiche e messianiche già menzionate anche il messianista condannato a morte a Roma, Simone bar Giora, ha menzionatol'influenza  del predicatore itinerante cinico, passa a parlare di un particolare modello di “comprensione di un eroe semitico” e infine allude anche ai rappresentanti della cosiddetta Profezia di Giosuè, un punto rimarchevole su cui vogliamo fermarci. Come il Profeta Giosuè posarono un gruppo di uomini del I secolo EC, a quanto pare a beneficio del “risorto” Giosuè, che aveva profetizzato il condottiero Giosuè figlio di Nun dell'Antico Testamento.  Avrebbe realizzato secondo la tradizione segni e prodigi simili al precedente (ad esempio l'attraversamento del Giordano) e avrebbe avuto numerosi discepoli al suo seguito (Antichità 18,85-87, il profeta samaritano, Antichità 20,97- 99, Teuda,  Guerra 2,261-263; Antichità 20,169-171; si veda Antichità 21:38, il profeta egiziano al Monte degli Ulivi).
In realtà, questa profezia poteva essere stata di eminente importanza per l'origine del cristianesimo. Un indizio illuminante dell'eventuale più antica manifestazione del “Movimento di Gesù” (gli Essaioi di Epifanio?) la pone nella forma di una profezia, ci offre il confronto tra i seguenti due passi - il primo è una citazione dalle cosiddette Ricognizioni Pseudoclementine (del quarto secolo, con materiale più antico), l'altro è l'opera del cristiano Eulogio del sesto secolo. In entrambi i casi si arriva ad una controversia religiosa quando i Samaritani:
...ma essi giustamente aspettano l'unico Profeta che viene a restaurare e chiarire le cose che non sono conosciute, come dichiarò Mosè precedentemente. Ma per l'astuzia di Dositeo caddero nella divisione ed erano quindi maldisposti in modo da essere incorreggibili per mezzo di Gesù.
(Ricognizioni 1:54)

Alcuni credevano, Giosuè, figlio di Nun era lì, come disse Mosè, un profeta a me pari  il Signore Dio solleverà tra i vostri fratelli (Det 18:15), mentre gli altri protestarono e proclamarono come questo profeta qualcuno di nome Dosthes o Dositeo.
(Eulogio)

Più interessante del fatto che entrambi gli autori hanno lo stesso fenomeno in mente, è una piccola ma cruciale differenza. Mentre Eulogio parla di Giosuè figlio di Nun (Iēsoun ton Nauē), chi può essere inteso dal contesto è indubbiamente soltanto il Gesù (Iesum) dei vangeli nelle Ricognizioni Pseudoclementine. Dovrebbe il passo tradizionale di Eulogio comprendere una tradizione più antica che proviene dal tempo in cui dietro era in vista   non Giosuè figlio di Nun ma Gesù, il Pneuma risorto e atteso “vero profeta”? 
...
Oltre alla profezia di Giosuè anche l'immagine del profeta Elia dell'Antico Testamento potrebbe essere stata derivata nei vangeli, dal momento che invero parecchie storie sono meglio comprese come Midrash di episodi dell'Antico Testamento.  Price conclude il suo libro con quelle parole:
“I Gesù dei vangeli sono ciascuno complesse sintesi di vari altri, più antichi, caratteri di Gesù. Alcuni di quelli potrebbero essere stati riflessi di vari profeti messianici e rivoluzionari, altri le fittizie controparti di itineranti carismatici, e altri ancora storicizzazioni di mitici Re del Grano e gnostici Eoni. Penso che sia una questione aperta se un Gesù storico avesse avuto qualcosa a che fare con uno qualsiasi di questi Gesù, tanto meno i Gesù dei vangeli. Ciascuno è l'idolo, il totem, di un particolare tipo di comunità di Gesù o culto di Cristo, e non potremo mai sapere se e in quale misura ciascuna comunità riflette un Gesù ricordato al contrario di un Gesù o di un Cristo che è una concretizzazione dei suoi propri credi e valori.”

Oppure per ripetere una volta di nuovo le memorabili parole di Augstein:  “...una sintesi che fluiva da diverse figure e convergeva in una sola.”
La decostruzione storica dell'immagine del Gesù dei vangeli ha promosso soprattutto quelle componenti che avevano relazioni con tutti i profeti e i salvatori messianici che perlopiù possedevano una base storica.  Perfino escludendo gli elementi mitici e misterici, associati all'immagine del salvatore che muore e risorge.  Una volta che la loro esistenza è stata disputata per un pò di tempo, noi ora sappiamo di nuovo che la devozione di deità morenti e risorgenti era diffusa. Il mito di Attis, Adone, Dioniso, Eracle, hanno ― a dispetto di differenti elementi individuali ―  essenzialmente lo stesso modello fondamentale al pari della tradizione sulla morte e resurrezione di Cristo. Il lamento e la celebrazione della resurrezione di Adone, Attis e altre deità oggetto di culto erano comuni per tutto il Mediterraneo e presenti parzialmente allo stesso tempo al posto della Settimana Santa e della Pasqua cristiana. Il culto di Cristo ha combinato l'idea fondamentale originatasi nel contesto ellenistico di un dio che muore e risorge con il Redentore gnostico che discende sulla terra e risale al cielo.  Specialmente il tipo simoniano-marcionita del cristianesimo antico, a cui risalgono le epistole “paoline”, è più o meno una pura incarnazione del culto di Cristo. Un aspetto speciale è, a parte la teologia mistica di una morte e resurrezione, la prevalenza del nome Cristo (che è usato da solo nelle Odi di Salomone). La connessione già incontrata nelle “lettere di Paolo” del nome Cristo col nome Gesù apparentemente è una fusione della profezia di Giosuè col culto di Cristo ― forse già una caratteristica del culto simoniano.
Nei vangeli, allota tutti quei motivi erano combinati in un'unica “opera di arte totale”. Allo stesso tempo, gli evangelisti si misero a continuare la già cominciata opera di storicizzazione del Salvatore. A questo punto i dettagli storici di Flavio Giuseppe sono risultati particolarmente utili. Allora videro verso la metà del secondo secolo la storia del dio-uomo nato in Betlemme e messia ebraico crocifisso sotto Ponzio Pilato, Gesù Cristo la luce del mondo.

(mia libera traduzione in italiano delle pagine 5-12, con omissione delle note)

Penso che Detering ha catturato della profonda evidenza, qui. Ora sappiamo perchè l'evangelista di turno, nel tentativo di fabbricare il proprio avatar terreno di Gesù Cristo sulla Terra, era interessato ad attingere a piene mani anche da personaggi menzionati in Flavio Giuseppe altrimenti noti come insurrezionisti anti-romani. Tutti quei messianisti, per quanto falliti e vituperati come i peggiori criminali di guerra del loro tempo, avevano comunque posato come il Giosuè redivivo dell'Antico Testamento nella loro azione apocalittica e messianica. E in quella misura, a loro volta avrebbero riflesso, chi più chi meno, ciascuno per proprio conto e ciascuno inconsapevolmente, la miglior luce messianica quanto mai adatta per la deità antropomorfizzata nei vangeli.

Di certo i paralleli individuati da Einhorn rimangono suggestivi se non altro per il loro numero piuttosto elevato rispetto ad altri. Personalmente rimango del parere che la sua tesi deve necessariamente risultare convincente nella misura in cui si rivaluti il Criterio di Imbarazzo applicato al presunto materiale di disiepta membra di sedizione sparso nei vangeli. In caso contrario, l'evidenza portata da Einhorn rafforza in realtà l'argomento di Detering su come fu evemerizzato un'antica deità ebraica di nome Gesù.

Un caso particolare potrebbe aiutare ad illustrare meglio la differenza di vedute tra Detering e la tesi del libro che sta recensendo.
Ad esempio, laddove Neil Godfrey indicava a Lena Einhorn, a proposito di Giovanni il Battista, che l'evidenza della sua introduzione nella storia per motivi teologici è indiscutibile, al contrario dell'evidenza della sua introduzione per altri motivi (magari più storici), così replica Lena:
Non potrei essere più d'accordo per quanto riguarda i riferimenti teologici nel Nuovo Testamento — dove spesso ci sono dei link a scritture precedenti. Io porto un altro esempio di questo nella mia risposta a Joe Atwill sotto (ad esempio 1, Pesca di uomini). Ma il mio punto è che questo aspetto letterario-teologico non è sempre — o anche più spesso — l'unico parallelo. Quello che dico è: il Nuovo Testamento è una ragnatela incredibilmente intessuta, con strati multipli nello stesso testo. E mentre un livello è letterario-teologico, un altro, a mio avviso, è pura storia. Ma mentre il letterario-teologico si trova sulla superficie, la storia è così abilmente intrecciata nel tessuto del testo che lo si deve ammirare.
Nell'esempio che segue, la pesca — e ciò che si pesca — risale al pronunciamento escatologico in Geremia, e ad altri libri dell'Antico Testamento. Ma quando si guarda più da vicino, in Matteo 17:24-27, la pesca è qui collegata alla caustica, e altamente politica, questione se pagare o meno le tasse alle autorità. E, in caso affermativo, come pagare queste tasse.

Per quanto riguarda Teuda e Giovanni il Battista: tu scarti i paralleli tra loro come “difficilmente comparabili”. Io penso che ciò è fatto con troppa leggerezza.
Se noi — per il momento — diamo per scontato che Gesù e “l'Egiziano” siano la stessa persona, allora abbiamo la seguente situazione:
1) L'ultimo leader messianico che Flavio Giuseppe nomina prima di “l'Egiziano” è Teuda. E lui usa lo stesso termine per descriverli ( “goes”).
2) Sia Teuda che Giovanni il Battista riuniscono i loro seguaci presso il fiume Giordano.
3) Sia Teuda che Giovanni il Battista sono attaccati da parte delle autorità.
4) Sia Teuda e Giovanni il Battista sono catturati vivi, ma poi decapitati. E la testa è portata alle autorità.
5) E per ultimo, ma non meno importante: Non c'è molto logica nel fatto che Erode Antipa fa arrestare Giovanni il Battista, dal momento che Giovanni non era attivo nella zona sotto la giurisdizione di Antipa (Galilea e Perea). Il procuratore che ha arrestato Teuda, tuttavia, è in realtà il governatore della Giudea, dove sia Teuda e Giovanni Battista erano attivi.

In effetti, nonostante è evidente ― Detering docet nell'esempio di Menaem e di Gesù ben Anania ― che gli evangelisti vedono i personaggi citati in Flavio Giuseppe come “parte di una costellazione di figure che riempiono le immagini mentali “di Marco” dei tempi ed eventi a cui stava rispondendo” (Godfrey), tuttavia è altrettanto evidente che, nel caso di Teuda e dell'“Egiziano”, Einhorn ha illustrato, oltre a paralleli dello stesso tenore, anche dei paralleli che suppliscono (a quanto pare: bene) a stranezze e anacronismi sollevati prima facie dal racconto evangelico, investendo non un mero episodio qua e là (come si limitavano a fare i paralleli con Menaem e con Gesù ben Anania) ma l'impalcatura essenziale della vita del Gesù evangelico (o, per quella materia, dell'azione di Giovanni il Battista). Mi riferisco a quella decina di punti che gli apologeti ritengono storici sul Gesù evangelico, e che sono così indebitati alla loro ridicola professione di fede da essere giustamente definiti “noiosi” proprio da uno di loro (pertanto non starò di certo ad elencarli per l'ennesima volta).

E così, chi si rifiuta di seguire fino in fondo le conclusioni di Einhorn, è costretto ad annacquare e di molto i paralleli da lei trovati (dal misconoscimento della loro natura di genuini “paralleli” fino all'enfatizzarne la presunta “vaghezza”) perchè sa in cuor suo che l'alternativa (credere alla verità di quei paralleli) darebbe ragione da vendere all'ipotesi di un deliberato “shift in time” di 20 anni ― e dell'identità tra Gesù e l'“Egiziano”.
D'altro canto, Einhorn si ritrova con l'onere di illustrare perchè l'altro capo del suo argomento (quello tradizionale del Criterio di Imbarazzo applicato al presunto materiale sedizioso sparso nei vangeli) dovrebbe valere come corollario inevitabile della presunta realtà dei suoi paralleli. In fondo, secondo la sua teoria, del sano imbarazzo è stato a muovere i cospiratori a retrodatare di vent'anni circa l'azione sediziosa dell'“Egiziano”, innescando quelli effetti che Einhorn pretende di vedere nei vangeli in compagnia di un Bermejo-Rubio. Perciò il problema sollevato da “A Shift in Time” di Lena Einhorn si riduce al problema dell'applicabilità o meno del Criterio di Imbarazzo sul materiale evangelico + i presunti paralleli trovati da Einhorn.

Si apprezzi la differenza: un Maccoby (o un Brandon, o un Eisler, o un Bermejo-Rubio) non aveva alcuna ragione in principio di anche solo accennare ad un “Criterio di Imbarazzo” perchè niente (a parte il suo credo storicista) ―al di là di apparenti allegorie― poteva insinuare quel dubbio.

Con Lena Einhorn è diverso: quel dubbio è insinuato dalla sola presunzione di quei paralleli (perfino concedendo in anticipo che siano falsi) perciò lei è legittimata, a differenza di un Brandon, a domandarsi se sia lecito o meno usare il Criterio di Imbarazzo pur di confermare o rimuovere quel dubbio suscitato da quei reali o presunti paralleli. E si noti che questo è ancora diverso dal concludere che il Criterio di Imbarazzo risulti efficace o  meno sui vangeli, solo che ora è davvero possibile contemplare, almeno su un piano strettamente astratto ma razionale, la mera possibilità di un suo utilizzo (al di là che si riveli efficace o meno). Gli storicisti finora non erano legittimati, a mio parere, neppure a intravedere quella possibilità. Ed è chiara ora la differenza: vedere che il Gesù evangelico riflette una generica classe di uomini in Flavio Giuseppe (la classe dei profeti apocalittici, la classe dei sediziosi, la classe dei maghi, la classe degli sciamani, la classe dei maestri, ecc.) non autorizza affatto ad approcciare storicamente delle apparenti allegorie (non più di quanto possa autorizzarlo vedere che Gesù figura al terzo posto nella classifica degli eroi mitologici di Rank-Raglan).
 Ma Einhorn sta proponendo finalmente qualcosa di diverso: vedere che il Gesù evangelico riflette ora un particolare individuo menzionato in Flavio Giuseppe (“l'Egiziano”) di fatto legittima Einhorn ad approcciare storicamente quelle che fino a qualche secondo prima erano ancora delle mere allegorie. Questo ancora non vuol dire che tale approccio storico alle allegorie (leggi: l'utilizzo del Criterio di Imbarazzo) risulti efficace o meno: la fallacia del possibiliter ergo probabiliter potrebbe ancora attendere al varco chi sta usando quel Criterio. Ma intanto Einhorn ha registrato un piccolo progresso: ora sappiamo che possiamo interrogarci sull'efficacia o meno del Criterio di Imbarazzo, dato che ora siamo autorizzati a vederne un'applicazione. Prima non eravamo autorizzati ad usarlo, tantomeno a chiedere della sua efficacia o meno.

Già uno studioso ha applicato quel Criterio di Imbarazzo sul solo Flavio Giuseppe per concludere che lo storico ebreo creò a tavolino “Giuda il Galileo” per distogliere l'attenzione su un altro “fariseo” sedizioso: lui stesso.

Potevano i seguaci dell'“Egiziano” aver fatto la medesima cosa con il loro leader?

O in alternativa, è EFFICACEMENTE applicabile il Criterio di Imbarazzo, tanto su Flavio Giuseppe quanto sui vangeli, quanto ancora su entrambi ?

Lascio l'interrogativo in sospeso, aspettando pazientemente di esaminare questo prossimo articolo del prof Bermejo-Rubio sul tema specifico, prima di tirare finalmente le somme ― e magari, definitivamente ― sull'argomento. 

Mentre scrivo, ho però raggiunto queste conclusioni con sufficiente grado di certezza:

1) è evidente che gli evangelisti attinsero anche da Flavio Giuseppe (vedi Gesù ben Anania), e perfino da quei personaggi più discutibili (vedi Menaem) agli occhi dell'establishment romano (il dr. Detering parla giustamente di una strana sensazione di deja vu quando si leggono i vangeli alla luce degli scritti di Flavio Giuseppe ―e non solo di Flavio Giuseppe);
2) è evidente che il caso di Einhorn è più forte del caso di un qualunque proponente di un Gesù storico sedizioso;
3) è evidente che ci troviamo di fronte ad un aut-aut piuttosto che ad un et-et: o i paralleli sollevati da Einhorn sono veri, e allora il Criterio di Imbarazzo è da applicarsi sui vangeli ―e allora Gesù non è nient'altri che “l'Egiziano”oppure i paralleli sollevati da Einhorn sono frutto di mera parallelomania (come costui).
4) Un modo, forse l'unico a disposizione, per testare la verità della sua premessa (la verità dei paralleli tra il Gesù evangelico e “l'Egiziano”) sarebbe di testare la verità di una delle sue conclusioni (la reale efficacia del Criterio di Imbarazzo) più attese sotto quella premessa.



 

 


A Shift in Time: How Historical Documents Reveal the Surprising Truth About Jesus

di Lena Einhorn
(New York: Yucca Publishing, 2016; 227+11 pages)
Recensione a cura di Hermann Detering



Nei paragrafi precedenti ho presentato l'argomento  di Einhorn in maniera molto semplificata, e inoltre ho omesso parecchio del suo libro che supporta la sua tesi. I numerosi schemi e tabelle che illustrano e sintetizzano graficamente i suoi punti sono particolarmente meritori e rafforzano le conclusioni del libro. 

Nonostante quanto detto sopra, comunque, non trovo me stesso del tutto convinto dalla soluzione di Einhorn.
L’attenzione di questo studio è troppo concentrata su  Flavio Giuseppe. Rimaste trascurate sono tutte le altre correnti coinvolte nello sviluppo del cristianesimo, come le religioni misteriche, lo gnosticismo, il culto del Kyrios, il cinicismo, il platonismo, la filosofia del Logos ecc.

Al lettore manca una visione in cui i risultati dello studio di Einhorn siano forniti insieme ai risultati degli studi biblici e inseriti in un più ampio contesto. È difficile farsi un quadro corretto dello sviluppo storico del cristianesimo, che iniziò come una setta messianica ed evolse nella primitiva chiesa cattolica del II secolo.

Dove è espresso, nel Nuovo Testamento, lo spirito rivoltoso del fondatore del Cristianesimo? E quale significato aveva la resurrezione di Gesù per i ribelli cristiani dei primi tempi? Einhorn dedica un intero capitolo alla “Resurrezione dei Morti” nel Nuovo Testamento, senza arrivare a parlare dell’importanza del messaggio centrale dell'intera religione: la resurrezione di Gesù stesso.

Un altro problema riguarda la questione di come la teoria di Einhorn delle origini cristiane si relaziona al’apostolo Paolo. La cronologia tradizionale di Paolo  lascia poco spazio ad un “time shift” come proposto qui— di fatto, lo contraddice completamente.
Perciò Lena Einhorn cerca di tracciare una nuova cronologia paolina (pag. 172-179). Comunque—senza scendere nei particolari—io dubito che la sua cronologia possa trovare approvazione tra gli studiosi del Nuovo Testamento. Ma questo potrebbe essere irrilevante, perchè nella mia opinione le paoline epistole sono in tutta probabilità composizioni pseudo-epigrafiche del secondo secolo.   Tuttavia perfino una posizione più radicale circa la cronologia di Paolo non può sopprimere altre domande in relazione all’apostolo. Per citarne una, come si comporta la cristologia e la soteriologia paolina nel quadro di un Messia guerriero e ribelle anti-romano che la comunità cristiana si dice abbia adorato ad un primo tempo?

Einhorn, riguardo Gal. 1, 14, cerca di fare di Paolo uno zelota, ma né Atti né le Lettere danno la più piccola indicazione di attività rivoltose da parte dell’apostolo. E, per usare un argomento ad hominem, quanto è probabile che il cittadino romano Paolo avesse potuto partecipare ad una rivolta contro Roma?

Circa l’identificazione di personaggi neotestamentari con persone menzionate in Flavio Giuseppe, vorrei sottolineare a questo punto che ci sono altre possibilità oltre alle spiegazioni che ci offre Einhorn.

per esempio, nel suo libro il pretendente Messianico anti-romano Menahem è identificato con Simon Pietro. Tuttavia, la figura di Menahem poteva aver influenzato in alternativa anche la rappresentazione di Gesù nei vangeli. L’ingresso messianico di Menahem a Gerusalemme, l’ostilità dei sacerdoti, il cambiamento nel giro di pochi giorni dell’umore del popolo da “Osanna” a ”Crocifiggilo”, la fuga dei discepoli, la tortura finale, e la morte dolorosa (Guerra 2.17.8-9)—, tutto questo porta a pensare agli eventi della settimana della Passione.

C’è anche da aggiungere che il pretendente messianico Menahem dovrebbe, secondo un’antica fonte rabbinica, essere nato a Bethlemme, e il suo destino, tra l’altro, è collegato esplicitamente alla distruzione del Tempio. Hugo Gressmann già dal 1922 sospettava che la tradizione di Menachem poteva aver influenzato l’immagine del Gesù dei vangeli.
Riguardo il detto che Gesù avrebbe ricostruito il tempio in tre giorni (Marco 14:58; 15:29; Giovanni 2:19), Gressmann notò che poteva “essere penetrata nella tradizione evangelica solo dopo la distruzione di Gerusalemme”, e quindi trasferita da Menahem a Gesù (una discussione qui, pag. 6). Anche l’ingresso di Gesù a Gerusalemme poteva essere  descritto in modo simile.

Il protomartire Stefano (Einhorn 63-72) presenta un problema unico. A differenza di Einhorn (pag. 65) io trovo davvero difficile identificare lo Stefano di Flavio Giuseppe (Guerra 2.12.2) con un soldato romano.

Sebbene gli studiosi di solito considerano il martirio di Stefano il modello del martirio di Giacomo nelle Pseudoclementine, lo storico H.-J. Shoeps è del parere opposto. Lui assumeva che il racconto delle Pseudoclementine fosse più antico. Procedendo dai fatti indiscussi che l'antica tradizione cristiana—ad eccezione di Luca—è notevolmente silente sul diacono della chiesa Stefano e, invece, pone Giacomo e il suo martirio al centro della scena, Shoeps arrivò alla conclusione che il racconto lucano fosse pura finzione. Luca tendenziosamente volle indebolire la immagine di Saulo/Paolo come persecutore dell'antica comunità cristiana e del suo leader, Giacomo. Così, l'evangelista inventò la storia di Stefano, usando elementi dal martirio di Giacomo. Quindi lui riuscì non solo a far accettare l'immagine di Saulo/Paolo, ma anche a trasferire la tendenza anti-Torah e anti-Tempio dall'antica fazione di Giacomo sul leader della fazione ellenista, Stefano.

Io ho concluso, assime e ad H.-J. Shoeps, che il presunto diacono ellenista Stefano non è mai esistito.
Ciononostante, non voglio negare che i paralleli elencati da Einhorn tra Flavio Giuseppe e il Nuovo Testamento a volte hanno una certa plausibilità.

Tuttavia, non posso essere d’accordo con l’ipotesi offerta da Lena Einhorn di un “time-shifting” nella forma in cui lei la presenta.

Il motivo di questo, in fin dei conti, è che Einhorn ritiene di doversi conformare alla storicità del Messia cristiano. Perciò si trova costretta a dover dimostrare un’identità che non potrà mai essere provata in maniera non ambigua.

Perché, provare in modo convincente che il Messia del Nuovo Testamento è nient'altro che il pretendente messianico egiziano citato in Flavio Giuseppe, è a mala pena possibile, dato lo scarso materiale delle fonti. Senza nuove fonti, queste teorie non potranno mai essere verificate.

Secondo la mia opinione, aggrapparsi alla storicità di Gesù è una premessa che potrebbe aiutare a spiegare a volte paralleli e anacronismisorprendenti, ma quella premessa stessa non è necessaria.

Il libro di Einhorn non avrebbe meno valore se non avesse cercato queste identificazioni. La spiegazione delle sorprendenti similitudini tra la tradizione neotestamentaria e Flavio Giuseppe deve essere cercata altrove.
Per me, quell'“altrove” diventa apparente quando si scarta la presupposizione di un'esistenza storica di Gesù.
Fare così ci permette di apprezzare che Gesù è in tutta probabilità un tardo costrutto letterario, il prodotto di vari flussi di tradizione messianici e gnostici che sono fluiti “sinteticamente in uno”.

Ho già spiegato altrove come l'entità di un redentore, concepito in termini puramente mitologici, subì un processo di “storicizzazione”.  Nell’immaginazione dei suoi seguaci, l'entità fu originariamente indistinguibile da altre divinità fmailiari alle religioni misteriche, divinità che potrebbero averla preceduta.  Attraverso un intreccio di elementi storici —in realtà, pseudo-storici—, l'autore del vangelo di Marco (oppure forse il suo predecessore) fu uno dei primi a incontrare le necessità della sua comunità di una divinità più concreta, questo apparentemente nella Roma del secondo secolo. Da qui la creazione di un salvatore nella Storia, un salvatore che combina tratti di vari pretendenti e profeti messianici menzionati da Flavio Giuseppe (per esempio, il profeta di distruzione Gesù ben Anania). Questa non è l'arte dello storico ma del racconta-storie,  infatti sebbene comincia con eventi storici li utilizza a scopi letterari e fantasiosi. Nel suo libro, Deconstructing Jesus, Robert Price offre vari esempi illuminanti di come fu utilizzato questo metodo, e come fu combinato un numero di elementi costitutivi nel nuovo edificio.


In un certo senso, allora, il “time-shifting” postulato da Einhorn nel suo libro poggia su un nucleo di verità. Solo che non deve essere inteso, comunque, come lo spostamenteo di una particolare persona della Storia, oppure come lo spostamenteo di un particolare nesso di eventi da un'epoca ad un'altra.  

Piuttosto gli evangelisti hanno fuso insieme elementi mitologici con le biografie di varie figure della Storia, collocando gli attori risultanti in un contesto cronologico e geografico che meglio serviva ai loro scopi. 
Il libro “A Shift in Time” nondimeno serve decisamente a utili obiettivi per i miticisti gesuani. Rende possibile un esame dei metodi che gli evangelisti utilizzarono nella loro invenzione letteraria. Facilita anche un'analisi della natura di alcuni blocchi costitutivi che furono usati come ispirazione nella formazione del loro salvatore, Gesù. È lodevole, in ogni caso, che Einhorn ripetutamente rammenta al lettore la natura ipotetica della sua tesi, che sono, come molte in questo campo, stimolanti spunti di riflessione. Come ammise Lutero: “siamo mendicanti, questa è la verità”.

giovedì 26 maggio 2016

Detering sull'“Egiziano” (I)

 Sub Tiberio quies.

(Tacito, Historiae 5.9)

“Nuncupant eum sua lingua Ussum Hamizri. Quod dicitur Latine, Dissipator Aegyptius . . . affirmantes eum gentis suae Dissipatorem Aegyptiacum.”

...lo chiamano nella loro lingua Ussum Hamizri. Che in latino significa il Dispersore Egiziano . . . affermando che Egli è il Dispersore Egiziano del Suo popolo”
(Amulone arcivescovo di Lione del 9° secolo EC, Adversus Judaeos, xxxix)


Ora, grazie a Renè Salm, è possibile sapere cosa ne pensa delle opinioni di Lena Einhorn anche il Dr. Detering. Ho preferito tradurne la recensione anch'io, visto che mi piace particolarmente il punto dove lo studioso tedesco osserva:
Molti studiosi convenientemente suggeriscono che Gesù era semplicemente una figura troppo minore per dover attirare l'attenzione di scrittori contemporanei. Come Einhorn, però, io ho sostenuto che questo punto di vista è insostenibile dato lo straordinario impatto della presenza di Gesù sui suoi contemporanei, un impatto che gli evangelisti sottolineano in molti passaggi. Einhorn osserva che il grande seguito di Gesù e le sue dispute spettacolari sia con gli ebrei che con le autorità romane non sarebbero sfuggiti all'attenzione dei cronisti contemporanei.

Su questo ha ragione da vendere, il Dr. Detering
. Fin troppo spesso ho osservato non solo mentecatti apologeti cattolici da quattro soldi del Net così tenacemente coinvolti nella difesa ad oltranza di un “originale” Testimonium Flavianum, ma perfino che studiosi altrimenti noti per la loro profondità interpretativa delle dipendenze ipertestuali all'opera nei vangeli (vedi ad esempio B. Adamczewski o Dennis MacDonald o perfino Bermejo-Rubio) indugiano erroneamente nella medesima ridicola farsa, arroccandosi dogmaticamente nell'insostenibile quanto improbabile difesa di un sedicente originario Testimonium Flavianum (per non parlare dell'ancor più ridicola glossa cristiana “che fu chiamato Cristo” di Antichità Giudaiche 20.200).  Questo mi induce a pensare che c'è qualcosa nello stesso concetto di un “Gesù storico” che pretende —addirittura invoca quasi con latente disperazione!— la necessità di un appiglio, minimo che sia, in Flavio Giuseppe, capace di passare convenientemente per l'“indipendente” evidenza di un Gesù storico. Penso che il Dr. Detering abbia riassunto mirabilmente cos'è quel “qualcosa”, quando scrive:
...questo punto di vista è insostenibile dato lo straordinario impatto della presenza di Gesù sui suoi contemporanei, un impatto che gli evangelisti sottolineano in molti passaggi.

Gira e rigira, ci troviamo sempre alle prese con quel mitico “impatto” scatenato dal Gesù evangelico e i cui effetti collaterali—o dei suoi seguaci— purtroppo non si vedono neppure in minima misura nelle fonti extra-evangeliche del I secolo (si noti che una recente analisi di Enrico Tuccinardi getta il dubbio perfino sulla famigerata testimonianza di Plinio il Giovane circa i cristiani di Bitinia).  E ricordiamo all'apologeta di un Gesù storico “insignificante” che tale ricerca dell'uomo di Nazaret non solo ha avuto esito apparentemente infruttuoso negli scritti di Flavio Giuseppe, ma anche, grazie al bizantino Fozio, negli scritti dell'altro importante storico ebreo del tempo, Giusto di Tiberiade
Se dunque quell'“impatto” provocato dal Gesù preteso esistere dai vangeli non trova alcun riscontro nell'evidenza non-cristiana, non sarà allora che quell'“impatto” è deliberatamente a sua volta provocato dagli stessi fabbricatori del Gesù evangelico, tradendo così il loro malcelato recondito desiderio di *fissare* costi quel che costi Gesù nella storia—e in modo particolare, come si affanna a ricordare lo stesso Credo niceno, “sotto Ponzio Pilato” ?

Solo alcune suggestioni, per ora. 



A Shift in Time: How Historical Documents Reveal the Surprising Truth About Jesus

di Lena Einhorn
(New York: Yucca Publishing, 2016; 227+11 pages)
Recensione a cura di Hermann Detering

Lena Einhorn si è distinta in Svezia come regista di documentari. Lei è conosciuta in Germania per lo più per il suo libro sull'Olocausto, Ninas Reise ( “Viaggio di Nina: come mia madre fuggì dal ghetto di Varsavia”). Negli ultimi dieci anni, il focus del suo interesse si è spostato al cristianesimo antico. Nel 2007 apparve l'edizione inglese del suo libro,  The Jesus Mystery: astonishing Clues to the True Identities of Jesus and Paul (Guilford, Conn.: Lyons Press; German edition 2007, Das Rätsel von Damaskus: Waren Jesus und Paulus ein und dieselbe Person? Heyne Verlag). Dal 2010 Einhorn ha annualmente presentato articoli alle conferenze SBL, in cui ha elaborato una nuova ipotesi per quanto riguarda le origini cristiane. Una sintesi del suo lavoro critico-biblico ora appare nel suo libro 2016 qui considerato,  A Shift in Time: How Historical Documents Reveal the Surprising Truth About Jesus (New York: Yucca Publishing).
 
Non c'è bisogno di essere irritati dal sottotitolo piuttosto sensazionale. Si tratta di uno studio storico serio, i contenuti chiaramente metodicamente ordinati, e l'argomento convincente. L'autore tradisce una profonda conoscenza coll'opera dello storico ebreo Flavio Giuseppe, così come con le correnti politiche del secondo secolo. Quelle sono alla base della sua tesi principale, che si riflette nel titolo del libro. In virtù di un serrato confronto dei vangeli canonici con gli scritti di Flavio Giuseppe, Einhorn conclude che gli eventi riportati nei vangeli devono essere letti alla luce di uno “spostamento di tempo” di due decenni. Questo comprende i racconti che coinvolgono Gesù, che in realtà ebbero luogo vent'anni dopo— cioè, negli anni Cinquanta EC. L'argomento di Einhorn si fonda su due pilastri del criticismo del Nuovo Testamento:
(a) la scarsità di attestazione extra-cristiana degli eventi riportati nei vangeli, in particolare quelli relativi alla figura di Gesù; e
(b) segni di un Gesù “militante”— chiaramente evidente in certi passaggi dei vangeli—che non si conformano (oppure si conformano solo con difficoltà) al salvatore amante della pace noto alla tradizione cristiana.
Per quanto riguarda la ( mancanza di) attestazione extra-cristiana, ho già trattato questo per esteso nel mio libro, Falsche Zeugen: Ausserchristliche Jesuszeugnisse auf dem Prüfstand (“falsi testimoni: Testimoni extra-cristiani di Gesù a Processo”, Aschaffenburg: Alibri 2011 ).

Molti studiosi convenientemente suggeriscono che Gesù era semplicemente una figura troppo minore per dover attirare l'attenzione di scrittori contemporanei. Come Einhorn, però, io ho sostenuto che questo punto di vista è insostenibile dato lo straordinario impatto della presenza di Gesù sui suoi contemporanei, un impatto che gli evangelisti sottolineano in molti passaggi. Einhorn osserva che il grande seguito di Gesù e le sue dispute spettacolari sia con gli ebrei che con le autorità romane non sarebbero sfuggiti all'attenzione dei cronisti contemporanei.

Il punto (b) di cui sopra è confermato attraverso un attento esame dei testimoni del Nuovo Testamento —in particolare i vangeli di Luca e di Giovanni. Ad esempio, Einhorn nota le circostanze che accompagnano l'arresto di Gesù sul Monte degli Ulivi. Secondo il quarto evangelista, si tratta di una coorte romana (in greco, speira) compresa da 600 e 1.000 soldati (Giovanni 18:3, 12), mentre Luca (22:47-54) descrive disturbi di proporzioni riottose.

A pag. 66 f Einhorn osserva che una serie di investigatori hanno in passato focalizzato l'attenzione sugli aspetti militanti dei racconti del Gesù canonico. Dal tempo di Hermann Reimarus (1729-1814) tentativi sono stati fatti sia dentro che fuori gli studi del Nuovo Testamento per interpretare il Gesù storico—e di conseguenza il cristianesimo antico —sullo sfondo di una lotta ebraica anti-romana per la libertà, così come nel contesto di eventi che portarono  alla Prima Guerra Giudaica. In questo senso Lena Einhorn è  in compagnia di Robert Eisler, Joel Carmichael, Hyam Maccoby, e Robert Eisenman, e anche di Reza Aslan, il cui libro del 2013 Zealot ottenne lo status di bestseller.

Quando i suddetti punti (a) e (b)—che sono premesse del libro—sono considerati assieme ad una lettura attenta di Flavio Giuseppe, allora seguono certe conseguenze che muovono Einhorn ad una soluzione del duplice mistero: Sì, ci fu un Gesù storico. Che egli non fu menzionato dai contemporanei deve al fatto che—al contrario delle raffigurazioni degli evangelisti—visse più tardi e, inoltre, è da identificare con uno dei combattenti per la libertà anti-romana degli anni '50 EC descritti da Flavio Giuseppe. Einhorn sostiene quest'ultima sorprendente proposizione con una serie di evidenti anacronismi. Soprattutto, deriva paralleli che— nella sua opinione—assicurano relazioni tra eventi e persone nei vangeli, da un lato, e in Flavio Giuseppe, dall'altro. La vita e il destino di diversi pretendenti messianici fotografati da Flavio Giuseppe, tra cui Teuda (44-46 EC), il cosiddetto “Egiziano” (52-59 EC), Menahem il figlio (nipote?) di Giuda il Galileo (66 EC) , e Simon bar Giora (66-76 EC) —tutti quei personaggi, a suo avviso, tradiscono somiglianze sorprendenti a figure citate nei vangeli.

Prendendo il “profeta Egiziano” di Flavio Giuseppe (Ant. 20.169-72; Guerra 2.261-63) a titolo di esempio, Einhorn sottolinea che:
(a) come Gesù, egli fu associato al deserto (eremia)
(b) come Gesù, egli visse in Egitto
(c) come Gesù, volle abbattere le mura di Gerusalemme
(d) come Gesù, era un leader messianico con un grande seguito
(e) come Gesù, rappresentò una minaccia per entrambe le autorità ebraiche e romane
(f) come Gesù, fu tradito
(g) come Gesù, fu sconfitto sul Monte degli Ulivi
Einhorn rileva anche paralleli seminali tra Teuda e Giovanni il Battista: entrambi erano leader spirituali, entrambi erano attivi presso il fiume Giordano, ed entrambi furono decapitati dall'establishment religioso ebraico— la loro morte, tuttavia, avendo preso luogo a quindici anni di distanza, Teuda morendo al tempo del procuratore di Giudea Fado. Ora, Einhorn ritiene molto improbabile che Giovanni fu giustiziato da Erode Antipa, dal momento che quest'ultimo era governatore di Galilea e Perea, ma non della Giudea, dove Giovanni era attivo.

Einhorn sostiene ulteriori paralleli significativi, ad esempio tra il pretendente messianico Menahem e Simon Pietro, come anche tra il protomartire Stefano (Atti 6-7) e un Stefano in Flavio Giuseppe (Ant 20.113-17; Guerra 2.228-31;. Einhorn pag. 63 f).

Einhorn non nega che, oltre i paralleli, esistono differenze significative tra i due Stefani. Lo stesso si può dire nel confronto tra Gesù con l'Egiziano, dove le differenze sono evidenti: Gesù fu catturato sul Monte degli Ulivi e poi crocifisso, mentre l'Egiziano sfuggì alla cattura; in un racconto è mancante un combattimento, nell'altro una crocifissione.

Nell'opinione di Einhorn, tuttavia, sia le analogie che le differenze possono essere spiegate. Lei sostiene che gli evangelisti deliberatamente adottarono un time shift. Per lei, i vangeli, gli Atti, e Flavio Giuseppe riportano tutti gli stessi eventi—ma gli autori cristiani hanno intenzionalmente retrodatato quegli eventi di 15-20 anni. Einhorn dà due ragioni principali del perchè agirono così:
1. tradizioni concorrenti erano in questo modo neutralizzate (proteggendo così l'incipiente cristianesimo); 
2. il lato militante del messia cristiano era così nascosto.
In questi modi Einhorn vede i vangeli e gli Atti del Nuovo Testamento come contenenti sia un racconto di superficie che un sottotesto. Il racconto di superficie descrive gli eventi e le figure intorno all'anno 30 EC. Il sottotesto criptico, invece, si occupa della ribellione contro Roma e contro l'autorità istituzionale ebraica. Nell'opinione di Einhorn, la vera storia fu successivamente nascosta allo scopo di celare gli inizi del cristianesimo come un movimento cospiratore e ribelle contro Roma.

continua...

martedì 24 maggio 2016

«...lo depose in un sepolcro scavato nella roccia (ἐκ πέτρας (Marco 15:46)

SEPOLTURE: cerimonie che i preti del Signore rendono più o meno lugubri attraverso i loro santi ululati, a seconda che siano pagati più o meno abbondantemente.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)

 Nella prefazione al suo libro, Werner spiega i suoi timori circa le conseguenze della linea di pensiero di Volkmar. Werner percepì che l'opera di Volkmar fosse in linea con altri libri recentemente pubblicati che trattavano Gesù come una figura puramente mitica.
(Anne Vig Skoven, “Mark as Allegorical Rewriting of Paul: Gustav’s Volkmar’s Understanding of the Gospel of Mark,” pag. 25, mia rapida traduzione)

PERCHÈ muovere la pietra?
Chi MOSSE la pietra?


Prima dò la parola agli esperti sulla dipendenza intertestuale del vangelo di Marco dalle epistole autentiche di Paolo:


In aggiunta, la stessa parabola [del Seminatore] è parte integrale di un costante sforzo per tutto il vangelo a screditare Pietro e i discepoli. In greco è tutt'altro che impossibile mancare l'allusione a Pietro (Πέτρος) nella considerazione sul “terreno roccioso” (τὸ  πετρῶδες), specialmente dal momento che Gesù assegna il nome “Pietro” a Simone appena prima della parabola. Altri paralleli chiariscono che il resto dei discepoli sono rocciosi assieme a Pietro. Confronta l'interpretazione del terreno roccioso coll'annuncio di Gesù che Pietro e il resto dei discepoli lo abbandoneranno:  
E così quelli che ricevono il seme in luoghi rocciosi sono coloro che, quando odono la parola, la ricevono subito con gioia; ma non hanno in sé radice e sono di corta durata; poi, quando vengono tribolazione e persecuzione a causa della parola, sono subito sviati (σκανδαλίζονται).
(Marco 4:16-17)

Gesù disse loro: «Tutti rimarrete scandalizzati (σκανδαλισθήσεσθε), poiché sta scritto: Percuoterò il pastore e le pecore saranno disperse. Ma, dopo la mia risurrezione, vi precederò in Galilea». Allora Pietro gli disse: «Anche se tutti saranno scandalizzati (σκανδαλισθήσονται), io non lo sarò». Gesù gli disse: «In verità ti dico: proprio tu oggi, in questa stessa notte, prima che il gallo canti due volte, mi rinnegherai tre volte». Ma egli, con grande insistenza, diceva: «Se anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò». Lo stesso dicevano anche tutti gli altri.  
(Marco 14:27-31)
Tutti allora, abbandonandolo, fuggirono. (Marco 14:50)
L'evangelista ha descritto la rocciosità e poi descrisse Pietro e gli altri discepoli come l'esatto compendio della rocciosità raccontando il loro iniziale entusiasmo seguito da una rapida fuga al primo segnale di persecuzione. Per assicurarsi che la corrispondenza non sarà mancata, si prende cura a descrivere l'effetto del terreno roccioso e del vergognoso comportamento dei discepoli con lo stesso verbo σκανδαλίζω (sviare). Ed ha assicurato che nessuno possa pensare che qualcuno di quelli originali apostoli fossero in qualche modo differenti, infatti Gesù predice “tutti rimarrete scandalizzati”, e come Pietro “dicevano anche tutti gli altri” la dichiarazione che non l'avrebbero fatto, ma in breve ordine “tutti allora, abbandonandolo, fuggirono”. Tutti sono motivati ad abbandonare Gesù per paura, il cui comportamento in Marco rappresenta l'opposto della fede e della fondazione della “rocciosità”. Sommando tutto questo assieme, sembra più che plausibile che Marco modellò la parabola del seminatore lui stesso, ispirato dall'uso estensivo di Paolo della metafora della semina; ed egli scelse deliberatamente il termine “suolo roccioso” come un'allusione ironica a Pietro la “roccia”.
(Tom Dykstra, Mark Canonizer of Paul, pag. 129-130, mia libera traduzione)

La parabola sul seminatore (Marco 4:3b-8) descrive tre tentativi falliti e uno riuscito di seminare il seme. Tra i tre tentativi falliti (Marco 4:4b-7), il secondo (Marco 4:5-6) è piuttosto particolare perchè è descritto in una maniera più dettagliata (33 parole). Per di più, solo questo tentativo, a differenza del primo e del terzo, è esplicitamente descritto mentre risulta nell'iniziale germoglio del seme (Marco 4:5), anche se alla fine non porta nessun frutto (Marco 4:6). Inoltre, questo tentativo è collegato al luogo che è descritto con il sostantivo usato davvero raramente τὸ  πετρῶδες (Marco 4:15.16), che in questo contesto evidentemente significa “terreno petroso/roccioso”, ma che linguisticamente allude anche al nome di Pietro (Πέτρος: Galati 2:7-8; Marco 3:16 ecc.).
Di conseguenza, a livello ipertestuale, in quanto relativo alla reazione delle chiese di Giudea all'attività di Paolo tra i gentili (Galati 1:23a), il secondo tentativo (Marco 4:5-6; si veda 4:16-17) illustra il comportamento di Cefa, che prima ricevette Paolo con gioia (Galati 1:18; si veda Marco 4:16), ma più tardi molto seriamente si sviò (Galati 2:11-14; si veda Marco 4:17; 14:29-30:
σκανδαλίζομαι).
Dal momento che ci sono tre tentativi falliti (Marco 4:4b-7; si veda 4:15-19), tra cui il secondo allude a Cefa, il primo e il terzo devono alludere agli altri “pilastri” di Gerusalemme: Giacomo e Giovanni (Galati 2:9).
La relazione tra la persona di Giacomo e la via (Marco 4:4b-d; si veda 4:15) non è chiara. Può basarsi sulla considerazione paolina che i fratelli del Signore presero le loro mogli assieme a loro, apparentemente durante la missione (1 Corinzi 9:5). D'altra parte, la relazione tra Giacomo e la stessa influenza reale di Satana (Marco 4:15) è molto più facile da comprendere, infatti Giacomo era considerato come il principale oppositore di Paolo (Galati 2:12).
Poichè Marco non possedeva nessun dato biografico riguardante Giovanni il “pilastro” (Galati 2:9), nel riferimento allusivo a lui (Marco 4:7; si veda 4:18-19) egli semplicemente utilizzò il ben noto motivo scritturale delle spine (ἄκανθα) in opposizione a piante seminate, coltivate (si veda Genesi 3:18-19; Geremia 4:3; 12:13 LXX). Parimenti, l'idea delle cure di questo mondo, l'inganno delle ricchezze, e altri desideri (Marco 4:19a-c) si adatta a Giovanni solo in un modo generale, precisamente in quanto uno dei “pilastri” di Gerusalemme (Galati 2:9), che richiedevano supporto finanziaro dai credenti gentili (Galati 2:10a).
Contro questo sfondo, il quarto tentativo pienamente riuscito, coi suoi tre grani che portano molto frutto (Marco 4:8; si veda 4:20) e quindi controbilanciando i tre precedenti (Marco 4:4-7), illustra l'idea di recare il frutto del vangelo basato sulla fede. Quest'idea è descritta coll'uso dell'immagine della crescita via via più impressionante, di fatto naturalmente implausibile del raccolto: 30, 60 e 100 grani in una
spiga di grano (Marco 8.20; diversamente Siracide 7:3). Coerentemente, il quarto tentativo allude ai credenti che con fede ricevevano il vangelo paolino (Galati 1:23a), che illuminava il ruolo della fede (Galati 2:16 ecc.). Perciò, il quarto tentativo allude ai credenti gentili paolini (Galati 1:21), piuttosto che ai membri generalmente sospettosi delle chiese di Giudea (Galati 1:22-23b).
(Bartosz Adamczewski, The Gospel of Mark. A Hypertextual Commentary, pag. 66-67, mia rapida traduzione)

Dopodichè completerei la loro analisi con un mio personale contributo.

Così Marco 15:46 :
Egli allora, comprato un lenzuolo, lo calò giù dalla croce e, avvoltolo nel lenzuolo, lo depose in un sepolcro scavato nella roccia (ἐκ πέτρας). Poi fece rotolare un masso contro l'entrata del sepolcro.


Πετρος, Simon Pietro, è alluso qui?

Da buon triplice rinnegatore di Gesù (come Dykstra e Adamczewski hanno sottolineato sopra), lui era già alluso nella Parabola del Seminatore:
Similmente quelli che ricevono il seme sulle pietre sono coloro che, quando ascoltano la parola, subito l'accolgono con gioia, ma non hanno radice in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della parola, subito si abbattono.
(Marco 4:16-17)

Se allora la tomba dove Gesù è seppellito è scavata ''dentro la roccia'', allora ne consegue che letteralmente e metaforicamente Gesù (la Parola, il seme della parabola) è seppellito dentro Pietro (la roccia, il suolo roccioso della parabola) tuttavia quel che succede non è poi così tanto sorprendente:

al terzo giorno la tomba è VUOTA.


Evidentemente perchè quella tomba scavata nella roccia (in Pietro, e per estensione nei 12) era letteralmente e spiritualmente indegna di contenere il Risorto in sé.

  ...ma quando si levò il sole, restò bruciata e, non avendo radice, si seccò.
(Marco 4:6)

Il sole che si leva (Marco 4:6) seccando il seme caduto sul suolo roccioso allude cripticamente alla stessa resurrezione di Gesù?
 
Una migliore residenza per il Risorto sarebbe in effetti la Galilea dei gentili :
Ma egli disse loro: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano deposto [cioè: nella roccia]. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro [alla roccia] che egli vi precede in Galilea [dei gentili]. Là lo vedrete, come vi ha detto». Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e di spavento. E non dissero niente a nessuno, perché avevano paura.
(Marco 16:6-8)

Ora sappiamo che il silenzio delle donne è due volte peccaminoso:
  1. non solo perchè hanno disobbedito al comando dell'angelo (e ci può stare)...
  2. ...ma anche e soprattutto perchè, col loro silenzio, non hanno denunciato il puro e semplice FATTO che Gesù ha DE FACTO abbandonato, sia spiritualmente sia materialmente, una tomba scavata nella ROCCIA, ossia ''in'' PIETRO.

Così ora solo Marco e i lettori di Marco sanno che Pietro è un falso apostolo. Mai perdonato da Gesù. Anzi, addirittura, abbandonato da Gesù.

Al momento stesso della resurrezione.

Il paolino 'Marco' sembra insinuare il dubbio che Pietro avesse ''visto'' davvero l'arcangelo celeste Gesù risorto. Infatti, a detta dell'angelo presso la tomba, è possibile vederlo solo in Galilea dei gentili, ovvero dove uno come Paolo può ''vederlo''.

martedì 17 maggio 2016

Una recensione al libro A Shift in Time di Lena Einhorn


TEMPO: Il tempo, tanto prezioso per i profani, non conta niente nella religione. I suoi santi ministri si fanno un dovere di perderlo santamente. Difatti che cos'è il tempo messo a confronto con l'eternità! Vedi Contemplazione, Meditazione, Esercizi di pietà e Feste.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)

Il libro di Lena Einhorn, A Shift in Time: How Historical Documents Reveal the Surprising Truth about Jesus, si legge tutto d'un fiato. È semplicemente una riproposizione elegante, per niente affatto noiosa, degli stessi parallelismi tra il Gesù evangelico e la figura storica del “Profeta Egiziano” commentati in un articolo precedente.
È certamente da apprezzare la sua saggia cautela nell'esporre la sua teoria come nient'altro che una semplice ipotesi giusta da considerare.

Laddove un Bermejo-Rubio deve fantasticare parecchio per immaginare chissà quale sorta di originario Testimonium Flavianum decisamente più ostile a Gesù di tutte le “ricostruzioni” finora fatte (sfiorando decisamente il ridicolo quando sposa acriticamente l'autenticità della famigerata interpolazione “detto Cristo” di Antichità 20:200), Einhorn non ha affatto di questi problemi: dal momento che Flavio Giuseppe, nella sua teoria, parla di Gesù, solo che lo etichetta
“un profeta egiziano”.

Quindi alla fine, dove lo storicista Bermejo-Rubio avrebbe un serio problema con l'evidenza in Flavio Giuseppe, la semi-miticista Einhorn (in fin dei conti proponente del  Gesù sedizioso al pari del professore iberico) presenta un caso se non altro più forte a favore di un reale “Gesù” dietro i vangeli, e di  un “Gesù” sedizioso antiromano, a giudicare dalle azioni dell'“Egiziano”.

È convincente la sua tesi? Io penso che sia degna di essere valutata (se non addirittura accettata) da chiunque ritiene che il Criterio di Imbarazzo risulti efficace quando applicato alle presunte disiepta membra di sedizione sparse nei vangeli, specie alla luce della probabile fabbricazione di Giuda il Galileo da parte di Flavio Giuseppe (un fatto che riduce a zero le pretese di chi aveva cercato piuttosto goffamente in Italia di tentare col fittizio fondatore della “quarta filosofia” lo stesso argomento fatto da Einhorn con l'“Egiziano”).

Di certo il punto debole di Einhorn è la sua interpretazione di Paolo, la cui cronologia come manifesta nelle lettere lei cerca invano e a fatica di far quadrare con i tempi dell'“Egiziano”, ma perfino quel problema sarebbe relativamente superabile, se si considera chi poteva essere stato “Paolo” ai tempi del governatore Felice:

Simone il Mago

Nel tempo in cui Felice era procuratore della Giudea, la osservò: era infatti più bella di tutte le donne e nacque una passione per lei. Le mandò uno dei suoi amici, un Giudeo cipriota Simone detto Atomo, che si faceva passare per mago, per convincerla ad abbandonare il marito e sposare Felice. Felice le prometteva di renderla estremamente felice, purché lei non lo respingesse. (Antichità Giudaiche 20:142)


Anche se Einhorn non menziona Simon Mago nel suo libro, è altrettanto seria (forse più seria della stessa equazione Gesù = l'Egiziano) la concreta possibilità che il Paolo storico fosse il Mago, visto che perfino un documento cristiano come le Omelie PseudoClementine azzarda il paragone (e sto parlando di solo un indizio tra innumerevoli che portano in quella direzione, e che non starò qui ad elencare perchè lo hanno già fatto altri ben più avveduti di me). Perciò, sotto l'ipotesi che l'Egiziano fosse il vero leader dei futuri cristiani, è facile identificare in Simone di Samaria (nientemeno che consigliere dello stesso governatore romano che sgominò l'Egiziano dal Monte degli Ulivi!) colui che intraprese l'azione di edulcorare in senso più filo-romano il lascito spirituale del profeta tra i suoi seguaci (col beneplacito delle autorità romane), e non c'è dubbio di quale fosse il metodo che avrebbe applicato in tal senso: allucinazioni, visioni, rivelazioni, sogni, mistiche allusioni alle scritture, nonchè spudorate menzogne, per far passare a poco a poco l'idea che l'uomo conosciuto come “l'Egiziano” era solo il Messia kata sarka, “secondo la carne”, immagine flebile ed effimera del glorioso cosmico Cristo risorto, ora vivente nello stesso Simone...


Così la teoria di Einhorn potrebbe supportare non solo le teorie del prof Bermejo-Rubio sulle tracce di sedizione sparse nei vangeli, ma anche le teorie del prof Hyam Maccoby (anch'egli teorico di un Gesù insurrezionista) sulla reale identità di Paolo. Davvero mi meraviglia che Einhorn non abbia sottolineato anche quella possibile evidenza nel suo libro.

 Tuttavia il fatto piuttosto illuminante nel libro che mi pregio di riportare su questo blog, è l'aver trovato una spiegazione piuttosto ragionevole dietro l'apparente brusca divergenza tra un Gesù evangelico che muore crocifisso nella storiella e le sorti dell'“Egiziano” che riesce invece a dileguarsi dopo la disfatta sul Monte degli Ulivi:
Così che cosa circa la crocifissione? C'è nelle cronache di Flavio Giuseppe qualche menzione dell'“Egiziano” che è crocifisso? No, non c'è. E se assumiamo che Flavio Giuseppe non fallì semplicemente di menzionare questo, oppure fu ignaro di esso, questo poteva essere una decisiva differenza tra i fati di quei due uomini. In realtà l'unica rimanente differenza non-cronologica. Ma prima di lasciare la questione della crocifissione, potrebbe valer la pena di evidenziare un altro evento descritto nei vangeli: il rilascio di Barabba. Barabba è un curioso personaggio nella narrazione del Nuovo Testamento.  Appare in tutti i quattro vangeli, dove è variamente descritto come un “brigante”, “un famigerato prigioniero”, e qualcuno che “era in prigione coi ribelli che avevano commesso un assassinio durante l'insurrezione”. Barabba era stato condannato al supplizio capitale in simultanea con Gesù. Egli era comunque, lasciato andare, laddove Gesù fu crocifisso (tra due altri “ladri”, che erano apparentemente associati a Barabba). Ciò che rende curioso Barabba, comunque, è non solo che conduce un'“insurrezione” allo stesso momento in cui Gesù provoca le autorità - in aggiunta a questo è il suo intrigante nome. Barabba significa “Figlio del Padre”, un nome apparentemente più appropriato per Gesù (che spesso riferiva a Dio con Abba, “Padre”). Ma veramente, Barabba non è l'intero nome dell'uomo. In Matteo 27:16-17 ci è detto che il suo nome è “Gesù Barabba”, che significa “Gesù Figlio del Padre” ! Potevano Gesù di Nazaret e Gesù “Figlio del Padre” realmente essere due persone diverse? E perchè uno di loro sarebbe crocifisso tra i seguaci dell'altro?  
Che Gesù di Nazaret e Gesù Barabba sia una e la stessa persona è una proposizione che è stata fatta prima, da studiosi come pure in racconti romanzati. La caratteristica rassomiglianza dei nomi, come pure un fallimento nel trovare un precedente o biblico oppure non-biblico al costume descritto di rilasciare un prigioniero alla festa, sono generalmente citate come ragioni per l'ipotesi. I vari proponenti di questa teoria, che Gesù e Barabba sono lo stesso uomo, suggeriscono diverse spiegazioni del perchè un leader ribelle Galileo sarebbe più tardi ricordato come due diversi individui, che vanno da un semplice errore ad un deliberato gioco di parole - quasi come una parabola. Forse l'obiettivo sarebbe di creare una scelta al lettore: vuoi la violenza oppure vuoi porgere l'altra guancia? H. A. Rigg, nel suo articolo del 1945, suggerisce che la divisione fu necessaria: “Era Gesù, il Cristo della grande storia della Passione, che fu vividamente ricordato e su cui i Gentili edificarono il cristianesimo della Storia. Per loro Barabba divenne semplicemente uno di quelli presi in una rivolta e Cristo il crocifisso Signore e Salvatore.”  
Aggiungere Barabba al nostro mix potrebbe confondere le acque. Ma è difficile trascurare del tutto l'intrigante racconto evangelico di un leader ribelle catturato allo stesso momento di Gesù, che porta lo stesso nome di Gesù - eventualmente che è identico a Gesù - ma che sfugge alla crocifissione.  

(pag. 112-114, mia libera traduzione)



Cosa concluderne?
Un sano agnosticismo è d'obbligo, ma di certo la teoria di Einhorn calza sicuramente a pennello con un perspicace commento del miticista RG Price (non Robert Price) rilasciato su Vridar in un diverso contesto:



Come ho detto nel mio articolo, il problema con la linea di Carrier a proposito di "forse c'era ancora qualche minore Gesù", è che a quel punto diventa del tutto irrilevante.             Se ogni singola cosa detta a proposito di Gesù nei Vangeli è totalmente fabbricata allora il Gesù del cristianesimo non è mai esistito, punto, perché il Gesù del cristianesimo è il personaggio nei Vangeli.Questo è il punto numero 1. È come se dicessi, James Price è un ragazzo che nasce da un branco di lupi, ha combattuto contro i giganti e li uccise, e ha fondato un paese in Africa chiamato Mobutu e ha vissuto fino a 300 anni. Ok, probabilmente c'era un tizio di nome James Price che visse ad un certo punto nel tempo, ma se non ha fatto nessuna di queste cose che ho detto allora non è davvero rilevante, non è vero?

Ma #2, il mio punto più grande che cerco di fare è che il fatto che si possa dimostrare che il vangelo di Marco è finzione, e che OGNI SINGOLA narrazione su Gesù può essere provata discendere da esso, questa è davvero forte evidenza che Gesù mai esistette.

In effetti il ​​mio punto è che l'esistenza stessa dei vangeli come li abbiamo è la più forte evidenza contro l'esistenza di qualunque Gesù. Perché ciò che i vangeli provano è che nel 1° secolo, quando c'era un interesse a scrivere di Gesù, quel che i vangeli dimostrano è che non c'era nessuna informazione su alcun Gesù di sorta con la quale procedere. I vangeli dimostrano ciò perché sono tutti semplicemente copiati da una singola storia.

Se la reale crocifissione di Gesù fosse stato un evento così potente da ispirare la nascita di questa religione, allora come può essere possibile che OGNI SINGOLO suo resoconto fosse derivato da una singola storia di fantasia? Dato che Paolo stava già parlando della crocifissione, chiaramente esso era, fin dall'inizio, un elemento critico della religione. Se questo elemento critico si sviluppò basato su eventi del mondo reale, allora sicuramente QUALCUNO sarebbe stato in grado di registrare almeno un singolo dettaglio reale da essi. Eppure, chiaramente non abbiamo niente di niente. Chiaramente quello che abbiamo è un singolo racconto che si basa su un'allusione letteraria ambientata in un tempo che è simbolico, ma che non avrebbe mai potuto realmente accadere (Pasqua), e OGNUNO ripete quel racconto fittizio. Se fosse stato così importante da ispirare la nascita della religione, allora come mai non un singolo racconto dell'evento reale fu mai ricordato?

È chiaro che nulla fu scritto della persona Gesù fino a dopo il vangelo di Marco e che tutto l'interesse su Gesù come persona deriva da Marco. Marco è chiaramente la sorgente da cui la persona Gesù fluisce, e soltanto una storia di fantasia sarebbe l'unica fonte di informazioni su una persona se quella persona mai veramente esistette al principio.

Il problema che le persone che pensano al "Gesù reale" devono affrontare per quanto riguarda la mia tesi è che essi devono sostenere contemporaneamente che un "Gesù reale" contemporaneamente ispirò la religione E che il Gesù reale fu così insignificante che non un solo suo insegnamento fu tramandato e nessun dettaglio della sua vita o morte fu mai conosciuto del tutto. Questa è solo una chiara contraddizione incoerente.

Chiaramente Paolo non presenta i suoi insegnamenti come "gli insegnamenti di Gesù". Chiaramente l'autore di Marco presenta gli insegnamenti di Paolo come gli insegnamenti di Gesù. Paolo è il Gesù dei vangeli, in sostanza.

Allo stesso modo, i miei commenti sulle origini apocalittiche della cristologia affrontano anche questo problema teologicamente. Chiaramente il cristianesimo ha sempre contenuto al suo interno una contraddizione tra l'idea che Gesù fosse una persona reale (che risale al vangelo), e l'idea che il mondo materiale, e la carne, sono irrimediabilmente corrotti e devono essere distrutti.
È ovvio per me che ciò che ha reso presto la teologia "Gesù" speciale e potente era l'idea che l'ebraico "Regno di Dio", a differenza di quanto altri ebrei hanno sostenuto, non può essere creato dal Messia sulla terra, ma piuttosto doveva essere creato in cielo. Questo è il concetto chiave nell'origine di questa teologia, l'idea che il mondo materiale era irrimediabilmente corrotto e doveva essere distrutto e che il Messia avrebbe realizzato un nuovo immateriale Regno di Dio in cielo. Questa è l'origine della religione. Questo è il punto di partenza.

Con questa idea come punto di partenza, naturalmente, il Messia, che queste persone sarebbero state ad adorare non sarebbe un Messia terreno che era stato fatto carne, doveva essere stato un Messia celeste che era incorrotto dal mondo materiale. Questo è il motivo per cui tutto questo ha un senso e in realtà rende la teologia cristiana "coerente".

La teologia cristiana come l'abbiamo oggi è in totale contraddizione perché contiene al suo interno ancora questo concetto originale della corruzione del mondo materiale schiacciato assieme all'idea posteriore che Gesù era una persona reale, la qual cosa tutto avvenne a causa di una storia di fantasia. Così ora abbiamo questa teologia cristiana incoerente che ha concetti totalmente illogici come la Trinità e contraddittorie argomentazioni prodotte dal quarto al sesto secolo che cercano di conciliare sia l'idea che il Messia si è fatto carne e sia l'idea che il mondo materiale e la carne sono irrimediabilmente corrotti e devono essere distrutti.

No, tutto è cominciato con una sola idea coerente, cioè che il mondo materiale era irrimediabilmente corrotto e doveva essere distrutto e che questo sarebbe stato causato da un Messia celeste che era incorrotto dal mondo materiale, perché non era mai divenuto carne.

E questo è il motivo per cui, nel 2° e 3° secolo, come l'idea che Gesù si era "fatto carne" ha cominciato a prendere piede, c'era così tanta polemica sull'idea e c'erano persone che erano chiaramente contro di essa. Non ha senso infatti che l'idea che Gesù non era mai stato carne sorgesse DOPO che fosse ovvio che lui era una persona reale. Questo concetto esisteva prima, e poi entrò in conflitto con l'idea che Gesù fosse carne che si originò dalla convinzione che i vangeli fossero "vera storia", che descrive la vita di una persona reale.

Voglio dire, questa è l'unica cosa che ha veramente senso.


Bravo! Ottimo punto. Perfino se Lena Einhorn avesse ragione nell'identificazione del vero Gesù storico coll'Egiziano, non avremmo alcun modo di saperlo, ma se anche fosse, non avremmo niente di che concluderne, se non sancire definitivamente la totale discontinuità tra ogni ipotetico Gesù storico e la storia di fantasia nota come vangelo. Una discontinuità così forte e così radicale da rammentare giustamente le altrettanto sagge parole di Tom Dykstra:


Quanto alla questione se Gesù   esistette, la miglior risposta è che  ogni tentativo di trovare un Gesù  storico è una perdita di tempo.   Non può essere fatto, non spiega   nulla, e non prova nulla.


Perfino da quella premessa, l'implicazione più logica rimane la stessa: un “Gesù storico” non è mai esistito nel passato reale.