giovedì 14 aprile 2016

Michel Onfray: “Personalmente, parteggio per l'inesistenza storica di Gesù”

Prima del monoteismo giudaico-cristiano, il mondo è un tutto, un'entità, una sfera senza entrate e senza uscite, una perfezione totale e totalizzante, una forma pura che contiene l'enciclopedia del mondo: l'uomo sta alla pari con il sole, il sole con la pianta, la pianta con l'uccello e l'uccello con il rettile. C'è un pò di ciascuno di loro in tutti gli altri: intelligenza negli animali, animalità degli uomini, mascolinità nelle donne, femminilità negli uomini, minerale nel vegetale, vegetale e minerale nell'umano, rettile nel sedicente culmine della creazione, saggezza nella lucertola. Niente è superiore o inferiore, poiché tutto è caratterizzato dall'uguaglianza ontologica.
(Michel Onfray, Cosmo - Un'ontologia materialista, pag. 328)

Nello scrivere il suo travolgente Cosmo, il filosofo francese Michel Onfray ci consegna una potente visione del mondo, o meglio del cosmo, che senza dubbio è definitivamente, liberatoriamente, post-cristiana nel senso più autentico e genuino del termine. La sua opera la si può paragonare paradossalmente ─ per l'audacia caparbia e ostinata con la quale solleva di nuovo e ancora di nuovo, come un oceano in piena, dei radicali aut aut ─, alle Antitesi di Marcione, anch'essa un'opera rivelatasi altrettanto radicale nelle intenzioni e ancor più nelle conseguenze. Con la differenza che il “topo” del Ponto (come lo chiamava con disprezzo e larvata ipocrisia quella zoccola proto-cattolica di Tertulliano)  ricercava l'aut aut tra questo mondo e un altro del tutto inesistente (fornendo indirettamente ai suoi avversari potenti mezzi letterari per la conquista del consenso, e dunque del potere, tra gli stupidi hoi polloi), laddove invece, con lo stesso spirito antitetico, Onfray persegue lucidamente un severo e fiero aut aut tra la tradizione platonica e (schifosamente) cristiana e un'ontologia che, nelle sue stesse parole, “non è panteista, non è deista, non è pagana e non è animista, né nel senso antico del termine né in quello contemporaneo”, perchè “s'inscrive in quel filone schiettamente ateo e nettamente materialista che è il mio da sempre: non c'è alcuna trascendenza ed esiste solo la materia”.

Mai distacco fu più netto, mai dicotomia più radicale, mai antitesi così carica di orgoglio ateo e livore anticristiano nel contempo, come il distacco, la dicotomia e l'antitesi che Onfray innalza caparbiamente a suggello finale dell'abisso che ci divide oramai da quella quasi estinta religione della morte che è il cristianesimo.

E come mero effetto collaterale, direi che mai associazione fu più compiuta tra l'ateismo, un genuino neoateismo antiteista, e la tesi dell'inesistenza storica di Gesù, perfino se, a onor del vero, non mi riferisco a Onfray come al miglior esponente del miticismo (indubbiamente un profilo ricoperto dal serio e competente storico Richard Carrier con il suo On the Historicity of Jesus), ma di certo come a colui che contribuisce a connaturare la visione atea e materialista con l'idea che non ci fu mai stato un Gesù storico sulla terra.
Che piaccia o no, il neoateismo si sta profilando sempre più a livello mondiale come quella visione delle cose che contempla tra l'altro ─ come qualcosa di cui non provare il minimo imbarazzo perchè non lo merita affatto ─, il dubbio, il più sacrosanto e legittimo dubbio, sulla storicità dell'uomo Gesù. Al di là delle varie forme in cui lo si esplica (dallo scetticismo e agnosticismo, fino alla negazione più radicale e convinta).

Così Onfray sfida il lettore a proposito di Gesù, da lui definito “una finzione di carta”:
Essendosi costruito attorno alla figura di Gesù, storicamente inesistente ma controbilanciata dalla sua potenza simbolica, il cristianesimo vive di metafore, comparazioni, allegorie e parabole: dai cammelli che passano per la cruna di un ago alla cometa che indica il luogo della nascita del Messia, passando per il vino nuovo nei vecchi otri, non mancano le occasioni per far scivolare il reale in secondo piano, in modo da riferirsi ad altro per la maggior parte del tempo.
(Cosmo, pag. 142)

Nel Nuovo Testamento, dove si racconta la vita di un uomo che è esistito soltanto a forza di metafore e di allegorie, di miti e di finzioni orientali riciclate, l'animale è presente, nella maggior parte dei casi, nelle parabole. La tradizione giudaico-cristiana spoglia l'animale della sua carne e delle sue ossa per preoccuparsi soltanto dell'animale concettuale.
(ibid., pag. 221)

Ma cosa dobbiamo pensare dell'haiku che non sia giapponese? E ce ne sono stati! A giocare un ruolo chiave nell'introduzione di questa forma poetica in Francia è Paul-Louis Couchoud, che occupa un posto a parte nella storia delle idee francesi. Couchoud è stato il teorico della negazione dell'esistenza storica di Gesù, il decostruttore del mito cristiano e uno dei più efficaci e pertinenti teorici della scristianizzazione. È inutile ricordare come sia stato prontamente seppellito dalla storiografia dominante e che oggi lo si legga molto poco ─ come Prosper Alfaric, altro pensatore libero (non possiamo usare l'espressione «libero pensatore” perchè è troppo connotato da un altro genere di clericalità»).
(ibid., pag. 416-417)

Di certo ciò che colpisce, sotto quell'aspetto, è che da un lato Onfray sente il richiamo irresistibile del miticismo come condizione esteticamente (ancor più che storicamente) imprescindibile da un mondo e un cosmo liberati totalmente da dio nelle sue varie declinazioni monoteistiche, mitologiche ed evemerizzanti,  e dall'altro come, perfino limitandosi ad una conoscenza ancora solo (spiacevolmente) superficiale di quello che costituisce in realtà il miglior caso finora fatto contro la storicità di Gesù (ovvero, di nuovo: OHJ), lui  Onfray si senta ciònonostante in dovere di denunciare, incalzato ovviamente da un nuovo clima culturale che ora finalmente glielo permette senza più freni, lacci e lacciuoli inibitori che tengano, la natura ostentatamente artificiale di Gesù.

I tempi sono davvero cambiati, se si pensa che fino a qualche anno fa un Richard Dawkins, per quanto fosse aperto alle tesi miticiste di un Albert Wells, ancora si riservava di credere ad un Gesù storico (ora pare che lo stesso Dawkins sia diventato più scettico sulla questione).

Mi permetto dunque di correggere la stessa riflessione personale di Onfray sulle origini cristiane, forte dei risultati appresi dalla lettura di OHJ, presentando in blu le sue parole che trovano immediata corroborazione nella più fresca ricerca accademico-scientifica sul tema, mentre palesando in rosso i punti dove ancora Onfray rivela una colpevole ignoranza dei più forti e persuasivi argomenti recenti contro il Gesù storico (in particolare laddove tradisce ancora qualche influenza dalla pseudo-ricerca di Acharya). Così il lettore potrà essere libero di giudicare fino a che punto questo pur importante filosofo post-cristiano converge, nonostante la sua relativa inesperienza sull'argomento, con il revival recente del miticismo più serio a livello accademico e mondiale.


Di passaggio, però, ci tengo a precisare un altro preciso limite di Onfray laddove dice:
Mio padre era cristiano seguendo l'esempio di Gesù, uomo dei modesti e degli umili, anziché l'esempio di Paolo, uomo della spada e del Vaticano.
(pag. 10)

La contrapposizione tra un Gesù buono, per l'appunto “uomo dei modesti e degli umili” , contro un presunto Paolo reo di tradire l'originario gesuanesimo è un argomento che non regge più sullo stesso piano dell'evidenza testuale e che presto o tardi gli atei smetteranno di impugnare, cessando così di fare il gioco dei folli apologeti cristiani, in genere così ansiosi di strappare dall'interlocutore ateo di turno la confessione che Gesù fosse stato per l'appunto  “uomo dei modesti e degli umili”. In realtà non è affatto così. Prendendo in considerazione il solo Gesù evangelico per sé stesso, il recente straordinario libro del prof Hector Avalos (The Bad Jesus) smaschera definitivamente lo stesso Gesù evangelico - totalmente al di là se l'immagine riflessa o meno di una persona reale - per quel raccapricciante mostro morale che è, dimostrando, evidenza testuale alla mano, come il Gesù dei vangeli canonici - si badi bene: lo stesso Gesù letterario -  può essere legittimamente accusato di essere violento, brutale, istigatore di odio antifamiliare, avvocato della violenza differita, imperialista e anti-egualitario, etnocentrico oppure anti-giudaico, nemico dei poveri, sessista e misogino, odiatore dei disabili e dei malati nonchè sfruttatore degli stessi e da ultimo loro persecutore, ostile all'ambiente e alla natura, anti-biblico e ignorante delle scritture ebraiche.   
  

In una parola, ce n'è abbastanza per ritrarsi sgomenti da ogni contatto anche fisico con questa (per fortuna!) evanescente figura letteraria chiamata Gesù - il ragno crociato, come lo disprezzava giustamente Nietzsche [1] (e a ricordarlo è lo stesso Onfray!) - che non esito a correggere io stesso Onfray quando contrasta un Gesù “uomo dei modesti e degli umili”  contro un Paolo “uomo della spada e del Vaticano”: laddove il primo si rivelò nemico e sfruttatore dei modesti e degli umili, il secondo fu ben lontano dall'essere proto-cattolico (visto la misura in cui, proprio al contrario, Paolo sembra anticipare più la gnosi cristiana del II secolo che il cattolicesimo nascente!).

Tolto questo colpevole limite nell'opera di Onfray, non mi rimane che presentare il suo vivido scenario delle origini del Gesù mito (mettendo in rosso e in blu rispettivamente difetti e pregi della sua personale opinione sul tema).
Il cristianesimo: uno sciamanesimo solare

La prova dell'inesistenza storica di Gesù riposa nel fatto che, assai opportunamente, tutti i momenti della pretesa biografia di questo sedicente dio fattosi uomo corrispondono a una simbologia pagana ancestrale: Natale, Epifania, Candelora, Domenica delle Palme, Pasqua, Resurrezione, Pentecoste, Festa di San Giovanni Battista e Trasfigurazione costituiscono altrettanti momenti della biografia di Gesù. In realtà, ricalcano tutti, punto per punto, una mitologia pagana plurimillenaria, fondata sul movimento dei pianeti nel cielo. Curiosamente, gli episodi decisivi della vita di Gesù coincidono sempre con i solstizi e gli equinozi! È la prova che Gesù non è altro che un nome dato a un collage composto da chi a lui si richiama costituendolo attraverso la parola. Cristo è una realtà performativa pagana e solare.
Come ho detto, il cristianesimo, per chi lo sa leggere, è uno sciamanesimo. Questa setta, diventata religione per una decisione imperiosa e imperiale di Costantino all'inizio del IV secolo, altro non è, in effetti, che un immenso patchwork di sette religiose orientali, culti mistici venuti dall'Est, tradizioni pagane, spiritualità mesopotamiche, conventicole ebraiche, gnostiche e neoplatoniche, il tutto forgiato nel crogiolo della patristica nel corso di un millennio, scolpito da secoli di scolastica e imposto ai popoli del pianeta dalla spada di San Paolo e dei suoi affiliati.
Nel cristianesimo, i culti solari giocano giocano un ruolo essenziale e la Chiesa romana trionfa come un tempio solare.  Ho vissuto la mia infanzia in un paesino, in una piccola casa posta tra il castello feudale e la chiesa, due edifici romanici del XII secolo. I miei primi anni trascorrono simbolicamente tra il potere temporale incarnato dalla torre quadrata (che rimane oggi uno dei migliori esempi di archittettura militare medievale) e il potere spirituale palesato dal campanile di pietra.
Non si insegna la simbologia degli edifici architettonici. Sono spesso solo le logge massoniche a operare in questo modo. Se si vuole giungere a una interpretazione laica, addirittura pagana, nell'accezione seconda del termine, occorre distinguere il grano del senso dal loglio della fantasia. La bibliografia va spesso a braccetto con l'esoterismo, se non addirittura con l'occultismo. I templari, i massoni, la cavalleria, l'alchimia, i rosacroce, l'ermetismo, la numerologia, l'astrologia e la gnosi costituiscono un mercato della pura irrazionalità, da cui dobbiamo estrarre la simbologia razionale.
Sono entrato in contatto con questa simbologia scoprendo casualmente che, in cima al campanile della chiesa del mio paesino, c'erano quattro sculture: osservate con il binocolo, rappresentano un bue, un leone, un angelo e un'aquila. Ho passato anni a giocare sulla piazza antistante a quell'edificio. È la piazza dove mio padre è morto tra le mie braccia e dove avevo vissuto tutta la mia infanzia e la mia adolescenza. Non avevo, però, mai osservato quella quadruplice scultura in cima alla chiesa, appena sotto il gallo
ignoravo inoltre che anche quest'ultimo fosse un simbolo solare. Si definisce Tetramorfo (detto anche i «Quattro viventi») la congiunzione delle quattro rappresentazioni che simboleggiano i quattro evangelisti e, nello stesso tempo, le costellazioni dello zodiaco, gli elementi e i punti cardinali. Ecco la serie: san Luca, il bue, la costellazione del Toro, la terra, il solstizio d'inverno, il Capricorno, l'ovest; san Marco, il leone, la costellazione del Leone, il fuoco, l'equinozio di primavera, l'Ariete, l'est; san Matteo, l'angelo, la costellazione dell'Aquario, l'aria, l'equinozio d'autunno, la Bilancia, l'aria, il nord; san Giovanni, l'aquila, la costellazione delo Scorpione, l'acqua, il solstizio d'estate, il Cancro, il sud.
Il primo testo che stabilisce questa identificazione è Contro le eresie di Ireneo di Lione, del II secolo d.C. La prima rappresentazione conosciuta del tetramorfo risale al 420 - due piatti di un evangeliario conservato nel Duomo di Milano. In origine, si tratta di figure per metà umane e per metà animali: una testa d'uccello su un corpo umano per Marco, una testa di bue su un corpo umano per Luca, e così via. Il corpo di queste creature rinvia a uno dei quattro animali che trainano il carro della visione di Ezechiele.
Ecco quello che possiamo leggere nell'Apocalisse di Giovanni (4,6-7): «Davanti al trono vi era come un mare trasparente simile a cristallo. In mezzo al trono e attorno al trono vi erano quattro esseri viventi pieni d'occhi davanti e di dietro. Il primo vivente era simile a un leon, il secondo essere vivente aveva l'aspetto di un vitello, il terzo vivente aveva l'aspetto d'uomo, il quarto vivente era simile a un'aquila mentr vola». Queste quattro trasposizioni plastiche della visione di Ezechiele indicano i quattro angoli o colonne del mondo, i quattro elementi costitutivi del mondo fisico e le quattro costellazioni più grandi dello zodiaco.
In seguito, questi animali rimanderanno agli incipit dei quattro vangeli indicando ognuno un aneddoto sacro. Così, per esempio, l'angelo con la forma umana si riferisce a Matteo perchè il suo Vangelo comincia stabilendo la genealogia umana di Gesù. Marco è un leone perchè evoca Giovanni Battista che grida nel deserto. Il leone è anche il re degli animali, quindi indica il Re dei re, il Signore dei signori. Il suo ruggito incute timore, come la predicazione ai dottori della legge che terrorizza gli astanti. Luca è il bue che ricorda il sacrificio offerto a Dio e quello di Cristo per la salvezza degli uomini. Giovanni è l'aquila che vola dritta verso il sole per essere rinnovata: fissa l'astro senza chiudere gli occhi, presenta i suoi aquilotti al sole e protegge quelli che sostengono con lo sguardo la palla di fuoco; quelli che invece abbassano gli occhi, li rinnega. L'aquila simboleggia il grande intelletto dei santi oppure l'ascensione di Cristo. Fa il suo nido sulle vette più alte perchè disprezza ciò che è terrestre. Si nutre di speranza e di cielo.
Questo è il Tetramorfo posto in cima al campanile, altro simbolo solare. In epoca pagana, le colonne primitive servivano a misurare la corsa degli astri dal loro sorgere al loro tramonto. La zona tra le due torri segnava lo spazio compreso tra il minimo invernale e il massimo estivo. Gli estremi erano quindi marcati da due testimoni, due colonne che corrispondevano ai punti solstiziali. L'asse equinoziale era indicato da un betilo
l'antenato del campanile cristiano, appunto.
In cima a questo campanile, troviamo il gallo. Perchè quest'animale? Perchè si tratta di un simbolo solare. Nella religione mazdeista, da cui il cristianesimo prende molto in prestito, il gallo è consacrato a Mazda, dio della luce. Presso i greci, è consacrato a Elio. Avverte dell'arrivo del giorno, quindi della luce, annuncia il sorgere del sole, quindi la buona novella. Prima di lanciare il suo verso, si prepara aprendo le ali e battendosi i fianchi per svegliarsi. Incarna così il risveglio prima dell'annuncio della luce che dissipa le tenebre. È la voce di Cristo che distrugge quelle di Satana e dei suoi angeli caduti. Il testo evangelico precisa che la risurrezione di Cristo si compie nell'ora del canto del gallo, la cui voce annuncerà il giorno della resurrezione di tutti i morti. Quest'animale figura spesso nelle rappresentazioni degli strumenti della Passione. In uno dei suoi quattro inni, sant'Ambrogio definisce Gesù gallo mistico.
Cosmico il Tetramorfo, e solari il campanile e il gallo, come la fondazione del sito della chiesa. I costruttori scelgono spesso un luogo già sacro per gli antichi culti pagani: un'altura, un ruscello, una radura, un megalito, una fonte. Quindi, il rituale della costruzione parte dal cosmo. Fin dal neolitico, l'Oriente rimanda etimologicamente alla nascita: è il luogo da cui sorge il sole ed è pertanto assimilato alla vita; l'Occidente, da parte sua, etimologicamente associato alla rovina e alla caduta, indica il luogo dove il sole va a posarsi, il luogo della morte.
Il santuario si allinea al percorso del sole, perchè si tratta di far rinascere la vita in un recinto terrestre costruito a questo proposito. Si riproduce il processo della vita dopo la creazione facendo coincidere il raggio del sole, in un dato momento dell'anno, con il santo cui la chiesa è consacrata. L'orientamento si compie quindi partendo dal sole. Nel suo Manuale per comprendere il significato simbolico delle cattedrali e delle chiese, il vescovo Guillaume Durand de Mende (XIII secolo) scrive che la testa della Chiesa deve guardare verso Oriente, puntando quindi verso il sole, verso la luce. La tradizione architettonica di orientare gli edifici sacri pagani verso il sole che sorge è attestata, due secoli prima di Cristo, già dagli Atti di Ipparco di Nicea, erede degli astronomi caldei di Babilonia.
In pratica, sul punto in cui i transetti s'incroceranno, il costruttore compie il gesto fondativo: pianta a terra un palo, uno gnomone. Se si tratta di un periodo che precede il solstizio d'estate, il gesto viene compiuto al sorgere del sole, nel giorno della festa del patrono dell'edificio; in caso d'impossibilità, il gesto ha luogo al tramonto dello stesso giorno. L'architetto prende nota, in quel momento, dell'ombra proiettata dal palo: la sua direzione definisce l'asse est-ovest, corrispondente all'asse romano cardo-decumano, lo scarto massimo tra l'ombra del mattino e quella della sera. In seguito, traccia un cerchio all'interno del quale vengono inserite le quattro colonne del transetto. Questo tracciato definisce la navata e i contorni del santuario. Tracciato del cerchio, tracciato degli assi e tracciato del quadrato di base: è questa la triplice operazione con cui il santuario viene fondato. Un secolo prima della presunta nascita del sopra menzionato Gesù, Vitruvio forniva già i dettagli di questa operazione dei dieci libri del suo De architectura.
Sul muro posteriore della chiesa del mio paesino è presente un oculo ostruito, che in origine serviva a lasciar passare la luce solare proveniente da est. Questa luce ricadeva sul coro e sull'altare, proprio sotto il campanile, il Tetramorfo e il gallo. Il punto di congiunzione tra la linea verticale e celeste e la linea orizzontale, zenitale e terrestre, determina il luogo sacro per eccellenza: il luogo in cui si celebrerà l'eucarestia, mistero per i cristiani ed epicentro solare e pagano che sopravvive alle epoche per quell'ateo che sono io.
Quando il fedele entra in chiesa, si dirige quindi verso la luce. Varca la porta che è, anch'essa, un simbolo solare. Si dà una porta nel momento in cui una trave trasversale viene posta tra due torri che servono a misurare gli spostamenti del sole nel cielo. Il portico rappresenta il passaggio da un mondo a un altro: il credente procede dal mondo triviale e volgare del peccato quotidinao verso il mondo sacro della trasfigurazione spirituale. Il fuori, il dentro: il portico raffigura l'attraversamento che conduce dalle tenebre alla luce, dall'oscurità alla luminosità solare.
La porta intrattiene una relazione con lo zodiaco. Sintetizza le porte solstiziali identificate con le porte celesti. Attraverso le porte, passano le quattro stagioni connesse ai quattro punti cardinali, a loro volta associati alle quattro figure del Tetramorfo, allegorie dei quattro evangelisti. Le stagioni rinviano ai movimenti del pianeta: il nord al solstizio d'inverno, il sud al solstizio d'estate, l'est all'equinozio di primavera, l'ovest all'equinozio d'autunno. La porta principale della chiesa simboleggia la porta del cielo che è Cristo.
All'entrata della chiesa del mio paesino, la porta appare tra alcune colonne e l'archivolto decorato con motivi geometrici. Le colonne sorreggono capitelli fregiati con motivi vegetali. Questo miscuglio tra elemnti vegetali e intrecci geometrici fa pensare alle forme celtiche, ma anche, e soprattutto, a quelle dell'arte scandinava pagana. Quest'entrata di chiessa romanica cristiana costruita da muratori del Poitou cita motivi pagani che evocano la vitalità delle piante, la vita dei vegetali, le infiorescenze degli arbusti, delle foreste, dei boschetti e delle radici
la potenza di una forza naturale incarnata nella realtà più immanente.
Perpendicolarmente a questa porta, sulla cima del tetto della navata, è posta una croce antefissa che inscrive, all'interno del cerchio della ruota cosmica, una croce greca, con le braccia corrispondenti ai quattro elementi (il fuoco sopra, l'acqua sotto, l'aria a destra, la terra a sinistra). Il doppio asse dei solstizi e degli equinozi si inserisce nella figura dell'uroboro, rappresentazione della vita in cerchi concentrici. I druidi usavano questo tipo di croce durante le cerimonie cosmiche o falliche. La croce detta di Odino e la ruota di Taranis riuniscono le polarità opposte: ne troviamo traccia fin dal neolitico.
Lo stesso Cristo è il sole. Personalmente, parteggio per l'inesistenza storica di Gesù e per la sua costruzione a posteriori connessa al messia annunciato dagli ebrei, un messia che i cristiani sostengono sia effettivamente già giunto e corrispondente a colui  che era stato annunciato. D'altronde, è facile raccontare una vicenda che non ha avuto luogo storicamente attraverso un gioco sottile di simboli, di allegorie, di montaggi, di metafore, di apologhi, di favole, di miti e di finzioni. Sono parecchi gli storici che mostrano le incoerenze dei cosiddetti libri sacri, le contraddizioni dei Vangeli ritenuti sinottici, le stravaganze storiche di ciò che avviene nel racconto poetico e i numerosi errori logici.
Questa setta di successo diventa religione per volontà dell'imperatore Costantino all'inizio del IV secolo dell'era cristiana. Per forgiare questa religione, contraffatta nel corso di secoli, si sono resi necessari i contributi dei padri della Chiesa in un arco di mille anni, l'impiego della macchina da guerra scolastica nella creazione di concetti utilizzati come armi ideologiche e intellettuali, l'invenzione dell'intellettuale al servizio del principe (Eusebio di Cesarea, per esempio), la moltiplicazione dei concili che stabiliscono l'ortodossia perseguitando gli eterodossi, e gli editti imperiali fortemente discriminanti nei confronti dei pagani, l'uso della spada di san Paolo per fini politici, il ricorso radicale e sistematico alla teocrazia, il cinismo di un clero complice di inquisitori, crociati, conquistadores e di tutta la schiera di spargitori di sangue.

Entro tale contesto, il Cristo è il nome assunto, in quel particolare momento storico, dal principio sul quale si costituisce il sacro: il culto della vita, la celebrazione del vivente, la passione per la vita che vuole la vita, il sole e la sua luce che operano come matrice delle matrici. Gesù è un'impostura, il Cristo è la finzione sublimata di questa impostura. I meravigliosi episodi della vita di Cristo sono già presenti nelle letterature antiche che precedono questa finzione: l'Annunciazione rimanda a Pitagora o a Platone; l'incarnazione degli dèi esiste già presso gli egizi (Plutarco fornisce i dettagli in proposito), i cinesi, i greci (si legga o si rilegga Omero) e i romani (si confronti Ovidio); la grotta di Betlemme in cui sarebbe nato Gesù è un santuario in cui si celebrava Adone; i magi guidati dalla stella hanno un corrispettivo in storie iraniane o siriane; la strage degli innocenti e la fuga in Egitto sono episodi già rintracciabili presso gli egizi; il bambino che dà lezioni ai dottori del Tempio rimanda alla vita di Pitagora, Zoroastro e Buddha, i quali, giovanissimi, confondono maestri di saggezza molto più vecchi di loro; sempre nel caso di Buddha e Zoroastro, la letteratura avestica, per esempio, dà testimonianza di una tentazione nel deserto; amare il prossimo è un concetto già presente in Cicerone e non fare agli altri ciò che non vogliamo venga fatto a noi è anche una massima confuciana; l'invito a perdonare le offese e a rispondere all'odio con l'amore è già formulato nei libri della saggezza faraonica; il salvatore escatologico esiste anche in Persia e il nome del Signore già presso i siriani; i miracoli sono legione in tutta la letteratura antica (fra una moltitudine di esempi: Esculapio è ritenuto un guaritore e un taumaturgo, Apollonio di Tiana resuscita una bambina, Empedocle riporta in vita una donna morta da trenta giorni); non è solo Gesù a camminare sulle acque, ma anche Dioniso e, secondo il Rigveda, i gemelli indiani Ashvin; la morte seguita dalla resurrezione è un luogo comune nel caso delle divinità, si veda l'egiziano Osiride, il babilonese Tammuz, il sumero Enlil, il fenicio Aleyan-Baal, l'asiatico Attis e il greco Dioniso; il fenomeno astronomico dell'eclisse di sole coincidente con la morte di Cristo rimanda al terremoto seguito all'entrata di Buddha nel nirvana, allo stesso fenomeno accompagnato da un uragano in occasione del rapimento in cielo di Romolo o ai prodigi associati alla morte di Cesare, che Virgilio ricorda nelle Georgiche; il sangue come vettore di redenzione è presente anche nel culto di Cibele e di Attis, in quello di Mitra e nell'orfismo; l'Ascensione è assimilabile ai voli magici: Buddha, Adapa, Ganimede e molti altri sono stati gli adepti di questo mezzo di trasporto. Ci fermiamo qui, sapendo però che quest'elenco è solo una goccia in un oceano di citazioni che potrebbero testimoniare in questo senso.
Gesù Cristo coagula vecchi miti, storie e finzioni antiche, ancestrali leggende: è una figura priva di particolare spessore, storicamente trascurabile. È semplicemente la forma assunta in un dato tempo e in un dato luogo dal desiderio di costruire storie rassicuranti partendo da un vecchio sottofondo primitivo
quello del culto della vita, del vivente, del sole e della sua luce che dà vita a tutto ciò che esiste in natura. Gesù Cristo incarna il desiderio degli uomini di rendere culto al mistero dell'essere vivente che sfugge alla morte e risorge nonostante il trapasso.
Il Cristo è il nome assunto dal sole all'interno di una storia particolare e di una geografia precisa: fin dala sua costituzione, il cristianesimo si inscrive nella logica solare pagana. Sol justiciae, Sole di giustizia, i testi continuano ad affermarlo - il profeta Malachia, san Luca, Dionigi l'Aeropagita, i poeti dei Salmi. Lo stesso Cristo afferma in Giovanni (8, 12): «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita». Gli sono associati due attributi: la luce della saggezza e il calore dell'amore, che presiedono alla creazione e alla rivelazione.
La regolarità dei movimenti solari offre un'immagine perfetta dell'ordine e della giustizia crisica
o l'inverso: l'ordine e la giustizia cristica offrono un'eccellente immagine della regolarità dei movimenti solari. L'ordine (che è l'etimologia di cosmo) dispone della propria incarnazione nel verbo e nell'Essere stesso di Cristo. Allo zenit, a mezzogiorno, è lui che suddivide la durata del giorno in due parti uguali, manifestando in questo modo la giustizia divina; immobile in questa posizione, indica l'immagine dell'istante eterno ed è il segno della potenza che domina gli elementi.
Il Cristo è il sole perchè è signore del tempo e perchè ne regola il cammino; ritma e cadenza il ciclo diurno. Il Cristo è il giorno e i dodici apostoli sono le dodici ore del giorno; muore di sera, all'ora nona; scende agli inferi e torna passando per l'est del mattino, attraverso le nascoste vie del nord. Ecco perchè, nella vita religiosa, le preghiere dell'ufficio sono scandite dal cammino del sole: i mattutini raccontano l'arrivo della luce e la scomparsa delle tenebre; le lodi esprimono la fine del momento in cui il sole appare sull'abside orientale della chiesa; la terza indica il fuoco solare che sale; la sesta coincide con l'arrivo del sole al suo zenit, quando infiamma il mondo intero; al'ora nona, l'ora della morte di Cristo, l'ora in cui il mondo comincia a rabbuiarsi, la luce declina; ai vespri, si dicono le preghiere della sera; alla compieta, si esprime la nostalgia della luce, una volta scesa la notte. I mattutini torneranno il mattino dopo, con la resurrezione di Cristo, morto all'ora nona.
Il giorno si presenta così suddiviso secondo l'ordine solare. La stessa cosa avviene per la settimana, in cui ogni giorno indica un pianeta. Nel sistema geocentrico che colloca la terra al centro e il sole ai margini, i giorni sono nominati in funzione della loro prossimità con la prima. Partendo dal più vicino, il risultato è: lunedì la Luna, martedì Marte, mercoledì Mercurio, giovedì Giove, venerdì Venere, sabato Saturno e infine, corrispondente alla massima distanza dalla terra, domenica, il giorno del Sole, dies solis, che diventa il giorno del Signore per decreto di Costantino il 3 luglio 321. Per evitare di sopprimere il giorno dedicato al culto solare, l'imperatore mantiene la festa, ma la svuota del suo contenuto pagano, caricandola di valori cristiani: la festa continua senza il sole, o, meglio, con un sole che, però, si chiama Cristo.
Dal mattutino fino alla compieta, la giornata cristiana è solare; dal lunedì alla domenica, la settimana cristiana è solare; allo stesso modo, dal Natale all'Avvento, l'anno cristiano è solare. Anche le grandi feste cristiane sono, in effetti, indicizzate sul movimento dei pianeti: l'Annunciazione, il Natale, l'Epifania, la Candelora, la Pasqua, la festa di san Giovanni il Battista e quella di san Michele intrattengono tutte una relazione pagana e solare con il gioco delgi equinozi e dei solstizi.
Si consideri il Natale: per moltissimo tempo, la data di nascita di Cristo rimane imprecisata. Una ragione c'è: una finzione, una leggenda, un mito, una costruzione concettuale come quella di Cristo non può avere una data di nascita precisa, perchè, assieme a parecchie altre informazioni che pretendono di essere storiche e biografiche, integra un racconto che presuppone una contraffazione esercitata per un lungo periodo.
Prima di essere fissato al 25 dicembre, il Natale era festeggiato il 6 gennaio. Moltissimi erano, però, i pagani che commemoravano la festa solare del 25 dicembre, corrispondente al solstizio del calendario giuliano, vale a dire alla nascita del dio Mitra, Sol Invictus, il sole invitto! Come nel caso della domenica, la chiesa ha mantenuto la festa, svuotandola però del contenuto solare e collegandola alla data di nascita del suo personaggio fittizio. Il ceppo acceso per aiutare il sole a riprendere forza in modo che possa invertire il proprio corso e produrre più luce, l'offerta votiva provenzale dei semi nel piattino per festeggiare la germinazione, come facevano i discepoli di Adone, l'aggiunta tardiva dell'abete sempreverde: tutto questo mostra che, nel culto sincretico cristiano, il paganesimo gioca una parte decisamente rilevante.
La stessa messa di mezzanotte, epicentro della vigilia di Natale, si svolge, come indica la parola, a metà della notte; fino a quell'ora, il movimento procede verso un più di notte, producendo la massima quantità di tenebre; successivamente, il movimento s'inverte, si fa discendente e procede verso la luce del primo mattino, verso l'aurora. Il tutto s'inscrive in un ciclo di quattro messe: la Vesperina, celebrata al tramonto del sole; quella della notte, precisamente a mezzanotte; quella dell'aurora, officiata prima del sorgere del sole; e infine la messa del giorno di Natale. Il ricorso alle luci, alle illuminazioni e alle candele era talmente intrecciato ai Saturnali romani che, qualche volta, la Chiesa ha dovuto vietare queste manifestazioni in quanto troppo pagane.
Senza saperlo, i cristiani aderiscono quindi a un antico culto pagano e solare. Anche nel giorno dell'Epifania si celebra in realtà una festa della luce, non più però secondo il calendario solare ma secondo quello lunare: i dodici giorni che separano le due feste corrispondono, infatti, allo scarto tra l'anno lunare, che conta 354 giorni, e l'anno solare, di 365 giorni. Dopo il passaggio al calendario solare, le autorità non hanno abolito del tutto quello lunare: di qui l'invenzione dell'Epifania, che celebra la manifestazione di Gesù al mondo impersonato dai re Magi, tre uomini di colori differenti a significare il carattere universale di questa cerimonia dell'«esserci» messianico. Il giorno dell'Epifania rappresenta così il ritorno della luce secondo l'ordine del calendario lunare, mentre il Natale rappresenta la stessa cosa secondo le ragioni del calendario solare.
L'abitudine di festeggiare i re Magi con una galletta e una fava rimanda ad una simbologia molto antica, anch'essa collegata ai culti solari che celebrano la vita, il vivente e ciò che, nella vita, vuole il vivente. La forma rotonda e il colore dorato della galletta rimandano, naturalmente, al sole. La presenza di una fava cita la simbologia pagana antica: questa pianta è, in effetti, l'unica a presentare uno stelo cavo per mezzo del quale i vivi e i morti possono comunicare. Con questo stelo senza nodi, gli uomini, si diceva, risalivano dalle tenebre dell'Ade verso la piena luce del mondo.
I pitagorici avevano constatato che, messa sotto terra o nel letame, la fava produceva bizzarri incantesimi: sangue, teste di bambini, sessi di donne. Il legume era dunque per i discepoli di Pitagora il primo essere vivente sorto dalla corruzione, il primo essere prodotto dalla decomposizione, il primo lampo di ciò che viene liberato dalla putrefazione delle tenebre. Associavano la fava anche allo sperma, principio vitale per eccellenza, in qunato la leguminosa, esposta al calore del sole, emanerebbe l'odore del liquido seminale.
La Candelora obbedisce alle stesse logiche: come il Natale e l'Epifania, anch'essa si iscrive nel ciclo delle feste della luce. Aderendo al principio secondo il quale la biografia di Cristo sposa la linea delle ricorrenze solari pagane, l'antica festa delle candele, festa della purificazione che i romani facevano corrispondere alla transizione al nuovo anno e associavano ai Lupercali, e che i celti commemoravano con l'imbolc, diventa la celebrazione della Manifestazione di Cristo. a luce pagana è trasfigurata in luce cristica. Nel 494, papa Gelasio trasforma le candele accese a mezzanotte per compiere il rito di purificazione in ceri che commemorano Cristo, luce del mondo.
Del resto, come la galletta circolare gialla dell'Epifania, anche le crespelle associate alla Candelora, rotonde e dorate, simboleggiano il sole. Si tratta di un periodo dell'anno che segna, in effetti, un aumento della durata del giorno. Ed è anche il periodo in cui i contadini (ricordiamo la prossimità etimologica tra il termine «pagano», paganus, e la parola francese che indica i contadini, paysan) realizzavano la semina. Con l'eccedenza di grano, i contadini producevano una farina che le donne usavano per preparare le crespelle.
La Domenica delle Palme i cristiani festeggiano l'ingresso di Gesù a Gerusalemme, acclamato da una folla che agita rametti di palma; commemorano al contempo la morte e la passione di Cristo. In francese, questa festa viene anche chiamata Dimanche des Rameaux, cioè «Domenica dei Ramoscelli», o Pasque fleuries, «Pasqua fiorita». Quando Matteo e Marco raccontano la storia di Gesù, riciclano l'antica usanza pagana di festeggiare il rinnovarsi della vegetazione e della fecondità. Plutarco racconta la processione delle Pianepsie, che celebrava la raccolta della frutta e nel corso della quale veniva, naturalmente, offerta frutta ma anche altri doni: pane, fichi, miele, olio, vino, erba e... dolci rotondi - come il sole. Ovidio riferisce che alle calende di marzo si usava cambiare i rami di alloro appesi nelle case dei ministri del culto.
I ramoscelli annunciano quindi la Pasqua, la passione, la crocifissione e la morte di Cristo, e poi la sua resurrezione. Gesù muore, come i fiori e le piante, che appassiscono e avvizziscono; la mitologia cristiana però racconta anche che rinasce, che torna dalla morte, dimostrando di incarnare, esattamente come l'abete (di Natale), come il bosso (della Domenica delle Palme), come le uova (di Pasqua), come le fave (dell'Epifania), come le crespelle e le gallette (della Candelora e dei Re Magi), la permanenza della vita, la potenza del vivente, la vitalità all'opera nella fotosintesi clorofilliana, la forza indefettibile dell'energia solare. Gesù è il nome imposto per secoli da Costantino e dai suoi seguaci cristiani al sole invitto.
Anticamente, la Pasqua veniva festeggiata il 25 marzo, data dell'equinozio nel calendario giuliano, ma anche della passione della divinità frigia Attis e delle feste di Adone. Ancora una volta, il cristianesimo associa un episodio della vita del proprio mito, Gesù, a una festa popolare, pubblica e ancestrale. Il cammino della croce, con le sue stazioni e con le preghiere annesse, si celebra anche nelle feste egizie, in particolare nel culto di Isis.
Le uova di Pasqua sono un simbolo di resurrezione in tutto il bacino mediterraneo. Gli archeologi ne hanno trovate persino nelle tombe preistoriche e poi, senza soluzione di continuità, presso gli egizi, i fenici, i greci, i romani e gli etruschi. Quando le uova sono dipinte di rosso, il colore indica la luce di Cristo. A volte, nelle chiese, i cristiani appendono delle uova di struzzo: è ancora una storia che rimanda al cielo a spiegarcene la ragione. Si dice che, dopo aver seppellito le sue uova nella sabbia, lo struzzo se ne dimentichi e che, solo dopo aver visto una certa stella, si ricordi di tornare a covarle. Morale della storia: scrutare il cielo e vedere la luce, nel caso specifico quella delle stelle, significa ricordarsi che non bisogna lasciar trionfare la morte, quindi le tenebre, ma volere la vita, quindi la luce.
Alla Moschea Blu di Istanbul, ho visto un uovo di struzzzo collocato a metà di un lungo cavo che scendeva dalla volta verso i fedeli, sorreggendo un immenso lampadario. Un musulmano che mi aveva riconosciuto (mi disse di essere corrispondente per Le Monde) mi informò di aver letto il mio Trattato di Ateologia e che ne disapprovava, evidentemente, le tesi. Attaccai una discussione e, per illustrare il mio proposito, gli raccontai l'aneddoto dello struzzo; mi disse che non poteva in alcun modo trattarsi di una citazione pagana perchè quell'uovo serviva a impedire ai roditori di arrampicarsi per rosicchiare la corda
d'acciaio.
Nella liturgia cristiana, la domenica, giorno del Signore, giorno del sole, giorno di Mitra, giorno del sol invictus, corrisponde al giorno della commemorazione della risurrezione che è, essa stessa, promessa di luce in un mondo di tenebre. Secondo la mitologia pagana, Gesù muore di venerdì, giorno di Venere, e resuscita tre giorni più tardi, di domenica, giorno di sé stesso. Dato che la domenica coincideva con una festa pagana, fu facile per il potere cristiano sopprimerne il valore simbolico senza abolirla concretamente (progetto che sarebbe risultato sicuramente impopolare): da giorno della festa solare divenne il giorno dell festa cristica.
La Trasfigurazione di Gesù viene festeggiata il 6 agosto, data che, singolarmente, si trova a eguale distanza dal solstizio d'estate e dall'equinozio d'autunno - a metà dell'estate, dunque. E' il momento in cui, secondo gli evangelisti, Cristo cambia aspetto corporeo e sfoggia un volto luminoso. I suoi vestiti diventano bianchi come la luce - dicono i testi. Ai tre discepoli presenti, appaiono anche Mosè ed Elia, tutti avvolti, come lo stesso Cristo, da una nube luminosa. È Dio che parla.
In ultimo, anche la Festa di san Giovanni Battista magnifica la logica solare del cristianesimo: prima di diventare la festa di Giovanni, è stata la festa del solstizio d'estate, quando la notte è più corta e il giorno è più lungo, cioè il massimo di luce e il minimo di tenebre, una giornata simbolica per eccellenza. Per sostituire la cerimonia più potente del mondo pagano, occorreva escogitare una grandiosa ricorrenza cristiana: la nascita di Giovanni Battista, appunto.
La potenza suprema non è quindi costituita dal Natale, nè dalla morte o dalla resurrezione a Pasqua, ma dal battesimo nel Giordano. Nell'Antico Testamento, Mosè non riesce a passare il Giordano, che è il confine della Terra promessa. Ciò che non poteva fare l'ebreo Mosè, potrà farlo Gesù: questo battesimo di un Dio fattosi uomo è l'atto di nascita del giudeo-cristianesimo. Il Messia annunciato dall'Antico testamento degli ebrei diventa il Messia giunto fra noi, un Messia reale, concreto e presente. Per gli ebrei il Messia deve ancora venire; per i cristiani è già giunto - quel giorno e con quel gesto.
E' giunto come Figlio di Dio fattosi Uomo. In quanto uomo, come tutti gli uomini, porta i peccati del mondo. Il battesimo gli conferisce la sua missione: appena comincia la cerimonia, il cielo si apre, lo Spirito Santo scende dal cielo sotto forma di colomba e la voce di Dio certifica questa missione. Per coloro che vi aderiscono, quel luogo e quel rito sanciscono l'inizio del cristianesimo, e la fine del giudaismo. E' il momento spirituale della più grande chiarezza solare e della minore quantità di tenebre sulla terra. Il fuoco pagano della festa di san Giovanni Battista diventa l'epifania della luce di Cristo.
Per terminare questo percorso che mostra come la storia sacra sia sempre scritta in rapporto al cosmo pagano, precisiamo quanto segue: se la vita di Gesù ricicla lo schema del movimento pagano degli astri nel cosmo, anche quella di Maria, la vergine madre, offre una versione allegorica, simbolica e metaforica dello stesso movimento. Le feste mariane corrispondono a quella dei culti di Cibele e di Iside (quest'ultima tiene fra le braccia Horus come la Vergine il bambino Gesù). La suddetta Vergine Maria deriva, infatti, dalla Grande Dea Madre che è semplicemente la divinità della terra e della natura selvaggia. Questo culto risale alla preistoria e riguarda naturalmente gli egizi, ma anche i baschi, popolo misterioso di cui sappiamo però che il loro panteismo annoverava una dea della Natura chiamata... Mari. I baschi celebravano la natura nelle sue manifestazioni celesti e terrestri: il sole e la luna, l'aria e l'acqua, le montagne e le foreste.
La Vergine dei cristiani è la Regina del cielo. Nell'antichità pagana, la data dell'Assunzione (15 agosto) della Vergine Maria («Vergine vestita di sole» secondo l'Apocalisse [12, 1]) oscillava tra il 17 agosto, giorno di Giano, dio della porta del sole e della porta celeste, e il 13 agosto, giorno di Diana, dea etimologicamente collegata alla luminosità del sole, divinità vergine e fecondante, sorella del sole e assimilata anche alla luna. Ancora una volta, la luce simbolica e allegorica, la luce metaforica e parabolica è connessa alla luce solare cosmica e reale, concreta e astronomica.
Il cristianesimo ci ha privati del cosmo pagano mascherandolo e travestendolo con storie orientali, favole mediterranee, miti egizi, allegorie ebraiche, simboli gnostici, metafore millenariste e montaggi babilonesi, sumeri, mazdei e persiani. Ci priva del cosmo reale e ci dispone in un mondo di segni che non hanno più alcun senso; al contrario, prima del suo avvento, il senso era generato dai segni cosmici. Là dove occorreva riconoscere qualcosa di concreto, il giudeo-cristianesimo ha collocato un simbolo, abolendo la verità immanente dei ritmi lunari e solari, dei movimenti delle costellazioni, dei significati stellari, delle cadenze dei giorni e delle stagioni, a profitto della stravagante storia di un bambino nato da un padre che non era suo padre, di un neonato concepito e portato in grembo da una madre vergine, inseminata da uno Spirito Santo sotto forma di colomba, di un uomo che mangiava e beveva solo simboli e che non ha mai mostrato di essere sottomesso alle più triviali leggi del corpo (digerire, ruttare, defecare, copulare...), di un taumaturgo che resuscitava i morti e che, alle parole, faceva seguire i fatti, morendo lui stesso e resuscitando dopo tre giorni, per arrampicarsi direttamente al cielo e sedere alla destra di Dio - l'altro Padre, quello vero.
Sepolte sotto strati di paganesimo, le verità pagane sono scomparse: il «midollo sostanziale» dei contadini, che conoscono la natura e la invocano per ottenere i suoi favori, è stato sostituito da una storia metaforica e lambiccata, costruita come una favola. Si trattava di sedurre un popolo ignorante raccontandogli delle storielle. Il meraviglioso fu sfruttato come eccipiente per far sì che si accogliesse il calice amaro di una religione che volge sempre lo spirituale nel temporale, affinché il re, aiutato dal suo clero, potesse usare la paura dell'aldilà per giustificare in questa vita obbedienza, sottomissione, remissività e servitù.
All'origine di qualsiasi cultura, c'è l'agricoltura. Ciò che è agricolo definisce il campo coltivato: il campo è la natura, e la coltura di questo campo, che è l'agricoltura, sarà la cultura. Una volta, la cultura dei campi era un pleonasmo; oggi, è diventata un ossimoro, considerato che la cultura passa per essere una secrezione urbana. L'agricoltore lavora i campi: ara, semina, taglia, cura, raccoglie e poi ara di nuovo, semina ancora, continua a curare, ecc., e questo per tutta la vita, come hanno fatto i suoi antenati e come spera faranno i suoi discendenti. L'operaio agricolo lavora al servizio di una cultura perduta, seppellita, distrutta e svalutata dalla cultura dominante che è cultura delle città, cultura dei libri, anti-natura, contro-cultura dei campi.
Virgilio ha raccontato il lavoro nei campi: conoscere la natura dei terreni, dei suoli e dei sottosuoli; distinguere le terre magre da quelle grasse, quelle umide da quelle fredde, quelle dense da quelle friabili; saper interpretare le informazioni fornite dal cielo; essere al corrente di tutte le pratiche agricole ancestrali, ricche di saperi millenari; riuscire a leggere le informazioni dei venti quando questi promettono pioggia o scottature, putrefazione o siccità; essere iniziati ai misteri dell'arboricoltura quali sono la potatura e l'innesto, la margotta e la propagazione; saper piantare i vitigni giusti nei terreni giusti e nei giusti momenti dell'anno; orientare bene i vigneti; prendere tutte le precauzioni necessarie per le pianticelle appena nate; prima di tutto proteggere le piante quando stanno crescendo e poi trattarle con energia; occuparsi come si deve degli ulivi, degli alberi da frutto e di quelli che forniscono legna per la falegnameria.
Allo stesso modo, Virgilio affronta la questione degli animali; saper scegliere le giovenche e gli stalloni e accoppiare gli animali con intelligenza; saper addestrare come si deve i buoi da tiro, i cavalli da guerra e i destrieri destinati alle corse; saper accettare lezioni di saggezza dal toro; saper osservare le pecore e le capre; imparare a tosare e a fare il formaggio; conoscere le malattie del bestiame e sapere come prevenirle o come guarirle; conoscere le abitudini del serpente; imparare a osservare le api, a produrre il miele buono e a orientare correttamente gli alveari verso il sole nascente. Riconoscere che possiamo governare la natura solo quando le obbediamo. E, attraverso tale serie di iniziazioni, capire a cosa potrebbe somigliare un dio che presiedesse all'organizzazione di tutta questa meccanica divinamente organizzata.
La cultura indicava, allora, la conoscenza necessaria all'agricoltura. A quei tempi, non si chiedeva ai libri di dire quello che si poteva apprendere direttamente dalla natura: la si guardava, la si esaminava, la si osservava, si viveva in armonia con lei, si ascoltavano gli anziani che, a loro tempo, avevano ascoltato e imparato da altri anziani. Era fuori questione il fatto di porre un libro fra sé e il mondo: guardare il sole, la luna e le stelle presuppone un rapporto diretto. Si sapeva quello che c'è nel cielo non perchè un letterato aveva stabilito di vedervi, nel caso specifico, la dimora di un Dio unico, collerico e vendicatore, amico dei principi e dei re, degli uomini di potere e dei guerrieri, dei ricchi e dei forti; al contrario, nel cielo si vedeva ciò che effettivamente racchiude: l'eterno ciclo del ritorno delle stagioni di cui l'uomo non è spettatore ma parte integrante.
Il Libro monoteista si è interposto come uno schermo tra la natura e gli uomini, distruggendo tutti i testi che riconducevano alla prima e imponendo ciò che dalla stessa allontanava a vantaggio della cultura libresca. Con il Libro unico, gli uomini sono diventati letterati ma incolti; hanno letto, ma non hanno più saputo; hanno commentato, ma non hanno più visto; hanno salmodiato, recitato, declamato, ma non hanno più osservato; hanno chiosato, annotato, commentato, spiegato, analizzato e interpretato, ma sono diventati ciechi e sordi di fronte al mondo. Gli uomini che conoscevano il mondo sono stati schiacciati dalle biblioteche per essere rimpiazzati da altri uomini che, invece, sapevano leggere, scrivere e contare - tutti strumenti volti a dominare gli altri attraverso la parola. Quando il Verbo si è fatto religione, la Natura è diventata la sua nemica prediletta. I solstizi e gli equinozi, i cicli lunari e il percorso del sole nel cosmo, l'alternanza del giorno e della notte, la successione delle stagioni e il loro eterno ritorno: tutto questo è stato soppiantato da Gesù, da Maria, da Giuseppe, dai Re Magi, dal bue e dall'asinello nel presepe, dal Padre, dal Figlio e dallo Spirito Santo, dal tronchetto di Natale, dall'uovo di Pasqua e dai falò di san Giovanni. Guardando il cielo, gli uomini hanno smesso di ammirare le costellazioni della Via Lattea; da allora in poi avrebbero visto unicamente il groviglio dell'angelologia giudaico-cristiana.

(pag. 329-345)

Si noti in particolare l'ultima frase: ciò che Onfray colpevolmente pone alla fine dell'intero processo -  “il groviglio dell'angelologia giudaico-cristiana” - in realtà è posto da Richard Carrier al principio dello stesso mito di Gesù: in origine, un arcangelo celeste esperito unicamente mediante sogni, visioni, rivelazioni, intrepretazioni delle scritture e allucinazioni.

Mai sceso sulla Terra.



NOTE:


[1]
O se ne stanno a guardare a serate intere un furbo ragno crociato che sta in agguato e predica la furberia anche ai ragni insegnando: «Sotto le croci si tesse bene!».
(F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra)

sabato 9 aprile 2016

Contro il Gesù mitologico non c'è Testimonium che tenga



Una parola di avviso a quelli che discutono con gli apologeti: evita di dire che Gesù non è esistito. Assumi che è esistito, e passa avanti.
(Jesus Did Not Exist A Debate Among Atheists, Raphael Lataster, Richard Carrier, pag. 22, nota 59, mia libera traduzione)

Nonostante la prevedibile resistenza dei folli apologeti cristiani, il miticismo sta a poco a poco diventando un soggetto di dominio pubblico, penetrando lentamente nel dibattito popolare quotidiano, come dimostra la pubblicazione di questo articolo del giornalista Brian Bethune sulla rivista canadese MacLean (a quanto pare, riservata a lettori di media educazione). Solo due anni fa Raphael Lataster aveva pubblicato un articolo sul miticismo presso The Washington Post.

Mi piace lo stile semplice e chiaro di Bethune, nonchè la lucidità (direi perfino: l'originalità) nell'analisi dell'ultimo felice libro di Bart Errorman che compendia la più fresca ricerca scientifica sulla memoria. Ormai è chiaro che esistono due Bart Errorman: uno che coi folli apologeti cristiani si diverte a sparare a zero sull'inaffidabilità dei vangeli, facendoli incazzare a turno (e chi può dargli torto, forte com'è della sua acquisita esperienza?) ed un altro Errorman, che pur di difendersi dai miticisti non esita a scimmiottare i peggiori “argomenti” dell'ultimo dei folli apologeti cristiani.

I quali apologeti sono oramai completamente alla frutta dementi e cretini come sono per definizione non avendo niente di meglio da fare che appellarsi ancora e ancora di nuovo, indovinate un pò... ...sull'autenticità (“parziale”, mi raccomando) del Testimonium Flavianum puntualmente presentato come prova (!) della storicità di Gesù così da grottescamente “vincere facile” una volta per tutte la disputa coi miticisti (evitando di approfondire).

Parlando con un folle apologeta cattolico su un forum (e non mi accade sovente di parlare con una bestia, perchè un cristiano tale diventa quando si confronta con vera evidenza) son rimasto impressionato dall'ennesimo pervicace tentativo di far spacciare come attualissimo “status quaestionis” la tesi dell'autenticità “parziale” del Testimonium Flavianum (quasi che la semplice esistenza di un consensus basti a dissipare ogni controversia), per di più non trovando nulla di meglio per supportare tale assurda pretesa (lo scemo riusciva a trovare solo citazioni accademiche a suo supporto vecchie di una decina d'anni se non di più)  che le stesse parole di Ken Olson, per di più in un recente articolo accademico del Dr. Olson che fa praticamente a pezzi ogni speranza di liberare almeno un parziale Testimonium Flavianum dal forte sospetto che sia un falso totale perpretrato da zelanti cristiani (più probabilmente, da quel fetente apologeta ortodosso di Eusebio di Cesarea ).

Ecco le parole irrazionali di questa bestia cattolica:

Egli [Olson] scrive, per tuo dispiacere (ma penso che tu lo sappia, il problema è che sei un disonesto cialtrone, oltre che impotente, e pertanto citi male le fonti)
" Probably the dominant opinion on the Testimonium Flavianum in recent historical Jesus scholarship follows the second method and supposes that the received text is not what Josephus wrote, but that we can recover what Josephus wrote by conjecturally emending the passage. By removing the three most overtly Christian statements from the text, we are left with a “core” text that is Josephan in language and non-Christian in content. This is the approach taken by John Meier in his widely cited and influential treatment of the issue in the first volume of A Marginal Jew: Rethinking the Historical Jesus. "
E come vedi, caro il miticista, conferma ciò che ho riportato, ovvero che lo status quaestionis sul TF rimane saldamente a favore di una parziale interpolazione su un sostrato autentico.

Se Niccolò Copernico in persona scrivesse che lo status quaestionis del suo tempo sosteneva la verità della concezione geocentrica (tolemaica) contro quella eliocentrica, allora il demente apologeta cattolico in questione concluderebbe in piena coerenza alla sua logica (ma abbiamo già visto che è tanto scemo da essere privo dell'una come dell'altra) che “la concezione tolemaica è vera” perchè lo stesso Copernico riconosce tra le righe che il consensus del suo tempo la pensa così, “dunque” quel consensus avrebbe ragione (!).

Si confrontino le due “logiche” come sono simili:

1) Ken Olson 2013, mentre fa un caso contro il Testimonium Flavianum, riconosce che il consensus salva l'autenticità parziale del Testimonium Flavianum.
2) perciò esiste un consenso perchè Ken Olson in persona lo dice.
3) “perciò” (!) quel consenso ha ragione (“il Testimonium Flavianum è parzialmente autentico”), contro lo stesso caso presentato da Ken Olson.

1) Copernico, mentre fa un caso contro la concezione geocentrica di Tolomeo, riconosce che il consenso contemporaneo ritiene errata la tesi eliocentrica.
2) perciò esiste un consenso perchè Copernico in persona lo dice.
3) “perciò” (!) quel consenso ha ragione (“il pianeta Terra è al centro dell'universo”), contro lo stesso caso presentato da Copernico.

In realtà non ci vuole molto a leggere l'intero articolo del Dr. Olson (da me tradotto qui, qui e qui) per realizzare che ha semplicemente ragione: il Testimonium Flavianum è una totale interpolazione cristiana.

E un apologeta cristiano, se solo fosse onesto intellettualmente (non decisamente il caso del demente cattolico di cui sopra), risponderebbe a quell'articolo quantomeno con lo stesso prudente e umile commento del cristiano Kris Keith:
Ken, thanks for this interesting post! I confess my guilt in being one of the people who have simply repeated scholarly consensus in publication! You've given us much to ponder. All that oversight is good for your PhD, though!

Traduzione:
Ken, grazie per questo interessante post! Io confesso la mia colpa nell'essere stato una delle persone che hanno semplicemente ripetuto il consenso accademico nella pubblicazione! Ci hai offerto un sacco da ponderare. Tutto quel avvistamento è positivo per il tuo Dottorato di Ricerca, però!

Liquidato così l'ennesimo folle apologeta cristiano degno emulo di quell'idiota di Lorenzo Noli (sulla cui onestà intellettuale non che nutrissi qualche fiducia, considerato come tutti i cristiani sono dementi e a me interessa dialogare, per ovvi motivi, con gli atei e solo con loro, sulla questione della storicità di Gesù), non resta che rimandare alla lettura del superbo articolo di Brian Bethune, per dare un piccolo assaggio della vera questione e del vero drammatico scenario che gli storicisti presenti e futuri sono costretti d'ora in poi, loro malgrado, ad affrontare, senza più nessun Testimonium Flavianum che tenga.

La ricerca sulla memoria ha messo in dubbio le poche cose che sapevamo di Gesù, sollevando una questione ancora più grande.


Brian Bethune


23 marzo 2016


“Fate questo in memoria di me”, disse Gesù durante l'ultima cena, secondo il vangelo di Luca. Ma i ricordi dell'uomo Gesù si sono dimostrati ostinatamente sfuggenti per gli storici che sono convinti che la verità del figlio di Dio si trova sotto la superficie dei racconti evangelici scritti decenni dopo la sua morte. Ora, per la prima volta, uno dei più importanti studiosi del Nuovo Testamento in America è andato al di fuori del suo stretto campo, spinto tanto dalla frustrazione, quanto dalla curiosità, per esaminare ciò che la scienza della memoria potrebbe offrire per separare il grano storico dal loglio teologico nei vangeli. In tal modo, il professore di studi religiosi dell'Università del North Carolina Bart Ehrman potrebbe aver aperto un nuovo fronte nelle dispute su Gesù attualmente quiescenti, un quarto di secolo di studiosi devoti e laici che combattono su che cosa, esattamente, è la verità del vangelo.

L'obiettivo di Ehrman era quello di illuminare il ruolo della memoria nella realizzazione delle storie di Gesù che appaiono nella Bibbia, e di vedere fino a che punto reggeva il ruolo assunto dai testimoni oculari nel supportare eventi miracolosi. Ma nel racconto c'è una distorsione, però, e la fragilità della memoria umana si è rivelata più profonda di quanto Ehrman ha sospettato o, forse, ha sperato. Il suo illuminante Jesus Before the Gospels: How the Earliest Christians Remembered, Changed, and Invented Their Stories of the Savior potrebbe dimostrarsi molto utile per tutti coloro che sostengono una posizione che Ehrman trova più ostinatamente sbagliata della stessa insistenza sulla verità letterale della Bibbia. La ragione per cui gli storici biblici non riescono a trovare nemmeno la sagoma di un Gesù storico, sostiene un coro sempre più persuasivo di sfidanti, è che non c'è nulla da trovare: Gesù Cristo non è mai vissuto.

“Negli ultimi due anni ho letto quello che ho potuto sulla memoria”, afferma Ehrman in un'intervista, "e imparando che quello che ci hanno insegnato nei corsi post-laurea ― quello che è ancora insegnato nei corsi post-laurea ― è falso.” Le variazioni nella memoria orale, hanno realizzato psicologi, sociologi e antropologi, sono in realtà più radicali che nella trasmissione letteraria, perché la letteratura tende a fissare, invariato, il testo ricevuto. Ma ogni atto di trasmissione orale, Ehrman cita un esperto di memoria che dichiara, “è anche un atto di creazione.” Ciò significa che uno dei pochi pezzi di terreno comune tra credenti e scettici ― che la trasmissione orale di storie su Gesù nel tempo tra la sua morte e la composizione dei vangeli potrebbe essere (più o meno) degna di fiducia ― si sta trasformando in sabbie mobili.

Il divario cruciale nella documentazione scritta, della durata di quattro decenni o più, tra la morte di Gesù (che è stabilita oggi a non oltre il 36 EC) e il primo vangelo, quello di Marco (nell'opinione quasi universale degli studiosi, scritto qualche tempo dopo la caduta di Gerusalemme nel 70 EC), non è mai stato un problema serio negli studi del Nuovo Testamento. I fedeli lo hanno sempre affrontato, assumendo che, per quanto tempo fosse trascorso ― e loro tendono ad abbreviarlo ― l'infallibile Parola di Dio fu ancora trasmessa in forma orale soggetta a correzione da Apostoli o da altri testimoni oculari. Gli storici secolari, senza tanta discussione delle proprie ipotesi, hanno accettato la radicata idea accademica che le culture orali fossero significativamente migliori delle culture letterarie nella preservazione di memoria accurata.

Il passare degli anni spiegava, in un modo accettabile agli storici, perché figuravano diversi resoconti dello stesso evento. Ehrman ricorda come, da giovane professore, domandò ad un esperto più anziano ― un sostenitore della robusta trasmissione orale ― come affrontava il fatto che i vangeli danno due racconti della visita di Gesù alla dodicenne figlia di Giairo: un racconto in cui la ragazza sta morendo, un altro in cui lei è già morta. La risposta, che ci devono essere state due visite alla (sfortunata) bambina, era praticamente impossibile per chiunque non impegnato alla verità evangelica. Eppure, allo stesso tempo, e di maggiore importanza, la fiducia degli storici nel fatto che la verità orale complessiva implicava minuscole modifiche di dettaglio non turbò le loro ipotesi circa la presenza di accurate memorie “essenziali” al centro delle storie di Marco e degli altri vangeli.


Non più. Studi della memoria ed esperimenti citati da Ehrman mostrano che sarebbe stato impossibile controllare il contenuto di storie su Gesù. Un esperimento di una decina di anni fa richiese 33 studenti universitari presso un obitorio, il tipo di esperienza di cui sarebbero indotti a discutere. Ciò che ne seguì dai ricercatori dimostrò che entro tre giorni la notizia della visita si era diffusa in forma alterata, tramite intermediari, a 881 persone. Quanto più spesso una storia si ripete ― e una crescente nuova comunità religiosa ripeterà le sue storie molto spesso ― più la storia cambia. Ripetere una storia 10 volte, come in un gioco del telefono, ed i dettagli più salienti ― chi disse esattamente cosa oppure fece che cosa a chi ― cambieranno di più. Quali sono le possibilità, 50 anni dopo il fatto, che l'autore del Vangelo di Matteo ricordò di aver udito il Discorso della Montagna ― un discorso lucido e sfumato ― esattamente come fu pronunciato?

Per quanto riguarda la conferma da parte dei testimoni oculari, lontano dal controllo dell'accuratezza, i testimoni oculari tendono ad offrire i racconti meno affidabili, soprattutto quando si richiama qualcosa di spettacolare o in rapido movimento, come Gesù che cammina sulle acque. Oppure nella convinzione di ricordarlo: 10 mesi dopo che un aereo cargo si schiantò in un condominio di Amsterdam nel 1992, uccidendo 43 persone, i ricercatori hanno chiesto agli studenti universitari e ai docenti olandesi se hanno ricordato le riprese TV del momento dell'impatto. Più di tre quarti hanno detto di averlo fatto, anche se non vi era tale filmato. (Non diversamente dalle folle di musulmani danzanti di gioia sui tetti del New Jersey il 9/11 di Donald Trump). 



E non c'è ragione di credere che i ricordi dei dettagli più banali della vita di Gesù sarebbero più affidabili.

I falsi ricordi possono essere facilmente impiantati. Immaginare soltanto di assistere ad un evento insolito ― Lazzaro che risorge dai morti, per dire ― può indurre un ascoltatore a “ricordare” di essere stato personalmente presente. Un gruppo di studenti, in un test che Ehrman cita, vennero condotti, uno per uno, a una macchina distributrice di Pepsi; alla metà degli studenti fu chiesto di mettersi in ginocchio e di farle una proposta di matrimonio, all'altra metà fu proposto solo di immaginare di fare così. Due settimane più tardi, la seconda metà del gruppo ricordava in realtà di aver fatto la proposta di matrimonio. I primi cristiani sembravano ben consapevoli dell'inganno della memoria. San Paolo assicurava ai suoi lettori nella Lettera ai Galati che gli insegnamenti che offriva non gli erano giunti da un percorso inaffidabile: “Voglio che sappiate, fratelli e sorelle, che il vangelo che ho predicato non è di origine umana. Non l’ho ricevuto da nessun uomo, né l'ho imparato; anzi, l'ho ricevuto per rivelazione di Gesù Cristo”.

La memoria di gruppo spesso era peggiore, secondo gli antropologi che la vedevano distorcersi davanti ai loro occhi, quando esaminavano parecchi testimoni contemporaneamente. Se un membro dominante del gruppo introduceva la sua versione o un nuovo (e potenzialmente sospetto) dettaglio, gli altri lo avrebbero spesso lasciato scivolare incontrastato, incorporandolo nella nuova memoria collettiva. Il fatto più importante della memoria, aggiunge Ehrman, è che è sociale e individuale, “e la memoria sociale è tutto ciò che importa ora.”

Ecco perché l'immagine dei musulmani che festeggiavano l'11 Settembre viene alla ribalta nel calore di una campagna elettorale xenofoba, e perché i vangeli sono pieni di storie “ricordate" che offrivano una guida su questioni urgenti nel momento in cui furono scritte, “le discussioni con gli ebrei ortodossi su come osservare le leggi del Sabato, le affermazioni che Gesù aveva dato ai suoi discepoli il potere di guarigione”. I racconti crescono man mano che si comunicano, mentre il genere di dettaglio che convince gli ascoltatori che “questo è realmente accaduto” ― Cristo che scrive nella polvere con il dito prima di rispondere alla domanda circa la donna colta in adulterio ― è esattamente ciò che è aggiunto alle storie, perché nulla raccomanda una storia meglio di una pretesa di realtà.

Non c'è da meravigliarsi allora che Ehrman consideri i vangeli pieni di ricordi “distorti” (vale a dire, falsi). Quello che è sorprendente, però, è quanto dei vangeli lui ancora pensa di poter accettare come nucleo ragionevolmente accurato di ricordi, quanta leggerezza applica al suo nuovo criterio, che usa principalmente come giustificazione per rigettare le storie del vangelo che ha da tempo respinto per altri motivi storici. Il libro sulla memoria di Ehrman, in effetti, è più un appello ai fedeli perchè accettino l'approccio degli storici, che un nuovo modo di valutare l'evidenza. La sua lista di quello che gli storici, compreso lui stesso, pensano di poter confermare, differise difficilmente da una lista che avrebbe fatto una decina di anni fa: Gesù era un ebreo, un predicatore apocalittico come l'uomo che lo battezzò, Giovanni il Battista; il suo insegnamento, radicato nella Torah, fu consegnato in parabole e aforismi; Gesù aveva seguaci che sostenevano che il suo messaggio era convalidato dai miracoli che operò; nell'ultima settimana della sua vita, Gesù andò a Gerusalemme, dove causò un disordine nel tempio che, alcune ore più tardi, lo portò al suo arresto; Ponzio Pilato, il governatore romano, lo trovò colpevole di sedizione e lo crocifisse.

Per quanto sia attraente e ragionevole una lista del genere ai moderni scettici, è ancora quasi interamente tratta dall'interno della tradizione di fede, con il sostegno di sottilissimi supporti esterni ― brevi riferimenti di osservatori romani. Consideriamo un elemento nella lista di Ehrman, forse il più accettato e certamente quello con la più grande pretesa di accuratezza storica incorporato al suo interno: Ponzio Pilato condannò a morte Gesù. Gli studiosi sono quasi universalmente d’accordo, come lo sono la maggior parte delle chiese cristiane. Pilato è l'unica figura del processo a Gesù per il quale abbiamo indubbia evidenza archeologica, ed è anche, forse per coincidenza, l'unico a far parte del Credo niceno, la dichiarazione più ampiamente abbracciata della fede cristiana: “Per amor nostro fu crocifisso sotto Ponzio Pilato”.

Ma questo non era quello che pensavano tutti i primi cristiani. Il vangelo apocrifo di Pietro dice che re Erode firmò la condanna a morte. Altri che pensavano che Gesù avesse quasi 50 anni quando è morto, credevano che ciò accadde negli anni '40 del primo secolo, molto tempo dopo che Pilato era stato richiamato a Roma. I Nazorei, una interessante setta di primi cristiani osservanti della Torah, menzionati da uno studioso del IV secolo, credevano che Gesù fosse morto un secolo prima dei vangeli canonici, intorno al 70 AEC. (E, dato che discendevano direttamente dai primi seguaci di Cristo, chiamati Nazorei prima che diventassero noti come cristiani, i Nazorei non possono essere facilmente messi da parte. Il Talmud babilonese, composto dal V secolo, nota lo stessa cosa.)

Eppure Pilato figura in Marco quale responsabile della crocifissione di Gesù, da cui si diffuse negli altri vangeli, e anche negli annali dello storico romano Tacito e negli scritti del suo omologo ebreo, Giuseppe Flavio. Quei riferimenti oggettivi, non cristiani, rendono Pilato una cosa certa, come può esserlo ciò che ha da offrire un'antica evidenza storica, a meno che, come è stato sostenuto in modo convincente da numerosi studiosi, tra cui lo storico Richard Carrier nel suo recente On the Historicity of Jesus: Why We Might Have Reason For Doubt, entrambi i brevi passaggi siano interpolazioni, tarde falsificazioni realizzate da cristiani zelanti.

Spezza quest'esile canna, e l’impalcatura che sorregge il Gesù della storia ― l'uomo che predicava il Discorso della Montagna ed è una fonte di ispirazione per milioni di persone che non accettano il divino Cristo ― traballa malamente. Ciò che rimane sono i vangeli e gli altri 23 libri del Nuovo Testamento, e i cosiddetti apocrifi, libri cristiani che non furono ammessi nella Bibbia quando infine fu elaborata nel IV e V secolo.
I vangeli sono schietti nelle loro intenzioni di soddisfare le esigenze teologiche e non le esigenze storiche. Marco può aver addossato la morte di Gesù a Pilato perché sapeva o credeva che fosse vero, dice Carrier, oppure forse si stava esercitando in “matematica apocalittica”.

In tutto l’Israele del primo secolo, in un clima di fermento politico e religioso, fa notare Carrier, tutti i tipi di gruppi stavano facendo proprio questo: scavavano nella numerologia dell’apocalittico Libro di Daniele per determinare proprio il momento quando sarebbe arrivato il Messia che avrebbe liberato Israele. La comprensione di Marco della profezia dell'Antico Testamento può aver guidato anche la sua datazione.

I vangeli mostrano in sé stessi una traiettoria storica comprensibile. Dal più antico al più recente (Giovanni), Pilato diventa sempre meno colpevole di aver ucciso Gesù e “gli Ebrei” sempre di più, cosa questa che riflette la crescente alienazione dei giudeocristiani dagli altri ebrei, mentre i messaggi dei singoli vangeli passano dalla sottolineatura di un‘imminente Seconda Venuta, alla sottolineatura della salvezza individuale. Ma il loro altro sviluppo in linea retta è più in sintonia con quello che le letture di Ehrman sulla scienza della memoria farebbe prevedere. I miracoli sono segreti in Marco, noti solo ai discepoli a cui è vietato proclamarli pubblicamente; dal tempo di Giovanni, i “segni”, fino alla resurrezione di Lazzaro dai morti, sono la chiave per il messaggio del Signore: solo i ciechi non riescono a vedere che lui è il Messia. Le azioni di Gesù diventano sempre più favolose.

Che i vangeli forniscono solo un'evidenza discutibile per gli storici, ha a lungo oscurato il fatto che la maggior parte del Nuovo Testamento, le sue epistole, non ne forniscono affatto. Le sette lettere autentiche di San Paolo, più antiche del vangelo più antico, e scritte dal più importante missionario nella storia cristiana, ammontano a circa 20.000 parole. Le lettere menzionano Gesù, per nome o per titolo, oltre 300 volte, ma nessuna di esse dice qualcosa della sua vita; nulla del suo ministero, del suo processo, dei suoi miracoli, delle sue sofferenze. Paolo non utilizza mai un esempio dai detti o dalle azioni di Gesù per illustrare un punto o aggiungere autorità ai suoi consigli ― e le epistole vertono tutte su come stabilire, governare e giudicare le dispute all'interno delle chiese nascenti del cristianesimo. E, pur conoscendo gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, non ha mai risolto una controversia dicendo: “Pietro, che era lì in quel momento, mi rivelò che Gesù disse questo... ” Né, dall’evidenza della sua corrispondenza, un cristiano lontano domandò mai a Paolo sulla vita di Gesù. Ogni cosa che l'Apostolo afferma di sapere su Gesù viene dalla sua lettura dei messaggi nascosti nei passi dell'Antico Testamento e da diretta rivelazione, e quest'ultima è proprio la cosa che dimostra il suo valore, come diceva ai Galati.

Il libro di Carrier sul caso di Cristo come costrutto mitico piuttosto che reale essere umano, è una svolta sul fronte miticista. Egli dà credito a scrittori precedenti, in particolare al canadese Earl Doherty, ma la discussione di Carrier rigorosamente sostenuta ― resa ancora più interessante per il modo in cui si fa in quattro pur di dare almeno una probabilità al caso storicista ― è la prima opera storica sul miticismo che ha superato la recensione accademica. Egli si è relativamente trattenuto nella sua conclusione sulle assenze nelle lettere di Paolo. “Questo è tutto semplicemente bizzarro. E bizzarro significa inaspettato, il che significa insolito, il che significa improbabile”. Gli storicisti non hanno una vera risposta per questo. Ehrman dice semplicemente: “È difficile sapere cosa fare del disinteresse di Paolo; forse semplicemente non si preoccupa di Gesù prima della sua risurrezione”. Altri storici estendono questa spiegazione della mancanza-di-curiosità ai primi cristiani in generale, che non solo è contrario all'abitudine solita della natura umana, ma sembra condannare i vangeli come storie di fantasia: se i cristiani non potevano importarsene di meno dei dettagli della vita e della predicazione di Gesù, non li avrebbero preservati, e gli evangelisti sarebbero stati costretti a fabbricare ogni cosa.

Paolo è un puzzle per gli storicisti perché loro sono impegnati a credere alla realtà di Gesù, un impegno che è un risultato dei loro propri ricordi sociali, tanto a lunqo quanto ne è preoccupato Carrier. “Se stessimo parlando di Osiride”, dice in riferimento al dio egiziano che mostra stretti paralleli con Gesù nella sua vita, morte e resurrezione, “la maggior parte degli storici si sarebbe mossa alla posizione miticista molto tempo fa”. Ma Gesù Cristo è radicato nel profondo DNA psichico e culturale del mondo occidentale; la visualizzazione del vangelo come un mix di realtà e metafora è perfettamente accettabile in un mondo post-religioso, ma un rifiuto totale non lo è, se non altro per coloro la cui carriera dipende dalla prima. I cristiani moderni possono sorridere dei racconti extra-biblici dei miracoli di Gesù, come il suo addomesticamento dei due draghi nel Protovangelo di Giacomo, e lo riconoscono come mito, dice Ehrman, ma a malapena notano le contraddizioni tra i vangeli. E trovano profondamente disturbante la riconversione di quei vangeli come completo mito.
Ehrman tocca quella realtà quando esprime il suo rammarico che alcune persone hanno reagito alla sua eliminazione degli elementi astorichi dai vangeli con un “Bene, se questo non è vero, io credo che niente di esso lo è, e niente di esso importa”. “Io non so perché le persone la pensano a quel modo", dice. “Per me le storie del vangelo sono estremamente importanti, che siano reali o meno”. E così lo sono, per la storia del cristianesimo e per la cultura occidentale in generale, ma non per la storia di Gesù, come dimostra la personale perlustrazione di Ehrman nello studio della memoria: dettagli biografici, l'assicurazione della realtà fisica, sono i più grandi strumenti missionari.

Atteggiamenti come quelli di Ehrman sono ciò che impediscono alla maggior parte degli storici di pesare davvero le implicazioni di che evidenza c'è, dice Carrier, e, ancor più, di quale evidenza dovrebbe esserci, ma non c'è. Per un secolo non ci sono altri testimoni cristiani; forse più inspiegabilmente, nessun testimone pagano (i cui riferimenti a Gesù sarebbero stati menzionati dai cristiani più tardi, sia per celebrare che per confutare); il più importante apostolo della nuova fede sembra solo conoscere di un Cristo cosmico, di cui ha appreso mediante visione e lettura attenta dei profeti; i primi aderenti non sono d'accordo, entro un secolo, su quando morì il loro fondatore o su chi lo uccise. È molto più facile, sottolinea sarcasticamente Carrier, avere quel tipo di disaccordo su una persona inesistente, per il quale non ci sono parenti o amici a contraddire i risultati.

La risposta miticista a tutto questo è molto più logica, secondo Carrier, una soluzione che non richiede alcuna memoria speciale. La sua presa sulle origini del Cristianesimo inizia nell'Israele religiosamente inquieto Israele degli anni '30, quando la riluttante popolazione stava iniziando a ribellarsi contro l'elite del Tempio. Le pratiche cultuali, che coinvolgono soprattutto il sacrificio degli animali, sul Monte del Tempio erano centrali per l'esistenza nazionale, “la condotta del popolo ebraico di fronte a Dio e l'eventuale salvezza”, dice Carrier. Questo significava che denaro scorreva nel Tempio e il potere ne scorreva fuori, e tutti i tipi di gruppi marginali di frangia alla Tea-Party reagirono a ciò, arrivando a credere che dei profanatori governassero su di loro. Alcuni gruppi che conosciamo, come gli Zeloti, erano violenti ma in una posizione disperata contro le legioni romane, quindi non poteva non esserci anche una risposta spirituale. “Attraverso visioni, matematica apocalittica e lo studio delle Scritture, un gruppo ― guidato, secondo la testimonianza di Paolo, da Pietro ― emerse con un'entità celeste fatta di carne umana, ucciso dalle forze del male in un sacrificio che combinava ed eclissava sia lo Yom Kippur che la Pasqua, che resuscitò dai morti e che tornerà di nuovo molto presto per salvare i fedeli.
Ben presto, come predicono le tendenze della memoria umana, il Cristo cosmico, come le figure centrali in altri culti misterici contemporanei, fu “fattualizzato” per meglio attirare proseliti. Anche in questo caso, dato il modo in cui la memoria sociale è davvero tutta intorno ai problemi dell'oggi, i vangeli mostrano il loro interesse alle questioni che possono affrontare qualsiasi missionario: profeti senza onore nei loro stessi paesi (cioè, trattati con scetticismo nei loro villaggi, dove la gente li ricorda); guarigioni di fede che non sempre funzionano (è colpa di quelli che mancano di fede); il motivo per cui la tua fedeltà dovrebbe andare alla tua famiglia di fede, non ai tuoi parenti biologici (Gesù respinse via i suoi stessi fratelli).

Il resoconto di Carrier, logico come sia, suona bizzarro al pari del disinteresse di Paolo in un vero e proprio Gesù. L'autore si rende conto di ciò, e lui non ha alcuna pretesa di aver dimostrato o confutato i vangeli, solo che il suo scenario si adatta ai fatti senza distorsione e la storia dei vangeli è terribilmente difficile da dimostrare. Ehrman è consapevole di questo, e consapevole anche che lui non ha aiutato la causa degli storici con il suo lavoro sulla memoria. Lui è riluttante a parlare molto dei miticisti, molto meno a dibattere con loro, anche se prevede un tale evento in arrivo in autunno. Ma riconosce, “stanno facendo progressi oggi, tra gli atei e gli agnostici”. E se il loro caso cominciasse ad essere in ascesa tra i cristiani, “sarebbe un colpo.”