martedì 27 settembre 2016

Sulla cattiveria del Gesù di carta (I)


ANTROPOLOGIA: Modo di esprimersi degli scrittori profani. Consiste nel supporre che al puro spirito, che nella sua bontà governa l'universo, appartengano occhi, mani, passioni, nefandezze, malizie. Dio ha fatto gli uomini a sua immagine e i preti hanno fatto Dio a immagine dei preti. Ecco perchè lo troviamo tanto affascinante.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)

Per la cronaca, io sono un agnostico quando si giunge al Gesù storico. Io non sono un cosiddetto “miticista”, nè mi preoccupo in questo libro della questione della resurrezione di Gesù. Io affermo che non possediamo dati sufficienti dal tempo reale di Gesù per corroborare pienamente ogni particolare descrizione di Gesù che si trova nei vangeli. Per me, l'incapacità a ricostruire ogni “originale” o “reale” Gesù è un problema filosofico come pure un problema storico. Senza un accesso diretto all'originale Gesù, tutto quel che avremmo sono le più antiche tradizioni su ciò che Gesù disse e fece. Identificare le più antiche tradizioni su Gesù non proverebbe alcunchè di ciò che Gesù disse o fece. Solamente possedendo un accesso diretto all'originale Gesù permetterebbe agli studiosi moderni di confrontare accuratamente le raffigurazioni esistenti con un qualche “originale”. Quell'accesso non è storicamente possibile, e quello è il motivo per cui le “più antiche” tradizioni su Gesù non dovrebbero essere eguagliate coll'“originale” o “reale” Gesù storico. Asserzioni circa cosa ognuno realizzerebbe o non realizzerebbe su Gesù in “un contesto ebraico” non sono convincenti perchè noi non possediamo un quadro completo dei giudaismi al tempo di Gesù.   Innovazioni radicali sono possibili e sono stati ipotizzati per altri aspetti di Gesù che apparentemente non si accordano coll'ebraismo del tempo.
Dal momento che noi abbiamo soltanto diverse rappresentazioni di qualche presunta forma originale degli insegnamenti di Gesù, allora gli studiosi in ultima istanza attingono e scelgono quale rappresentazione concorda colla loro opinione degli insegnamenti storici di Gesù. Non c'è nessuna ragione intrinseca, per esempio, del perchè il Gesù violento è meno “originale” del Gesù pacifico. Dal momento che alcuni ebrei del primo secolo favorivano approcci apocalittici e altri potrebbero aver favorito approcci “sapienziali” o “cinici” all'esistenza, non c'è nessun modo di sapere quale approccio favoriva un qualche “reale Gesù”. Una volta scelto uno di quei ritratti alternativi, si possono ridimensionare quelle raffigurazioni che non si conciliano come deviazioni, aggiunte o corruzioni. Ma proprio l'esistenza di possibili ritratti così radicalmente differenti è una prova che c'è qualcosa di intrinsecamente sbagliato colla metodologia della maggior parte della ricerca del Gesù storico.
Nondimeno, il fatto rimane che la maggior parte degli studiosi biblici ancora vedono l'etica di Gesù come benigna e normativa per l'oggi a dispetto di tutti i problemi con l'accertamento di ciò che disse o fece veramente Gesù nella Storia. Invero, niente della diversità nei ritratti di Gesù ha distolto gli studiosi dall'attribuizione di un insieme di condotte uniformemente benigne a Gesù. La mia obiezione è che questa diversità e problemi storici sono approcciati proprio come i teologi approcciano altri problemi nella Bibbia. Loro utilizzano un insieme diverso di strumenti ermeneutici per preservare la benignità di Gesù e per eliminare o sanare qualunque cosa che potrebbe essere offensivo oggi.
Il mio argomento qui non è che ogni presunto Gesù storico fu buono oppure cattivo. L'oggetto della mia materia sono i ritratti nel Nuovo Testamento di un uomo chiamato Gesù. Come tale, il mio approccio riecheggia quello di Frank Matera, il quale aveva sottolineato che il suo studio di Matteo si focalizzava sulle “dottrine etiche di Gesù come presentate dall'evangelista Matteo piuttosto che sul Gesù storico”. Il mio progetto mira ad esplorare come i moderni eticisti del Nuovo Testamento tentano di sanare e proteggere quei ritratti, indipendentemente da quanto storici potrebbero essere. Se Gesù disse o fece qualcosa affermato nei vangeli è non tanto importante quanto il fatto che quelle descrizioni sono diventate normative per i cristiani moderni. Altrimenti, io posso concordare con Kurt Noll, che sostiene che “ogni ricerca di un Gesù storico è irrilevante ad una comprensione dei più antichi movimenti sociali che evolsero nella religione ora chiamata cristianesimo”.

(Hector Avalos, The Bad Jesus; The Ethics of New Testament Ethics, pag. 11-13, mia traduzione)

Cerchiamo di riflettere su alcuni elementi di interesse che riguardano il Gesù letterario, il Gesù di carta, il Gesù dei vangeli.

Si tratta di un personaggio concettuale creato così dall'evangelista “Marco”, e manovrato dalla sua volontà per agire in determinati modi (modi che sarebbero corretti o modificati o graditi dagli altri evangelisti che si basarono su “Marco”): di fatto, questo Gesù è una marionetta dipinta, un giocattolo di pezzi snodati, presi dalle profezie dell'Antico Testamento ebraico, una finzione di carta elaborata ad arte con l'allegoria, la parabola, il mito, il simbolo e la metafora. Gesù non è mai esistito storicamente, si tratta di una montatura di alcuni ebrei che pensavano che il Messia annunciato fosse finalmente giunto e che ciò che era stato predetto nelle scritture si fosse avverato: tale circostanza ha prodotto un modo d'essere, di pensare, di dipingere e di scolpire. Il cristianesimo primitivo è stato infatti riplasmato per ruotare attorno a questa finzione — e non più attorno a visioni, apparizioni e rivelazioni di un arcangelo celeste — venduta come “storia ricordata” per volontà di chi ha voluto evemerizzare l'angelo Gesù sulla Terra.

Questa marionetta è creata a nostra immagine, ma apparentemente sembra essere stata creata senza i nostri limiti morali e fisici, visti i miracoli che compie e la descrizione idilliaca che ne fanno ogni giorno i teologi e i folli apologeti cristiani dall'alto dei loro pulpiti (ecclesiastici o accademici non fa differenza quando si tratta di loro). Se fosse creata così, la sua somiglianza con la nostra miseria morale sarebbe una cosa strana e terribile da dire di un sedicente “Figlio di Dio”, troppo strana e terribile per essere accettata senza preoccupazione. Dato che allarmare le persone non aiuta a commercializzare le marionette, queste non vengono create con tale e sgradevole somiglianza a noialtri da poterle scambiare per reali esseri umani, a maggior ragione quando, come nel caso del fittizio Gesù “soprannominato Cristo”, dovrebbero posare nientemeno che come il “Figlio di Dio” — se non nella penombra di un'oscura cella o di un solaio dimenticato.

Abbiamo bisogno di sapere che le marionette sono marionette. A maggior ragione avevano bisogno di saperlo i reali fabbricatori della finzione di Gesù, nei riguardi della loro creatura. Ciononostante, una marionetta come Gesù potrebbe ancora farci paura. Perchè, se osserviamo la marionetta Gesù in un certo modo, è come se ci guardassimo dentro, per scorgervi i nostri stessi difetti morali. Ma come? Non avevano forse preso tutte le migliori precauzioni, i fabbricatori della fittizia biografia per Gesù, nel presentarlo come la migliore marionetta possibile, impeccabile avatar terrestre di un meraviglioso angelo cosmico e pre-esistente di luce? Non avevano fatto in modo di riflettere ad ogni occasione la sua santità, perfino se artificiale?

E invece ecco che il Gesù del vangelo non è così idilliaco come se lo immaginano continuamente i folli apologeti cristiani, criptocristiani ed ex-cristiani, e perfino un cospicuo numero di atei (quelli troppo inclini a dare addosso al povero Paolo per averlo tradito, come sosteneva Nietzsche, crocifiggendolo “alla sua croce”, quando Paolo invece di un “Gesù storico” non ne sapeva assolutamente nulla, neppure che fosse esistito davvero su questa Terra!). Parrebbe anche Gesù, questo personaggio di carta, questa marionetta letteraria, sul punto di manifestare la stessa miseria morale che assilla da sempre l'umanità. In questi momenti di lieve confusione, si manifesta un conflitto psicologico, una percezione dissonante che attraversa il nostro essere con una convulsione di orrore soprannaturale.

Un termine migliore sarebbe “perturbante”, dato che si riferisce ad una marionetta apparentemente animata come Gesù, costruita pezzo per pezzo allo scopo di posare debitamente come il “Figlio di Dio”, che eppure non è la perfetta figura morale che sembra designata a figurare, ma manifesta invece tutte le pecche morali dei peggiori esseri umani in circolazione, che non esiteremmo a condannare all'istante se a mostrarle non fosse proprio lo stesso Gesù dei vangeli.

Così una marionetta come Gesù che si rivela un autentico mostro morale sarebbe definita come orrore, perchè negherebbe tutte le concezioni positive che ci eravamo fatti di lui fino ad un attimo prima, e affermerebbe una metafisica del caos e dell'incubo. Sarebbe ancora una marionetta — è questo il punto! — ma una marionetta che compie e dice azioni totalmente condannabili sul piano etico. Una marionetta programmata per essere cattiva.

Ma questa cattiveria morale manifestata suo malgrado dalla marionetta “Gesù di Nazaret” non sarebbe d'altronde colpa sua. Essendo stata fabbricata come effigie terrena di un angelo mai sceso su questa Terra (ma nei cieli inferiori), la marionetta “Gesù di Nazaret” è attore in un mondo proprio che esiste dentro il nostro e su di esso si riflette. Cosa vediamo in quel riflesso? Soltanto ciò che i creatori del Gesù “Figlio dell'Uomo” vollero farci vedere, in fin dei conti. E tuttavia, attraverso il profilattico dell'auto-inganno, hanno tenuto nascosto, loro stessi, i cospiratori che fabbricarono “Gesù di Nazaret” interamente a tavolino, quello che non volevano finisse nelle nostre teste, come se rivelassero altrimenti a noi stessi un segreto troppo terribile da conoscere.
In fondo, a tutto potevamo credere, noi stupidi hoi polloi, ma non ad inventori di un Gesù intrinsecamente malvagio sul piano strettamente morale. Eppure il miracolo è avvenuto che proprio questo fosse il caso: gli evangelisti credevano, e noi con loro, di essere loro stessi a far funzionare tutto della marionetta “Gesù di Nazaret” da loro ideata attraverso un gioco sottile di simboli, di allegorie, di montaggi, di metafore, di apologhi, di favole, di miti e di finzioni. E chiunque avesse contraddetto questa loro intima e segreta convinzione sarebbe stato accusato di essere matto: quale creatore della Non-Vita di un dio inesistente sulla Terra sarebbe stato così scemo da creare inavvertitamente un autentico mostro morale? Come prendere sul serio un marionettista che è passato al nemico?


Quando la marionetta “Gesù di Nazaret” ha finito il suo spettacolo, torna nel suo baule. È semplicemente un oggetto, il personaggio letterario di un racconto, l'eroe della favola. Se dovesse rivelarsi un mostro morale, il nostro mondo diverrebbe un paradosso e un orrore in cui tutto sarebbe incerto, a cominciare dalla nostra certezza, tenuta fino all'altro ieri, che il Gesù dei vangeli fosse intimamente e moralmente buono, perfino se mai esistito.

Come testimonia, con un'analisi freddamente scientifica, il prof Hector Avalos nella sua opera The Bad Jesus; The Ethics of New Testament Ethics, ci siamo fin troppo illusi a credere passivamente, dando retta alle ipocrite rassicurazioni del folle apologeta cristiano di turno, che il Gesù letterario, la figura descritta nei vangeli, sia moralmente buona e ineccepibile. 

In realtà le verità morali emergono prima o poi nelle storie di fantasia così come nelle storie della vita reale, e una critica della moralità perversa del Gesù evangelico è fattibile totalmente al di là dell'inesistenza dell'uomo Gesù.

Lo studio di Hector Avalos è un esempio da manuale di come dovrebbe essere condotta una vera ricerca scientifica: la sua critica alla moralità perversa di Gesù dovrebbe essere una lettura obbligatoria in tutti i corsi di metodologia comparativa tra teologia e storia, l'esatto frangente in cui i folli apologeti cristiani delle università cristiane e dei seminari nascondono il loro idolo taroccato sotto la rassicurante etichetta di oggettiva verità storica.
Del resto, che cos'è il cristianesimo se non un parassita della storia? Come un tumore canceroso che cresce in un corpo sano (la storia oggettiva dei fatti), gli apologeti cristiani hanno potuto continuare totalmente indisturbati nel dissimulare i concreti fatti storici pur di servire la propria schifosa apologetica ipocrita spacciandola impunemente per 'analisi scientifica', da cui sfornare in continuazione nuovi, indottrinati folli apologeti cristiani. Non meraviglia che l'ultimo vero residuo medievale rimasto sono i dipartimenti universitari dove si insegna il “Gesù storico”, proclamando fuori discussione (!) la sua esistenza storica. Un'università che si chiama “Fides et Ratio” oppure “Cattolica” è tutto fuorchè una vera università scientifica, quando vi si insegna la chimera del “Gesù storico”!

In realtà esiste anche un Gesù moralmente cattivo nei quattro vangeli canonici. Se un Gesù storico fosse esistito, allora sarebbe lui stesso il responsabile del suo negativo ritratto morale, sempre qualora fosse veritiero e fedele quel ritratto (e il prof Avalos ammette in tutt'onestà di non saperlo, come ogni Jesus Agnostic degno di questo nome), ma che esiste un negativo ritratto morale di Gesù nei vangeli è già provato da Avalos oltre ogni ombra di dubbio. Perciò, se Gesù non è esistito, come io penso e credo essere il caso, allora perchè il suo inventore lo ha ideato così cattivo e ripugnante sul piano morale?

L'unica ragione possibile da offrire è che la creatura riflette immancabilmente i limiti e i difetti anche morali del suo creatore. Prendete la più bella scultura o la più bella pittura: perfino essa presenterà i limiti intrinseci del suo scultore e del suo pittore, chi in maggiore e chi in minore misura. Se il creatore di una storia è lui stesso cattivo, la sua cattiveria si rifletterà per forza nella storia che sta inventando, e sarà ancor più così specie se quella storia volesse venderla agli stupidi e ignoranti hoi polloi come la sua verità, la sua testimonianza, il suo dogma, la sua pretesa, la sua visione del mondo: tutti fattori che non possono che contribuire a manifestare e a riflettere il lato morale più oscuro della natura del creatore nella natura stessa della sua creatura. La marionetta diventa così il riflesso del marionettista. L'albero si riconosce dai frutti.

Il neoateo Richard Dawkins disse giustamente una volta del Corano:



E il Corano non era stato dettato dall'arcangelo Gabriele, ovviamente, quindi la cattiveria contenuta nel Corano vi è stata riversata direttamente dai suoi reali creatori.
Ne consegue con logica necessità che la cattiveria del Gesù di carta è la stessa cattiveria morale dei suoi creatori, dei suoi marionettisti.

E quindi sì: il marionettista è davvero passato al nemico. Hanno creato un mostro morale, e, a causa della loro stessa cecità morale, gli inventori non se ne resero conto.

E così, a due millenni di distanza, l'umanità sconta ancora gli effetti nocivi e dannosi dei loro errori morali nella misura in cui la loro legittimazione è osannata nei vangeli stessi, presi dogmaticamente a modello di ogni possibile morale moderna consentita. Un perverso idolo taroccato diventa così il perpetuatore inconsapevole e inanimato della miseria morale intrinseca dei suoi stessi creatori: gli evangelisti “Marco”, “Matteo”, “Luca” e “Giovanni” (ma soprattutto il primo, sul quale gli altri tre si basarono tutti).

Contro la marionetta “Gesù di Nazaret” non andrebbe usato come antidoto al suo veleno morale il pur crudele monito di Deuteronomio 18:20-22:
Ma il profeta che avrà la presunzione di dire in mio nome una cosa che io non gli ho comandato di dire, o che parlerà in nome di altri dèi, quel profeta dovrà morire. Se tu pensi: Come riconosceremo la parola che il Signore non ha detta? Quando il profeta parlerà in nome del Signore e la cosa non accadrà e non si realizzerà, quella parola non l'ha detta il Signore; l'ha detta il profeta per presunzione; di lui non devi aver paura.
...Perchè Gesù si può considerare un fallito profeta apocalittico come lo fu Daniele: totalmente inesistente.

Di conseguenza andrebbe usato invece come antidoto il comandamento più sublime donatoci dall'ebraismo contro ogni forma di religione feticistica e che dovrebbe essere fatto proprio in tal senso da tutte le religioni:
Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai.
(Esodo 20:5)

“Gesù di Nazaret”
è un idolo taroccato, una chimerica montatura, una perversa marionetta dipinta. Una finzione designata a trasformare le vite dei credenti in altrettante finzioni.

Che bruci dunque al rogo dello stesso inferno da lui provocato sulla Terra!
APPENDICE:
L'invenzione nell'invenzione

Fu molto inquietante per noi riscontrare in alcune delle sculture più recenti e in rovina, un mamifero primitivo, usato talvolta come cibo e a volte come buffone per il divertimento di quegli Esseri, nel quale gli indizi della futura umanità erano inequivocabili.
(Howard P. Lovecraft, Alle Montagne della Follia)

Una religione esige numerose relazioni dicotomiche. Ha bisogno di credenti e di non credenti. Di gente che conosca i misteri, e di altri che soltanto li temano. Di iniziati e di profani. Ha bisogno di un dio e di un diavolo. Di assoluti e di relativi. Di ciò che è privo di forma (e tuttavia si sta formando) e di ciò che è formato.
Ingegneria Religiosa,
scritti segreti di Amel

— Creeremo un dio — dichiarò l'Abate Halmyrach.
Era un uomo di bassa statura, scuro di pelle, avvolto in una vesta arancione pallido che gli ricadeva in soffici pieghe fino alle caviglie. Il suo volto lungo e liscio era dominato da un lungo naso, sospeso come un precipizio sopra una bocca dalle labbra sottili. La testa calva era bruna e lucida.
— Non sappiamo ancora da quale creatura, o cosa, nascerà il dio — disse l'Abate. — Potrebbe essere uno di voi.
Agitò la mano in direzione degli accoliti, seduti sul pavimento spoglio di un'austera sala dominata dai raggi a perpendicolo del sole al meriggio. La sala era una fortezza Psi, corazzata da strumenti e incantesimi. Aveva venti metri di lato e un'altezza di tre metri dal pavimento al soffitto. Undici finestre, cinque da un lato e sei dall'altro, guardavano sui tetti del complesso cintato di Amel, in mezzo al parco. La parete dietro all'Abate, e quella di fronte, sembravano rivestite di pietre bianche solcate da un sottile mosaico di linee brune, simili a tracce lasciate da insetti: la configurazione di una macchina Psi. Le pareti risplendevano di una luce bianca, uniforme, simile a latte scremato.
L'Abate sentì la forza che fluiva tra quelle due pareti, il lampo premonitore di colpevolezza-paura, condiviso dalla classe degli accoliti. Ufficialmente, quello era un corso d'Ingegneria Religiosa, ma i giovani accoliti persistevano nella loro irriverenza. Per loro, era Creazione di un Dio.
Ed erano sufficientemente avanti nelle lezioni per conoscerne i pericoli.
— Quello che io dico e faccio in questo luogo è stato progettato e calibrato con estrema precisione — riprese l'Abate. — Qui, le influenze del caso sono troppo pericolose. Perciò, appunto, questa stanza è volutamente così semplice. Qui la più piccola, imprevedibile intrusione potrebbe apportare incalcolabili differenze in quello che stiamo facendo. Vi dico, perciò, che se qualcuno di voi, in questo momento, desidera lasciare la stanza e non partecipare alla creazione di un dio, non vi sarà nulla di vergognoso.
Gli accoliti, accovacciati, si agitarono sotto le vesti bianche, ma nessuno accolse l'invito.
L'Abate annuì, soddisfatto. Fino a quel momento, tutto era andato secondo le previsioni. Disse:
— Come tutti sappiamo, il pericolo nel creare un dio è legato a un nostro eventuale successo. Nella scienza Psi, un successo dell'ordine di grandezza di quello che stiamo progettando in questa stanza comporta un pericolo profondo, e riflessivo... Noi creiamo davvero un dio. E, una volta creatolo, abbiamo ottenuto qualcosa che, paradossalmente, non è più la nostra creazione. Noi potremmo perfino diventare una creazione di ciò che abbiamo creato.
L'Abate annuì dentro di sè, riflettendo sugli dèi creati lungo l'intera storia dell'umanità: selvaggi, tenaci, primitivi, sofisticati... ma tutti imprevedibili. Non importava come lo si creasse: il dio andava sempre per la propria strada. Non si potevano prendere alla leggera i capricci di un dio.
— Ogni volta, il dio esce sempre dal caos — continuò l'Abate. — Su questo non abbiamo controllo: noi sappiamo soltanto come creare un dio.
Avvertì l'acre sentore della paura crescere nella sua bocca, colse l'indispensabile tensione che cresceva intorno a lui. Il dio doveva provenire in parte dalla paura, ma non soltanto da essa.
— Dobbiamo aver timore della nostra creazione — insistette. — Dobbiamo esser pronti ad adorarla, a obbedirla, a implorarla e a supplicarla.
Gli accoliti sapevano la lezione. — Adorarla e obbedirla — mormorarono. Il timore s'irradiava da essi.
Oh, sì, pensò l'Abate, infinite possibilità e infiniti pericoli, ecco la nostra condizione. La trama stessa dell'universo s'intreccia con questi attimi.
Riprese: —Per prima cosa chiamiamo all'esistenza la larva: il concetto del dio che vogliamo creare. — Alzò le braccia, troncando il flusso di forza tra le due pareti e disseminandolo in tanti vortici alla deriva nella stanza. Muovendosi, colse una simultaneità, una fenditura temporale nel suo universo, legata alla consapevolezza delle immagini, dentro di lui, che gli parlava di altre cose che stavano accadendo. L'immagine di suo fatello Ag Emolirdo prese forma nella sua mente: un essere umano simile a un uccello, dal lungo naso, in piedi sotto la pallida luce della lontana Marak, che singhiozzava senza ragione. I contorni di una mano scivolarono dentro la visione; un dito che premeva il pulsante di una piccola scatola verde. Nel medesimo istante vide se stesso con le braccia alzate, mentre uno Shriggar, la mortale lucertola di Chargon, usciva dalla parete Psi alle sue spalle.
Un rantolo uscì dalle bocche degli accoliti.
Con la squisita lentezza del terrore, l'Abate abbassò le braccia e si voltò. Sì, era un autentico Shriggar, una creatura dalla statura così imponente che era costretta a restare accovacciata, in quella stanza. Grandi artigli taglienti pendevano dalle sue corte braccia. La testa sottile, col becco a uncino, si aprì, rivelando una lingua biforcuta che si torse, prima a destra e poi a sinistra. I suoi peduncolati si contorsero e il suo fiato riempì la stanza dei miasmi della palude.
All'imporvviso, la sua bocca si chiuse con uno scatto: — Chunk!
Quando la riaprì, da essa uscì una voce profonda, incorporea, articolata senza alcun sincronismo con le labbra e la lingua d'uno Shriggar. Disse:
— Il dio che create potrebbe morire nel preciso istante in cui nasce. Queste cose richiedono un loro tempo e un loro modo. Io starò attento e mi terrò pronto. Vi sarà un gioco di guerra, una città di vetro, dove creature con alte potenzialità vivono la loro esistenza. Vi sarà un tempo per la politica, e un tempo in cui i preti avranno paura delle conseguenze di ciò che hanno osato. Ma tutto ciò dev'essere, per raggiungere uno scopo sconosciuto.
Lentamente, lo Shriggar cominciò a dissolversi: dapprima la testa, poi il grande corpo giallo ricoperto di scaglie. Una pozza di un liquido caldo, bruno, si formò là dove si era trovato, spargendosi nella stanza ai piedi dell'Abate intorno agli accoliti accovacciati.
Nessuno osò muoversi. Ben sapevano quanto fosse sconsigliabile introdurre una loro forza casuale in quel luogo, prima che le lampeggianti correnti Psi si fossero acquietate.

(Frank Herbert, Creatori di dèi)

giovedì 22 settembre 2016

Sul feticismo cristiano intorno al “Gesù storico”


CERTEZZA: In ambito religioso, consiste nell'evidente realtà che gli unti del Signore non possono mai ingannarsi né ingannarci. Appare dunque chiaro che la certezza teologica ha un fondamento migliore di quello della certezza fisica che ha come sola garanzia i sensi, sempre soggetti a trarci in inganno.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)

Di Prometeo narrano quattro leggende:
Secondo la prima egli, avendo tradito gli dèi in favore degli uomini, venne incatenato al Caucaso e gli dèi mandarono delle aquila a divorargli il fegato che ricresceva continuamente.
La seconda narra che Prometeo, per il dolore causato dai becchi che lo dilaniavano, si serrò sempre più contro la roccia finchè divenne una sola cosa con essa.
Secondo la terza, il suo tradimento venne dimenticato attraverso i millenni; gli dèi, le aquile, egli stesso dimenticarono.
Secondo la quarta, tutti si stancarono di colui che ormai non aveva più senso. Gli dèi si stancarono, le aquile si stancarono, la ferita si richiuse stancamente.
Rimase l'inesplicabile montagna di roccia. La leggenda tenta di spiegare l'inspiegabile. Poiché nasce da un fondo di verità, deve finire nell'inesplicabile.

(Franz Kafka, Prometeo)

I pokémon sono un autentico feticcio per i ragazzini (e anche per certi adulti), eppure andare alla loro ricerca è equivalente alla ricerca del Gesù storico: in entrambi i casi si ricerca qualcosa di totalmente inesistente. Nonostante il paragone possa indurre al sorriso, il fatto è che il ventunenne Ruslan Sokolovsky rischia fino a cinque anni di galera nella Russia cristiana-ortodossa di Putin per il solo torto di aver ricercato un pokémon, con tanto di occhi fissi sul telefonino e Pokemon Go in azione, all'interno di una chiesa ortodossa.
Evidentemente in quel luogo sarebbe stato più opportuno ricercare non i pokémon, ma un personaggio altrettanto inesistente (e altrettanto idolo taroccato): il “Gesù storico”. La sola differenza tra Gesù e i pokémon, a parità di inesistenza, è che i pokémon non dispongono dei mezzi e della propaganda, non da ultimo nella forma di un fittissimo stuolo di teologi sotto mentite spoglie di storici, che ha il primo per essere creduto un uomo veramente esistito (e venduto come tale).

Anche il cristianesimo lo si può definire un culto feticista da quando il primo vangelo inventò una Non-Vita sulla Terra per l'arcangelo celeste Gesù.
Il feticismo nel caso cristiano non consiste nel fatto che un determinato ritratto di Gesù venga venerato — un cristiano che vede Gesù in una rivelazione non è sicuramente un feticista —, ma piuttosto che si creda alla storicità di Gesù senza che sia permessa la domanda sul perchè non possa essere messa in discussione la storicità di Gesù.

Il feticismo cristiano identifica quindi un oggetto nel “Gesù storico” come origine del cristianesimo a cui tutti i cristiani dovrebbero rispettosamente richiamarsi, anche quei cristiani eretici che collocavano la crocifissione di Gesù in un altro mondo, nella regione sublunare:

 Anzi, dicono, il Cristo buono né mangiò né bevve e né assunse la vera carne, e neppure fu mai in questo mondo tranne che spiritualmente nel corpo di Paolo. Ma proprio per questa ragione noi diciamo “nella terrena e visibile Betlemme”: infatti gli eretici credono che ci sarà un'altra terra, nuova e invisibile, e in questa seconda terra, alcuni di loro credono che il Cristo buono fu crocifisso.
(Pietro di Vaux de Cernay, Storia della Crociata Albigese)
Per questo è superficiale la questione se il Gesù storico sia stato un profeta apocalittico oppure un ribelle sedizioso oppure un guru posseduto dallo Spirito e così via (puoi aggiungere qualunque ritratto del Gesù storico di tuo gradimento qui). Il vero problema è la fede, non confermata dai fatti, nell'esistenza storica di un presunto uomo che ha dato origine al cristianesimo finendo al contempo come suo principale oggetto di culto fin dal primo giorno.

Un problema analogo lo ha l'islam che non riesce a provare la storicità di Maometto, a giudicare dal coming out miticista di un esperto nel campo delle origini islamiche come Sven Kalisch (dal quale aspetto con la dovuta pazienza ogni pubblicazione in inglese).
È evidente che il feticismo cristiano si presenta spesso in connessione con una teoria dell'errore, secondo la quale solo il sacerdote o il devoto cristiano ha accesso alla verità su Gesù e tutti gli altri hanno semplicemente torto, se non si rendono conto dell'esistenza storica di Gesù. Quasi che i cristiani possono accettare di dialogare solo con i non-cristiani che hanno accettato la storicità di Gesù: senza saperlo, gli storicisti non-cristiani sono già cristiani a loro insaputa, perchè credono all'esistenza di Gesù “soprannominato Cristo” e così (nota l'ironia di Matteo 27:17) ammettono implicitamente la possibilità, agli occhi dei cristiani feticisti, che “Gesù” sia il “Cristo”, chiudendo il cerchio della (invero fittizia) distinzione tra Gesù storico e Cristo teologico.

A tal proposito, Nietzsche afferma che il feticismo in generale (quindi non solo quello cristiano) —  anche se non utilizza in realtà l'espressione “feticismo” ma il senso è senz'altro lo stesso — presuppone un “mondo dentro il mondo”. In un brillante passo della sua opera Così Parlò Zarathustra, introduce conseguentemente “gli abitanti di un mondo dietro il mondo”, che inventano i “retromondi” (e il “Gesù storico” può essere considerato benissimo tale) per distogliere lo sguardo dalla loro condizione di esseri sofferenti e mortali:
“Un ebbro piacere è per il sofferente distogliere lo sguardo dal proprio soffrire e perdersi. Un ebbro piacere e un voler perdersi mi sembrò una volta il mondo. [...] Così una volta lanciai anch'io la mia illusione al di là dell'uomo, come tutti coloro che abitano un mondo dietro il mondo. Davvero al di là dell'uomo?
Oh, fratelli, questo dio che io creai era opera dell'uomo e della follia dell'uomo, come tutti gli dèi!
Era un uomo e solo un povero frammento di uomo e di 'io': dalla propria cenere e brace venne a me, questo spettro, veramente! Non mi venne dall'al di là!”
In realtà l'uomo vede solo il mondo umano, e tutto ciò che esula da esso è solo un mero gioco di prestigio. L'introduzione di un fittizio “retromondo” come il “Gesù storico” per spiegare le origini cristiane è solitamente accompagnata dall'arrogante pretesa di poterlo testimoniare con tanto di “indiscutibile” (si fa per dire) evidenza, accusando di follia, anzi calunniandolo, lo scettico di turno sull'esistenza storica di Gesù.

Il feticismo cristiano attorno al chimerico Gesù storico, tra tutte le religioni, merita certamente il gradino più basso sul piano morale e perciò merita di essere estirpato con la luce della ragione. Non tutte le regioni sono, però, palesemente feticistiche. Al contrario, c'è in esse una controtendenza che ci vuole appunto liberare dall'assunto secondo cui nella religione cristiana si tratterebbe di accettare in primo luogo la storicità di Gesù “soprannominato Cristo” per potersi ritenere quantomeno degni oggetto di proselitismo: e , perchè se un cristiano volesse convertirmi al cristianesimo e io glielo offrissi la possibilità, quel cristiano dovrebbe innanzitutto convincermi della storicità di Gesù e solo in un secondo momento può procedere a persuadermi che è (il Figlio di) Dio. Come può riuscirvi, se io non posso mettermi d'accordo con lui neppure sulla stessa questione dell'esistenza storica di Gesù?

Se questo è un serio problema per il feticista cristiano, di certo cessa di esserlo per le religioni che non sono feticistiche. Tnato per cominciare, la religione di Paolo l'apostolo non può considerarsi feticistica nel senso di ruotare attorno ad un oggetto preteso esistere nella realtà storica. Per Paolo, l'uomo Gesù esistette veramente, però non sulla Terra, ma tra la Terra e la Luna. Quindi Paolo non si può considerare affatto un feticista cristiano.
Il cristianesimo paolino dei primi apostoli non era una religione feticistica perchè non ruotava ancora attorno alla fede in un uomo vissuto di recente sulla Terra: quella fede di tipo feticista sopraggiunse più tardi, quando il primo vangelo riuscì a far credere all'esistenza dell'uomo Gesù sulla Terra.

Ma anche l'ebraismo non è una religione feticistica. Come afferma già il primo comandamento, obbedito dagli ebrei ma disobbedito per definizione dai cristiani feticisti, non ci è permesso farci alcuna immagine di Dio. Ciò che io, richiamandomi a Nietzche, ho definito feticismo, nella tradizione giudaico-cristiano-islamica è chiamato idolatria. La parola viene dal greco “eidôlon” (=“piccola immagine” o “piccola statuetta della divinità”) e latreia (=“venerazione ossequiosa”). Il divieto d'immagine rappresenta quindi un distacco dal feticismo. Nel caso si dimostrasse l'improbabilità dell'esistenza storica di Maomettoqualcosa che il prof Sven Kalisch si accinge a fare — allora l'islam rivelerebbe di essere una religione feticistica, poichè crederebbe all'esistenza storica di una figura inesistente, una religione che tuttavia, a differenza del cristianesimo, individua almeno nel divieto di raffigurazione del volto del profeta Maometto un parziale antidoto al feticismo. Ma sinceramente mi fanno schifo i milliardi di musulmani che guardano al Maometto storico con lo stesso zelo e profondo amore con cui i dementi apologeti cristiani amano il loro fittizio “Gesù storico” e lo vedono “speciale” non perchè inventato, ma solo perchè lo credono realmente vissuto su questa Terra. In termini di feticismo, non vedo alcuna differenza, quando i folli apologeti cristiani leggono Paolo con le classiche “lenti colorate di vangelo”, intendendo un Gesù storico laddove Paolo parla di un arcangelo celeste mai vissuto di recente sulla Terra, e quando i bastardi terroristi dell'ISIS dicono che Gesù era “schiavo di Allah” mentre Paolo era un “criminale ebreo traditore”: in entrambi i casi si fa severo torto all'apostolo, vissuto prima di qualunque versione evemerizzata di Gesù, imponendogli un concetto di Gesù a lui (e a tutti gli apostoli prima di lui) personalmente sconosciuto. Si tratta chiaramente di feticismo puro. Però almeno il divieto di idolatria (e il feticismo cristiano a ben guardare è pura idolatria) rappresenta un distacco almeno ufficiale dal feticismo. La religione cristiana, se fosse davvero non feticistica, non idolatrica, si discosterebbe allora dall'assunto secondo cui potremmo fabbricarci l'immagine venerabile di un superoggetto, il “Gesù storico”, nascosto dietro le nebbiose origini storiche del cristianesimo, il che sarebbe un primo passo verso la constatazione che tale oggetto non esiste. Una giusta osservazione sollevata perfino da un folle apologeta ortodosso come costui

La religione in senso non feticistico è l'impressione di essere partecipi di un senso, sebbene questo sia al di là di ciò che comprendiamo. Io nego ovviamente l'esistenza di quel senso, però non posso dimostrarlo, mentre al contrario è possibilissimo invece dimostrare che Gesù non è esistito come figura storica: da qui, posso accusare di feticismo solo i cristiani storicisti, i cristiani che sentono il bisogno di credere al dogma della storicità di Gesù, il loro idolo taroccato, appunto, che li rende per implicazione feticisti cristiani.

Espressione di religione cristiana non feticista sono formulazioni come “le vie del Signore sono infinite”. Come per esempio quella di Paolo:
O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!
(Romani 11:13)
Con infinito non si intende qui l'infinito matematico, che in certa misura è sempre calcolabile (eppure di che bel maestoso infinito si tratta!).
E non è nemmeno semplicemente l'incalcolabile capriccio di un qualche dio, al quale ci dovremmo sottomettere, ma è espressione di una ricerca. La religione, intesa in senso non feticistico, cerca tracce di senso nell'infinito. Ma l'infinito naturalmente non restituirà mai tracce visibili, oggettive, evidenti e tuttavia l'arrogante e fin troppo pretenziosa dichiarazione dei cristiani feticisti è che la storicità di Gesù sia un fatto addirittura auto-evidente agli occhi di ogni essere senziente, al di là della religione, della civiltà, della razza: è chiaramente una pretesa assurda, dal momento che il primo a non aver mai visto un Gesù sulla Terra fu proprio Pietro, il vero fondatore del cristianesimo (perchè altrimenti non meriterebbe il titolo di apostolo).

E che sia assurda come pretesa lo dimostra questa risposta del dottor Richard Carrier ad un apologeta cristiano che contestava l'uso della scala Rank-Raglan [1] per determinare la probabilità a priori dell'esistenza di Gesù:
Hendrix impiega una fallacia di credulità quando dice che non riesce a capire il mio argomento che “se avessimo solo i vangeli noi dovremmo concludere che Gesù molto probabilmente non esisteva”, perché i vangeli ritraggono Gesù proprio come quattordici persone, e nessuno di loro esisteva. Dice di se stesso: “Io non sono uno storico, ma semplicemente ho grandi difficoltà ad accettare questa conclusione.” Questo è strano. Perché lui afferma di essere un bayesiano. E non c'è bisogno di essere uno storico, solo un bayesiano, per riconoscere che, quando un cappello contiene quindici fagioli e sappiamo che quattordici di loro sono neri, la probabilità a priori che qualsiasi fagiolo estratto dal cappello non sia nero è estremamente bassa. E la probabilità a priori ci impone di trattare i fagioli tutti allo stesso modo. Tu non puoi privilegiare Gesù. Le probabilità a priori che Ercole o Osiride erano storici devono essere le stesse probabilità a priori che lo fosse Gesù. Perché si trovano nello stesso cappello.

Figurati un Hendrix che sostiene che, se tutto ciò che avessimo fossero le leggende delle dodici fatiche di Ercole, noi dovremmo assumere che Ercole esisteva; che, se tutto ciò che avessimo fossero le leggende di Osiride che percorre l'Egitto, noi dovremmo assumere che Osiride esisteva. Questo non ha senso. Meno di tutto perché abbiamo prove abbondanti che non esistevano; perché noi non abbiamo “solamente” le loro leggende. Abbiamo una più antica documentazione dei loro presunti tempi e regioni. La maggior parte degli dèi ed eroi senza dubbio non esistevano. Tuttavia storie erano raccontate delle loro avventure sulla terra, situate in specifici momenti storici. Ogni bayesiano che si rispetti non dovrebbe avere alcuna difficoltà a vedere il punto: se tutti gli altri dèi ed eroi del genere che hanno queste storie tuttavia non esistevano, allora un altro dio a sua volta in possesso di queste storie non può essere una prova della loro esistenza. Al contrario, dobbiamo attenerci alle probabilità a priori: di solito, dèi con storie del genere, non esistono.

È così che l'evidenza di background condiziona la probabilità a priori. Non puoi negare questo ignorando tutta questa conoscenze di background e quel che comporta. Non importa quanto il tuo intuito si scontra contro l'evidenza, il tuo intuito deve andare a farsi fottere. L'evidenza è re.

Devi dare a Gesù semplicemente la stessa probabilità a priori che daresti a Mosè, a Ercole, a Osiride, o a qualsiasi nuovo dio o eroe da noi coperto che fu dipinto allo stesso modo con leggende di analoga struttura. Naturalmente, ci potrebbe essere la prova che mette Gesù in disparte come speciale. La prova che stabilisce che è esistito, a differenza di tutti quegli altri. Ma assente quella prova, se tutto ciò che hai a disposizione è la stessa prova che hai per Ercole, Mosè, Osiride, ecc, allora tu devi accettare la probabilità a priori come tutto ciò che sai della loro probabilità di esistenza. Quindi, devi andare a guardare e vedere se abbiamo la prova speciale per Gesù che non abbiamo per Mosè, Ercole, Osiride, ecc. Questo è ciò che fai al passo successivo. Ma fino ad allora la probabilità a priori rimane invariata, finchè non trovi quella prova speciale, e la utilizzi per aggiornare la probabilità a priori. La quale prova speciale allora diventa la tua probabilità a posteriori.

Invece di fare questo — la cosa giusta da fare per un bayesiano — Hendrix diventa un bayesiano perfino peggiore quando impiega l'ennesima fallacia del possibiliter (vedi Proving History, indice), affermando che “se” gli autori del vangelo avessero mappato le caratteristiche Rank-Raglan proprio sulla storia di una persona reale, allora avremmo una persona storica con quelle caratteristiche. Dice anche che “Questo mi sembra un argomento perfettamente ragionevole”. E non lo è. Poiché l'interrogativo rimane: quant'è quello probabile, piuttosto del contrario? Poiché è possibile dire esattamente lo stesso di Mosè, Ercole, Osiride, Bacco, di chiunque nell'insieme. Eppure sarebbe illogico dire “poichè potrebbero essere stati storici, e potrebbero soltanto aver avuto quelle caratteristiche mappate su di loro, perciò noi dovremmo assumere che erano storici”. La domanda corretta è: quanto spesso la gente mappò quelle caratteristiche su persone reali rispetto a quelle inesistenti? E l'evidenza illustra qual è la risposta: Quasi mai (se non di fatto mai in realtà). Anche le persone reali che hanno avuto alcune di quelle caratteristiche mappate su di loro (Alessandro Magno, Sargon di Accadia) non ebbero mappate su di loro più della metà di quelle caratteristiche, tanto meno quasi tutte di loro. In ogni caso a priori, quando qualcuno ha avuto più della metà di loro mappate su di loro, essi si sono rivelate persone inesistenti. Questo ci dice che eventuali nuove persone di cui questo è il caso, proprio altrettanto probabilmente risulterà a sua volta una persona inesistente. Perché questo è ciò che è successo più e più e più e più volte. Senza alcuna eccezione nota, in realtà.

Che è ancora possibile che Gesù sia l'eccezione, l'unica persona reale su cui furono mappate così molti attributi, è già rappresentato nella probabilità opposta. Ma non possiamo cambiare quella probabilità da ciò che l'evidenza dimostra essere veramente il caso (nel caso peggiore 1 su 15, anche se io favorisco altamente la stima in direzione della storicità, consentendo che sia 1 su 3) solo perché siamo a disagio con questo fatto. Dobbiamo attenerci a ciò dove l'evidenza dimostra quello essere il caso. Provare Gesù come l'unica eccezione richiede una prova. Non una presunzione. Non intuito di comodo.

Gli argomenti di Hendrix per giudicare Gesù in modo diverso rispetto agli altri membri di quel gruppo non funzionano per Ercole, Osiride, Mosè, o chiunque altro nell'insieme, e non funzionano per Gesù altrimenti. Anche loro hanno tutti caratteristiche diverse tra loro, non tutti, per esempio, cominciarono l'esistenza in un regno soprannaturale — eppure hanno ancora la stessa probabilità a priori di esistenza. L'argomento “erano diversi, quindi non sono la stessa cosa”  è una fallacia, una che distruggerebbe tutte le classi di riferimento dell'universo. Perché ogni oggetto è allo stesso tempo diverso e lo stesso. Letteralmente tutto ciò che esiste. Una volta che vediamo che non più di 1 su 3 membri di questa serie è storicamente esistito, dobbiamo concludere che quella è la probabilità a priori di esistenza di qualsiasi membro di quella serie. Ciò che rimane da chiedersi non è se 2 su 3 non esistevano — ciò segue necessariamente. Ciò che rimane da chiedersi è come. E quello può variare. Non importa se, per esempio, Asclepio non ha cominciato l'esistenza in un regno soprannaturale. La possibilità che anche Gesù non lo fece è già inclusa nei nostri numeri: come ipotesi alternativa con una tale infinitamente piccola probabilità a priori per le divinità più simili a Gesù da non mostrarsi nella nostra matematica alla risoluzione utilizzata in OHJ. Hendrix è quindi in errore nell'affermare che non sto tenendo conto di ciò. Ne sto tenendo conto. E io dico esplicitamente così. E lui non ha alcun argomento contro il punto.

(liberamente estratto e tradotto da qui)

In altre parole, una religione non-feticistica, come l'ebraismo, non pretende di imporre a tutti che le sue figure fondative sono davvero esistite. Non scaturisce improvvisamente dal bisogno fissare nella Storia con la S maiuscola l'esistenza del proprio oggetto di culto. Non pretende di sapere.

Se si crede, nella più totale assenza di evidenza, che sia esistito un uomo all'origine di una setta X avente quell'uomo come oggetto di culto, ci si sbaglia, perchè non si riuscirà mai a eliminare il dubbio sano e legittimo che quell'uomo non possa essere mai esistito al pari dello stesso oggetto di culto della setta X, perchè coincidente e tutt'uno con esso.
Ma ciò non significa che la religione cristiana non possa disinfettarsi dal feticismo che la infetta da quando “Marco” si sedette a tavolino per scrivere un'allegoria. Al contrario, lo stesso dottor Carrier consiglierebbe quel futuro al cristianesimo moderno:
(xi) Ultimo, e certamente ultimo: Doherty dice che “è difficile vedere come il cristianesimo come forza vitale nella società sarà capace di continuare” (pag. 295).. Mi permetto di dissentire: a parte la persistenza di superstizione e ignoranza, i cristiani potrebbero ben ravvivare la loro fede con un nuovo ritorno ad un Cristo spirituale, basato esclusivamente sull'ispirazione dallo Spirito Santo e non più dipendente da eventuali testi o ipotesi sulla Storia.
(mia libera traduzione da qui)
Ogni religione che pone l'esistenza del suo oggetto di culto sulla Terra senza portare prove oggettive della sua storicità, va giustamente liquidata come errore, come una forma di feticismo.

Nella convinzione errata che Gesù è esistito come figura storica si celebra, nell'impossibilità ormai di vederla sradicata almeno tra i cosiddetti “esperti” biblisti, il declino di ogni facile antropocentrismo e, in ultima istanza, dell'Occidente.

NOTE

[1] Bisogna ricordare che nella scala Rank-Raglan, Gesù totalizza ben 20 punti collocandosi al terzo posto dopo Edipo e Mosè:

1. Edipo (21)
2. Mosè (20)
3. Gesù (20)
4. Teseo (19)
5. Dioniso (19)
6. Romolo (18)
7. Perseo (17)
8. Ercole (17)
9. Zeus (15)
10. Bellerofonte (14)
11. Giasone (14)
12. Osiride (14)
13. Pelope (13)
14. Asclepio (12)
15. Giuseppe [cioè il figlio di Giacobbe] (12)

mercoledì 21 settembre 2016

Sul fallito apocalitticismo di Paolo come causa prima della fabbricazione di un avatar terrestre per Gesù

VESCOVO: Significa ispettore. È un prete che pur privo di moglie ha, come alcuni insetti, la capacità di riprodursi e moltiplicare la propria specie. Vedi Ordine.
(Il Libero Pensatore Paul Heinrich Dietrich, barone d'Holbach, La théologie portative, 1768)

 Se mi sono dilungato sui culti del cargo del Pacifico occidentale, è solo perché ci offrono un modello contemporaneo di come le religioni nascano pressoché dal nulla. In particolare, essi ci suggeriscono sull'origine delle religioni quattro lezioni che esporrò in breve. In primo luogo ci mostrano con quale incredibile velocità possa svilupparsi un culto. In secondo luogo ci fanno vedere quanto in fretta se ne dimentichino le origini. John Frum, se è esistito davvero, avrebbe dovuto essere ricordato da qualcuno, invece nemmeno di un personaggio così recente si riesce a sapere se è vissuto davvero. In terzo luogo ci insegnano come culti analoghi emergono in maniera indipendente su isole diverse. Lo studio sisematico delle somiglianze può dirci qualcosa in merito alla psicologia umana e alla sua tendenza ad abbracciare una religione. In quarto luogo, ci dimostrano che i culti somigliano non solo gli uni agli altri, ma anche a culti più lontani nel tempo. Con tutta probabilità, il cristianesimo e altre antiche religioni che si sono diffuse nel mondo furono all'inizio culti locali come quello di John Frum.
(Richard Dawkins, L'illusione di Dio. Le ragioni per non credere, pag. 207)


Il folle apologeta cristiano Ed Parish Sanders osservò una volta su Paolo:
Non esistono due elementi del pensiero di Paolo più certi, o espressi con maggiore regolarità, della sua convinzione che la piena salvezza dei credenti e la distruzione dei non credenti fosse collocabile nel futuro prossimo, e della relativa convinzione che i cristiani possedessero lo Spirito come garanzia presente della salvezza futura.
(Paul, the Law, and the Jewish People, London, SC Press, 1983, pag. 5)

Pertanto, benché Paolo non sia stato il fondatore del cristianesimo (l'angelo Gesù si rivelò per prima a Pietro), chiaramente non era questa la sua intenzione. Se avesse saputo che, a duemila anni di distanza, sarebbe esistita una Chiesa globale basata sulle sue idee, e per giunta ruotante attorno all'idolo taroccato soprannominato “Gesù storico”, ne sarebbe rimasto inorridito, disilluso e completamente annientato, perchè una cosa del genere avrebbe distrutto i fondamenti del suo credo. Quel che l'animava e lo motivava era la convinzione che non ci sarebbe stato alcun futuro.
Ma questo dichiaro, fratelli: che il tempo è ormai abbreviato. D'ora in poi, anche quelli che hanno moglie, siano come se non l'avessero. Quelli che piangono, come se non piangessero. Quelli che si rallegrano, come se non si rallegrassero. Quelli che comprano, come se non possedessero. Quelli che usano di questo mondo, come se non ne usassero, perchè la figura di questo mondo passa.
(1 Corinzi 7:29-31)
Ora, fratelli, non vogliamo che siate nell'ignoranza riguardo a quelli che dormono, affinché non siate contristati come gli altri che non hanno speranza. Infatti, se crediamo che Gesú è morto ed è risuscitato, crediamo pure che Dio condurrà con lui, per mezzo di Gesú, quelli che si sono addormentati. Ora vi diciamo questo per parola del Signore: noi viventi, che saremo rimasti fino alla venuta del Signore, non precederemo coloro che si sono addormentati perché il Signore stesso con un potente comando, con voce di arcangelo con la tromba di Dio discenderà dal cielo, e quelli che sono morti in Cristo risusciteranno per primi; poi noi viventi, che saremo rimasti saremo rapiti assieme a loro sulle nuvole, per incontrare il Signore nell'aria; cosí saremo sempre col Signore.
Consolatevi dunque gli uni gli altri con queste parole.

(1 Tessalonicesi 4:13-18)
Perciò abbiamo il secondo grande paradosso (dopo l'inesistenza storica di Gesù soprannominato Cristo): la stessa esistenza delle odierne chiese cristiane inficia la base su cui è stata fondata la religione cristiana.

Il problema non poteva lasciare indifferente coloro ai quali Paolo aveva promesso la fine imminente di questo mondo. A cominciare dal paolino “Marco”, che scrisse il primo vangelo a stretto ridosso della morte dell'apostolo e che perciò era animato da un fervore altrettanto apocalittico, se non in misura addirittura maggiore. Non è che “Marco” avesse rinunciato a sperare nell'imminenza della fine: al contrario, ci credeva davvero. Soltanto, doveva giustificare perchè proprio l'apostolo che comunicò con l'angelo Gesù più di tutti gli altri non era vissuto abbastanza a lungo da poter vedere, assieme a lui, la distruzione di questo mondo. “Marco” sentiva insomma in primo luogo l'esigenza di un'apologia di Paolo l'apostolo, non dell'angelo Gesù visto da Paolo, specie quando i seguaci dei Pilastri, abbandonando Gerusalemme, stavano infiltrando una seconda volta le comunità paoline sparse nella Diaspora, acuendo lo scontro sulla Torah. L'angelo Messia sicuramente doveva arrivare nel più breve tempo possibile, ma intanto l'apostolo Paolo era morto: come fare?


 Gabriele Boccaccini ha pubblicato un suo articolo a partire da pagina 153 del libro Enoch and the Synoptic Gospels: Reminiscences, Allusions, Intertextuality (Early Judaism and Its Literature), SBL Press, 2016, intitolato Forgiveness of Sins: An Enochic Problem, a Synoptic Answer, che ha l'indiscusso merito di gettare una luce altrimenti mancante sul vero significato dell'espressione “Figlio dell'Uomo” nel primo vangelo (e per estensione in tutti i successivi derivati dal primo). Tanto per cominciare, metto in discussione tutto ciò che io stesso ho detto o scritto in merito al suo significato perchè riconosco umilmente di aver preso un grosso abbaglio: “Figlio dell'Uomo” probabilmente non significa affatto in Marco un mero figlio d'uomo, come volle intenderlo quell'idiota di Maurice Casey (la cui ricerca sull'origine aramaica del termine a questo punto posso sconfessare completamente come del tutto infruttuosa).

Al contrario, nel Libro delle Parabole di Enoch, il “Figlio dell'Uomo” porta inequivocalmente i caratteri del crudele Messia-Terminator che scatenerà una guerra termonucleare avente come unico scopo l'annientamento più totale di questa Terra:
E chiesi ad uno degli angeli che andava con me e che mi mostrava tutte le cose nascoste, a proposito di quel Figlio dell'Uomo:  Chi è, da dove viene e perchè va col “Capo dei Giorni”? E mi rispose e mi disse: Costui è il Figlio dell'Uomo, per il quale fu fatta la giustizia e col quale è stata fatta la giustizia; Egli manifesterà tutti i luoghi di deposito dei misteri poichè il Signore degli spiriti lo ha prescelto e la cui sorte ha vinto tutti, al cospetto del Signore degli spiriti, in giustizia, in eterno. E questo Figlio dell'Uomo, che tu hai visto, toglierà i re e i potenti dalle loro sedi ed i forti dai loro troni, scioglierà i freni dei forti e spezzerà i denti dei peccatori. Ed Egli rovescerà i re dai loro troni e dai loro regni poiché non lo esaltano, non lo lodano e non gli si umiliano. Da dove è stato dato loro il regno? Ed egli piegherà la faccia dei potenti, li riempirà la vergogna e la tenebra sarà la loro sede e i vermi il loro letto e non avranno speranza di sollevarsi dal loro letto perché non esaltano il nome del Signore degli spiriti.
Ed essi sono quelli che giudicano le stelle del cielo e alzano le loro mani contro l'Eccelso e camminano sulla terra e vi abitano e dei quali ogni atto è iniquità e mostrano i loro atti essere iniquità; la forza è nelle loro ricchezze e la fede è negli dèi che essi hanno fatto con le loro mani e sono quelli che hanno rinnegato il nome del Signore degli spiriti. Ed essi saranno scacciati dalle case che sono luogo di raccolta di Lui e dei fedeli che sono sospesi al nome del Signore degli spiriti.

(Libro delle Parabole di Enoch 46:2-8)
Sono sufficienti quelle parole per dispensare senza indugio da ogni folle apologeta cristiano che propone una versione umana, fin troppo umana, dell'espressione “Figlio dell'Uomo” (quasi a tradire il malcelato apologetico desiderio di voler riscattare così la storicità di Gesù). Si tratta chiaramente della figura piuttosto sinistra di un Distruttore escatologico pre-esistente per nulla compassionevole, ma crudelmente vendicativo, al limite della follia e dell'orrore puro.

E tuttavia, spiega il prof Boccaccini, pur in un libro dove non raffiora alcun compromesso tra l'inesorabile giustizia divina che si abbatterà sulla Terra e i peccatori che la infestano:
E la sapienza del Signore degli spiriti lo rivelò ai santi ed ai giusti, perché aveva protetto la parte dei giusti, e costoro avevano odiato e disprezzato questo mondo di iniquità e ne avevano odiato tutte le azioni ed i comportamenti, nel nome del Signore degli spiriti, e si salvavano nel nome di Lui ed Egli era stato il vendicatore della loro vita.
In quei giorni i re ed i potenti che posseggono la terra, a causa delle azioni delle loro mani, abbasseranno la testa, perché non si salveranno nel giorno dell'angustia e della loro difficoltà. Ed io li porrò nelle mani dei miei eletti, ed essi al cospetto dei giusti, bruceranno come erba al fuoco e, come stagno nell'acqua, affogheranno al cospetto dei Santi, e non si troverà più la loro traccia. E nel giorno della loro afflizione, vi sarà quiete sulla terra ed essi cadranno innanzi a Lui e non si solleveranno e non vi sarà chi li prenda per mano e li faccia alzare perché hanno rinnegato il Signore degli spiriti e il Suo Messia; e sia benedetto il nome del Signore degli spiriti.

(Primo Libro delle Parabole di Enoch 48:7-10)
...si insinua lentamente l'idea che un compromesso è in realtà possibile, complice la stessa pietà divina:
E in quei giorni vi sarà, per i santi e gli eletti, un cambiamento; la luce dei giorni sarà su di loro e la gloria e l'onore si volgeranno verso i Santi.
Nel giorno dell'afflizione, il male si ammasserà sui peccatori ed i giusti vinceranno nel nome del Signore degli spiriti ed Egli mostrerà ciò agli altri, affinché si pentano e abbandonino l'opera delle loro mani. E non vi sarà, per essi, onore al cospetto del Signore degli spiriti ma essi si salveranno nel Suo nome ed il Signore degli spiriti li perdonerà perchè la sua misericordia è molta, poichè è giusto nei Suoi giudizi e al cospetto della Sua gloria l'iniquità non potrà resistere ai Suoi giudizi; colui che non si pente innanzi a Lui è perduto. E dice il Signore degli spiriti: d'ora in poi dato che non si sono pentiti non li perdonerò.

(Primo Libro delle Parabole di Enoch 50:1-5)
Tuttavia, anche se rimane appena adombrata la speranza di un premio ultraterreno per i peccatori che si convertono a Dio in extremis, un istante prima della distruzione finale, non sarà certo il Messia a perdonare quei peccatori:
Il Libro delle Parabole non attribuisce il perdono al Messia, che rimane il giudice e distruttore del male. Tuttavia il testo segnala una svolta radicale in una tradizione che non aveva mai prestato attenzione al problema del pentimento o del perdono del peccato, se non per escludere una possibilità del genere. Il pentimento è ora un tema centrale nel Libro delle Parabole; è così importante che diventa chiaro perchè uno dei quattro arcangeli  (oltre a Michele, Raffaele e Gabriele) fu detto di esser adibito specificamente a questo compito: “Fanuele, che presiede al pentimento ed è per la speranza di quelli che ereditano la vita eterna” (1 Enoch 40:9).
(Forgiveness of Sins: An Enochic Problem, a Synoptic Answer, pag. 161-162, mia libera traduzione)
Eppure per il vangelo di Marco sarà proprio Gesù (dopo Giovanni il Battista) a compiere ciò che il Libro delle Parabole di Enoch prevedeva che dovesse fare l'arcangelo Fanuele, ovvero “presiedere al pentimento ed essere per la speranza di quelli che ereditano la vita eterna”.

Per Boccaccini non ci sono dubbi:
Il testo non elabora ulteriormente su quei punti, ma se leggiamo i sinottici circa la predicazione di Giovanni il Battista e Gesù, è come leggere un midrash di 1 Enoch 50.
(Forgiveness of Sins: An Enochic Problem, a Synoptic Answer, pag. 162, mia libera traduzione e mia enfasi)
Così Boccaccini spiega la totale assenza dell'espressione “Figlio dell'Uomo” nelle lettere di Paolo:
L'assenza del termine Figlio dell'Uomo in Paolo non dev'essere interpretata come un rifiuto del concetto del Figlio dell'Uomo. Al contrario, la cristologia di Paolo non devia radicalmente dal modello enochico. Al pari del sinottico “Figlio dell'Uomo”, il Figlio-kyrios paolino appartiene alla sfera celeste, ed è separato da e subordinato al Padre-theos. Dopo il completamento della sua missione di perdono tramite il suo sacrificio di sé, “il Figlio sarà anch'egli sottoposto a colui che gli ha sottoposto ogni cosa, affinché Dio sia tutto in tutti” (1 Corinzi 15:28). Se Paolo non utilizza il termine “Figlio dell'Uomo” (perfino in contesti come 1 Tessalonicesi 4:16-17, dove l'allusione a Daniele 7 lo avrebbe reso ovvio), è a causa dell'eventuale interferenza del titolo col parallelismo da lui stabilito tra Adamo e il nuovo Adamo, suggerendo la subordinazione di Gesù Ben Adam al primo Adamo. Poichè è il figlio obbediente, Cristo è confrontato al figlio disobbediente, Adamo, col quale condivide la natura e la dignità di altro “figlio di Dio”. Entrambi furono creati ad immagine e somiglianza di Dio, assumendo su di sé la “forma” di Dio; Adamo e Gesù, comunque, sono separati da un fato diverso, cioè, un fato di colpa e trasgressione nel caso di Adamo, e l'altro di obbedienza e gloria nel caso del nuovo Adamo. La kenosis di Adamo è punizione causata dalla sua disobbedienza, mentre in Gesù la kenosis è una scelta volontaria per la realizzazione della sua missione di perdono ed è seguita dalla sua elevazione e glorificazione (Filippesi 2:5-11). La venerazione di Gesù, spesso fraintesa come prova dello status divino di Gesù, è la venerazione dovuta al Figlio dell'Uomo al tempo in cui il suo nome è manifestato.
(pag. 14-15 di questo pdf online di Boccaccini, mia libera traduzione)

È chiaro che Boccaccini è così entusiasta della sua (quanto mai azzeccata, lo ammetto) realizzazione dei vangeli “come midrash di 1 Enoch 50” che non accetta di buon grado la a dir poco sfacciata recalcitranza di un Paolo a chiamare l'angelo Gesù “Figlio dell'Uomo”. Com'è tipico di ogni folle apologeta cristiano, anche Boccaccini non è da meno e ricorre in questo caso alla tipica, goffa tecnica di armonizzazione apologetica che prevede di estrarre fuori l'espediente retorico della mitologica “tradizione orale” et voilà.. . ...ecco sbucare dal nulla per magico incanto fantomatici seguaci di un altrettanto fantomatico Gesù storico a definirlo, prima di Paolo e nonostante Paolo, “Figlio dell'Uomo”. La trovo una “logica” decisamente vergognosa e inaccettabile, l'ennesimo “pallonetto” colle classiche lenti colorate di vangelo col quale si pretende di scavalcare l'apostolo...

Secondo me, Boccaccini ha intuito solo parte del motivo per il quale Paolo si rifiutò di chiamare il suo angelo col titolo escatologico di “Figlio dell'Uomo”. Secondo me, Paolo omise del tutto deliberatamente quel titolo per Gesù non solo perchè detestava la subordinazione di Gesù ad Adamo (subordinazione implicita nel titolo stesso: “Figlio di Adamo”) ma anche perchè l'Adamo peccatore era, agli occhi di Paolo, esattamente il prototipo di un “Gesù diverso” :
Infatti, se uno viene a predicarvi un altro Gesù, diverso da quello che abbiamo predicato noi, o se si tratta di ricevere uno spirito diverso da quello che avete ricevuto, voi lo sopportate volentieri.
 (2 Corinzi 11:4)
...e per estensione di un “vangelo diverso”:
Ma anche se noi o un angelo dal cielo vi annunziasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunziato, sia anatema.
(Galati 1:8)
Cosa significa essere un “Gesù diverso” per Paolo l'apostolo ?
 

A spiegarcelo è il paolino “Marco” il quale offre un sottile indizio anticipatore rivelatore dell'immagine per antonomasia di un “Gesù diverso”:
E diceva: “Abbà, Padre! Ogni cosa ti è possibile; allontana da me questo calice! Però, non quello che io voglio, ma quello che tu vuoi”.
(Marco 14:36)
Solo un idiota penserebbe che un Gesù storico facesse davvero una preghiera del genere, così come solo un idiota crederebbe che la presenza di “Abbà” (aramaico per “Padre”) sia casuale e non invece deliberata su un piano squisitamente allegorico. Perchè è chiaro a cosa si riferisce quell'“Abbà” una volta che emergono alla luce i seguenti paralleli troppo impossibili per essere meramente frutti del caso:

IL PRIMO INDIZIO  
IL SECONDO INDIZIO
L’ALLEGORIA
IL SIGNIFICATO
E diceva: “Abbà,  
allontana da me questo calice!
Pilato, volendo soddisfare la folla, liberò loro Barabba (Marco 15:15)
Infatti, se uno viene a predicarvi un altro Gesù, diverso da quello che abbiamo predicato noi, o se si tratta di ricevere uno spirito diverso da quello che avete ricevuto, voi lo sopportate volentieri.
 (2 Corinzi 11:4)
Padre! Ogni cosa ti è possibile;   
Però, non quello che io voglio, ma quello che tu vuoi”.

E consegnò Gesù, dopo averlo flagellato, perché fosse crocifisso (Marco 15:15)
I Giudei infatti chiedono miracoli e i Greci cercano sapienza, ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo e per i Pagani follia.
(1 Corinzi 1:23)

“Gesù Barabba”, “Gesù figlio di Abbà”, è il candidato ideale al ruolo di un “Gesù diverso” da quello predicato da Paolo, dal momento che Barabba è un falso cristo non-crocifisso, mentre Gesù “soprannominato Cristo” è il vero “Cristo crocifisso, l'unico e solo predicato da Paolo l'apostolo:
I Giudei infatti chiedono miracoli e i Greci cercano sapienza, ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo e per i Pagani follia.
(1 Corinzi 1:23)
E si capisce allora perchè un Gesù non-crocifisso è la totale antitesi, la nichilistica negazione in marcia del “Cristo crocifisso” predicato e adorato da Paolo: un Gesù che non si fa crocifiggere dai malefici “arconti di questo eone” è per definizione un Gesù ancora schiavo della Legge, ancora figlio della schiava, che nell'allegoria è “Agar”:
Ma quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo l'adozione.
(Galati 4:4-5)

Queste cose hanno un senso allegorico: poichè queste donne sono due patti: uno, del monte Sinai, genera per la schiavitù, ed è Agar.
(Galati 4:24)
Solo la crocifissione di Gesù ha il potere di rimuovere la maledizione della Legge dai “fratelli del Signore”, ovvero tutti i cristiani adottati da Dio col battesimo e quindi divenuti figli della “donna libera”, allegoria per Paolo della “Gerusalemme celeste”, la famiglia cosmica del Signore Gesù.

Ma perchè tutto questo discorso intorno a “Gesù Barabba” ha a che fare col rifiuto del titolo “Figlio di Adamo” per Gesù da parte di Paolo?

Semplice. Perchè “Gesù Barabba” altri non è che Adamo preso in prestito!

Il clone “Gesù Barabba” in Marco 15:7:
L’originale “Gesù Barabba” ovvero “il primo Adamo”:
Vi era allora un tale chiamato Barabba…
Adamo era Figlio del Padre.
…in prigione,
Adamo fu espulso dall’Eden, perciò in stato di cattività.
insieme ad altri compagni ribelli,
Adamo ed Eva erano complici nella loro ribellione a Dio, istigati dal Serpente.
i quali avevano commesso un omicidio durante una sommossa.
Come risultato del loro peccato, Adamo ed Eva hanno sottomesso l’intera umanità al dominio della morte, apparentemente per tutta l’umanità.

Forse che il paolino “Marco” sta dicendo cripticamente ai soli insiders (coloro che hanno occhi per vedere e orecchie per udire) che il Gesù spirituale, il Gesù celeste di Paolo non è il vero Figlio di Adamo, per la semplice ragione che Adamo è peccatore contro la legge di Dio quanto lo è “Barabba” e deve il suo riscatto unicamente al “secondo Adamo”, cioè a Gesù Cristo? Eppure “Marco” fa posare Gesù nel suo vangelo come “Figlio di Adamo, “Figlio dell'Uomo”. Perchè lo ha fatto?

La ragione è da ricercare nello stesso fallito apocalitticismo di Paolo, come testimoniato storicamente dallo stesso “Marco”.

  La crocifissione di Gesù in incognito nella sfera sublunare eliminò la maledizione della Legge, ma il Cristo celeste doveva comunque completare per intero la sua missione nel breve periodo: annientare i malefici “arconti di questo eone” distruggendo senza pietà il loro mondo. Che comprendeva anche questo mondo.

L'agognata fine di questo mondo sembrava non arrivare, e allora il paolino “Marco” vide in questo prolungato ritardo l'assunzione, da parte del Cristo vendicatore, del ruolo della pietà divina da offrire in extremis a chi ancora si sarebbe potuto pentire.

Se la Fine sembra inaspettatamente non arrivare, non sarà perchè Dio vuole risparmiare i peccatori ancora per poco alla distruzione comunque imminente, sperando, nella sua infinità pietà, in una loro conversione in extremis e perciò nella loro guadagnata salvezza appena prima della Fine?
Se un peccatore si pente sinceramente, non dovrebbe la Pietà di Dio prevalere sulla Sua Giustizia?
(pag. 12 di questo pdf online di Boccaccini, mia libera traduzione)

La stessa distruzione del Tempio significava che era finito il tempo del perdono dei peccati sulla Terra nello stesso istante in cui, dal tempo in cui lo collocava “Marco” (guardacaso proprio “sotto Pilato”), ora sulla Terra era Gesù stesso, il Figlio dell'Uomo, venuto a perdonare i peccati per la fatidica, ultima volta prima del Giudizio finale.

Quindi Giovanni il Battista fu cooptato deliberatamente nell'incipit del primo vangelo per indicare la ragione della venuta di Gesù sulla Terra: egli era il Figlio dell'Uomo, il giudice escatologico profetizzato da Giovanni (al di là se nella fiction o nella realtà storica), giudice che invece di giudicare viene paradossalmente per perdonare, per dare un'ultima occasione di ravvedimento. Con sorpresa dello stesso Giovanni, il cui messaggio era:
“Sii battezzato con acqua; altrimenti, sarai battezzato col fuoco di giudizio da parte del Figlio dell'Uomo” - questo sembra essere in essenza il messaggio originale di Giovanni il Battista, come capito dai Sinottici.
(Forgiveness of Sins: An Enochic Problem, a Synoptic Answer, pag. 163, mia traduzione)
Il ritardo della prima venuta del Cristo celeste su questa Terra (giacchè la prima volta l'angelo Gesù discese solo nella regione sublunare per farsi ammazzare dagli “arconti di questo eone” a loro insaputa) fu inaspettato per il paolino “Marco”, e l'unica giustificazione che potè offrire di quel ritardo, perfino se ancora nutriva la sincera speranza nell'imminente venuta del “Signore della gloria” con conseguente annichilimento totale di questo mondo corrotto, è magnificamente espressa senza saperlo proprio da Boccaccini:
Gesù offrì una più concreta prospettiva, dal momento che la promessa di perdono arriva dallo stesso Figlio dell'Uomo. Chi può aver più autorità di perdonare di colui che Dio ha costituito come il Giudice escatologico?
(Forgiveness of Sins: An Enochic Problem, a Synoptic Answer, pag. 165, mia traduzione e mia enfasi)

Da qui la (reale) sorpresa del paolino “Marco” per un Cristo vendicatore che ritarda la sua opera di distruzione si traduce nella (fittizia) sorpresa di Giovanni il Battista per un Figlio dell'Uomo che si preoccupa di perdonare i peccati SULLA TERRA. Ovviamente quella sorpresa di Giovanni è resa più esplicita in Luca e Matteo facendo esclamare così il Battista in persona:
«Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attenderne un altro?»
(Matteo 11:3)

 «Sei tu colui che viene, o dobbiamo aspettare un altro?»
(Luca 7:19)
...ma ora si spiega perchè Marco pone l'apparente fallimento della missione di Giovanni, con la sua inutile, ignominiosa morte per causa della peccatrice Erodiade (Marco 6:14-29), tra l'invece utile andata e ritorno dei discepoli a fare ciò che già faceva e doveva fare il Figlio dell'Uomo:
E partiti, predicavano alla gente di ravvedersi; scacciavano molti demoni, ungevano d'olio molti infermi e li guarivano.
(Marco 6:12-13)

Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato.
(Marco 6:30)
Lo stesso Boccaccini si avvicina senza saperlo alla mia soluzione del perchè Marco introdusse il paradosso di un “Figlio dell'Uomo che perdona” — come potrebbe esserlo una specie di “Terminator che non termina” — quando conclude:
La possibilità di pentimento annunciata dalle Parabole di Enoch e da Giovanni il Battista come uno dei segni della fine diventa il centro dell'attività del Messia Gesù, che venne come il Figlio dell'Uomo che ha autorità sulla terra di perdonare i peccati. Nel battezzare in suo nome la chiesa antica continua e prolunga il messaggio di perdono di Gesù come uno strumento della pietà di Dio, finchè Gesù ritornerà per eseguire il giudizio, e non altro tempo per il pentimento sarà allora concesso.
(Forgiveness of Sins: An Enochic Problem, a Synoptic Answer, pag. 154, mia libera traduzione e mia enfasi)

Ma se Boccaccini riconosce così evidentemente che la fondazione del battesimo nella chiesa antica risponde alla necessità (inaspettata) di un motivo teologico per PROLUNGARE il tempo prima della Fine (perchè la Fine può solo essere tragicamente punitiva per chi rimane impuro peccatore perciò procrastinarla non può che avere una funzione espiatoria), allora diventa altresì evidente perchè il paolino “Marco” decise di chiamare Gesù “Figlio dell'Uomo” quando nemmeno Paolo l'apostolo si preoccupò di fare altrettanto: l'unico motivo teologico disponibile a “Marco” per spiegare l'altrimenti inatteso e imbarazzante ritardo della distruzione della Terra consisteva nell'individuare in quello stesso ritardo “il messaggio di perdono di Gesù come uno strumento della pietà di Dio”.

Gesù fu evemerizzato sulla Terra — come Giudice che perdona — da “Marco
, perchè il Gesù angelo celeste come Giudice che condanna tardava ad arrivare. Al contrario di cosa pensano parecchi, Paolo non fu un fallito apocalitticista perchè un ipotetico Gesù storico lo era stato prima di lui, ma un Gesù “storico” apparente apocalitticista fallito fu inventato ex-novo dal paolino “Marco” per riscattare in funzione espiatoria l'apparente fallimento dell'apocalitticismo di Paolo. Una Fine violenta che non arriva non tradisce l'impotenza di Dio o la mendacia di Paolo, ma rivela la pietà di Dio nel concedere altro tempo prezioso per la conversione dai peccati. Perciò un Gesù che predice fieramente ai suoi carnefici nella fiction di “Marco”:
E vedrete il Figlio dell'Uomo, seduto alla destra della Potenza venire sulle nuvole del cielo
(Marco 14:62)

...è in realtà un Gesù Figlio dell'Uomo che manifesta sè stesso — ovvero, la sua “autorità di perdonare i peccati sulla Terra(Marco 2:10) — nel momento stesso in cui, sorprendentemente, non si manifesta ancora come Giudice escatologico sulla Terra. Perfino se un giorno lo farà veramente, promette l'autore del primo vangelo. La profezia apocalittica di Gesù sul Figlio dell'Uomo “seduto alla destra della Potenza” si realizza almeno parzialmente intanto nell'istante stesso in cui viene smentita:

1) la venuta del Figlio dell'Uomo “alla destra della Potenza” significa che il Giudice escatologico punirà violentemente i peccatori che stanno appena condannando Gesù alla morte per blasfemia,
2) ...ma proprio il Giudice escatologico e soltanto lui, “ha il potere di perdonare i peccati sulla terra” (Marco 2:10),
3) ...perciò, non manifestandosi, sta dando di fatto tempo e occasione ai suoi carnefici di redimersi, ma così facendo sta già rivelando la sua autorità SULLA TERRA: l'autorità di rimettere i peccati di ogni peccatore sinceramente pentito. 

Per chi ha occhi per vedere e orecchie per udire, l'apparente imbarazzo di una profezia fallita è superato nel significato intrinseco della sua negazione letterale: in entrambi i casi la profezia è di fatto realizzata.

1) se il Figlio dell'Uomo si manifesta davvero distruggendo questo mondo corrotto, allora la profezia è realizzata (semplice tautologia);
2) se il Figlio dell'Uomo non si manifesta, allora la profezia è realizzata comunque, perchè significa che il Figlio dell'Uomo si sta già manifestando colla sua assenza, interpretata come compassionevole invito alla conversione dai peccati.

E c'è chi quell'invito alla conversione lo recepisce e chi no.

Così si spiega il pianto a dirotto di Pietro (in Marco 14:72) che fa da perfetto contrasto all'arroganza dei farisei accusatori nel vedere un apparente falso profeta: Pietro, con quel pianto dirotto, non solo rivela di essere il terreno pietroso della Parabola del Seminatore dove il seme germoglia in fretta per poi essiccare subito dopo, ma realizza la stessa profezia di Gesù sul Figlio dell'Uomo di 14:62 poichè rappresenta davvero quella classe di pentiti dell'ultima ora descritti così vividamente nel Libro delle Parabole: “E non vi sarà, per essi, onore al cospetto del Signore degli spiriti ma essi si salveranno nel Suo nome ed il Signore degli spiriti li perdonerà perchè la sua misericordia è molta...”.

I peccatori che non si pentiranno saranno gli altri Pilastri, Giacomo e Giovanni — ciascuno dei quali “figlio di Zebedeo” (per lo storico Flavio Giuseppe, poteva esserlo solamente un “ladro”) —, che finiranno sulla croce come promesso enigmaticamente loro da Gesù in Marco 10:39 (“voi certo berrete il calice che io bevo...”, lo stesso “calice” di sofferenze al quale scamperà “Gesù Barabba”) allegorizzati anche dagli stessi “scribi e farisei” (alle cui offese sotto la croce si aggiungono guardacaso quelle dei due “ladroni” Giacomo e Giovanni: “anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano”, Marco 15:32).

Ma tramite l'introduzione del non-condannato “Gesù Barabba” alias “il primo Adamo”, forse esiste la concreta possibilità che il paolino “Marco” vuole ricordare al lettore iniziato che in realtà il vero Gesù arcangelo celeste non è e non sarà mai lo stesso Gesù “Figlio di Adamodella fiction. Il secondo è solo un Avatar terrestre del primo. L'episodio di Barabba/“Adamo” si potrebbe considerare perciò la firma miticista di “Marco”, la segreta realizzazione per l'iniziato che l'autore del primo vangelo non volle venir meno al divieto paolino di seguire un “Gesù diverso” da quello celeste predicato da Paolo, perfino quando quel “Gesù diverso” lo stava creando proprio lui, “Marco”, completamente a tavolino.