giovedì 29 gennaio 2015

Dalla Pentecoste a “Gesù” oppure da Gesù alla “Pentecoste”?

 Storicamente non si sa nulla di lui, e si arriva anche a dubitare della sua esistenza. Non tratterò, quindi, questo difficile argomento. Bertrand Russell, “Perché non sono cristiano” (1927)




Quando ero storicista, mandai una mail a Bart Errorman ottenendo questa risposta (che traduco):

Nello specifico, io penso che i discepoli fossero già apocalittici ebrei che sottoscrivevano all'idea di 'resurrezione' (a differenza dei pagani); la mia ipotesi è che subito dopo la morte di Gesù (una settimana o due dopo?) uno o più dei suoi discepoli ebbe una visione (o un sogno interpretato come una visione?) di Gesù (proprio come mio nonno 'vide' mia nonna un paio di settimane dopo il suo funerale) e la interpretò a significare che Gesù era ancora vivo. E ancora vivo, per un apocalittico ebreo, significava resuscitato dai morti. Così aveva cominciato la resurrezione, e sarà subito completata. Forse [già] la settimana dopo.


Quindi solo un frutto di immaginazione individuale, per Errorman. Ma secondo il prof Stevan Davies, dal minimo che posso sapere (ma aspetta) su Vridar, si trattò di uno stato alterato di coscienza, un'esperienza collettiva di possessione da parte dello spirito. Tutti i seguaci di Gesù presenti in un luogo contemporaneamente furono invasati dallo Spirito. Davies sostiene che quell'esperienza doveva per forza essere collettiva e qui concordo sulla base di ciò che personalmente io stesso ho esperito per pochi istanti durante l'estate del 2014.
 



Sicuramente esiste un link storico tra la ''Pentecoste'' (ovvero la possessione spirituale appena descritta) e la  resurrezione dell'entità Gesù: durante quella prima estasi collettiva, posso facilmente immaginare, sulla scorta di 1 Corinzi 15:3-8 (al di là di come quel passaggio sia stato interpolato parzialmente o interamente nell'interesse di chi ''vide'' prima o chi ''vide'' dopo il Cristo risorto), che il sentirsi invasati insieme dallo Spirito coincise mirabilmente con una folgorante visione collettiva della stessa entità ''Gesù Risorto''.

Quel link tra estasi mistico-allucinatoria collettiva dei primi apostoli e Gesù risorto (instaurato per prima esplicitamente da Paolo) certamente si perse una volta che lo Spirito non riusciva più a scivolare nei corpi dei cristiani con la medesima facilità di prima (l'originario, entusiastico misticismo andava man mano affievolendosi dopo le prime due generazioni di cristiani, e di pari passo aumentava un enorme pessimismo sull'uomo e sul mondo).  I cristiani successivi (ma già Paolo, se 1 Corinzi 15:3-8 è autentico, inaugurò indirettamente quella tendenza, associando la visione del Gesù risorto ad una questione di potere e di rapporti di forza tra apostoli [1]) interpretarono l'enfasi dei primi cristiani sulla ''resurrezione'' di Gesù come una valorizzazione di un preciso evento ''storico''  — e da allora si sentì la necessità di raccontarla come tale, magari in un vangelo.

Forse l'argomento più convincente a favore dell'ipotesi miticista è il profondo silenzio dei più antichi scrittori di epistole come Paolo su ogni possibile dettaglio dell'azione terrena di un Gesù storico. Questo silenzio è atteso al 100% sotto l'ipotesi che i primi cristiani non credevano in un 'Gesù storico' che visse al tempo di Pilato e calpestò le sabbie dell'antico Israele. Perchè 'Gesù' significava per loro un Cristo spirituale la cui morte sacrificale per mano degli "arconti di questo eone" ebbe luogo in una dimensione puramente celeste oppure in un passato primordiale.

Per far sembrare che le origini del cristianesimo apparissero unificate, per attribuire una profondità morale e teologica sulla bocca di un'autorevole figura fondativa, per adempiere le Scritture in un processo di ''profezia storicizzata'', per collocare la vita di Gesù nel passato più ''recente'' - oppure per qualsiasi altro motivo a noi ignoto (magari l'occultamento di un altro pericoloso ''Cristo'' o Messia rivale), si sviluppò l'idea di un Gesù umano nel recente passato, e gli evangelisti colmarono i dettagli della sua ''vita'' con numerosi riferimenti all'interpretazione midrashica della Bibbia ebraica e/o attingendo qua e là ad elementi dalla mitologia pagana, rielaborando sempre e comunque la stessa allegoria originaria (il vangelo di Marco oppure il vangelo di Marcione) e confermando così ancora una volta di essere totalmente privi di altre prove della storicità di Gesù che non fosse quella allegoria iniziale.

Questo porterebbe a pensare, sotto il paradigma miticista, che Gesù cominciò a prendere una vita sulla Terra a partire dalla sua resurrezione. La resurrezione fu pensata ''storica'' fin dal suo primo momento, in virtù della concretezza assoluta del fenomeno allucinatorio noto come ''possessione spirituale'' ma solo dopo come fenomeno ''storico'' venne gradualmente circoscritto e razionalizzato ad un solo luogo e ad un solo momento (si veda la menzione dei ''500 fratelli'' in 1 Corinzi 15:6). Poi a poco a poco si calò anche la morte di Gesù sulla Terra (nel libro dell'Apocalisse?). Poi il racconto della sua Passione. E infine un intero vangelo. E così via.


Sotto il paradigma della storicità, sarei davvero curioso di osservare se il prof Davies sia riuscito a trovare il fatidico link tra ''la resurrezione di Gesù'' come appena descritta (e cioè come l'effetto di un primo tentativo di razionalizzazione della possessione spirituale collettiva) e l'impronta storica di un primo invasato dallo Spirito di nome Yeshua dalla sua cerchia della prima ora identificato poi con lo Spirito stesso. In caso contrario, sono obbligato ad attingere dal suo caso solo ciò che meglio può essere letto sotto il paradigma miticista (praticamente tutto tranne ogni menzione del ''Gesù storico''!).

Paolo fu scambiato dai Galati per l'angelo ''Cristo Gesù'' in persona la prima volta che predicò loro - e ricordiamo che acutamente il prof Davies insiste che Paolo induceva nei suoi seguaci la possessione spirituale esattamente durante la sua predicazione [2] - perciò, SE era esistito un Gesù storico, ALLORA quel Gesù era automaticamente il primo tizio scambiato con lo Spirito che lo possedette durante la sua prima allucinazione pubblica. Come Paolo fu scambiato con il suo possessore ''Cristo Gesù'' dai Galati, sarebbe allora del tutto logico e lineare proseguire lungo la stessa traiettoria tracciata da Paolo aspettandosi che l'uomo Gesù a sua volta fosse scambiato di pari misura con il suo possessore ''lo Spirito Santo''. Ma questo solo a patto di dimostrare PRIMA che Gesù è storico, impresa a dir poco impossibile.



E di certo il corrente ''Miglior Caso a Favore della Storicità di Gesù'' tentato da Peter Kirby non sposta di una virgola il mio scetticismo di fondo (al punto che il suo stesso autore si proclama Jesus Agnostic: gli storicisti sono messi davvero male, ragion per cui la loro unica speranza si chiama Stevan L. Davies).

[1] che è pure il motivo perchè, dopo la visione dello stesso Paolo ''come all'aborto'', ogni altro tizio che avesse preteso di essere invasato parimenti da ''Cristo Gesù'' con tanto di pretese di apostolato sarebbe stato bollato all'istante come indemoniato ed impostore. Questo legame esplicitato da Paolo tra la visione/possessione del/dal Cristo risorto e lo status di potere che ne deriva all'interno del movimento agevolarono la tendenza a rendere la resurrezione un evento unico, oggettivo e soprattutto: irripetibile. Una specie di Anello del Potere, insomma! Quei pochi che ebbero la fortuna di farsi riconoscere legittimamente invasati dallo Spirito (e perciò di testimoniare su sé stessi Cristo Risorto) vennero considerati veri Primi Apostoli e riveriti nelle prime tradizioni orali che si andavano formando intorno a loro.

[2] A dire il vero Davies specifica  che come Gesù induceva l'altrui possessione parlando in parabole, così Paolo induceva l'altrui possessione predicando. Il riferimento alle parabole di Gesù quasi fossero da lui in persona pronunciate mi sembra così ingenuo da sminuire l'intelligenza del prof Davies: chiaramente tutto ciò che è nel vangelo è pura invenzione, mera parabola teologica. Per dirla con il prof Halbwachs:

Le cose sembrano diverse quando si tratta di storia dei vangeli. I fatti di cui parlano non hanno mantenuto l'attenzione degli storici. Flavio Giuseppe non li menziona. Secondo Renan, il racconto della morte di Giovanni il Battista, come appare nel vangelo di Marco, sarebbe "la sola pagina realmente storica in tutti i vangeli." Nelle epistole autentiche di Paolo, ci viene detto solo che il figlio di Dio è venuto sulla terra, che è morto per i nostri peccati, e che è stato riportato in vita. Non vi è alcuna allusione alle circostanze della sua vita, tranne che per la cena del Signore, che, dice Paolo, gli apparve in una visione (e non attraverso i testimoni). Non vi è alcuna indicazione di località, nessuna questione della Galilea, o delle predicazioni di Gesù sulle rive del lago di Genesaret. Nell'Apocalisse di Giovanni, che è, secondo Couchoud, assieme alle epistole di Paolo, "l'unico documento cristiano che può essere datato con certezza nel primo secolo," tutto quello che viene detto di Gesù è che "morì o fu risorto, ma non soffrendo o crocifisso." Naturalmente, nessuna località specifica non è parimenti prevista. 
(Halbwachs, 1992, pag. 209, mia libera traduzione e mia enfasi)

martedì 27 gennaio 2015

Gesù: Uomo Posseduto Dallo Spirito Oppure Spirito Possessore dell'Uomo Chiamato Paolo?



I due accademici storicisti Morton Smith e Stevan Davies si collocano oggettivamente su due opposte estremità del medesimo spettro per quanto riguarda la loro comprensione del rapporto di Gesù con lo Spirito Santo.

Stevan Davies propone che Gesù era posseduto DALLO Spirito e perciò dovrebbe essere riconosciuto come un ''guaritore invasato-dallo-spirito''.

Al contrario, Morton Smith sostiene che Gesù era la forza dominante, controllante nella relazione tra lui e lo Spirito e di conseguenza aveva lui il  possesso DELLO Spirito - e non lo Spirito di lui.

La teoria di Smith è profondamente antipatica a Davies che delinea il disaccordo come segue:
 
Non era la relazione: "il possesso DI", ma la relazione: "il possesso DA," la differenza fondamentale essendo se l'identità di Gesù di Nazareth  fu creduta essere in controllo di una entità spirituale, oppure se l'identità di Gesù di Nazaret fu a volte creduta d'essere stata sostituita da un'entità spirituale. E ciò fa tutta la differenza nel mondo. [1]

Elevando la passività dell'individuo che subisce un'esperienza di possessione e sottolineando il ruolo dominante della nuova persona che subentra al suo posto, la teoria di Davies limita il grado di controllo che Gesù teneva nella successiva applicazione del suo potere e marcia contro la possibilità che egli stesse esercitando il controllo su uno spirito attraverso l'uso della magia.

A rendere improbabile al primo colpo la teoria di Smith su ''Gesù Mago'' è proprio il Fatto auto-evidente della marginalità assoluta del Gesù storico, spinta fino alla più completa evanescenza e più totale insignificanza: uno che sapeva dominare il suo alter-ego, lo Spirito, e di richiamarlo come e quando voleva per ingannare il prossimo con tanto di effetti speciali magici, quantomeno avrebbe lasciato un'impronta più forte nelle più antiche testimonianze storiche, e non il più assoluto Nulla di Nulla. L'esistenza stessa di Paolo conferma che il Gesù Mago di Morton Smith non è mai esistito, perchè, pur lasciandosi anch'egli allucinare tutte le volte che voleva o pretendeva dal suo ''Gesù in me'', non per questo mancò di lasciare l'impronta della sua forte personalità nelle varie comunità da lui fondate.

Dunque ecco perchè, liquidato così il Gesù di Morton Smith (non prima di dare ulteriormente dell'incauto idiota a quel fattucchiere vesuviano chiromante di Pier Tulip che nei confronti della tesi di Smith è reo di plagio), resta da vedere cosa farne del Gesù posseduto dallo Spirito di Stevan Davies, la cui intrinseca passività nella relazione con lo Spirito - l'esserne meramente posseduto - di certo si adatta di più all'ipotesi della storicità minimale come descritta da Richard Carrier, considerata l'insignificanza intrinseca a un mero invasato dallo Spirito come sua seconda natura.

Ma questo vuol dire che si introduce una netta radicale differenza tra il miticista Carrier e lo storicista Davies per quanto riguarda la vera identità dello Spirito possessore. Per ''Gesù'' cosa intendevano i più antichi ''gesuani'' in assoluto? Lo Spirito possessore che li possedeva durante le loro associazioni, al minimo sopraggiungere del disturbo dissociativo? Oppure il primo di loro che si lasciò invasare follemente dallo Spirito, e che per pura coincidenza, chiamandosi Yeshua, dette così il suo nome al medesimo Spirito che lo possedeva?


Anche se la pratica di possessione divina è ancora ricorrente in cellule impazzite delle chiese protestanti cristiane più carismatiche (ma anche in certi fenomeni cattolici come Medjugorje), un disprezzo graduale per l'esistenza di corpi spirituali nella nostra cultura attuale rappresenta chiaramente il nostro atteggiamento in generale sprezzante verso la possessione e la nostra tendenza ad attribuirla a forme di pensiero inferiori o irrazionali. Così siamo inclini ad associare la possessione spiritica sia con lo studio antropologico del rituale primitivo, sia a disturbi psicologici relegati alla scuola psichiatrica della malattia mentale, oppure semplicemente la riduciamo al genere innocuo e divertente dei film horror di Hollywood.

Dal momento che la realtà delle influenze demoniache fu ampiamente riconosciuta nell'Antichità, la possessione era di gran lunga più comune tra gli antichi e i casi relativi furono trattati con genuina cautela. È in questo quadro culturale di possessione spiritica che Stevan Davies e Richard Carrier suggeriscono entrambi di capire il rapporto tra Gesù e lo Spirito Santo (ovviamente, per il miticista Carrier, tra i primi apostoli cristiani e lo Spirito della deità celeste Cristo Gesù). [2] Davies tenta di dimostrare che Gesù soffrì disturbi dissociativi tali che la sua personalità originale (lui la chiama Gesù di Nazaret, anche se io penso che Nazaret sia un'invenzione letteraria e perciò parlerei di Gesù storico per esprimere il Davies-pensiero) fu subordinata o sostituita da una nuova persona temporanea (lo Spirito di Dio). 


Gesù, secondo il prof Davies, faceva parte di un ramo marginale dell'ebraismo, una sorta di ebraismo pentecostale: un culto il cui requisito minimo per accedervi era la possessione dello Spirito Santo. È nella transizione da uno stato originario dove ogni membro del culto era posseduto dallo Spirito verso uno stato successivo dove un'autorità centralizzata prende via via potere sul movimento che si persero per sempre i legami tra ebraismo e cristianesimo. Si potrebbe presumere che le guide di questo culto comunicassero tra loro nel linguaggio dei Misteri. 

Durante questi episodi di possessione, Davies sostiene che Gesù era in grado di operare come un guaritore posseduto o invasato dallo Spirito. Tuttavia, e questo è il punto fondamentale, lui ''non dovrebbe essere identificato come egli stesso, ma come un'altra persona, lo spirito di Dio.'' [3]

Qui è precisamente il punto che io chiamo le autentiche Colonne d'Ercole della ricerca corrente. Se c'era da aspettarsi, secondo il comportamento solito di chi subiva una possessione spirituale, che la gente circostante in primis e l'invasato stesso non identificassero più lo Spirito possessore con il posseduto in questione, ma ''come un'altra persona, lo spirito di Dio'', allora salterebbe all'aria in anticipo ogni possibilità di scoprire se il ''Gesù'' delle nostre più antichissime fonti fosse il nome del posseduto - dell'uomo Yeshua che fu invasato dallo Spirito - oppure fosse semmai il nome in codice, esattamente come ''Cristo'', dello spirito angelico che dominava e possedeva gli originari apostoli cristiani come Paolo, a quel punto tutti autentici ''Cristi'' di loro proprio diritto.

Sembra talmente difficile, data l'evidenza disponibile, rispondere ad una domanda del genere, che a quel punto, se davvero questo è dove porta da ultimo la ricerca, l'agnosticismo sulla storicità di Gesù diverrebbe un agnosticismo FORTE.

Il silenzio sul Gesù storico nelle lettere di Paolo troverebbe la sua spiegazione più legittima e attesa (e non ad hoc), sotto l'ipotesi della storicità di Gesù, sul fatto che i primi gesuani erano interessati all'adorazione e alla ricezione del medesimo Spirito di Dio che aveva posseduto l'uomo Gesù, e per nulla affatto nell'uomo che da quello stesso Spirito di Dio si lasciò possedere e invadere: l'uomo Gesù. Quell'individuo a loro non interessava più nella misura in cui non era, quell'uomo, lo Spirito di Dio, ma solo il suo primo, temporaneo ospite.


Chi di noi, essendo interessato al contenuto di un regalo, non getta via e alla svelta il suo contenitore?

L'uomo Gesù sarebbe il mero contenuto carnale dello Spirito, il suo mero ospite temporaneo. Laddove invece sarebbe lo Spirito l'oggetto eterno di ricerca e di adorazione che sin dal primo giorno galvanizzò fino all'esasperazione tutto il cuore e tutta l'anima dei primi ''fratelli del Signore''.


Il soggetto stesso invasato dallo Spirito si considera come la nuova persona mentre nel contempo considera esterna la sua precedente identità, come se fosse quella di un altro individuo.  Dire che la possessione è uno stato in cui fianco a fianco con la prima personalità irrompe una seconda personalità nella coscienza dell'invasato è impreciso: si dovrebbe parlare invece di una vera e propria sostituzione della prima personalità con la seconda.


In accordo con questo comportamento della possessione, Davies propone che l'osservazione della gente in Marco 3:21 che ''è fuori di sé'' (
ὃτι ἐξέστη) significa letteralmente che Gesù era ''assente da se stesso''. [4] Questa frase, perciò, sarebbe la prova che Gesù era posseduto da un'entità esterna in questo caso. A dire il vero Davies non si accorge dell'ironia letteraria, qui: ad essere ''fuori'', ἔξω (Marco 3:31, si veda anche Marco 4:11) non è Gesù in realtà, ma proprio la sua famiglia secondo la carne (allusione ai giudeocristiani rivali del paolino Marco), perchè non messa a parte dei ''misteri'' noti ai soli  insiders (ovvero i paolini). Tuttavia c'è un senso in cui si potrebbe salvare qualcosa di storico dall'episodio evangelico chiaramente inventato, salvando il salvabile dall'interpretazione di Davies: i primi apostoli cristiani furono considerati pazzi e allucinati dai loro clan d'origine che abbandonavano dopo la loro conversione a Cristo, ma anche da chi non abboccava alle loro suggestioni e auto-suggestioni, considerandoli (giustamente) folli oppure posseduti sì da uno spirito, ma da uno spirito diabolico, da Satana e non dallo Spirito di Dio.


 A sostegno di questa teoria della possessione, Davies esamina il comportamento di Gesù nei vangeli e pretende di isolare i passaggi dove crede che Gesù sta dimostrando tratti tipici del posseduto-dallo-spirito. Chiaramente dal 1995, quando scrisse il suo Jesus the Healer, al 2015, penso che lo stesso Davies sia oramai consapevole che gran parte della fiducia che all'epoca nutriva nel trovare ipsissima acta di Gesù fosse del tutto mal riposta, essendo i vangeli puramente intenti a costruire una mitologia da zero facendo esclusivo uso di letteratura sacra precedente (la Septuaginta, Paolo e le esperienze dei propri predicatori anonimi del passato) perfino se un Gesù storico fosse esistito (e le tracce di separazionismo in Marco sono un residuo dell'influenza marcionita contro la quale Marco, al pari degli altri vangeli ''canonici'', reagiva). I vangeli però confermano che, Gesù storico o no, l'ORIGINE ULTIMA del cristianesimo è nel comportamento border-line degli allucinati, degli invasati, dei posseduti e dei visionari apocalittici. Tutto il resto, si può ben dire, solo solo dettagli.

Gli studi della possessione demoniaca o divina hanno individuato una serie di modelli comportamentali comuni che sono associati con l'individuo durante tutto il tempo in cui è invasato. Il primo indizio della possessione è un cambiamento nel DISCORSO del posseduto e non è raro trovare nelle descrizioni antiche o moderne dei posseduti riferimenti qua e là ad un'altra persona che parla al posto della persona invasata alterandone il modo di esprimersi e pure il tono della voce. Alla luce di questo, Davies indica ai suoi lettori Marco 13:11:
 
E quando vi condurranno via per consegnarvi, non preoccupatevi prima di quello che direte, ma dite ciò che in quell’ora vi sarà dato: perché non siete voi a parlare, ma lo Spirito Santo.

e suggerisce che quel passo allude direttamente al discorso di uno spirito che parla tramite la voce del posseduto di turno, le cui parole quindi non sono formulate dall'individuo stesso ma provengono dalla nuova persona dominante che ha appena acquisito controllo della volontà e della lingua del suo ospite umano temporaneo. [5]


Nell'ipotesi che il Gesù storico fosse soggetto a periodi di possessione spiritica e che stesse esibendo tutti i sintomi caratteristici di una persona posseduta, allora ci aspetteremmo di trovare prove nei vangeli di un'esperienza iniziale di possessione durante cui Gesù per prima incontra il suo spirito possessore. Stevan Davies suggerisce, ancora una volta con un misto di ingenuità (dovuta alla sua troppa fiducia letteralista nel vangelo) e pur tuttavia di acuta percezione delle origini mitico-allucinatorie del cristianesimo, che questo evento si svolse proprio al battesimo di Gesù nel Giordano. [6] La stessa evidenza è attesa però se il Gesù dei vangeli fosse solo il mero compendio teologico-letterario di ciò che esperivano i primi apostoli cristiani. Come Paolo.


Con questo in mente, Stevan Davies suggerisce che l'autoesilio di Gesù nel deserto è il risultato diretto del suo primo dono dello Spirito al battesimo e che la natura vigorosa dello spostamento di Gesù nel deserto ricorda il comportamento impulsivo associato al posseduto. Pertanto Davies propone che gli evangelisti descrivono un'''esperienza spontanea di possessione''. [7] Questo sarebbe evidente nell'espressione usata da Marco
. Mentre Matteo e Luca impiegano il molto più morbido '' fu condotto'', ἀνήχθη, Matteo 4:1; ἤγετο Luca 4:1), una forte, violenta influenza esterna su Gesù è evidente in Marco 1:12:
 ...E subito lo Spirito lo sospinse nel deserto...
...in cui lo Spirito con forza ''scaccia'' (ἐκβάλλει) Gesù nel deserto. [8]


 
L'esperienza della Pentecoste (ovviamente intendo qui il più realistico e minuscolo riflesso storico di qualcosa che da lontano vi assomigli) assieme al rituale della possessione spirituale (il soffio dello Spirito) ricevute dal Gesù Risorto devono suggerire che la possessione spirituale era importante per le prime comunità cristiane. Sicuramente lo fu nella predicazione di Paolo. Le lettere di Paolo traboccano di riferimenti alla possessione spirituale. Come sottolinea Davies, Paolo credeva che senza la ricezione dello Spirito Santo, indispensabile perchè l'iniziato potesse diventare un ''figlio'' di Dio proprio come Gesù e potesse dunque far parte della Famiglia Cosmica attesa nella Gerusalemme Celeste (con i ''fratelli del Signore'' a sostituire i precedenti legami familiari con i propri clan ed etnie d'origine), nessun uomo poteva diventare un cristiano.
 
Egli [Paolo] insiste che la possessione spirituale è il fattore determinante dell'appartenenza nel movimento cristiano. È la definitiva esperienza cristiana; senza la possessione, un individuo è pure fuori dal movimento. (pag. 177)

La famosa dichiarazione di Paolo riguardante la sua personale esperienza di possessione è ''Non sono più io che vivo, ma Cristo che vive in me'' (Galati 2:20). Paolo sottolinea che la conformità alla Torah, la vecchia Legge, non fosse causa di possessione spirituale, e senza la possessione spirituale, senza la ricezione dello Spirito Santo, nessuna rinascita è possibile. In Romani 8:9-14 Paolo scrive:
Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete. Infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio.

Paolo incoraggiò il fenomeno delirante della glossolalia e del profetismo e altre manifestazioni di possessione spirituale. Tuttavia in 1 Corinzi davvero saggiamente si ricordò di dover cercare in qualche modo di trattenere il suo gregge dagli eccessi mistici di cui lui stesso era in qualche misura responsabile, esortando a controllare quelle esperienze allucinatorie così da lasciarsi in fin dei conti arricchire da loro piuttosto di lasciarsene passivamente dominare e possedere.


Fondamentale allora è questo punto:

Sapete che durante una malattia del corpo vi annunciai il Vangelo la prima volta; quella che, nella mia carne, era per voi una prova, non l’avete disprezzata né respinta, ma mi avete accolto come un angelo di Dio, come Cristo Gesù.
(Galati 4:13-14)

Qui Paolo rivela che la prima volta che fu visto predicare dai Galati, fu scambiato per l'angelo Cristo Gesù stesso.

Dunque chi era Gesù? Era il nome in codice dello Spirito che possedeva gli apostoli come Paolo?

Oppure era il nome del primo tizio che fu invasato dallo Spirito e dunque identificato con esso al punto da indurre i suoi seguaci a chiamare lo Spirito (perchè era lo Spirito che a loro interessava) con il suo stesso nome - ''Yeshua''?

Se fosse vera la seconda risposta, e ancora dovrò leggere il libro del prof Davies del 2014 in merito per poter trarre delle conclusioni più certe, avrebbe ancora senso parlare di miticismo oppure di storicità di ''Gesù detto Cristo'' ? ? ?????



[1] Stevan L. Davies, Jesus the Healer: Possession, Trance and the Origins of Christianity (London: SCM Press, 1995) pag. 91.

[2] Stevan Davies indica che nell'ambiente spirituale del tempo di Gesù  ‘la modalità della possessione... era comunemente accettata’ e che vittime di possessione demoniaca e i profeti invasati dallo spirito erano un incontro quotidiano (Stevan Davies, Jesus the Healer, pag. 59, mia libera traduzione).

[3] Stevan Davies, Jesus the Healer, pag. 18, mia traduzione e enfasi. 

[4] Davies, Jesus the Healer, pag. 95.

[5] Davies, Jesus the Healer, pag. 29.

[6] Davies, Jesus the Healer, pag. 148: ‘se Gesù si credeva un unto da Dio, è tutt'altro che improbabile che l'unzione in questione fosse la sua iniziale esperienza di possessione.’
 
[7] Davies, Jesus the Healer, pag. 64.

[8] Il termine
ἐκβάλλει è tipicamente usato da Marco in connessione all'esorcismo di demoni, si veda Marco 1:34, 39, 43; 3:15, 22; 4:13; 7:26; 9:18, 28.

lunedì 26 gennaio 2015

Matteo: Finto Giudeo-Cristiano, Autentico Proto-Cattolico −o del perchè «Suonare Ebreo» ed «Essere Ebreo» non sono la stessa cosa!

Il lettore avrà notato quante volte ho bollato con una certa punta di acredine l'autore del vangelo di Matteo come finto giudeocristiano, ma in realtà autentico proto-cattolico.

 



E l'antipatia per Matteo certamente aumenta quando vedo quello stronzo demente folle apologeta cattolico di Lorenzo Noli rimproverare con tanto di consueto astio apologetico il suo degno bastardo equivalente acharyano Pier Tulip esattamente l'unica e sola volta in cui quest'ultimo - sia lodato Gesù Cristo! - si limitò a enunciare  finalmente una profonda verità (una volta tanto, dopo tutte le scemenze che l'idiota diffonde e continua a spargere nel net, degno accolito della setta che trova la sua Dea e il suo Guru in quella autentica vergogna di noi miticisti che è Miss Acharya Murdock): e cioè che la frase ''il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli'' non può essere una frase scritta da ebrei.

Francamente trovo vergognoso che Lorenzo Noli liquidi a mera ''opinione'' quella che deve essere un Fatto così auto-evidente per ogni individuo di buon senso da non avere bisogno di ulteriori sofismi e armonizzazioni di sorta per nasconderne la lettura più difficile (e dunque più vera): e cioè che l'antigiudaismo è connaturato alla proto-ortodossia e dunque anche al cattolicesimo autentico (esattamente come il Jihad è connaturato al vero Islam). Ma si sa: i folli apologeti cristiani come Lorenzo Noli sempre insisteranno sul profondamente assurdo quando il chiaramente ovvio è troppo sconfortante da ammettere per la salvaguardia dei loro fottuttissimi dogmi.  


A farmi sospettare per prima che Matteo non è un vangelo veramente giudeocristiano (a differenza dell'Apocalisse) è stata dapprima la frequentazione di un forum ebraico aperto a gentili dove osservavo un curioso fatto insolito: l'eccessiva enfasi quasi maniacale con la quale sedicenti cristiani cattolici o protestanti, affluendo da ogni parte in quel forum, facevano e fanno di tutto per spacciarsi da ebrei e per suonare ebrei ed esperti nel Tanak meglio degli stessi ebrei e non senza un ammiccamento continuo dei primi ai secondi per persuaderli intimamente alla conversione a Cristo con tanto di messaggi subliminali degni della peggiore propaganda politica. E la medesima follia apologetica era palesemente manifesta nei folli Ebrei per Gesù.



Da questo punto di vista rimarrò profondamente debitore ad alcuni Ebrei conosciuti nel net per avermi insegnato quanta preziosa (e scandalosa pietra di inciampo!) costituisca la loro identità nel denunciare per l'eternità le continue menzogne cristiane sulla presunta ebraicità dei loro 4 vangeli canonici.  

Ma non mi limitavo al pregiudizio. Mai.

A convincermi ulteriormente in quella direzione è stata la lettura di un articolo del prof Matthias Klinghardt, che costituisce uno dei primi tentativi in questo secolo di dimostrare che Matteo fu scritto dopo il Vangelo di Marcione (al pari del vangelo di Luca) e in reazione ad esso. E certamente il prof Vinzent ha contribuito in seguito ancora di più a spiegarmi lungo quali linee Matteo dispiega tutta la sua apologetica protocattolica anti-marcionita nel suo vangelo (e dirò certamente di più a tal proposito in un post futuro), gettando la maschera di ''giudeocristiano'' per rivelare il suo vero volto di protocattolico desideroso di una sfacciata quanto utopica Reductio ad Unum.
Senza coinvolgere Marcione ma giungendo da altre premesse, già un altro accademico, addirittura prete cattolico,
Bartosz Adamczewski, applaudì Matteo per essersi spacciato - con successo a quanto pare, per tutto il Medioevo e fino ad oggi -, come un vangelo scritto da ebrei cristiani per ebrei cristiani, senza ovviamente mai esserlo per davvero.

Per quanto riguarda il vangelo di Matteo, la conclusione di Adamczewski è netta: l'autore di quel vangelo era un finto giudeocristiano, ma vero protocattolico. E per giunta basato su Atti degli Apostoli, quanto di più cattolico (e di tendenziosamente, apologeticamente ''cattolico'' nell'accezione più negativa del termine) si possa immaginare dell'intero Nuovo Testamento:
Il vangelo di Matteo è il terzo vangelo narrativo cristiano. Fu composto dopo i vangeli di Marco e Luca e dopo gli Atti degli Apostoli, così nel 130-140 EC circa. Più precisamente, numerosi dettagli del racconto matteano, come per esempio l'assenza di ogni riferimento al Tempio e ai suoi sacerdoti in Matteo 1-2 (a differenza dei testi più antichi tematicamente ad esso relativi, Luca 1-2 e Atti 1:1-6-7) e, d'altra parte, la presenza di allusioni agli impuri gentili poichè liberamente entranti nell'area del Tempio (Matteo 21:14; diversamente Luca 14:21) e che erigono simboli pagani nel 'luogo santo' ebraico (ἐν τόπῳ ἁγίῳ: Matteo 24:15; si veda Atti 6:13; 21:28; diversamente Marco 13:14) suggerisce che il vangelo di Matteo fu composto dopo la disfatta della rivolta di Simone bar Kosiba, così nel 135-140 EC circa.
Il luogo della composizione di Matteo era più probabilmente lo stesso di quello del vangelo di Marco e quello delle opere lucane, precisamente Efeso o più in generale l'Asia. Il vangelo di Matteo appartiene al gruppo degli scritti del Nuovo Testamento relativamente tardi che furono composti con l'uso della procedura di uso sequenziale ipertestuale non delle lettere paoline e post-paoline (si veda Romani, Galati, Efesini, 2 Tessalonicesi, 2 Pietro, Marco, Luca, e Atti) ma degli Atti degli Apostoli (si veda Ebrei, Apocalisse, e Giovanni).

(Constructing Relationships, Constructing Faces, Peter Lang, 2011, pag. 151, mia libera traduzione e mia enfasi)

Queste parole segnano per me ogni rinuncia ad investigare ancora oltre su un vangelo, quello di Matteo, che non ha nulla da dirmi perchè è solo pura propaganda pubblicitaria protocattolica, troppo tarda per contare veramente qualcosa nella ricerca delle Origini.
Nonostante il fatto che Matteo veicoli un numero di idee specificamente post-lucane, specialmente quella di un'unità della chiesa giudeo-gentile e quella della transizione necessaria del vangelo dagli ebrei ai gentili (con entrambi quelli aspetti ecclesiologi autorizzati e supervisionati dal carattere narrativo etopoietico di Pietro), esso fu per secoli  considerato il vangelo più antico, più apostolico, più ebraico, più giudaico, e storicamente più affidabile. Matteo evidentemente ebbe successo, mediante l'uso della tecnica dell'etopoietica, nella composizione di un'opera che si presentava distintintamente giudeocristiana e, per questa ragione, apparentemente apostolica. In realtà, Matteo è il vangelo che probabilmente influenzò di più la Chiesa fino ai tempi moderni.
(pag. 154-155, mia libera traduzione e mia enfasi)

E non è finita. Ancora credevo di essere il solo al mondo nel ritenere decisamente più forte di me ogni scetticismo sulla presunta ebraicità dell'autore del vangelo di Matteo.

Mi sbagliavo. Ancora una volta grazie a Vridar (ma anche Neil mi ringrazia ogni tanto!) sono giunto a conoscenza di un blogger anonimo miticista che la pensa esattamente come me su Matteo e su altre questioni (condividiamo entrambi un profondo disprezzo per la ''ricerca'' di Acharya, per dire). Quixie sa certamente molte più cose di me, dunque invito tutti i lettori del mio modesto blog a leggerlo attentamente e con cura.


Sottopongo in particolare al lettore la sua efficace dimostrazione della natura gentile e affatto giudeocristiana del vangelo di Matteo. Quixie non specifica ancora, salvo che nel suo commento di risposta, come la pensa in merito alla relazione tra Marcione e Matteo, ergo provvederò io in futuro a spiegare perchè la natura protocattolica di Matteo (più precisamente, l'anti-giudaismo tipico e congenito di ogni protocattolico che si rispetti) si manifesta ancor più quando si legge quel vangelo in contrapposizione al Vangelo del Signore di Marcione di Sinope (e al suo altri-giudaismo).
CONTINUITÀ - MATTEO E I SUOI EBREI PER GESÙ DEI PRIMI GIORNI

La maggior parte degli studiosi del Nuovo Testamento ritiene che Matteo fu probabilmente scritto da un "giudeo-cristiano." Io sfido quell'idea, anche se è vero che questo autore utilizza intenzionalmente citazioni e simboli biblici in tutta l'opera pur di evocare una 'percezione' ebraica per la sua storia. Non c'è dubbio su questo. Più di ogni altro evangelista, l'autore di Matteo si basa sulla corrispondenza anche degli aspetti più banali della vita e delle azioni di Gesù con ciò che pensa siano proclamazioni profetiche della Bibbia ebraica, con l'obiettivo di dipingere Gesù come loro "compimento". Ma a parte queste superficiali affettazioni ebraiche, egli non sta sostenendo una prospettiva che è particolarmente ebraica sotto tutti i punti di vista. La continua citazione di scritture di Matteo in questo motivo  del "compimento" ha condizionato generazioni di cristiani a vedere in particolare Matteo come un  vangelo "giudeo-messianico". Egli impartisce simbolismo ebraico in ogni angolo e in ogni fessura che può. Eppure, anche se i simboli che usa possono essere quelli della Bibbia Ebraica, l'insegnamento non è necessariamente così.

Ci sono sicuramente momenti in cui il narratore di questo vangelo si impegna in qualche retorica veramente brillante (il discorso della montagna, per esempio, contiene alcune autentiche gemme). Tuttavia, ci sono altre volte nella narrazione quando sembra usare la Torah sfacciatamente, ambiguamente - anche erroneamente - forzando, permettendo ciascuna e tutte le interpretazioni plausibili che possano far avanzare il suo messaggio tipologico su Gesù, il nuovo Mosè, il figlio di Davide. In quei momenti si può dimostrare che la sua comprensione dell'ebraismo contemporaneo è carente. Esploreremo alcuni di quei casi tra breve.


Ho dedotto in precedenza che il vangelo di Marco fu probabilmente scritto da un gentile per un pubblico gentile. Uno schiacciante consenso dice che il vangelo di Marco non solo precedeva, ma fu usato da, gli altri due sinottici nella composizione dei rispettivi vangeli. Io sto con quell'idea. Domanda: Matteo, apparentemente il più ebraico degli evangelisti, che apparentemente viveva in o vicino alla Giudea (Antiochia?), avrebbe scelto di basare la versione della storia di Gesù che sta componendo per la sua propria comunità sull'opera di un gentile che scriveva per altri gentili nell'occidente (probabilmente in o vicino a Roma)? Sapendo come resistenti all'assimilazione religiosa erano gli ebrei, [1] io trovo difficile credere che un pio ebreo palestinese avrebbe scelto un difettoso testo gentile  (difettoso o almeno inadeguato, altrimenti perché modificarlo?) per farne il fondamento del suo proprio manuale di reclutamento per questa setta apparentemente ebraica. In realtà, si potrebbe dire che Matteo compose la sua versione della storia proprio come una correzione del nobile tentativo di Marco. Egli usò la storia precedente come un trampolino di lancio per la sua composizione. Il Gesù di Marco non è divino abbastanza per Matteo, però. Il Gesù di Marco non è "ebreo" abbastanza per le particolari esigenze didattiche di Matteo. Marco necessitava di un aggiornamento, concluse l'autore di Matteo. Il fatto che Marco fu utilizzato come modello dà ad ognuna delle allusioni alla Scrittura ebraica in Matteo, per quanto abbondanti, un'impressione di finzione, non solo a causa dell'appropriazione dell'autore del vangelo gentile di Marco, ma soprattutto per il suo implicito affronto al rigido monoteismo che era il primo requisito di una fede ebraica. In questo vangelo, a differenza di Marco, le persone effettivamente si prostrano davanti a, e persino adorano, Gesù. [2] Gli ebrei di quel tempo avrebbero subito trovato aberrante la cristologia nel Vangelo di Matteo, direi.

Pietro (Cefa - sono la stessa persona?) è uno dei soggetti preferiti di Matteo. Ci sono più storie su Pietro in questo vangelo che in qualsiasi altra. Il fatto che a parole tanto è dato all'apostolo dei circoncisi in questo libro ha portato molti a pensare che l'autore era ebreo-cristiano, altrimenti perché porre tanta enfasi su questo personaggio? Raccogliamo da Atti e dalle lettere di Paolo che Pietro era l'apostolo sostenuto dalle prime varietà ebraiche del cristianesimo. Ha senso sotto l'ipotesi di Matteo come ebreo. Ma, allora devo chiedere, perché Giacomo non è mai menzionato in questo vangelo, se non per ripetere la caratterizzazione di Marco della famiglia di Gesù come antagonista? Non è questa una sorta di doppio standard? Non era Giacomo il capo della comunità di Gerusalemme?

Penso che il vangelo di Matteo, invece di avere una provenienza giudeocristiana, sia il prodotto di un gruppo di buon-intenzionati timorati di Dio che si erano accinti a posare come eredi gentili legittimi della tradizione ebraica dopo che la Galilea e Gerusalemme e dintorni erano stati distrutti e i loro abitanti (i pochi che erano sopravvissuti) si furono dispersi.

Mi rendo conto della grandezza del ghiacciaio che sto prendendo a pugni qui (cioè dicendo che il vangelo di Matteo non è poi un'opera così ebraica per i miei occhi), ma trovo incredibilmente difficile conciliare i contenuti di Matteo con una paternità tradizionale ebraica. Se facciamo una distinzione tra la forma e il contenuto del vangelo, il suo aspetto di dissimulazione può essere visto più facilmente. Questa difficoltà era infatti la scintilla che inizialmente pose in moto il mio scetticismo e che mi portò a mettere in discussione la validità dell'opinione tradizionale del Nuovo Testamento come opera di "ebrei".


Discernere l'ebraismo ...

Il vangelo che conosciamo come vangelo di Matteo è una grande introduzione al metodo esegetico ebraico noto come tipologia. La tipologia è una sorta di portentoso simbolismo, dove un 'tipo' è una persona o cosa nelle scritture ebraiche, che prefigura una persona o cosa nel Nuovo Testamento. Il diluvio di Noè, per esempio, è stato interpretato come un 'tipo' del battesimo in questo senso. David è il re perfetto. Elia il profeta perfetto. Mosè il liberatore. Si tratta di "tipi", tutti pertinenti alla leggenda di Gesù. La tipologia è infatti una delle lenti ermeneutiche più comuni attraverso i quali i vangeli sono composti e interpretati. Ogni evangelista aveva la sua preferita impostazione tipologica della storia di Gesù. Marco gradiva il libro di Isaia e vide Gesù come il Figlio sofferente. Egli inoltre derivò dal ciclo di Elia/Eliseo. Matteo usa Gesù-come-Mosè come il suo tipo preferito. Anche a Luca piace Elia.

Lo schizzo di Matteo è altamente idealizzato. Una cosa importante da tenere a mente nella nostra analisi del Nuovo Testamento è che la tipologia che un autore sceglie come suo modello compositivo influenzerà ciò che i suoi personaggi devono fare per soddisfare quel tipo. La verosimiglianza storica non è l'intenzione compositiva principale dell'evangelista. Seguendo gli scelti tipi dell'autore, ogni cosa che Gesù è ritratto come aver detto e fatto nel vangelo di Matteo si adatterà al suo particolare mix tipologico di Gesù come il Nuovo Mosè e come il Nuovo Davide - Gesù come liberatore e come re. [3] In altre parole, il concetto che abbiamo imparato a conoscere come "Messia" (Cristo).

La 'presenza' di Dio è uno dei concetti più importanti per l'autore di Matteo. Nella sezione di apertura parla di "Dio con noi", e chiude anche il vangelo con un epilogo simile, facendo dire a Gesù: "Io sono con voi". Così vediamo che Matteo riflette una cristologia nettamente superiore a quella che in precedenza abbiamo visto all'opera in Marco. L'autore di Matteo comprende che Gesù è l'"incarnazione" più esplicitamente di quanto fa Marco. Per Marco, Gesù divenne il Messia al momento del suo battesimo. In Matteo, Gesù era, come direbbe Lady Gaga, "nato così."

Un tema centrale nel vangelo di Matteo è il "compimento". Almeno dodici volte in questo vangelo l'autore dice 'questo fu fatto per realizzare una scrittura'. Gesù è ritratto come il compimento divino del piano di Dio per la salvezza di Israele, come un'incarnazione cristologica che soddisfa due tipi molto chiari: Mosè e Davide. Questi due tipi erano (e sono) in effetti parte integrante della pratica e modo di pensare ebraici. L'immagine da "profeta Mosè" di Gesù in Matteo ci permette uno sguardo ancora in un altro metodo ebraico di esegesi all'opera nel pensiero dei primi cristiani, quello del pesher. Il Pesher è una sorta di esegesi esoterica carismatica. Attraverso il pesher si cerca di trovare non solo un significato più profondo, come nel midrash, ma anche il significato segreto di un passo biblico. Questo approccio presuppone che la bibbia è intrisa di strati di significati al di là del letterale che sono applicabili a tempi futuri. Si può dire che il pesher sia una sorta di "decodifica" della scrittura.  Il "Profeta Mosè" del Deuteronomio divenne un tema favorito nell'antica retorica cristiana. Gesù è creduto il compimento di questa profezia presunta della venuta di un profeta. Ma, nonostante la tendenza degli apologeti a vedere Gesù tra ogni riga della scrittura, non riesco a vedere come questo breve versetto predica specificamente Gesù. Questo potrebbe essere "pesher," valido suppongo, ma è solo una vaga affermazione arbitraria per me, un tratto di fervida immaginazione cristiana, l'esito di una mineraria quotazione ad hoc, in realtà, e non molto di più. Si basa su nient'altro se non il desiderio di scritture che corrispondano ad un tipo prescelto.

Matteo segue da vicino lo stesso ordine (o cronologia) in cui la storia è raccontata nel vangelo di Marco. Dispersi attraverso la storia sono cinque pezzi di materiale aggiuntivo che Matteo aggiunse, ma la struttura generale e cronologia interna è fondamentalmente la stessa di Marco.


Il vangelo si apre con una genealogia di Gesù, che risale a Davide, e, per estensione, ad Abramo. L'autore pone tre serie di quattordici generazioni tra queste figure. Si scopre che il numero 14 dà come risultato "Davide" nello schema ebraico alpha/numerico. [4] Coincidenza? - (Risposta: No. Tipologia.)

Anche se Matteo ama citare la bibbia, a volte risulta solo in errore. Un famoso errore da questa sezione introduttiva è la sua citazione di Isaia, "una vergine concepirà." [5] I traduttori della Settanta (LXX) hanno tradotto male la parola ebraica "almah" (fanciulla) nel greco "Parthenos"  (vergine). I primi cristiani si aggrapparono a questa svista e la sfruttarono nel loro zelo di dipingere Gesù come un'incarnazione del divino. La traduzione errata è l'ultimo dei loro problemi, tuttavia, infatti il passaggio citato non è nemmeno una profezia messianica! Esso descrive l'invasione siro-efraimita di Giuda e l'assedio di Gerusalemme da parte degli eserciti combinati del Regno del Nord e la Siria (circa 735 EC). Il bambino che era nato per la fanciulla qui era un segno di Dio che l'assedio sarebbe stato tolto e che Gerusalemme avrebbe continuato a fiorire. La "profezia" era quindi completamente soddisfatta circa 730 anni prima della nascita di Gesù.

Si tratta di un doppio errore- è sia irrilevante e sia un errore di traduzione. Io credo che la ragione per cui questa particolare citazione divenne così diffusa nel primo cristianesimo è semplicemente perché gli esegeti cristiani, gentili greci che non vedevano nulla di insolito intorno a nascite vergini, [6] proprio non catturarono l'incongruità, perché non c'erano ebrei in giro per correggerli (di nuovo, credo che questa assenza è cruciale per il grande quadro delle origini cristiane).
Come la storia comincia a prendere forma, vediamo che tutta la narrazione della nascita è essenzialmente un parallelo della storia di Mosè in Matteo. Gli astrologi, il massacro dei bambini di sesso maschile, la connessione egiziana - la correlazione è inevitabile.

Inoltre, il primo esteso ruolo parlante di Gesù in Matteo conferma ulteriormente che la tipologia di Mosè è deliberata. Nel discorso della montagna, per esempio, Gesù parla sul "monte", che ricorda il dono della Legge a Mosè (Ch 5). Curiosamente, egli dice: "Non pensate che io sia venuto ad abolire la legge ...". Qualcuno stava accusando Gesù di fare questo? Un Ebreo? Che abolisce la Torah? Il punto di Gesù 'in questo discorso, è, naturalmente, che non solo abbiamo bisogno di aderire alla legge, noi dobbiamo superare i farisei in questo! Non è un'opposizione alla Legge, si tratta di un gratuito superamento dei suoi vincoli. Questo lungo ed elaborato discorso sulla compassione è un'esortazione alla giustizia. Le cosiddette "antitesi" che seguono, invece di opporsi alla Torah, sono una serie di allusioni alla Torah in cui Gesù sottolinea la necessità di andare ancora più in profondità nella propria conformità alla Legge che semplicemente attenersi alla sua lettera. Questo deve essere fatto eliminando non solo i peccati in questione, ma eliminando anche le loro fonti, avidità, lussuria, ira, ecc . Ho capito. Questo discorso, direi, ha la sensazione di essere un pensiero autenticamente midrashico ebraico. Qualche pensiero profondo fu dato alla sua composizione. È il punto più vicino in cui il vangelo di Matteo parla di reale prassi ebraica, in quanto chiarisce la Torah, invece di chiarire il significato messianico di Gesù. Il discorso inaugurale di Gesù in questo vangelo è ben scritto. È la perla di grande valore. Ma è fugace. È l'eccezione piuttosto che la regola. Più spesso, come quando un midrash in questo vangelo comporta una predizione della venuta di Gesù, invece di illuminare un qualche punto della legge, si percepisce come una specie d'esultanza cristiana per Gesù, più di quanto non faccia un midrash genuino. Ai miei occhi,  quel "midrash" sembra poco più che un'affettazione.

Il capitolo 12 introduce per un attimo ancora un altro breve ma marginale confronto tipologico. Matteo ha Gesù che si dipinge come Giona questa volta. Gli viene chiesto dei segni. Si rifiuta di dare segni. OK ... tre giorni nel ventre di un pesce ... lo capisco.

C'è una cosa in Matteo che non ha paralleli negli altri sinottici, però. Questo vangelo evidenzia un animosità estrema e diffusa tra gli ebrei e i primi cristiani. Matteo fa dire a Gesù che la gente dovrebbe ascoltare quello che i farisei insegnano, ma non comportarsi come loro, perché non praticano ciò che predicano.

Allora, che cosa fanno i farisei farlo di così terribile? Beh ... essi pagano la decima. Sono elitari pigri. ("Guai a voi, scribi e farisei. Ipocriti!" Viene ripetuto un sacco di volte). Impediscono alla gente di entrare nel regno dei cieli, senza volervi andare loro stessi. (Questo ricorda la caratterizzazione di Paolo dei suoi avversari galati.) Essi 'attraversano il mare e la terra per fare un solo proselito e poi fanno quel convertito un figlio della Geenna.' Io trovo l'ultima frase particolarmente problematica. Gli ebrei  veramente attraversavano il mare e la terra per convertire la gente? Questa è una novità per me. Gli ebrei sono mai stati conosciuti per essere missionari? Data la scarsità di evidenze testuali, possiamo solo concludere che gli ebrei di Matteo non sono altro che il bersaglio di vendicativi insulti da parte dell'autore, che riflette la pratica di una più tarda, più sviluppata chiesa istituzionale, che è sicuramente post-"divisione."

Al momento della composizione del vangelo di Matteo, dopo la distruzione del Tempio, la grande varietà che una volta era il giudaismo aveva cessato di esistere. Da questo momento in poi si era ridotto a solo due scelte, ciascuna con la pretesa di essere l'erede "reale" della tradizione ebraica. Questi due gruppi avevano diversi modi di riempire il vuoto spirituale/affettivo lasciato dalla distruzione del Tempio. I cristiani (se la continuità è garantita) "spiritualizzarono" il tempio. I resti di quello che fu una volta il partito fariseo invece si dedicò allo studio della Torah, una volta che il Tempio fu conquistato, che era quello per cui avevano lavorato i loro padri prima di loro, l'ultima volta che erano stati privati del culto del Tempio (cioè durante l'esilio babilonese). Questo è, naturalmente, un incapsulamento eccessivamente semplicistico delle differenze tra quei pretendenti alla tradizione, ma non è del tutto impreciso.


Un equivoco notevole delle tradizioni giudaiche nel vangelo di Matteo viene dalla scena del processo davanti al Sinedrio.
     "Ma Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: «Ti scongiuro, per il Dio vivente, di dirci se sei tu il Cristo, il Figlio di Dio». «Tu l’hai detto – gli rispose Gesù –; anzi io vi dico: d’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza
e venire sulle nubi del cielo». Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: «Ha bestemmiato! Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». E quelli risposero: «È reo di morte!». Allora gli sputarono in faccia e lo percossero; altri lo schiaffeggiarono, dicendo: «Fa’ il profeta per noi, Cristo! Chi è che ti ha colpito?»."

(Matteo 26:63-68 si veda Marco 14:60-65)


In questo episodio, si vede il sommo sacerdote che si strappa le vesti in segno di giusta indignazione per l'audacia della risposta di Gesù. Cosa c'è di sbagliato in questo quadro? Beh, per cominciare, la lacerazione delle sue vesti in questo modo era espressamente vietata al sommo sacerdote secondo le leggi del Levitico. [7] Oltre a questo divieto esplicito nella Torah, questo presunto rimando biblico è fuori contesto. In ogni punto nelle Scritture ebraiche in cui si fa riferimento a questa pratica di straziarsi le vesti, è sempre una dimostrazione di profonda angoscia e dolore. [8] Da nessuna parte nella Bibbia lo stracciarsi delle proprie vesti è espressione del tipo di rabbia o indignazione ritratti in Marco e in Matteo (Luca omette questo dettaglio del tutto, forse si è reso conto della gaffe?). Ci si potrebbe aspettare da parte di un evangelista decisamente gentile come Marco che trascuri quel dissonante bit: siamo abituati a trovare Marco in errore sulla Bibbia ebraica, quindi una deliberata cooptazione di un simbolo ebraico malcompreso per aggiungere dramma al suo racconto (per quanto incorrettamente possa essere fatto), per aggiungere un danno alla beffa, per così dire, dev'essere previsto, ma Matteo è considerato essere il più ebraico dei vangeli. Sicuramente egli conosce meglio. Giusto?

A quanto pare no.

Un'altra caratteristica unica di Matteo è la famigerata cattiveria "il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli". Alcuni hanno cercato di spiegare l'apparente antisemitismo in questo passaggio facendo appello al suo contesto "ebraico". Il pungiglione di questa offesa è apparentemente ridotto una volta che noi "realizziamo" e accettiamo che Matteo era un ebreo che scrive per altri ebrei. La famigerata frase diventa quindi solo un interno battibecco ebraico secondo questo punto di vista. Io non sposo affatto quell'idea, però. Il fatto che nessun gruppo venisse individuato contro un gruppo concorrente nel passaggio si riflette nell'esatta formulazione che l'autore ha scelto:
και αποκριθεις πας ο λαος ειπε το αιμα αυτου εφ ημας και τα τεκνα ημων


E tutto il popolo rispose: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli» 

Si può sostenere che "tutto il popolo" consisteva di soli farisei, ma questo sarebbe solo un caso di scusa speciale. Il passaggio non è su una setta di ebrei che accusa un'altra. Si tratta ovviamente di un cristiano che incolpa gli ebrei categoricamente. Si tratta di un fatto inevitabile. Data l'animosità tra i due gruppi, non c'è da meravigliarsi che gli ebrei avessero respinto i primi cristiani ad ogni occasione in cui gradivano farlo, nonostante le pretese dei secondi di seguire la Torah ancor più strettamente di quanto facessero i farisei. Il conflitto che era solo accennato in Marco è intensificato per  diventare un completo odio viscerale per il tempo in cui Matteo scriveva, sottolineando più volte l'ipocrisia dei farisei. Il capitolo 23 ha tutta una raccolta di detti di Gesù su come i farisei fossero tutti ipocriti.

Ancor più interessante, Matteo commette più errori goffi nella citazione di scitture di quanti ne fa Marco. Il capitolo 27:9 è un esempio, fa riferimento a un versetto di Geremia che non esiste [9].

Un altro esempio è uno dei più grandi errori del Nuovo Testamento, per come la vedo io. Ho evidenziato la sua variante marciana, in un post precedente, ma merita di venir ripetuto, così poco convincente come pezzo di esegesi io trovo che esso sia:

Trovandosi i farisei riuniti insieme, Gesù chiese loro: «Che ne pensate del Messia? Di chi è figlio?». Gli risposero: «Di Davide». Ed egli a loro: «Come mai allora Davide, sotto ispirazione, lo chiama Signore, dicendo: Ha detto il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra, finché io non abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi? Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio?». Nessuno era in grado di rispondergli nulla; e nessuno, da quel giorno in poi, osò interrogarlo. 
(Matteo 22:41-46)

Questo, come ho mostrato in precedenza, è un altro doppio smacco. Innanzitutto, questo è un altro esempio di un errore di traduzione andato selvaggio. L'essenza di esso è che le due parole ebraiche tradotte nella stessa parola "Signore" nel Salmo 110, sono due parole completamente diverse nell'originale ebraico. Pertanto, questo è un equivoco che potrebbe essere fatto solo da qualcuno solo superficialmente familiare con la Septuaginta. Gesù, che è detto essere stato un Ebreo altamente devoto particolarmente versato in lingua e scritture ebraiche (con grande "autorità"), avrebbe saputo meglio piuttosto che equiparare "Yahveh" con "L'Adoni" in questo modo, soprattutto quando tutto ciò che l'esegesi fa è rafforzare l'idea che Gesù è "l'uno". Ma questo non è niente ancora. Questo episodio tradisce non solo questo errore di traduzione, che ritrae anche i farisei che ascoltavano come esterrefatti dalla sorprendente capacità midrashica di Gesù. Questo è dove risiede la più grande fandonia, a mio parere. In verità, se avesse detto una cosa del genere, i farisei a cui egli disse ciò - fanatici nel loro studio delle Scritture, e inclini a lunghe esposizioni midrashiche su questo e tutti gli altri Salmi - avrebbero immediatamente corretto sul posto l'errore semantico di Gesù. Chiunque abbia anche una conoscenza solo superficiale dell'ebraico avrebbe potuto farlo. Eppure, in questo racconto evangelico, la sua sola citazione di questo Salmo è sufficiente a renderli tutti senza parole e muto stupore. Questo semplicemente non sarebbe potuto accadere nella realtà, come ho già sostenuto nel post su Marco.
Qui mi viene in mente un vecchio film di Gesù che ho visto una volta, in cui la scena della donna sorpresa in adulterio è raffigurata in maniera altrettanto impraticabile, allo stesso modo insostenibile. La folla, sul punto di lapidare la donna, diventa improvvisamente sottomessa e sgomenta e cadono le loro pietre in una sola volta alla calma dichiarazione di Gesù '"scagli la prima pietra". Gesù parla e l'intero universo cade in ginocchio, come se fosse E. F. Hutton o qualcosa del genere. Solo un  ingenuo e pio bisogno di "credere" potrebbe convincere uno a pensare che la tendenza psicologica fin troppo umana della gente a correggere errori religiosi (Hai guardato ai forum ultimamente?) poteva essere sospesa così facilmente dai rabbini a cui si rivolge Gesù. Gesù avrebbe certamente potuto vincere una discussione con i suoi detrattori, per quanto ne sappiamo, ma un argomentazione dev'esserne seguita. Quello è il punto. Questa rappresentazione semplicistica dell'istantanea sottomissione farisaica è completamente irrealistica. Si tratta di un cartone animato. Non solo non è mai accaduto come descritto, ma esso dipinge gli ebrei in una luce polemica come ottusi incompetenti.

Che dire di Giacomo? . . . . . . . . . .

Come in Marco, così in Matteo.

In questo vangelo, Giacomo è menzionato solo una volta in relazione alla famiglia di Gesù che lo crede pazzo. Questo è tutto. Se l'ubiquità  di Cefa in questo vangelo è evidenza di un'origine dalla chiesa di Gerusalemme di queste tradizioni, come alcuni hanno sostenuto, allora di che cosa è evidenza il silenzio quasi totale riguardante Giacomo, considerando la sua importanza nelle epistole paoline? Voglio dire, Giacomo era (secondo gli Atti anche, e per Tommaso), il leader di Gerusalemme. Perché è menzionato solo una volta in Matteo, solo di passaggio in questo "più ebraico dei vangeli"? Vedere l'importanza di Cefa in quest'opera  come prova in qualche modo di una continuità tra Giacomo e Paolo poteva solo essere specioso.


In chiusura, in riflesso di tutto questo, il mio punto di vista di Matteo, credo, è che esso sia la testimonianza di qualcuno che adottò una storia (!) gentile circa un eroe ebreo come base di sostegno della sua ricostruzione della stessa storia, al fine di farla sembrare più ebraica di quanto Marco l'avesse lasciata. Le aggiunte da lui recate variano da quelle splendidamente sublimi (beatitudini) a quelle incompetenti (a quanto pare non incontrò mai una profezia che non gli piacesse). Ma "suonare ebreo" ed "essere ebreo" non sono la stessa cosa. Come ho cercato di mostrare, mentre passavo in rassegna le lettere di Paolo, un conto è indicare l'uso di simboli ebraici e citazioni bibliche nell'opera in questione per valutare il suo pedigree ebraico, ma la funzione didattica del vangelo nel suo insieme tradisce superficiale qualità di questo copioso riferimento a tali simboli. A tal proposito questo vangelo mi ricorda il movimento evangelico contemporaneo noto come "Ebrei per Gesù." Come Matteo, anch'essi hanno cooptato il simbolismo della Scrittura e la tradizione giudaica per promuovere il proprio marchio di cristianesimo evangelico. Essi incorporano questi simboli nei loro servizi e nella loro retorica, arrivando addirittura a celebrare Seders pasquali (!!) in cui la porzione omiletica della cerimonia è dedicata alla re-interpretazione dei vari elementi del rito attraverso una precisa lente cristiana. Ormai, tutti sanno che gli Ebrei per Gesù iniziarono e rimasero un'impresa evangelica cristiana. L'incauto potrebbe non vedere l'inganno in gioco - caveat emptor e tutto quel jazz, ma la colpa è loro. In ogni caso, è stato dopo aver avuto una discussione con uno di questi Ebrei per Gesù che ho iniziato a pensare alla possibilità che affettazioni di Matteo potrebbero essere un'analoga appropriazione indebita dell'ebraismo. Non solo è possibile appropriarsi indebitamente dell'ebraismo, qui c'era un esempio proprio davanti ai miei occhi. E ci sono altri che affermano di essere la vera espressione della fede di Abramo: l'Islam, il Sionismo Nero, il il Mormonismo, il Rastafarianesimo, ma credo che gli Ebrei per Gesù li superano nella loro cooptazione manifesta del simbolismo coinvolto. Ma, ancora una volta, un conto è includere simboli ebraici in una narrazione, e un'altro conto è usare tali allusioni ebraiche per sostenere che l'ebraismo è stato sostituito dalla comparsa di un Dio-uomo. Nessuna quantità di citazione scritturale riuscì a convincere un Ebreo di seguire un Dio-uomo. L'evidenza che gli ebrei in generale respinsero ad ogni occasione le innovazioni teologiche cristiane è forte. Matteo può essere pure più ricco di simbolismi ebraici rispetto al suo predecessore, ma la dottrina del Dio-uomo che tira fuori lo rivela per quel costrutto gentile che in ultima analisi, innegabilmente, è. Come può non essere così, con Marco come il suo scheletro di base? Pensateci.


- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -


1 - Avrebbero preferito morire piuttosto che lasciare le immagini di Caligola nel Tempio, per esempio.

2 - Matteo 8:2, 9:18, 14:33, 15:25, 28:9, 28:17.

3 - vedi The New Moses di Dale Allison per un'esplorazione approfondita della tipologia di Mosè in Matteo.

4 - Questo mi sembra una sorta di pesher al contrario all'opera altrettanto. Questo tipo di numerologia mistica è molto diffusa nelle successive esoteriche, mistiche tradizioni della Kabbalah.

5 - Matteo 1:23 - si veda Isaia 7:14.

6 - la concezione divina era un attributo comune in innumerevoli leggende dell'eroe. Ogni salvatore divino degno di questo nome ha avuto una nascita verginale.

7 - Si veda Levitico 10:6 e Levitico 21:10

8 -1 Samuele 15:22-23, e 1 Re 11:29-35 sono un paio di esempi. A volte è vestito di sacco e col capo cosparso di cenere, che sono anche espressioni o simboli di lutto.

9 - Il parallelo più vicino a questa citazione è Zaccaria 11:12-13, ma anche questa non è un'esatta corrispondenza.

L'Intero Testimonium Flavianum È Interpolato ed È Evidenza Contro il Gesù Storico

Un altro accademico, un esperto linguista di fama internazionale, Paul Hopper, rende disponibile in pdf un suo precedente lavoro pubblicato su Flavio Giuseppe, intitolato: 

A Narrative Anomaly in Josephus: Jewish Antiquities xviii:63.
 
 
Si tratta certamente dell'ultimo chiodo conficcato nella bara del Testimonium Flavianum: ora l'evidenza è davvero enorme che Flavio Giuseppe non scrisse nemmeno una lettera del Testimonium.

 “Allo stesso tempo, circa, visse Gesù, uomo saggio, se pure uno lo può chiamare uomo; poiché egli compì opere sorprendenti, e fu maestro di persone che accoglievano con piacere la verità. Egli conquistò molti Giudei e molti Greci. Egli era il Cristo. Quando Pilato udì che dai principali nostri uomini era accusato, lo condannò alla croce. Coloro che fin da principio lo avevano amato non cessarono di aderire a lui. Nel terzo giorno, apparve loro nuovamente vivo: perché i profeti di Dio avevano profetato queste e innumeri altre cose meravigliose su di lui. E fino ad oggi non è venuta meno la tribù di coloro che da lui sono detti Cristiani”.


Questo già lo sapevo grazie alla ricerca di un altro accademico. Ma c'è dell'altro che Paul Hopper introduce, che non sia solo in termini di analisi testuale e linguistica del brano interpolato. Ovvero l'implicazione logica che ne fa seguire.


Di seguito mi sono limitato a commentare, previa mia libera traduzione, solo la parte dell'articolo meno tecnica e priva il più possibile di parole greche.


Il Testimonium Flavianum

Il testo è inserito in una serie di episodi storici relativa al governo di Ponzio Pilato in Palestina. Esso è comunemente conosciuto come la "Testimonianza Flavianea" (Testimonium Flavianum), Flavio essendo il nome romano di Giuseppe dopo la sua adozione nel clan dei Flavi. Se fosse autenticamente opera di Giuseppe Flavio, esso avrebbe enorme importanza storica, in quanto sarebbe l'unica conosciuta testimonianza pagana alla vita di Gesù ad essere sopravvissuta al primo secolo dell'Era comune (EC). Gli altri racconti di Gesù del primo secolo provengono da fonti cristiane (le lettere di Paolo e forse uno o più dei vangeli); non sono solo per questo motivo da trascurare, ma essendo intrecciati con una serie di eventi scarsamente credibili, non testimoniano in modo inequivocabile la storicità di Gesù. [4] Il mio obiettivo è quello di evidenziare alcune incompatibilità tra il linguaggio del Testimonium Flavianum e quello degli altri tre episodi nella sequenza di Pilato che suggeriscono che essi non provengono dallo stesso autore.


La nota 4 che ho riportato dal testo in inglese (con mia enfasi) è estremamente interessante per l'implicazione che attenderà il lettore al varco della conclusione finale:
[4] Mack (1995: 10) riassume la posizione scettica: dobbiamo noi pensare che tutto questo è storico: portenti, miracoli, resurrezioni, viaggi cosmici, visioni apocalittiche, angeli, un dio crocifisso, 'irruzioni' divine, e trasformazioni metafisiche? Dobbiamo noi fare un'eccezione per tale capitolo della storia umana, un record di eventi organizzati per essere vero, perfino se fantastici secondo normali criteri per dare giudizi? Price (2000, 2003) e Doherty (2005) danno spiegazioni, da una prospettiva scettica, delle diverse opinioni presenti e passate circa la storicità di Gesù.

Si tratta della saggia applicazione della Legge di Law: mai scommettere sulla presenza di un minuscolo nucleo storico in racconti affetti al 90% dal puro, indistinguibile fantasy, ma meglio, molto meglio, sospendere il giudizio in quel caso, fino a prova contraria (possibilmente esterna).



Ecco una critica fondamentale a tutte le ipotesi ''vivisezionistiche'' dei folli apologeti fatte al solo scopo di salvare il salvabile del Testimonium (e quel che rappresenterebbe se soltanto una riga o mezza riga fosse autentica): è proibito ''vivisezionare'' il Testimonium perchè ''il passaggio è linguisticamente e concettualmente integrato''. Dunque prendere o lasciare. Una sola mano scrisse il brano e bisogna verificare a quale persona appartenne quella mano, se a Flavio Giuseppe oppure al falsario cristiano:
Il Testimonium stesso è, rispetto agli episodi circostanti, insolitamente breve. La sua stessa brevità è una caratteristica sospetta, una che ha portato alcuni difensori della sua autenticità a suggerire che, mentre parti del testo sono veramente di Flavio Giuseppe, il testo è stato manomesso dai cristiani successivi intenzionati a cancellare contenuti scandalosi. Ci sono stati molti tentativi di ripristinare il presunto testo originale, tutti speculativi. Tuttavia, anche la concessione che ci sono state alterazioni è self-serving, dal momento che ogni menzione di Gesù, non importa quanto diffamatoria, avrebbe preservato il fatto fondamentale della testimonianza di Giuseppe Flavio. In realtà, tuttavia, la sintassi del Testimonium non mostra i segni di discontinuità che noi potremmo aspettarci di trovare se modifiche sostanziali, quali principali cancellazioni o inserzioni, fossero state fatte. Le frasi sono ben formate, l'uso di particelle come gar e de è opportuno, le costruzioni greche sono corrette e complete. In breve, il passaggio è linguisticamente e concettualmente integrato, e l'ipotesi di un testo originariamente più lungo che è stato sostanzialmente ridotto o di un testo più breve che è stato allungato non sembra essere giustificato su basi linguistiche puramente interne.




Vengo a sapere che già Voltaire sarebbe stato volentieri miticista, se soltanto avesse avuto le possibilità che abbiamo oggi di esaminare criticamente i testi e le reali opinioni dei loro autori originali. Ma almeno il Filosofo dei Lumi assaporò almeno il piacere di dubitare dell'autenticità dell'intero Testimonium:
 Dal 17° secolo l'autenticità del passaggio è stata ripetutamente messa in discussione. Nel 18° secolo, Voltaire (1764) sapeva di dubbi sulla sua genuinità, e notava con piacere che un pilastro apparente della storicità di Gesù, e implicitamente del cristianesimo, era stato tirato via. I suoi difensori hanno sottolineato che si trova in tutti i manoscritti noti e che alcuni elementi dello stile e della formulazione sono caratteristici di Giuseppe Flavio. Contro questi punti si sostiene che tutti i manoscritti noti sembrano provenire da un abbastanza tardo unico manoscritto e che lo stile e la formulazione presumibilmente di Flavio Giuseppe non sono unici e sono in ogni caso non difficili da imitare. Inoltre, nonostante la sua evidente importanza per dibattiti e discussioni di Gesù nei primi secoli dell'Era Comune, i primi scrittori cristiani e pagani sono reticenti circa il passaggio, anche in contesti in cui sarebbe stato decisamente vantaggioso per loro parlarne. Feldman annota nel suo articolo su Flavio Giuseppe in The Cambridge History of Judaism:

Il passaggio appare in tutti i nostri manoscritti; ma un numero considerevole di scrittori cristiani - Pseudo-Giustino e Teofilo nel secondo secolo, Minucio Felice, Ireneo, Clemente di Alessandria, Giulio Africano, Tertulliano, Ippolito e Origene nel terzo secolo, e Metodio e Pseudo-Eustazio agli inizi del IV secolo, che conoscevano Flavio Giuseppe e citavano dalle sue opere, non si riferiscono a questo passaggio, anche se si potrebbe immaginare che sarebbe stato il primo passo che un apologeta cristiano avrebbe citato. In particolare, Origene (Contro Celso 1,47 e Commentario su Matteo 10,17), che certamente conosceva il Libro 18 delle Antichità e cita cinque passaggi da esso, afferma esplicitamente che Giuseppe Flavio non credeva in Gesù Cristo. Il primo a citare il Testimonium è Eusebio (c 324.); e anche dopo di lui, potremo notare, ci sono undici scrittori cristiani undici che citano Giuseppe Flavio, ma non il Testimonium. In realtà, non è fino a Girolamo all'inizio del V secolo che abbiamo un altro riferimento ad esso. (Feldman 1999: 911-12)   Vi è, quindi, motivo di sospettare che l'episodio di Gesù è un inserimento più tardo, risalente a più di duecento anni dopo la morte di Flavio Giuseppe, e probabilmente assente dalla maggior parte manoscritti delle Antichità Giudaiche fino a molto più tardi. Il suo status è almeno ambiguo, con commentatori cristiani che tendono fortemente (ma non universalmente) a sostenere la sua autenticità e gli scettici religiosi che lo considerano un falso.

Si noti che l'argomento del silenzio nei folli apologeti del II secolo dovrebbe valere, come per il Testimonium, anche per ogni menzione dei vangeli, straordinariamente assenti (al pari di ogni apparente convinzione storicista), fino a Marcione e Giustino.
L'uso del negativo in due dei quattro aoristi suggerisce qualcos'altro.
I negativi puntano implicitamente ai corrispondente affermativi. Essi appartengono nei contesti di negazione, di risposta ad una sfida. Essi suggeriscono qui che l'autore sta contraddicendo voci inascoltate che mettono in discussione la verità della cronaca. Vi è un elemento di protesta nella voce dell'autore del Testimonium che è impossibile attribuire a Giuseppe Flavio, il sobrio storico: "Ci deve essere qualcosa di vero in tutto questo, perché i suoi seguaci non si sono dileguati, in realtà non hanno smesso di adorarlo."
 
La Crocifissione
Che cosa dell'unico vero evento nel Testimonium, la crocifissione di Gesù? È qui che Ponzio Pilato fa la sua unica apparizione in questo episodio. Mentre negli altri episodi Pilato è il protagonista principale, nel Testimonium il ruolo di Pilato è inconfondibilmente subordinato. Egli è menzionato nella costruzione del genitivo assoluto che è stato descritto in precedenza: il suo nome è nel caso genitivo, e la sua azione nel condannare Gesù viene accennata rapidamente in quattro parole, una di loro un participio perfetto, anche nel caso genitivo. Laddove  negli altri passaggi di Pilato egli è raffigurato mentre devia dal suo modo di agire con premeditazione (nel brano delle Insegne il verbo utilizzato è ephronese, cioè, agì deliberatamente, con premeditazione), e come l'esplicito istigatore di atti di repressione contro gli ebrei, ora c'è una distinta ambiguità.
Non solo il coinvolgimento di Pilato nella condanna di Gesù viene relegato ad una clausola periferica ... ma la colpa per questa azione viene trasferita sui maggiorenti ebrei ...


E su accusa dei primi uomini tra noi, Pilato dopo lo condannò alla croce, [...]
Così Pilato, il decisivo boss romano degli altri tre episodi di Pilato, spietata piaga degli ebrei e spregiatore delle loro leggi, ora appare come il burattino accondiscendente della gerarchia ebraica. Ma le azioni degli anziani e di Pilato sono esse stesse secondarie al principale punto del passaggio, come identificato dai verbi in aoristo, cioè la resurrezione di Gesù e la continuata devozione dei seguaci di Gesù, che vengono presentati come eventi essenziali dell'intero passaggio. Ancora, la struttura grammaticale del Testimonium è in contrasto con quella della sequenza di Ponzio Pilato, in cui il protagonista principale è lo stesso Pilato.
 

8 Struttura Narrativa
8.1 Temporalità

La distribuzione delle forme verbali è un fenomeno di microlivello che ha una controparte nel macrolivello che ha a che fare con come è organizzato il tempo in una narrazione.
L'organizzazione del tempo nel Testimonium è molto diverso da quello del testo circostante. Ad esempio, la narrazione dell'Acquedotto è pieno di particolari dettagli - i rivoltosi che urlavano insulti, i soldati romani che si mischiano alla folla in abito ebraico, l'ordine ai manifestanti di disperdersi, la reazione eccessiva del soldati, e la sanguinosa repressione della rivolta. Ad ogni punto sappiamo non solo quello che gli attori hanno fatto, ma perché l'hanno fatto, e quali erano le cause e gli effetti della loro azioni. L'episodio dell'Aquedotto, come gli altri episodi che coinvolgono Ponzio Pilato, ha una struttura di eventi. Il tempo in questi episodi è kairotico, cioè, è tempo qualitativo (kairos) esperito da attori singoli. Esso è tempo eventive, i temps événementiel della scuola di Annales di storiografia (vedi, ad esempio, Braudel 1972-4). Per contro, la temporalità del Testimonium è cronica (chronos), cioè, è parte della temporalità generale della storia umana. Si svolge in una  prospettiva più remota di lenti cambiamenti e verità generali; è temps conjoncturel, il tempo dei movimenti sociali e di riorganizzazione sociale. Ha una veduta a volo d'uccello del suo soggetto, scansionando l'intera vita di Gesù e la sua influenza in nessun particolare ordine, anacronisticamente (Genette 1980: 34). Nel Testimonium ci sono accadimenti ma nessun evento, perchè gli eventi in modo da qualificarsi come tali devono essere integrati in una cornice eventive, cioè una storia, e deve avere interconnessioni sequenziali e causali (Ricoeur 1981; Croft 1991: 269). Così il Testimonium appartiene ad un diverso tipo di tempo dal resto delle Antichità Giudaiche. La temporalità del Testimonium deriva dalla sua presunta familiarità al suo pubblico, che a sua volta è più compatibile con un contesto cristiano del terzo secolo o successivo che ad un contesto romano del primo secolo.   Ricoeur osserva: "Non appena una storia è ben nota ...  seguire
la storia non è tanto per racchiudere le sorprese o scoperte all'interno del nostro riconoscimento del significato collegato alla storia, quanto per apprendere gli episodi che sono essi stessi ben noti come conducenti a questo fine ". Significativamente, Ricoeur prosegue: "Una nuova qualità del tempo emerge da questa comprensione" (Ricoeur 1981: 67).
 

8.2 Costruzione della trama
Questo ci porta ad un altro punto: a differenza del Testimonium, le azioni dei partecipanti nell'episodio dell'Aquifero (e quelli degli altri due episodi di Ponzio Pilato, delle Insegne e della Rivolta samaritana) sono comprensibili in termini di costruzione della trama. La storia dell'Acquedotto è una narrazione in cui è stabilita una situazione ed i personaggi interagiscono, e vi è una risoluzione. Ha una trama nel modo in cui i recenti teorici narrativi hanno stipulato: nei termini di Paul Ricoeur, la trama è "il tutto intelligibile che governa la successione di eventi in ogni storia", e la ''trama rende gli eventi in una storia" (Ricoeur 1981: 65). Lo stesso vale per gli altri due episodi di Pilato, cioè, l'episodio delle Insegne e della Rivolta samaritana.  L'attenta elaborazione di costruzione della trama è una parte essenziale dell'abilità di Flavio Giuseppe come storico. Il Testimonium non ha tale trama. Dal punto di vista del suo posto nelle Antichità Giudaiche di Giuseppe Flavio, esso non si qualifica per nulla come un racconto. Il Testimonium non poteva essere inteso come una storia se non da qualcuno che poteva già collocarlo nel suo "tutto intelligibile", il contesto del primo cristianesimo. Il Testimonium guadagna la sua intelligibilità non attraverso la sua segnalazione di nuovi eventi, ma in virtù di essere una "ripetizione del familiare" (Ricoeur 1981: 67) - familiarità qui significa  la familiarità di un pubblico cristiano del terzo secolo, non di un pubblico romano del primo secolo.  
Il "tutto intelligibile" posto da Ricoeur come fondamento indispensabile per una storia non risiede, come accade per gli altri eventi raccontati da Giuseppe Flavio in questa parte delle Antichità Giudaiche, nel più ampio racconto dei destini intrecciati tra Roma e Gerusalemme, ma invece nel racconto evangelico del Nuovo Testamento cristiano, ed è dai vangeli, e dai vangeli soli, che il racconto di Gesù Cristo nel Testimonium trae la sua coerenza e la sua legittimità come un complotto, e forse anche un pò del suo linguaggio. Non solo l'origine cristiana del Testimonium è tradita dalla sua fedeltà al vangelo, dal momento che senza i vangeli il passaggio è incomprensibile. Ancora una volta per derivare da Paul Ricoeur, il Testimonium non tanto racconta ai Romani del primo secolo nuovi eventi, ma piuttosto ricorda ai cristiani del III secolo terzi eventi a loro già familiari.

8.3 Genere
Nell'analisi di Swales (1990), noi dobbiamo guardare dietro il linguaggio di un testo in ordine di identificare il suo genere. Un genere, sostiene Swales, è in ultima istanza radicato nelle pratiche della comunità del discorso che lo crea e lo usa. Il Testimonium è ancorato in una comunità di discorso radicalmente differente da quello del resto delle Antichità Giudaiche. Il Testimonium si legge più come l'articolo di una posizione, come un manifesto di partito, che ad una narrazione. A differenza del resto delle Antichità Giudaiche, esso ha lo stessa ambiguità generica tra mito e Storia che Kermode (1979) ha osservato nei vangeli nella loro totalità. La sua novità per i suoi intesi lettori  non si trova nella narrazione storica stessa, ma nel suo inserimento politico narrativo nel contesto dell'amaro racconto di Flavio Giuseppe del governo di Ponzio Pilato, e la sua dichiarazione rivolta al mondo cristiano che gli storici pagani contemporanei avevano dopo tutto preso atto della vita terrena di Gesù Cristo. Si tratta, in altre parole, di una interpolazione politica. Essa serve a convalidare la pretesa cristiana della crocifissione del fondatore della setta durante l'amministrazione di Pilato, e, posizionando il suo testo all'interno di quello del genere "Storia", con il suo ethos di verità, per garantire l'autenticità storica dei vangeli. Ma enunciato come una serie di nuovi eventi per un pubblico romano del primo secolo non familiare con esso, il Testimonium sarebbe stato una bizzarra aggiunta e probabilmente abbastanza incomprensibile.
 
Ken Olson aveva difatti denunciato l'uso politico del Testimonium in funzione anti-pagana, per attaccare in particolare quei pagani che, pur non disprezzando Gesù alla Celso maniera, soltanto, il loro unico torto agli occhi di Eusebio era di non interrogarsi ''se pure uno lo può chiamare uomo'' come recita ''per pura coincidenza'' nell'incipit il Testimonium scomodando a vantaggio degli apologeti cristiani la ''voce'' autorevole di un non cristiano come Flavio Giuseppe.

Il Testimonium Flavianum si qualifica poveramente come esempio di Storia o racconto.
 Dove, allora, esso si adatta genericamente? La più vicina corrispondenza generica per il Testimonium è forse i vari credi che cominciarono ad essere formulati agli inizi del IV secolo, come ad esempio il Credo di Nicea  (325 EC). Alcuni elementi del credo sono chiaramente presenti: Gesù era il Messia; fu crocifisso sotto Ponzio Pilato (passus sub Pontio Pilato, nelle parole del Credo Apostolico); resuscitò il terzo giorno dopo la sua morte; il movimento da lui fondato - la  chiesa cristiana - continua a prosperare; ha fatto miracoli; i profeti biblici avevano predetto molti dettagli della sua vita. Meno specificamente relativi al credo, ma simili nel carattere alle credenze, sono la sua lunghezza (77 parole greche, paragonabili alle 76 parole del Credo latino degli Apostoli e alle 91 parole del Credo greco degli Apostoli) e il tono sicofantico del confermato credente  ("ha avuto un seguito tra gli ebrei e i gentili", "Apparve a loro vivo dopo il terzo giorno", "i profeti biblici hanno preannunciato i suoi numerosi miracoli"). L'introduzione immotivata di Gesù immediatamente dopo l'apertura ginetai ("Accadde") è anche strutturalmente reminiscente delle formule di fede come per esempio il credo in unum deum etc.

I credi sono tanto dichiarazioni politiche quanto dichiarazioni teologiche. Sopraggiungono dopo feroci e, spesso, a lungo perduranti dispute, come il Credo di Nicea, concepito sull'onda della forte rivalità contro l'eresia ariana. Essi rappresentano una dichiarazione non negoziabile di credenze correnti elaborate dai vincitori. Rispondono alla necessità di vincolare e rassicurare i credenti, e di confrontarsi con i non credenti (in questo caso, gli ebrei) e dividerli nettamente dai credenti. Il Testimonium riflette quello che era diventato dal terzo secolo EC un luogo comune del cristianesimo: che la colpevolezza della morte di Gesù va addossata sugli ebrei.  Si precisa nel Testimonium che la responsabilità di Pilato è indiretta: i veri responsabili sono "i primi tra noi", i leader ebrei che pronunciano l'"accusa" contro Gesù, il ruolo di Pilato essendo limitato a pronunciare la condanna a morte. Il "tra noi" è inequivocabile: la responsabilità della morte di Gesù si trova nei connazionali di Flavio Giuseppe, gli Ebrei, non nei Romani, e anche in questo il Testimonium è difficile da conciliare con la denuncia di Flavio Giuseppe dei crimini di Pilato contro gli ebrei. Il Flavio Giuseppe del Testimonium è rappresentato nell'atto di allineare sé stesso con i cristiani (versus gli ebrei) e sul punto di ammettere che la colpa della crocifissione di Gesù il Messia risiede sugli ebrei; non vale proprio la pena di dire che una tale ammissione da parte di Giuseppe Flavio è inconcepibile.

Ecco la conclusione finale, con la sorpresa che riserva da ultimo il prof Paul Hopper al lettore:
Conclusione
La grammatica narrativa del Testimonium Flavianum si pone nettamente a parte rispetto ad altre storie di Flavio Giuseppe del governo di Ponzio Pilato. La più probabile spiegazione è che l'intero passaggio è interpolato, presumibilmente da cristiani imbarazzati dalla manifesta ignoranza di Flavio Giuseppe sulla vita e sulla morte di Gesù. Le Antichità Giudaiche sarebbero in questo senso  coerenti con l'altro cronista di questa età, contemporaneo e rivale storico di Giuseppe Flavio, Giusto di Tiberiade, che ha scritto una storia di questo periodo che era in conflitto con Flavio Giuseppe e insinuava che la versione di Flavio Giuseppe fosse auto-adulatoria. Il lavoro di Giusto non è sopravvissuto, ma sappiamo da altre fonti che ha scritto in modo molto dettagliato circa l'esatto periodo del regno di Tibero che coincise con il ministero di Gesù - e che egli non menzionò Gesù. [13] Al di fuori dei vangeli, non c'è nessun racconto contemporaneo indipendente  (cioè, nel primo secolo EC) di quelli eventi. Il silenzio di altri commentatori, e l'assenza di qualsiasi menzione del Testimonium da parte di scrittori cristiani per due secoli interi dopo Flavio Giuseppe, anche se impegnati nella feroce polemica su Gesù, sono forti indicazioni che il passaggio non era presente nel racconto straordinariamente dettagliato di Flavio Giuseppe di questo periodo. Le attività di un fanatico religioso che si mosse attraverso Galilea e Giudea predicando un vangelo di pace e di salvezza, del quale fu detto che compì miracoli, è che fu seguito da folle di migliaia di adoranti discepoli, e che nel giro di poche ore invase il cortile esterno del Tempio, che fu condotto in presenza del Sinedrio, che fu processato dal re Erode, interrogato da Ponzio Pilato e crocifisso, il tutto durante un pubblico tumulto, non fecero nessuna impressione sugli scrittori di Storia del periodo.

(mia libera traduzione e mia enfasi)
Lo sappiamo perché Fozio, il patriarca di Costantinopoli del nono secolo, che ha letto le opere di Giusto, si meravigliò che egli non fece alcuna menzione di Gesù, e commentò su questo.

Si noti la chiusa finale del prof Hopper:
Le attività di un fanatico religioso che si mosse attraverso Galilea e Giudea predicando un vangelo di pace e di salvezza, del quale fu detto che compì miracoli, è che fu seguito da folle di migliaia di adoranti discepoli, e che nel giro di poche ore invase il cortile esterno del Tempio, che fu condotto in presenza del Sinedrio, che fu processato dal re Erode, interrogato da Ponzio Pilato e crocifisso, il tutto durante un pubblico tumulto, non fecero nessuna impressione sugli scrittori di Storia del periodo.

 Giustamente Neil Godfrey si domanda astutamente cosa diamine avesse voluto dire il prof Hopper con quel tono quasi da domanda retorica con una risposta già implicita in nuce.

E il bello è che ora Paul Hopper è sospetto di covare, coerentemente con le sue premesse (vedi sopra), un sano agnosticismo sulla storicità di Gesù.

Dunque non solo il Testimonium Flavianum è una totale interpolazione oltre ogni ragionevole dubbio, ma il Testimonium Flavianum è addirittura evidenza contro la storicità di Gesù, almeno in parte.

Si tratta di un punto che mi concede pefino Peter Kirby, l'autore di un corrente ''Miglior Caso a favore di un Gesù Storico'' [1].

Perchè rivela ancora una volta come i folli apologeti cristiani del tempo, per quanto ''istruiti'' e ''intellettuali'' come Eusebio [2], si trovassero disperatamente alle strette, nella pressochè totale assenza di una conferma esterna della storicità dei vangeli, al punto da doverla inventare di sana pianta nel testo di Flavio Giuseppe. E al punto da tradire OGGI, NEL 2015, A DISTANZA DI COSÌ TANTO TEMPO, un'imbarazzante, colossale ignoranza di ogni altro riferimento possibile ad un Gesù umano che non fosse sempre, e solo, e soltanto, l'autentico ghiaccio sottile su cui erano costretti volenti o nolenti a basare le loro pretese dogmaticamente pesanti: 4 ridicoli vangeli [3].



[1] la cui lettura per intero consiglio caldamente ad ogni mio lettore per invitarlo ad accorgersi dell'estrema debolezza di un caso che si pretende ''migliore''.

[2] il lettore intelligente mi perdonerà se faccio comparire nella medesima frase la parola ''folli apologeti cristiani'' e la parola ''intellettuali''.

[3] per giunta, a loro volta basati uno sull'altro (e probabilmente tutti e quattro reazioni al Vangelo del Signore di Marcione).