sabato 31 maggio 2014

Del perchè è leggermente più probabile che Maometto sia esistito, a differenza di Gesù

Ho dato una rapida lettura al libro di Robert Spencer, del 1962, dal titolo inequivocabile: Did Muhammad exist? : an inquiry into Islam's obscure origins.

L'autore è un cattolico conservatore ed è un ''Maometto-miticista'': ritiene più probabile come spiegazione delle origini dell'Islam l'assenza di un'unica figura fondativa riconoscibile con i tratti tipici del Profeta Maometto. 

Ho detto che la mia lettura è stata rapida. Infatti, non avendo la pretesa di esaurire tutto lo stato dell'evidenza, specie se quell'evidenza coinvolge una cultura rispetto alla quale sono del tutto alieno e né sento sinceramente come propria, allora già dall'inizio della lettura sono partito dalla saggia considerazione di non dover o non voler trovare una particolare conferma della tesi dell'autore, dal momento che si richiede un'esperienza specie nelle parti più tecniche del libro, con tanto di strani termini in lingua araba e via dicendo. So benissimo che dal lontano 1962 ne sono passati di anni, è che la posizione del Consensus occidentale, nel caso di Maometto, è quella che prevede un'umbratile figura fondativa di teologo-guerriero, per quanto sia a priori una posizione decisamente minimalista (cosa che non è invece con ben altro stranissimo ''consensus'', quello su ''Gesù di Nazaret'' formato dai ''biblisti'' e dai ''teologi'' del Nuovo Testamento).

Il mio scopo era semmai un altro.
Nell'ipotesi di venire incontro, per puro amore di discussione, con le implicazioni e le premesse dell'autore fin dove voleva arrivare a parare, nel rispetto insomma della classica espressione che si suol dire in questi casi -- ''ammesso e non concesso che tu abbia ragione...'' --,  sarebbe stato legittimo far calare la spada di Damocle sull'ipotesi della storicità di Maometto al punto tale da metterla seriamente in dubbio? Persino dopo che un altro scenario alternativo, più miticista, della genesi dell'Islam venisse riconosciuto nella sua concreta plausibilità?


Insomma, almeno prima facie, ci sarebbero tutti gli elementi per dubitare della storicità di Maometto alla maniera in cui è legittimo dubitare dell'esistenza storica di Gesù di Nazaret?

Prima di rispondere a questa domanda, è bene però indicare quale è il livello preciso o meglio la soglia esatta che l'asticella del dubbio deve superare per poter concludere che non solo una data entità è ignota nella sua vera natura, ma che sia addirittura, molto probabilmente, inesistente o al più dalla dubbia esistenza. Insomma, dove si origina veramente il Dubbio? Unicamente dal mero silenzio? O non piuttosto da qualcos'altro? Qualcosa che conti veramente come evidenza dell'inesistenza di quell'entità?

Un giornalista fece la stessa domanda a Richard Carrier:
Quale aspetto della vita di Gesù e della sua eredità ha convinto Carrier che non è esistito?

 Ed ecco la risposta, la quale avrei potuto dargliela benissimo io senza ancor leggere il libro di Carrier, ma unicamente forte della lettura del libro di Earl Doherty:
I soli attributi dei vangeli che mi indiziavano verso la possibilità della sua non esistenza sono i suoi numerosi elementi mitici, tipici di altri eroi e semidei mitici, ma molto meno comunemente attribuiti a, o scritti di, reali persone storiche. Ma ciò da solo non sarebbe convincente abbastanza.
Il silenzio del record storico destava anche turbamento, e unito al precedente aspetto, il doppio di così. Ma persino quello non sarebbe sufficiente per essere sicuro. Il reale fattore decisivo furono le lettere di Paolo, nelle quali non trovo nessuna reale consapevolezza che Gesù fosse mai qualcos'altro rispetto ad un essere celeste ucciso e resuscitato da poteri celesti e che predica e comunica mediante visioni dal cielo.

“Per esempio, in 1 Corinzi 15:3-8, Paolo dice solamente che le persone lo videro dopo la sua risurrezione... egli non fa alcuna menzione di qualcuno che lo ha visto prima di allora, molto meno che ha camminato con cui o ha imparato sotto di lui.”

Perchè qualcuno, Gesù, Buddha, Maometto sia un mito storicizzato, dunque, e non un essere umano miticizzato, non basta raccogliere tutta l'evidenza di una palese storicizzazione della sua leggenda, ma anche percepire il più possibile chiara evidenza del mito originario. Che quel mito lo abbiamo nel caso di Gesù Richard Carrier ne è certo, e lo dimostrerà nel suo prossimo libro.
Resta da vedere se un mito simile si possa riscontrare nel caso di Maometto. Ed è sulla possibilità di poter riscontrare o meno quell'originaria roccia mitica, dietro il muschio meramente leggendario sopra depositatasi, che in linea di principio mi ha indotto a leggere il libro su Maometto di Spencer. Perchè, se tutto quello che si può trovare è solo un Maometto leggendario, anche se lungi dall'essere quello storico, di certo non può nemmeno essere un valido candidato al Maometto mitico.

Ma andiamo con ordine.


L'epitaffio d'esordio è inquietante, visto il tema trattato.

Dedicato a tutti coloro che non temono di andare dovunque la verità possa condurli


L'impostazione dell'introduzione rivela la serietà dell'autore:
I logici hanno ripetutamente dimostrato che la non esistenza non può essere provata. Quando il filosofo britannico Bertrand Russell una volta asserì che non ci fosse nessun rinoceronte nella sala studio, il suo giovane pupillo austriaco Ludwig Wittgenstein iniziò a guardare sotto le scrivanie, le sedie e i tavoli. Non ne era convinto. La lezione della storia è semplice: Offrire dimostrazione dell'esistenza potrebbe a volte essere difficile, ma provare la non esistenza è semplicemente impossibile.

Nondimeno, è ragionevole avere dubbi sulla storicità di Maometto. Per iniziare, non esistono convincenti tracce archeologiche che confermino la storia tradizionale di Maometto e del primo Islam.

Uno studioso iracheno, Ibn Ishaq (c. 760), ha scritto un libro che è la base di tutte le biografie di Maometto. Se un'analisi del libro di Ibn Ishaq stabilisce che per una qualche ragione non può esser visto come una fonte storica, tutta la conoscenza che possediamo su Maometto evapora. Quando il libro parecchio citato e popolare di Ibn Ishaq risulta essere nient'altro che una pia finzione, dovremo accettare che non è probabile che si possa mai scoprire la verità su Maometto.
Successivamente a Ibn Ishaq, lo stesso Corano sembra come una testimonianza ragionevolmente affidabile su Maometto e la sua carriera. Ma entriamo in difficoltà quando si voglia ricostruire la vita e le dottrine di Maometto dal Corano, infatti il libro come lo conosciamo oggi potrebbe non essere un'autentica riproduzione del testo arabo dettato a Maometto nel primo settimo secolo. Ci sono ragioni per credere che il Corano prese la sua forma attuale non nel settimo secolo ma più tardi o persino molto più tardi. L'alfabeto arabo in cui è scritto il Corano non esisteva ancora nel primo settimo secolo, così è improbabile che i segretari di Maometto, se riportati in vita, sarebbero in grado di riconoscere una moderna edizione del Corano come parte del testo sacro che fu dettato loro in frammenti durante l'esistenza di Maometto -- cioè, se accadde una tale dettatura.
La collezione di tradizioni islamiche note come Hadith formano la terza fonte dalla quale la vita di Maometto potrebbe essere ricostruita. Gli Hadith sono realmente non una fonte ma piuttosto un gruppo di fonti, di diseguale qualità. Alcune tradizioni sono inaffidabili persino secondo l'opinione accademica musulmana. Gli scribi e gli studiosi musulmani accusano alcuni dei trasmettitori di questo materiale di aver fabbricato loro le storie.
È perfettamente possibile fabbricare storie circa persone reali (vedi un qualunque newspaper, o Facebook), ma per formare un quadro della vita di qualcuno così eminente come Maometto, uno piuttosto vorrebbe non fare uso di storie che potrebbero essere state fabbricate.

Questo è il punto di partenza da cui partire. Rigorosamente minimalista. Senza nemmeno fare i troppi rapidi distinguo tra Maometto della Fede e Maometto della Storia, come oportuni preliminari. Dò per buono che l'autore abbia ragione su quanto appena detto.

Ma intanto già servirebbe un pò di cronologia, in un periodo che non mi è altrettanto noto quanto il primo e il secondo secolo (e il lettore potrà facilmente intuirne la ragione):


610: Maometto riceve la sua prima rivelazione del Corano da Allah, attraverso l'angelo Gabriele.
610–632: Maometto riceve periodicamente rivelazioni del Corano.
632: Maometto muore.
632–634: Califfato di Abu Bakr.
632–633: Guerre di Apostasia.
632: Dicembre: Battaglia di Yamama, morte di molti che avevano memorizzato porzioni del Corano; secondo la tradizione islamica, questo fornì l'impeto per la prima collezione  del Corano.
633: Invasione araba dell'Iraq.
634–644: Califfato di Umar.
636–637: Conquista araba di Siria e Palestina.
Tardi anni 630: Un documento cristiano è pubblicato che menziona un anonimo e ancora vivente profeta arabo ''armato di una spada''.
639: Conquista araba di Armenia ed Egitto.
Primi anni 640: Tommaso, un prete cristiano, menziona una battaglia tra bizantini e il  “tayyaye d- Mhmt” a est di Gaza nel 634.
644: Conquista araba della Persia.
644–656: Califfato di Uthman.
Anni 640–650: Una moneta in Palestina porta l'iscrizione ''Maometto'' ma dipinge una figura che impugna una croce.
Anni 650–660: Conquista araba del Nord Africa.
651: Muawiya, governatore della Siria, scrive all'imperatore bizantino Costantino esortandolo a rinnegare Gesù e ad adorare il Dio di Abramo.
653: Uthman colleziona il Corano, standardarizza il suo testo, ne brucia le varianti, e distruibuisce la sua versione a tutte le province islamiche. 
654: Conquista araba di Cipro e Rodi.
656–661: Califfato di Ali
661–680: Califfato di Muawiya
Anni 660/670: Una moneta raffigura Muawiya che impugna una croce provvista di una mezzaluna.
Anni 660/670: Il vescovo armeno Sebeos scrive un racconto semistorico, semileggendario di Mahmet, un predicatore arabo che insegnò al suo popolo ad adorare il Dio di Abramo e che condusse dodicimila ebrei, insieme con gli arabi, ad invadere la Palestina.
662: Uno stabilimento balneare in Palestina è provvisto di una iscrizione ufficiale che menziona Muawiya e porta una croce.
674: Primo Assedio arabo di Costantinopoli.
680: Un cronista anonimo identifica Maometto con il leader dei ''figli di Ismaele'', che Dio ha mandato contro i Persiani ''come la sabbia delle rive del mare''.
680–683: Califfato di Yazid I
Primi anni 680: Monete in apparenza raffiguranti Yazid rappresentano una croce.  
685: Abdullah ibn Az-Zubair, regnante ribelle di Arabia, Iraq, e Iran, fa coniare monete che proclamano Maometto il profeta di Allah.
685–705: Califfato di Abd al-Malik
 690: Il cronista cristiano nestoriano Giovanni bar Penkaye scrive dell'autorità di Maometto e della brutalità degli arabi.
Anni 690: Il vescovo cristiano copto Giovanni di Nikiou fa la prima estesa menzione di ''Musulmani'' (sebbene la più antica edizione disponibile della sua opera data dal 1602 e potrebbe essere stata alterata nella traduzione).
691: Un'iscrizione della Cupola della Roccia dichiara che ''Maometto è il servo di Dio e il Suo messaggero'' e che ''il Messia, Gesù figlio di Maria, fu solo un messaggero di Dio'',  e presenta una sintesi di citazioni del Corano. 
696: Prime monete affiorano che non raffigurano un'immagine del sovrano e rappresentano la confessione islamica di fede (shahada).
690: Stando ad una variante tradizione islamica, Hajjaj ibn Yusuf, governatore dell'Iraq, colleziona il Corano, standardizza il suo testo, ne brucia le varianti, e distruibuisce la sua versione a tutte le province islamiche.
690: Hajjaj ibn Yusuf introduce nell'adorazione della moschea la pratica di leggere estratti del Corano, secondo una più tarda tradizione islamica.
690: Hajjaj ibn Yusuf aggiunge segni diacritici al testo del Corano, permettendo al lettore di distinguere tra varie consonanti arabe e perciò a spiegare il testo. 
711–718: Conquista musulmana della Spagna.
730: Lo scrittore cristiano Giovanni di Damasco riferisce in dettaglio della teologia islamica, e delle sure del Corano, sebbene non del Corano per nome.
732: l'avanzata musulmana nell'Europa occidentale è fermata nella Battaglia di Poitiers
 
750–760: Malik ibn Anas compila la prima collezione di Hadith intorno al 760 Ibn Ishaq colleziona dettagli biografici e pubblica la prima biografia di Maometto.
830–860: Le sei maggiori collezioni di Hadith sono compilate e pubblicate, fornendo un voluminoso dettaglio sui detti e sugli atti di Maometto.

Non posso crederci: dopo solo un secolo esatto dalla morte di Maometto gli arabi sono a stento respinti dai Franchi di Carlo Martello!

Dopo un secolo dalla morte del presunto Gesù di Nazaret invece, il cristianesimo è ancora a malapena riconosciuto a stento da qualche pagano come Plinio il Giovane in Oriente, ma non a Roma da Tacito (essendo il suo riferimento a Cristo molto probabilmente un'interpolazione cristiana successiva).


Parimenti, il tremendo impatto sulla storia di Maometto non in sé stesso fornisce evidenza inconfutabile dell'accuratezza del ritratto che le più antiche fonti islamiche disponibili disegnano di lui. Numerose figure leggendarie o semileggendarie hanno ispirato magnifici raggiungimenti da parte di persone reali. Si necessita solo di considerare, per esempio, la letteratura delle crociate, come la Canzone di Rolando e il Poema di El-Cid, che hanno romanzato figure storiche presentandole come eroi più-che-mai-in-vita, e che a loro volta ispirarono altri guerrieri a nuove imprese di eroismo e coraggio. La grande influenza di Maometto nel fornire l'impeto per una cultura considerevolmente elastica non ha bisogno di dipendere sul suo essere stato una figura storica; una leggenda storica, creduta con fervore, potrebbe spiegare il medesimo effetto.


Idem per Gesù e il Potere della Parabola, titolo di un omonimo ottimo libro di J. D. Crossan.




Le Fonti
Si potrebbe assumere che la prima e principale fonte di informazione circa la vita di Maometto sia il Corano, il testo sacro dell'Islam. Tuttavia quel libro realmente rivela poco circa la vita della figura centrale dell'Islam. In esso Allah di frequente si rivolge al suo profeta e gli comunica quello da dire ai fedeli e agli infedeli. Commentatori e lettori in generale assumono che Maometto sia quello rivolto in quei casi, ma quello - come così tanto altro in questo campo -- non è sicuro.
Il nome di Maometto realmente appare nel Corano solo quattro volte, e in tre di quelle istanze poteva essere usato come un titolo -- il ''prediletto'' o il ''prescelto'' -- piuttosto che un nome proprio. Per contrasto, Mosè è menzionato per nome 136 volte, e Abramo, 79 volte. Persino Faraone è menzionato 74 volte. Nel frattempo, ''profeti di Allah''  (rasul Allah) appare in varie forme 300 volte, e ''profeta''  (nabi), 43 volte. Sono quelli tutti riferimenti a Maometto, il profeta dell'Arabia del settimo secolo? Forse. Certamente sono stati presi come tali dai lettori del Corano attraverso le epoche. Ma anche se lo siano, non ci comunicano quasi nulla circa gli eventi e le circostanze della sua vita. 
In verità, per tutto il Corano non c'è essenzialmente nulla circa questo profeta al di là di insistenti affermazioni del suo status come un emissario di Allah e moniti ai fedeli di obbedirgli. Per tre delle quattro volte che il nome Maometto è menzionato, nulla del tutto è dischiuso sulla sua esistenza.
Il primo delle quattro menzioni di Maometto per nome appare nel terzo capitolo, o sura, del Corano: ''Maometto non è che un profeta; profeti sono venuti prima di lui'' (3:144). Il Corano poco dopo dice che ''il Messia, il figlio di Maria, non è che un profeta; profeti sono venuti prima di lui'' (5:75). Il linguaggio identico potrebbe indicare che in 3:144, Gesù è la figura che è riferita come il ''prediletto'' -- cioè, il maometto.
Nella sura 33 leggiamo che ''Maometto è non il padre di qualcuno dei vostri uomini, ma il Profeta di Dio, e il Sigillo dei Profeti; Dio ha conoscenza di ogni cosa'' (33:40). Questo è quasi certamente un riferimento specifico al profeta dell'Islam e non semplicemente ad una figura profetica a cui si è dato l'epiteto di ''prediletto''. È anche un verso estremamente importante per la teologia islamica: gli studiosi musulmani hanno interpretato lo status di Maometto come ''Sigillo dei Profeti'' a significare che Maometto è l'ultimo dei profeti di Allah e che ognuno che si arroga lo status di profeta dopo Maometto è per forza un falso profeta. Questa dottrina spiega la profonda antipatia, spesso sfociata nella violenza, che l'Islam tradizionale cova ferso posteriori movimenti profetici che sorsero all'interno del milieu islamico, come per esempio i  Baha'i e i Qadiani Ahmadi.
Meno specifico è Corano 47:2: “Ma coloro che credono e compiono atti giusti e credono in quello che è stato inviato a Maometto --- ed è la verità dal loro Signore -- Egli perdonerà i loro atti malvagi, e renderà giusti i loro pensieri''. In questo verso, ''Maometto'' è qualcuno al quale Allah ha offerto rivelazioni, ma questo si potrebbe applicare ad ognuno dei profeti designati del Corano come pure a Maometto in particolare.

Corano 48:29, nel frattempo, probabilmente si riferisce solo al profeta dell'Islam: ''Maometto è il Profeta di Dio, e coloro che sono con lui sono duri contro gli infedeli, pietosi l'un l'altro''. Sebbene il ''prediletto'' qui potrebbe possibilmente riferirsi a qualche altro profeta, il linguaggio ''Maometto è il profeta di Allah'' (Muhammadun rasulu Allahi) all'interno della confessione islamica di fede rende più probabile che 48:29 alluda in particolare al profeta dell'Islam. 
Questa è tutta quanta la misura in cui il Corano procede a menzionare Maometto per nome. Nei numerosi altri riferimenti al messaggero di Dio, questo messaggero non è nominato, è poco è detto circa le sue azioni specifiche. Come risultato, non possiamo rischiarare nulla da quei passaggi circa la biografia di Maometto. E neppure è persino certo, sulla base del testo coranico soltanto, che quei passaggi alludano a Maometto, o fecero così in origine.
 Abbondante dettaglio circa i detti e le azioni di Maometto è contenuto nell'Hadith, le vertiginose collezioni voluminose di tradizioni slamiche che formano la fondamenta della legge islamica.  L'Hadith dettaglia le circostanze della rivelazione di ogni passaggio del Corano. Ma (come vedremo nel prossimo capitolo) c'è abbastanza ragione di credere che il nucleo dell'Hadith circa detti e atti di Maometto risalga a un periodo considerevolmente posteriore alla presunta morte di Maometto nel 632.
Poi c'è la Sira, la biografia del profeta dell'Islam. La più antica biografia di Maometto fu scritta da Ibn Ishaq (773), che scrisse nell'ultima parte dell'ottavo secolo, al meno 125 anni dopo la morte del suo protagonista, in un contesto nel quale materiale leggendario su Maometto stava proliferando. E la biografia di Ibn Ishaq neppure esiste come tale: ci arriva solo in frammenti piuttosto lunghi riprodotti da un cronista addirittura più tardo, Ibn Hisham, e perciò ha preservato sezioni aggiuntive. Altro materiale biografico circa Maometto risale addirittura più tardi. Questo è in sintesi il materiale che provoca il bagliore della ''piena luce della storia'' nel quale Ernest Renan disse che Maometto visse e operò. In realtà, plausibilmente nessuno dei dettagli biografici circa Maometto risalgono al secolo in cui si disse dispiegarsi la sua profetica carriera.





I più Antichi Ricordi di un Profeta Arabo

Tuttavia sicuramente esistono abbondandi menzioni di quest'uomo che visse e operò nella ''piena luce della storia'' in ricordi contemporanei scritti da amici e nemici parimenti. Questo è, almeno, quello che ci si potrebbe aspettare. Dopo tutto, egli unificò le tribù fino ad allora in guerra tra loro dell'Arabia. Egli le sistemò in una macchina da guerra che, solo un pò di anni dopo la sua morrte, sbalordì e spogliò i due grandi imperi dell'epoca, l'impero romano (bizantino) d'Oriente e l'impero persiano, rapidamente espandendosi a spese di entrambi. Sarebbe del tutto ragionevole aspettarsi che cronisti del settimo secolo tra i bizantini e persiani, come pure tra i musulmani, noterebbero la considerevole influenza e le realizzazioni di quest'uomo.
Ma i più antichi ricordi offrono più domande che risposte. Una delle più antiche apparenti menzioni di Maometto proviene da un documento noto come la Doctrina Jacobi, che fu probabilmente scritto da un cristiano in Palestina tra il 634 e il 640 -- cioè, al tempo delle prime conquiste arabe e subito dopo la riportata morte di Maometto nel 632. È scritto in greco dalla prospettiva di un ebreo che sta iniziando a credere che il messia dei cristiani è il vero messia e che ascolta di un altro profeta spuntato in Arabia:

''Quando il candidato [cioè, un membro della guardia imperiale bizantina] fu ucciso dai saraceni [Sarakenoi], io ero a Cesarea e partii su barca alla volta di Sykamina. La gente stava dicendo ''il candidato è stato ucciso'', e noi giudei eravamo ultrafelici. E stavano dicendo che il profeta era apparso, in arrivo coi Saraceni, e che egli stava proclamando l'avvento dell'unto, il Cristo che deve venire. Io, essendo arrivato a Sikamina, mi fermai da un certo anziano ben versato nelle scritture, e gli dissi: ''Cosa puoi dirmi circa il profeta che è apparso coi Saraceni?'' Lui replicò, lamentandosi profondamente: ''Egli è falso, infatti i profeti non giungono armati di una spada. Veramente sono opere di anarchia ad essere commesse oggi e io temo che il primo Cristo ad arrivare, che adorano i cristiani, fosse quello mandato da Dio e noi invece stiamo preparando a ricevere l'Anticristo. In verità, Isaia disse che i giudei avrebbero mantenuto un cuore corrotto e indurito finchè tutta la terra dovesse essere devastata.'' Così, io, Abramo, ho indagato e ascoltato da coloro che lo avevano incontrato che nessuna verità poteva essere trovata nel cosiddetto profeta, solo lo spargimento del sangue degli uomini. Lui dice anche che egli ha le chiavi del paradiso, che è incredibile.''

In questo caso, ''incredibile'' significa ''non credibile''. Una cosa che si può stabilire da questo è che gli invasori arabi che conquistarono la Palestina nel 635 (i ''Saraceni'') vennero a portare nuove di un nuovo profeta, uno che era ''armato di una spada''. Ma nella Doctrina Jacobi questo anonimo profeta è ancora vivo, in marcia con le sue armate, laddove Maometto è supposto essere morto nel 632.  Quel che è più, questo profeta saraceno, invece di proclamare di essere l'ultimo profeta di Allah (si veda Corano 33:40), stava ''proclamando l'avvento dell'unto, il Cristo che deve venire.'' Questo era un riferimento ad un atteso Messia ebreo, non al Gesù Cristo del cristianesimo (Cristo significa ''unto'' o ''Messia'' in greco).
È degno di nota che il Corano raffigura Gesù proclamare l'avvento di una figura che la tradizione islamica identifica con Maometto:
 “O Figli di Israele, io sono veramente un Messaggero di Allah a voi [inviato], per confermare la Torâh che mi ha preceduto, e per annunciarvi un Messaggero che verrà dopo di me, il cui nome sarà "Ahmad''” (61:6). Ahmad è il “prediletto” che la tradizione islamica identifica con Maometto: il nome Ahmad è una variante di Maometto (in quanto condividono la radice di tre lettere h-m-d). Potrebbe essere che la Doctrina Jacobi e il Corano 61:6 entrambi preservino in modi diversi la memoria di una figura profetica che proclamò l'avvento del  “prediletto” o l' “eletto”—ahmad o maometto.
Il profeta descritto nella Doctrina Jacobi   “dice anche che egli ha le chiavi del paradiso,” che, ci è detto,  “è incredibile.” Ma non è solamente incredibile: è anche completamente assente dalla tradizione islamica, che mai raffigura Maometto nella pretesa di custodire le chiavi del paradiso. Gesù, comunque, consegna loro a Pietro nel vangelo di Matteo (16:19), il che potrebbe indicare (insieme con l'essere Gesù quello che proclama l'avvento di ahmad nel Corano  61:6) che la figura che annuncia questo evento escatologico aveva qualche legame con la tradizione islamica, come pure con l'aspettativa messianica dell'ebraismo. Nella misura in cui le ''chiavi del paradiso'' sono più simili alle ''chiavi del regno dei cieli'' di Pietro che a qualcosa del messaggio di Maometto, il profeta nella Doctrina Jacobi sembra più simile ad un millennarista messianico cristiano o dall'influenza cristiana rispetto al profeta dell'Islam come viene dipinto nella canonica letteratura dell'Islam.  

Era Quello Maometto?

Alla luce di tutto questo, può essere detto che la Doctrina Jacobi si riferisce del tutto a Maometto? È difficile immaginare che possa riferirsi a qualcun altro, in quanto i profeti che brandivano la spada di conquista nella Terra Santa -- e le armate che agivano su ispirazione di tali profeti -- erano non saldi al suolo negli anni 630. Le divergenze del documento dalla tradizione islamica riguardante la data della morte di Maometto e il contenuto del suo insegnamento potevano essere comprese semplicemente come le incomprensioni di uno scrittore bizantino che osserva quegli accadimenti da una confortevole distanza, e non come evidenza che Maometto e l'Islam fossero diversi allora da quello che sono ora.

Allo stesso tempo, non esiste un singolo resoconto di qualsiasi tipo datato attorno al tempo della stesura della Doctrina Jacobi che afferma la storia islamica canonica di Maometto e delle origini dell'Islam. Un'altra possibilità è che l'anonimo profeta della Doctrina Jacobi fosse una di numerose di tali figure, alcuni dei cui attributi storici furono più tardi derivati nella figura del profeta dell'Islam sotto il nome di uno di loro, Maometto. In verità, non c'è nulla che risale al tempo delle azioni di Maometto o per un considerevole periodo successivo che ci dice realmente qualcosa circa quello a cui era simile o quello che realizzò.

Dunque la Doctrina Jacobi, nonostante non sia un'interpolazione come lo è invece il Testimonium Flavianum, parla di un profeta anonimo ancora vivo che potrebbe essere il Maometto storico, seppure deceduto quattro-cinque anni prima della scrittura di quel documento.

A me sembra plausibile che dopo soli 4-5 anni dalla morte di Maometto, la memoria di lui ancora viva sia ricordata con misto di inquietudine e ostilità da parte di un ebreo che parla di profeti che ''giungono armati di una spada''.

Spencer comunuqe dice che l'evidenza ci parla di conquiste arabe, non di conquiste musulmane a pieno titolo, nel settimo secolo. Le fonti più antiche della vita di Maometto risalgono all'800 EC -- quasi 200 anni dopo la sua presunta esistenza. Nessuna vita del profeta, nessuna storia, nessun resoconto arabo delle conquiste, nessun commentario del Corano -- poi all'improvviso, tutto d'un tratto, c'è la grande esplosione di tutte quelle cose attorno all'800.

Come spiegare tutto quel silenzio?


La risposta dei folli apologeti islamici è che la loro cultura era solo orale. Che è una non-risposta, perchè dal momento che entri sin dal primo giorno a contatto con società letterarie già altamente avanzate rispetto ai sudici beduini del deserto, sembra davvero strano che nessuno riportò qualcosa su Maometto per allora. I bizantini e i persiani invece ricordarono la cultura che li stava travolgendo. Ma nessun arabo parla delle conquiste arabe della prima ora.

La risposta più probabile è che l'Islam primitivo non è esistito nella forma attuale alla quale siamo soliti pensare. La fede islamica è troppo complessa e sofisticata per essere stata formata da un singolo individuo peraltro impegnato con atti bruti di forza. È semplicemente un Fatto che più che una religione nata in un unico punto originario, l'Islam crebbe via via fagocitando la ''ricchezza culturale'' altrui.

Maometto probabilmente fu solo uno di numerosi profeti arabi del suo giorno. E nemmento tutti gli arabi lo seguirono.

Le conquiste arabe della prima ora non furono affatto ispirate da Maometto, perchè di questo non esiste nessuna prova. È perfino dubbio che quelli arabi sprigionati dalle sabbie dell'Arabia fossero adepti dell'Islam originario. Laddove i romani o i persiani hanno lasciato prove indiscutibili della loro presenza e contaminazione culturale dovunque misero piede, per gli arabi non fu così: non lasciarono la minima traccia della loro appartenenza ad una nuova religione. Addirittura si sparse la leggenda cristiana antisemita che accusava gli ebrei di facilitare le espugnazioni arabe vedendo i primi in combutta con gli invasori perchè sembravano prima facie irriconoscibili quanto a credo professato. Nelle monete coniate dagli arabi non compare nessun'allusione a Maometto. La più antica moschea non fu costruita rivolta di fronte alla Mecca per indirizzarvi colà la preghiera, ma ad Oriente.

Credo allora che la spiegazione più probabile sia quella che vede gli arabi intraprendere le loro conquiste iniziali mossi solo dal semplice desiderio di predominio e per niente affatto dall'impeto religioso, nemmeno dal pensiero di una motivazione religiosa.

Forse alcuni di loro erano seguaci di un profeta Maometto, ma molti altri -- la maggioranza --potrebbero non esserlo stati affatto.

Il Corano, quando parla di Maometto, potrebbe forse neppure alludere all'uomo Maometto fondatore di una religione, ricordando il caso simile delle lettere di Paolo -- le fonti più antiche in assoluto del cristianesimo in nostro possesso -- che probabilmente non alludono ad un Gesù storico vissuto di recente sulla terra ma solo ad un'entità angelica crocifissa nei cieli inferiori. E tuttavia, mentre quest'ultimo aspetto risulta fatale per la storicità di ''Gesù di Nazaret'', non così lo è nel caso di Maometto, in quanto lui potrebbe ancora essere il profeta ''armato di una spada'' di cui parla la Doctrina Jacobi, documento CHE VIENE PRIMA, assai prima, del Corano. Mentre invece le lettere di Paolo, così pieni di evidenza di un Gesù mitico -- e non storico -- precedono le allegorie che parlano di Gesù e le interpolazioni cristiane che vogliono introdurlo a forza nelle testimonianze pagane dell'epoca.
In pratica, Maometto è esistito perchè ha l'equivalente di un ''Flavio Giuseppe'' che parla di lui ancora vivo qualche anno dopo la sua morte (ma nulla vieta di considerare che forse in quel momento Maometto sarebbe stato ancora vivo), cosa che invece non può dirsi altrettanto facilmente di un Gesù storico, il quale non solo è sprovvisto di Testimonia Flaviana anche solo parzialmente autentici (come pure manca del cosiddetto Testimonium Taciteum), ma è addirittura enigmaticamente ignorato dagli stessi cristiani la cui attenzione era rivolta esclusivamente all'angelo Gesù sin dalle origini del culto, offrendo numerose, troppe ragioni per dubitare della sua esistenza sulla terra firma.


Quindi nemmeno mi affanno a considerare le origini
(eventualmente pagane, eventualmente cristiane, eventualmente ebraiche, eventualmente persiane) del Corano: per credere nella storicità di Maometto è sufficiente la Doctrina Jacobi, la più antica fonte indipendente su di lui di cui nessuno ha avanzato anche il solo pensiero che si tratti di un'invenzione musulmana postuma, visto anche il giudizio per nulla tenero verso il profeta ''armato di una spada'', nonostante sia anonimo. Maometto poteva pure non essersi mai chiamato con quel nome e tuttavia, sulla base della Doctrina Jacobi, essere ancora lui all'origine, insieme ad altri profeti ''armati di spada'' come lui, delle conquiste arabe, e successivamente diventare volente o nolente la calamita (e strumento politico) capace di attrarre (ma non per sua volontà e neppure a causa della sua azione) tutto il mito costruitogli attorno, una intera Non-Vita che eclissasse per l'eternità la precedente -- e tanto più reale -- vita dell'uomo che si chiamava, o fu solo dopo chiamato, ''Maometto''. Si noti che di Gesù non posso dire la stessa cosa, perchè Paolo, la nostra prima fonte su di lui, per ''Cristo Gesù'' intende sempre e solo univocamente il suo angelo, e dunque se quell'angelo Gesù non fosse mai sceso sulla terra firma di recente per Paolo, vorrebbe dire che qualunque Non-Vita avesse ottenuto in seguito, estrapolata magari parzialmente da reali personaggi storici, non lo avrebbe reso più ''storico'' di prima, ma di certo sarebbe sicuramente servita a storicizzarlo più facilmente agli occhi dei cristiani prima, e di tutti gli altri abitanti dell'Impero dopo.


Tutto il resto è pura leggenda islamica avviluppatasi vertiginosamente attorno, ad altezze sconsiderate e colossali, nel giro di pochi anni ma dopo duecento anni dall'esistenza di Maometto.


Solo che sarebbe un'immagine altamente sbiadita di Maometto, al limite della quasi più totale evanescenza, col paradossale risultato che sappiamo più di un sedizioso zelota ebreo del I secolo schiacciato all'istante dalla repressione romana che dell'uomo che, lungi dall'essere il fondatore dell'Islam, non dell'Islam ma dell'espansione araba della prima ora fu meramente all'origine insieme ad altri profeti-guerrieri arabi del medesimo stampo, in nulla distinguendosi da loro se non nelle fantasie postume dei raccontastorie islamici (allorchè perfino i detti del Corano gli vennero in seguito attribuiti).


In breve, la perdita di dettaglio confermante nel record storico, il tardo sviluppo di materiale biografico circa il profeta islamico, l'atmosfera di faziosità politica e religiosa nel quale si è sviluppato quel materiale, e molto altro suggeriscono che il Maometto della tradizione islamica non è esistito, oppure se è esistito, fu sostanzialmente diverso da come quella tradizione lo dipinge.
Come fare senso di tutto questo? Se le forze arabe che conquistarono così vasto territorio ai primordi degli anni 630 non furono galvanizzate dagli insegnamenti di un nuovo profeta e dalla parola divina da lui trasmessa, come sorse del tutto il carattere islamico del loro impero? Se Maometto non è esistito, perchè fu mai considerato necessario inventarlo?
Ogni risposta a quelle domande saranno per necessità ipotetiche -- ma alla luce dei fatti di cui sopra, così pure lo è la descrizione canonica delle origini dell'Islam.


La Creazione dell'Eroe
Il fatto immutabile in tutta questa discussione è l'Impero Arabo. Le conquiste arabe (qualsiasi cosa potrebbero averle provocate) e l'impero da esse prodotto sono materia di testimonianza storica. Alcuni storici hanno minimizzato l'aspetto militare delle conquiste arabe, obiettando che i bizantini erano esausti dopo aver protratto guerre con i persiani e semplicemente si ritirarono dall'area, lasciando un vuoto che colmarono gli arabi. Quello potrebbe essere vero ad una certa misura, ma ad ogni caso, il risultato fu lo stesso: gli arabi costruirono un potentissimo impero.

Ogni impero dell'epoca era ancorato ad una teologia politica. I romani conquistarono numerose nazioni e le unificarono per mezzo della venerazione degli dei greco-romani. Questo paganesimo greco-romano fu più tardi soppiantato dal cristianesimo. Le controversie cristologiche dell'antica chiesa minacciarono di fare a brandelli l'impero, a tal punto che gli imperatori neoconvertiti si sentirono indotti ad introdursi negli affari ecclesiastici. Definirono i primi concili ecumenici principalmente allo scopo di assicurare unità all'interno dell'impero, e la cristologia dei primi quattro concili divenne così strettamente identificata con l'impero d'Oriente che opporsi all'una significava essenzialmente opporsi all'altro. Molti dei gruppi cristiani che i concili ecumenici considerarono eretici lasciarono l'impero.
Il regno della teologia politica, allora, offre la più plausibile spiegazione per la creazione dell'Islam, di Maometto, e del Corano. L'Impero arabo controllava e necessitava di unificare vaste porzioni di territorio dove prevalevano diverse religioni. L'Arabia, la Siria,  e altre terre prima conquistare dagli arabi ospitavano numerosi gruppi cristiani, come per esempio i Nestoriani e i Giacobiti, che erano fuggiti dall'impero bizantino dopo che i concili ecumenici giudicarono eretiche le loro idee. La Persia, nel frattempo, ospitava gli zoroastriani. Quei monoteisti possedevano una teologia imperiale -- cioè, una convinzione che una religione comune unifhcerebbe un impero di diverse nazionalità -- simile a quella dei romani e in qualche misura persino da essa derivata. Quest'influenza era comprensibile, dato che l'imperatore persiano Cosroe aveva trascorso del tempo a Costantinopoli e sposò due donne cristiane.
Ma all'inizio, l'Impero arabo non aveva una teologia politica adatta a competere con quele che sostituì e a consolidare le sue conquiste. I più antichi governatori arabi sembrano essere stati aderenti dell'Agarismo, una religione monoteistica incentrata attorno ad Abramo e Ismaele. Essi disapprovarono le dottrine cristiane della Trinità e la divinità di Cristo -- da qui la lettera di Muawiya all'imperatore bizantino Costantino, esortandolo a ''rinnegare questo Gesù e convertirsi al grande Dio che io servo, il Dio del nostro padre Abramo''.
 Questo movimento monoteistico inclusivo vide sé stesso nell'atto di comprendere le vere forme dei due grandi movimenti monoteistici precedenti, l'ebraismo e il cristianesimo. Tracce di questa prospettiva affiorano nel Corano, ad esempio quando Allah rimprovera gli ebrei e i cristiani per disputarsi Abramo, il quale non fu né un ebreo e neppure un cristiano ma un hanif musulmano -- nel vocabolario coranico, un monoteista pre-islamico (3:64-67). Nella sua forma più antica, l'islam fu probabilmente assai più positivo verso entrambi il cristianesimo e l'ebraismo di quanto lo divenne più tardi. Evidenza di quest'apertura può essere ritrovata nelle croci sulle prime monete arabe e iscrizioni dei califfi, e anche nelle indicazioni provenienti dalla letteratura avversaria che il profeta arabo stava facendo causa comune con gli ebrei. Un Islam primitivo che contava tra le sue fila ebrei e cristiani poteva aiutare a spiegare il passo del Corano che promette salvezza a vari gruppi: ''In verità coloro che credono, siano essi giudei, nazareni o sabei, tutti coloro che credono in Allah e nell'Ultimo Giorno e compiono il bene riceveranno il compenso presso il loro Signore. Non avranno nulla da temere e non saranno afflitti.'' (2:62).


Dal monoteismo a Maometto

Questo monoteismo abramitico, concependo Cristo come il servo di Allah e il suo mesaggero, probabilmente raggiunse la sua apoteosi nel 691 nelle iscrizioni della Cupola della Roccia di Abd al-Malik, che poteva ben riferirsi a Gesù. Durante lo stesso periodo, la religione nascente iniziò a prender forma come un'entità di suo proprio diritto -- un'entità esplicitamente, persino provocatoriamente, araba. Gli aspetti specifici che emersero si avvilupparono attorno alla persona del ''prediletto'', Maometto, un profeta arabo che potrebbe aver vissuto decenni prima e le cui parole e azioni erano già avvolte nelle nebbie della storia.
I dati storici circa questo Maometto erano sparsi e contradditori, ma ci fu di sicuro del rozzo materiale attorno al quale una leggenda poteva costruirsi. Ci fu un misterioso profeta arabo al quale allude la Doctrina Jacobi, i cui detti e atti in qualche modo ricordano alcuni dei profeti dell'Islam e si differenziano fortemente da loro in modi importanti. Ci fu il Mhmt a cui Tommaso il prete cristiano allude negli anni 640, i cui Taiyaye stavano guerreggiando con i bizantini. Ci fu il Maometto delle monete recanti la croce coniate nei primi anni delle conquiste arabe. Questo ''Maometto'' allude ad una persona reale che porta quel nome, i cui atti sono perduti, o si trattava di un titolo per Gesù, o alludeva o qualcuno o qualcos'altro insieme? La risposta a quella domanda non è nota.
Qualunque sia il caso, i documenti chiariscono che verso la fine del settimo secolo e l'inizio dell'ottavo, gli Omayyadi iniziarono a parlare molto più nello specifico circa l'Islam, il suo profeta, ed infine il suo libro. L'insistente asserzione della Cupola della Roccia che il ''prediletto'' fu solo il profeta di Allah e non un essere divino condusse per sé stessa felicemente alla creazione di una figura totalmente nuova distinta da Gesù: un profeta umano che giunse con il messaggio definitivo del supremo Dio.
Maometto, se non era esistito, o se non fossero note le sue reali parole, certamente ssarebbe stato politicamente utile al nuovo Impero arabo come un eroe leggendario. L'impero stava crescendo rapidamente, presto rivaleggiando con gli imperi bizantino e persiano per dimensione e potenza. Aveva bisogno di una religione comune -- una teologia politica che fornisse le fondamenta all'unità dell'impero e assicurasse fedeltà allo stato.
Questo nuovo profeta doveva essere un arabo, vivente nel profondo dell'Arabia. Se fosse venuto da qualche altra parte entro il territorio del nuovo impero, quel luogo avrebbe potuto reclamare uno status speciale e avrebbe premuto per ottenere potere politico su quella base. Maometto, significativamente, è detto di esser proveniente dalla regione centrale dell'impero, non dai confini.
Egli doveva essere un profeta guerriero, infatti il nuovo impero era aggressivamente espansionistico. Dare a quelle conquiste una giustificazione teologica -- come la dottrina e l'esempio di Maometto offrono -- le metterebbe al riparo da ogni critica.
 Questo profeta necessiterebbe anche di una sacra scrittura per rivestirlo di autorità. Molto del Corano mostra segni di esser stato copiato dalle tradizioni ebraiche e cristiane, suggerendo che i fondatori dell'Islam mdoellarono la sua scrittura da materiale esistente. In quanto arabi, i conquistatori vollero stabilire il loro impero con elementi arabi al suo centro: un profeta arabo e una rivelazione araba. La nuova scrittura quindi aveva bisogno di essere scritta in arabo al fine di servire come le fondamenta di un Impero arabo. Ma non possedeva la tradizione di un'estesa letteratura araba da cui derivare.  Abd al-Malik e i suoi successori califfi Omayyadi non erano neppure concentrati in Arabia a quel momento; la loro conquista li aveva portati a Damasco. Non è forse una coincidenza che il Corano tradisce numerose influenze siriane. Questa scrittura araba contiene numerosi elementi non-arabi e totali incoerenze. 

Nonostante il Corano decreta furiosi moniti di giudizio e divine esortazioni alla guerra e al martirio che sarebbero state utili per un impero in espansione, lascia la figura di Maometto, il ''prediletto'', nel caso migliore appena abbozzata. Investendo Maometto di uno status profetico e innalzandolo come l'''esempio eccellente'' di condotta per i musulmani (33:21), il Corano innescò una brama di sapere cosa disse e fece veramente.
Quindi un più vasto corpo di tradizioni che disegnano il quadro di questo profeta sarebbe stato necessario, non solo come materia di pio interesse ma anche per formulare la legge islamica.

 La reale proliferazione di materiale circa le parole e gli atti di Maometto apparentemente iniziò nel tardo periodo Omayyade ma raggiunse il suo  apice durante il califfato abbaside. Gli  Abbasidi sostituirono gli Omayyadi nel 750; le colossali collezioni canoniche Hadith furono tutte compilate nei primi del nono secolo. Gli Hadith circa Maometto, come abbiamo visto, furono fabbricati a dozzine al fine di favorire una posizione politica o un'altra. Gli Omayyadi crearono hadith di Maometto che racconta cose negative sul conto degli Abbasidi; gli Abbasidi svilupparono hadith in cui Maometto diceva esattamente l'opposto. Gli Sciiti scrissero hadith di loro pugno per favorire il loro campione, Ali ibn Abi Talib.


Gli Abbasidi emersero come il partito dominante, e senza sorpresa il nucleo delle tradizioni che sopravvivono al giorno presente riflette una luce favorevole su di loro. Numerosi hadith denunciano gli Omayyadi per la loro non-religione. Ma il desiderio di descrivere in una cattiva luce i loro rivali non sarebbe stata la sola motivazione per gli Abbasidi. Loro avevano anche bisogno di convincere il popolo che quelle storie circa il profeta dell'Islam e la sua nuova religione erano realmente non nuove del tutto. Come spiegare la rapida apparizione di racconti di quel che si supponeva fosse accaduto in Arabia ben oltre un secolo prima? Come spiegare il fatto che i padri e i padri dei padri non avevano trasmesso le storie di questo grande profeta guerriero e il suo mirabile libro divino?
La risposta fu di incolpare gi Omayyadi. Essi erano non pii. Essi erano non religiosi. Sebbene erano i figli e gli immediati eredi di coloro che avevano conosciuto Maometto, essi erano indifferenti a quest'eredità e lasciarono cadere a lato il grande messaggio del Sigillo dei Profeti. Ora gli Abbasidi erano sopraggiunti e -- Mometto è emerso! Le sue dottrine sarebbero state insegnate per tutto l'impero. Il suo Corano avrebbe risuonato da ogni moschea. I suoi fedeli sarebbero stati chiamati a pregare da ogni minareto.
La tarda apparizione del materiale biografico circa Maometto, il fatto che nessuno avesse udito o sentito di Maometto per decenni dopo l'inizio delle conquiste arabe, i cambiamenti nella religione dell'Impero arabo, le incoerenze nel Corano -- tutto questo ha bisogno di essere spiegato.
Gli hadith che accollano vergogna sugli Omayyadi aiutarono, ma altre spiegazioni sarebbero state necessarie, pure. Una giustificazione comune emerse negli hadith: fu tutto parte del piano divino. Allah indusse persino Maometto a dimenticare porzioni del Corano. Lasciò la collezione di quel libro divino alle persone che persero parti di esso -- da qui la sua tarda edizione e l'esistenza di varianti. Era tutto nel suo piano e quindi non avrebbe dovuto disturbare la fede dei pii.



Spiegare una Religione Politica
Questa ricostruzione di eventi ha una buona ragione per essere accettata. Essa spiega il curioso silenzio dei primi conquistatori arabi, e di coloro che conquistarono, circa Maometto e il Corano. Spiega perchè i più antichi documenti esistenti del profeta arabo parlano di una figura che mostrò qualche parentela sia con l'ebraismo che con il cristianesimo, contrariamente alla descrizione di Maometto nei testi canonici islamici. Spiega perchè la tradizione araba parla del Corano come del libro perfetto ed eterno di Allah mentre nel contempo dipinge la perdita quasi casuale di significative porzioni del testo sacro. Spiega perchè l'Islam, il presunto impeto alle conquiste arabe, fa un così tardo arrivo sulla scena.
Questo scenario spiega anche perchè l'Islam sviluppò come tale una religione profondamente politica. Per sua natura, l'Islam è una fede politica: il regno divino è per davvero in gran parte di questo mondo, con la collera e il giudizio di Dio da attendere non solo nella prossima vita ma anche in questa vita, per essere consegnata dai fedeli.
Nel considerare i suoi adepti come gli strumenti della giustizia divina sulla terra, l'Islam si diparte dai suoi precursori abramitici. Questa divergenza poteva riflettere le circostanze delle origini dell'Islam: laddove il cristianesimo iniziò come un costrutto principalmente spirituale e ottenne potere mondiale solamente molto più tardi (costringendo i suoi aderenti a venire alle prese con la relazione tra i domini spirituale e temporale), l'Islam fu non apologeticamente mondiale e politico fin dai primordi.

I componenti politici, e in verità militari e imperiali, sono intrinsechi alla fede islamica, e sono evidenti dai più antichi documenti. Gli imperativi politici sorsero dagli imperativi spirituali della fede, o fu viceversa il contrario? Lo scenario alternativo che abbiamo considerato spiega la natura unicamente politica dell'Islam suggerendo che l'impero venne prima e la teologia venne più tardi. In questa ricostruzione, le proposizioni spirituali che l'Islam offre erano elaborate al fine di giustificare e perpetuare l'entità politica che le aveva generate.

Maometto è esistito? Come un profeta degli arabi che insegnò un monoteismo vagamente definito, potrebbe essere esistito. Ma al di là di quello, la storia della sua vita è perduta nelle nebbie della leggenda, come quelle di Robin Hood e di Macbeth. Come il profeta dell'Islam, che ricevette (o persino pretese di ricevere) la perfetta copia del perfetto libro eterno dal supremo Dio, Maometto quasi certamente non è esistito. Ci sono molti, troppi buchi, molti, troppi silenzi, numerosi, molti aspetti del record storico che semplicemente non si accordano, e né possono fatti accordare, con il racconto tradizionale del profeta arabo che insegna il suo Corano, galvanizzando i suoi seguaci a tale misura che essi dilagarono e conquistarono una buona fetta del mondo.


 Un'accurata investigazione almeno una cosa rende chiara: I dettagli della vita di Maometto che sono stati preservati in quanto canonici -- che lui unificò l'Arabia con la forza delle armi, concluse alleanze, sposò mogli, legiferò per la sua comunità, e fece così molto altro -- sono una creazione di fermenti politici che risalgono molto dopo il tempo in cui lui si presume di aver vissuto. In modo simile, i documenti indicano fortemente che il Corano non è esistito fino a molto tempo dopo in cui fu creduto di essere stato consegnato al profeta dell'Islam.

Alla luce di quest'evidenza, c'è una forte ragione per concludere che Maometto il profeta di Allah venne in esistenza solo dopo che l'impero Arabo si fosse stabilmente consolidato e guardandosi attorno per una teologia politica in grado di ancorarlo e unificarlo. Maometto e il Corano cementificarono il potere del califfato omayyade e poi quello del califfato abbaside.  Quella è la spiegazione più persuasiva del perchè furono creati del tutto. E una volta che le leggende di Maometto iniziarono a venir elaborate, la sua storia prese vita di suo proprio: Una leggenda generò un'altra, nella misura in cui la gente bramava sapere cosa disse il loro profeta e cosa fece riguardo questioni che assillavano loro. Una volta che fu sintetizzato Maometto, non poteva più essere rimosso. Una pia leggenda fabbricata per obiettivi politici condurebbe ad un'altra, e poi ad un'altra ancora, per riempire i buchi e risolvere anomalie nella prima; poi quelle nuove storie condurrebbero a loro volta a storie ancor più nuove, finchè finalmente i fedeli musulmani furono in grado di colmare carriole di volumi di hadith, come è il caso tutt'oggi.

(mia enfasi e mia libera traduzione)

mercoledì 28 maggio 2014

Del Verus Paulus

Tre sono gli unici possibili scenari più probabili che istanziano il paradigma miticista.
1) Il primo è quello di Richard Carrier/Earl Doherty, alla cui cronologia la mia, più o meno, si avvicina molto probabilmente, ed ha il pregio di favorire la discussione con eventuali critici storicisti perchè viene incontro (ma non solo per puro amore di discussione, come ci si accorgerà alla fine) alle esigenze dei folli apologeti di non sospettare nulla di interpolato in Paolo tranne l'ovvia interpolazione cattolica costituita da 1 Tessalonicesi 2:14-16 (un passo ritenuto genuino solo da fanatici fondamentalisti cristiani della rete e vergognosamente pure da Mauro Pesce).


2) Il secondo scenario rispetta la cronologia di Carrier, dunque prima le epistole di Paolo (o almeno porzioni sufficienti di essi), anteriori al 70 EC, e poi i vangeli, però tende a fare di Paolo comunque più gnostico, fino a renderlo Simone di Samaria, meglio conosciuto come Simon Mago.
Ovviamente, l'effetto collaterale che si porta dietro questa identificazione, nonostante non ha sinceramente nessun'influenza sulla questione della storicità di Gesù, è di far arrabbiare i folli apologeti riluttanti a sognarsi neanche per sogno la riduzione di Paolo al fondatore della gnosi, *persino* concedendo ancora all'apostolo la paternità di parti cospicue delle 7 lettere paoline. I migliori proponenti di questo scenario sono due: Gordon Rylands e Roger Parvus. Poichè mantiene ancora la possibilità di recuperare un ritratto del Paolo storico, questo scenario non è veramente indipendente dal primo, e a separarlo da esso è solo colpevole la schizzinosa riluttanza dei folli apologeti ad avvicinare anche solo alla lontana idee eretiche. Il primo scenario è condizione necessaria e sufficiente perchè valga il secondo scenario, ma quest'ultimo è solo sufficiente perchè sia valido il primo.



3) Il terzo scenario è quello della Radikal Kritik: tutte le lettere di Paolo sono fabbricazioni di fine I secolo e/o del II secolo. Poichè vedo però che a quest'ultimo scenario spesso si accollano miticisti e storicisti di tutti i tipi, non sempre intellettualmente onesti o preparati, è necessario fare i dovuti distinguo, espellendo gli intrusi e gli untori della peggior specie dalla categoria.
Inutile dire che i migliori proponenti viventi di questo radicale, estremo scenario sono Hermann Detering e Robert M. Price.
Del passato io farei un nome, oltre che ricordando doverosamente il nome del grande studioso Willem Christian Van Manen (negatore delle autenticità delle lettere paoline pur essendo storicista), in Edwin Johnson (l'autore di Antiqua Mater) & Thomas Whittaker.

Mentre i primi due scenari sono paricolarmente noti e lo saranno in misura crescente perchè il trend generale sembra preferire, per motivi di reale spirito costruttivo e di sincero dialogo con gli storicisti intellettualmente onesti, ipotizzare un Paolo più tradizionale possibile (purchè tradizionale non faccia rima con teologico o apologetico, beninteso), tuttavia personalmente ritengo che solo chi è passato ad esaminare veramente a fondo il primo scenario, intuendone la sua maggiore probabilità rispetto alla migliore tesi storicista, può in un momento successivo andare ad esaminare onestamente e senza preconcetti la questione dell'autenticità delle lettere paoline.
Prima cioè devi decidere se ritieni Gesù esistito o non esistito, e SOLO DOPO CHE HAI PRESO LA TUA DECISIONE puoi considerare a sangue freddo e con la massima calma chi fu veramente Paolo.
Non stupisce allora che Van Manen si concentrò su Paolo senza neppure preoccuparsi di dimostrare la storicità di Gesù ma addirittura assumendola a priori: e pur tuttavia giungendo nella sua ricerca a ritenere probabile che nessuna di quelle sette lettere paoline fu scritta prima del 70 EC.

Per quanto riguarda Paolo, e non Gesù, le lettere di Paolo vanno considerate per se stesse e spiegate per se stesse a meno dell'ipotesi mitica o storica per Gesù.


Personalmente, non mi sento affatto nella posizione di influenzare il lettore per quanto riguarda l'autenticità delle lettere paoline ''non più disputate'' dal Consensus.

Ma se il lettore è così audace da sentirsela di fidarsi del mio fiuto, allora ecco quale pittura meglio descriverebbe, secondo il mio modesto punto di vista, la migliore rappresentazione del terzo scenario, se assumo a priori la validità della dimostrazione di Van Manen e degli altri critici radicali del passato o odierni circa le epistole ''paoline''. Mi limiterò a commentare le seguenti parole del miticista Thomas Whittaker, tratte dal suo libro The origins of Christianity, pubblicato nel lontano 1904.

Un maestro a cui nulla possa essere autenticamente attribuito se non qualche indefinito impulso ad una successione di discepoli, che dopo posero insieme, da fonti ebraiche, il corpus dei detti religiosi ed etici che chiamiamo gli ''insegnamenti di Gesù'', potrebbe possibilmente, quando il suo nome fu portato in un diverso medium sociale e lui fu personalmente dimenticato, crescere nel soprannaturale ''Cristo'' della scuola paolina. Se, comunque, dobbiamo indagare risolutamente nelle origini del cristianesimo dall'inizio, la domanda deve essere posta: è l'ipotesi necessaria tanto quanto è sufficiente?
Il risultato di ulteriore considerazione è stato di convincermi che non lo è.
Io accetto la conclusione di recente presentata da Mr. J. M. Robertson in una trilogia di efficaci lavori, che la storia del vangelo è, a tutti gli effetti e gli scopi, non semplicemente leggendaria, ma mitica.
La tesi di Mr. Robertson, così sembra a me, può persino essere approfondita ulteriormente. Lui, anche, si è trattenuto -- come egli sottolinea hanno fatto anche precedenti critici --  non mettendo in discussione la tradizione ecclesiastica abbastanza radicalmente.
...
Egli concede che il cristianesimo, come una setta distinta, potrebbe essere sorta al tempo circa in cui nacque secondo la vista autorizzata dalla Chiesa; cioè vale a dire nella generazione che precede la distruzione di Gerusalemme. Egli è dell'opinione, invero, che a quell'epoca non era nulla più che una setta ebraica; tuttavia qui il Paolinismo, se le epistole attribuite a Paolo e implicanti la sua attività sono genuine, sarebbero almeno un'anomalia. Le Investigazioni del prof Van Manen, comunque, rimuovono questa difficoltà. Infatti la sua tesi può essere perfettamente ben combinata con quella di Mr. Robertson. Ciò fatto, penso di dover fare un altro passo nella direzione negativa. Prima della caduta del Tempio dobbiamo assumere che nulla del tutto corrisponde al cristianesimo salvo un culto oscuro -- la cui evidenza Mr. Robertson ha fatto molto per portare alla luce -- e un indeterminato movimento messianico. La quasi-storica vita e morte di Gesù, attorno alle quali una nuova setta o sette venne a raccogliersi, non prese forma se non dopo l'anno 70. Il periodo di gestazione -- di creazione orale del mito -- perdurò fino a circa la metà del primo secolo. Poi iniziò la produzione della letteratura del Nuovo Testamento -- senza eccezione anche pseudoepigrafico -- che fu completato approssimativamente entro la metà del secondo secolo.

Anch'io nei momenti di maggior sfiducia e scetticismo circa la possibilità di recuperare un ipotetico ''vangelo dei Pilastri'' mi arrendo all'idea che sia possibile davvero basarsi sulla parola di quanto dice Paolo su di loro. O che Paolo stesso sia quello che dice di essere. E tuttavia almeno un punto fermo è la natura di autentico punto di svolta assunto dalla distruzione del Tempio nel 70 EC.


Una conferma particolare dell'opinione di Mr. Robertson alla quale desidero prestare attenzione è una più antica lettura dell'Epistola di Giuda ... Capita al verso 6, e il suo significato è portato alla luce dal verso 6. ''Ora io voglio ricordare a voi, che già conoscete tutte queste cose, che Gesù [cioè, Gesù, invece di ''il Signore''] dopo aver salvato per la seconda volta il popolo dalla terra d'Egitto [Mosè avendolo fatto la prima volta], fece perire in seguito quelli che non vollero credere''. Il verso successivo procede: ''e che gli angeli che non conservarono la loro dignità ma lasciarono la propria dimora, egli li tiene in catene eterne, nelle tenebre, per il giudizio del gran giorno''.
Chiaramente la sottomissione degli angeli erranti può solo essere attribuita ad un essere soprannaturale, e non ad un mero eroe nazionale. E si deve ricordare che l'epistola è un'opera giudeocristiana, non una cristiana gentile.

L'ennesimo indizio di una figura angelica, nelle epistole, mai scesa veramente sulla terra.


Evidentemente abbiamo qui, nell'idea già esistente su base ebraica di un liberatore con nome e attributi divini, un possibile centro di una nuova crescita. Questo rende superfluo la personale spiegazione di mr. Frazer del culto cristiano come l'inizio dell'idea sacrificale in una rinnovata vitalità attraverso la morte di un reale Gesù -- il maestro galileo -- scelto, dalle macchinazioni di un'ostilità sacerdotale, come vittima di un sopravvissuto rito annuale a Gerusalemme durante il quale di solito un criminale condannato recitava la parte di un dio morente. Infatti la possibile ipotesi di mr. Frazer [non tende ad escludere la sua ipotesi una generalizzata posizione dichiarata dallo stesso mr. Frazer nella misura in cui si applicherebbe anche al pasto sacramentale? ''La gente non osserva di solito un costume a causa di una particolare occasione in cui un essere mitico è detto di aver agito in un certo modo. Ma, al contrario, davvero spesso inventa miti per spiegare perchè praticano certi costumi'' (The Golden Bough, 2nd ed., vol. ii., p. 420.)  ... ] può essere rimpiazzata con una combinazione dei risultati positivi della sua grande inchiesta antropologica con i risultati, tanto negativi quanto positivi, del criticismo biblico. Gli eventi particolari considerati nei vangeli non accaddero; ma, come pensa mr. Robertson, la storia condensa un'intera fase --invero, più di una sola fase -- di religione in una singola figura. La vittima umana è crocifissa in quanto l'incarnazione del dio. Egli ha gli attributi di un dio della vegetazione e di un dio del vino; di qui si può essere partecipi del suo corpo e del suo sangue mangiando pane e bevendo vino. Egli risorge di nuovo dai morti. La sua morte e risurrezione vengono celebrate ogni anno, alla stagione quando le celebrazioni della morte e della rinascita di divinità -- se rappresentanti delle forze della vegetazione oppure del potere del sole -- sono comuni.
Con questa più arcaica concezione, secondo la quale il dio viene ucciso nella sua maturità così da poter riottenere il suo vigore in una nuova manifestazione, l'idea espiatoria è combinata. Lui stesso senza peccato, veniva reso un sacrificio per i peccati altrui. La sua morte, perciò, coincide nel tempo con un antico rito espiatorio, la Pasqua, probabilmente in sé stessa derivata da una pratica di sacrificio umano. Poi, poichè la nuova religione del Dio Incarnato adotta i sacri libri del suo predecessore come propri, tutte le altre concezioni devono essere riconciliate col monoteismo ebraico. Da qui il problema della teologia cristiana, preservata dal Nuovo Testamento ai Padri e dai Padri agli Scolastici.
Ma, se noi accettiamo qualche veduta di questo tipo, l'interrogativo ancora rimane a cui rispondere: Quando il culto per prima si procurò un nuovo mito in una forma concreta? La risposta che propongo è che ciò non accadde fino a dopo la distruzione di Gerusalemme nell'anno 70. Quella grande crisi sprigionò idee che da lungo tempo si stavano preparando. Sappiamo sia da Flavio Giuseppe sia da Tacito che prodigi erano raccontati di essere accaduti prima della caduta del Tempio. Una voce più forte di quella umana fu udita proclamare la caduta ''degli dei''. Ma pochi, racconta Tacito, intepretarono ciò nel senso di timore: ''in molti erano convinti che fosse vero quanto era scritto negli antichi libri sacerdotali che quello era il tempo in cui l'Oriente si sarebbe imposto sul resto del mondo e uomini partiti dalla Giudea avrebbero conquistato il potere.'' Ora quelle speranze non furono abbandonate dagli ebrei ortodossi fino a molto tempo dopo. Il convertito gentile all'ebraismo era ancora una figura familiare a Roma sotto il regno di Diomiziano, e anche dopo, come si può inferire da Giovenale -- il quale, si può notare, all'inizio del secondo secolo non sa nulla dei cristiani. Non fu che fino alla totale disfatta della politica ebraica, in conseguenza della rivolta soppressa da Adriano, che la religione si ritirò nella esclusività tutto tranne che completa che avesse mai da allora mantenuto. Ed entro quel tempo il proselitismo ortodosso, riservando come fece ai nati ebrei la posizione di un'aristocrazia generale, era stata superata da quella dei cristiani, che erano usciti da loro.
Quindi sembra probabile che, proprio dopo la catastrofe dell'anno 70, quegli ebrei o semi-ebrei che per qualche ragione erano delusi dalla casta sacerdotale e dai rabbini mostrerebbero una piuttosto fervida attività. Infatti anche loro erano immersi nelle speranze nazionali, e gli accettati leader del popolo avevano fallito.

Sono soddisfatto nel vedere come anche qui si riconosce la debita importanza del Disastro del 70, autentico vero spartiacque della Storia dell'umanità in due tronconi distinti.


Una diceria allora si sparse che il Messia che aveva sofferto per poi trionfare, era già apparso e aveva già subito quello che fu predetto dai profeti. Non meriterebbe questo all'istante una fiducia da numerose persone? E qui è la base come potrebbe essere trovata per un mito. Non ci fu nulla di incredibile nell'affermazione che colui che era stato inviato per condurre la nazione lungo una nuova via era stato crocifisso da Ponzio Pilato, la cui prefettura era ora nel passato, ed era ricordata per la crudeltà sugli ebrei. Il nome di Gesù -- un nome reale in Israele -- era destinato al nuovo liberatore per il suo essere un antico dio trasformato in un leader nazionale.
L'Eucarestia, a cui si partecipava in limitati circoli, esisteva tra gli ebrei come altrove. E quei circoli, con la loro devozione a misteri non ufficiali, erano prossimi a trattenere le più arcaiche idee religiose. Quindi c'era già un culto e un'organizzazione preparata a ricevere un nuovo credo così congeniale. Abbastanza è conosciuto di tali confraternite da rendere comprensibile che estese associazioni da loro emergenti divenissero davvero potenti.


Seppure è corretto, non spiega a dovere il passaggio dall'illusione alla diceria, e dalla diceria al dogma.

Sul piano etico fu facile attribuire al nuovo liberatore un riformato insegnamento che alcuni tra le menti migliori, reagendo contro la superaffettazione del rituale e della casistica ufficiale, desideravano dedurre dagli antichi libri. Quindi potrebbe essere apparsa la prima collezione di detti attribuita a Gesù. Se questo fu un movimento relativamente recente, originatosi in Palestina, allora possiamo spiegare la differenza tra l'impressione fatta su  un moderno ebreo liberale dal Gesù sinottico e dal Paolo delle epistole. L'insegnamento principalmente attribuito al fondatore rappresenta una fase di riflessione morale che fu realmente in contatto con la legge, e poteva criticare le sue manchevolezze e coloro dei suoi rappresentanti con efficacia. Gli scritti paolini rappresentano il cristianesimo gentile, per il quale la legge fu un'astrazione. Per i gruppi paolini il principale interesse risiede nello sviluppo di un'idea del Cristo soprannaturale sulle linee di un'incipiente teologia e ''soteriologia''. E questo sviluppo, come Van Manen ha mostrato, fu ellenistico, e fu rimosso di almeno una fase dall'origine della religione di Gesù.

Il vero problema della Radikal Kritik è tutto qui: come spiegare l'assenza di un Gesù storico nelle epistole paoline, se quelle epistole furono fabbricate proprio in parallelo ai primi detti attribuiti a Gesù?
Pensare che i due movimenti non si fossero mai incrociati facendosi conoscere l'un l'altro è assurdo, e difatti lo si può superare davvero solo facendo anticipare l'ultima epistola di Paolo al primo vangelo, ricadendo dunque nel primo o nel secondo scenario.

Quello che fu richiesto ai neofiti, comunque, non era l'accettazione dell'insegnamento, ma la fede nella miracolosa risurrezione di ''il Signore''. Non c'è nessuna traccia di evidenza di qualche recente o più antico cristianesimo che fosse semplicemente una regola morale di vita. La più semplice forma di fede descritta nella letteratura cristiana è la confessione che il Gesù della cui vita e morte tradizioni orali erano in circolazione fu il Messia -- ''il Cristo''.
Ben pochi dei convertiti ellenistici di Siria o Asia Minore, dove il cristianesimo ottenne i suoi primi successi, avrebbero la competenza o il desiderio di investigare tali tradizioni. Se qualcuno avesse mostrato l'inclinazione, ad essi era detto che la fede senza evidenza era una virtù.

Se queste parole fossero pronunciate da un folle apologeta, sarebbero l'ennesima ridicola elusione al problema di un Gesù storico nelle epistole paoline. Forse Whittaker sta postulando una creazione e dell'angelo Gesù ''di Paolo'' e del Gesù dei vangeli che avviene quasi in parallelo. E tuttavia quel silenzio rimane.



... Il Messia degli ebrei, poteva ora essere dichiarato nei termini di un mito tipico e mondiale, aveva sofferto e risorto di nuovo dai morti. Egli ritornerebbe per ricompensare coloro che avevano fede, e per punire gli infedeli con la distruzione. Quindi il vecchio sogno teocratico ricomparve. Gli iniziati del culto emergente non avevano pensato a rinunciare all'attesa di un dominio universale da loro ereditato, come credevano, dai loro progenitori, naturali o spirituali. Il loro regno non era di questo mondo; perchè, quando sarebbe giunto, il mondo -- o l'era presente -- sarebbero stati distrutti. La loro Gerusalemme era una Nuova Gerusalemme; da qui bisognavano di non trascurare la vecchia. Aspirazioni teocratiche pacifiche e violente erano intrecciate, come per i loro predecessori. Da qualcuno di loro si desiderò che ogni cosa dovesse essere fatta con mite persuasione; altri prospettarono piaghe e terremoti e fuoco divoratore. Nella misura in cui gli ebrei ortodossi non ricevettero entusiasticamente il nuovo vangelo, o ''buone nuove'', la responsabilità della morte del promesso Redentore iniziò ad essere gettata su di loro, e rimossa per quanto possibile dal governatore romano. Profezie della distruzione di Gerusalemme, e parabole prefiguranti il ripudio degli ebrei increduli dal regno promesso, furono messe in bocca a Gesù. La nuova setta si volse sempre più ai gentili. La festa è per tutti tranne che a coloro che furono per prima invitati: se qualuno fosse stato riluttante, i servi del regno dovevano costringerli a venire. Gesù, si pensò, aveva mandato avanti i suoi mistici Dodici Apostoli -- corrispondenti ai dodici patriarchi e alle dodici tribù di Israele. Aveva ordinato loro di insegnare a tutte le nazioni, e aveva costituito le cerimonie della sua religione -- in realtà, costumi ancestrali, ebrei e pagani. Si formò una storia del suo tradimento. Egli era stato ''comprato con un prezzo'', come le vittime di noti sacrifici umani. Un Dramma del Mistero giunse ad essere, contestualizzando la sua Crocifissione e la sua Risurrezione e gli eventi associati. Questa è la base della narrazione esistente; come è specialmente evidente nei nostri primi due vangeli. La mitologia e il rituale ellenistico -- nella loro più remota origine essi stessi asiatici -- contribuirono al sincretismo. Lo sviluppo mitico fu accompagnato o seguito da speculazioni di una mente più intellettuale. Nel giro di una generazione dalla caduta del Tempio, la via era stata preparata per il nuovo movimento chiamato Paolinismo.

A parte l'ultima affermazione, possibile solo nel contesto del terzo scenario, il resto può valere benissimo e conserva tutta la sua validità anche nei primi due scenari.


La più antica espressione letteraria del cristianesimo, sebbene non il più antico tipo o dottrina, fu il Paolinismo. Coloro che iniziano a introdurre un cristianesimo speculativo nel nome di ''Paolo'' furono i primi cristiani a scrivere, per la precisa ragione che erano loro gli innovatori. Le epistole che formano la nostra collezione crebbero a partire da una letteratura paolina consistente di breve esposizioni dottrinali ed esortazioni. Non differiscono essenzialmente dalle altre antiche epistole cristiane, che non erano mai lettere reali, ma, dal principio, composizioni edificanti attribuite a uomini di reputazione nel passato, recando inequivocabili segni del presente al quale appartengono.
Questa vista, che è di Van Manen, introdotta parzialmente nelle sue proprie parole, io accetto; ma qualche riaggiustamento è necessario in relazione alla diversa posizione io son stato obbligato a prendere riguardo al cristianesimo molto più antico. La modifica necessaria, comunque, è sorprendentemente poca.
La prima domanda da sollevare è: Chi era questo ''Paolo'' a cui sviluppi dottrinali e poi le loro esposizioni epistolari furono attribuite? Stando a Van Manen, lui era uno di coloro che erano stati convertiti dai discepoli di un reale Gesù alla fede nel fatto che egli fosse il Messia  Il nuovo ''apostolo'' (per adottare il termine posteriore) fu attivo specialmente in viaggi missionari, e di qui fu ricordato con grande vividezza rispetto agli altri. Alcuni di quei membri delle comunità cristiane che, circa alla fine del primo secolo o agli inizi del secondo, si stavano congedando da idee limitatamente ebraiche, posero se stessi sotto la protezione del suo nome, forse perchè l'ampio raggio della sua attività suggeriva una maggiore tolleranza di costumi non-ebraici. Racconti di abbellimento dei suoi viaggi furono scritti -- sulla base parzialmente di un diario scritto da un compagno di viaggio. Di questo diario possediamo porzioni nella ''narrazione da viaggio'' dei canonici Atti degli Apostoli. La narrazione che possediamo è stata in qualche modo manipolata; ma l'abitudine alla prima persona plurale indica un reale diario. Il nucleo genuino che potrebbe essere dedotto non è incoerente con la posizione cronologica attribuita a Paolo nella leggenda. Quindi esisteva un punto di contatto per la letteratura paolina nella vita reale di colui che visse nella generazione precedente alla distruzione di Gerusalemme.

Questa visione di Van Manen è forse un'indicazione che perfino spostando tutto ''Paolo'' nel II secolo, ancora non si hanno veri effetti sulla storicità di Gesù, nonostante un certo maggiore giustificato agnosticismo sulla sua esistenza.



La modifica da me suggerita è la seguente: il Paolo che fu ricordato non fu in verità un associato ai discepoli di un reale Gesù; ma appartenne ad un gruppo di propagandisti messianici del giudaismo. Qualcuno di tali gruppi dev'essere stato vagamente ricordato, e i ''cristiani'' nel nostro senso (che emersero dopo la distruzione di Gerusalemme) naturalmente farebbero uso dei loro nomi, trasformandoli nei discepoli della persona Gesù nella quale credevano. L'''età apostolica'' fu quindi leggendaria, ma non totalmente mitica. Senza dubbio c'erano considerevoli elementi di puro mito, specialmente nel caso di ''Pietro'', l'apostolo ''roccia''. E, invero, delle figure che rimangono, nessuno ha la minima tangibilità salvo Paolo. Ancora, nel Paolo degli Atti e della letteratura epistolare è lasciata una figura che ha il grado di realtà che si può ritrovare in un romanzo storico. Questo è il personaggio del suo processo dinanzi a Festo. Come il processo di Apollonio di Tiana dinanzi a Domiziano, potrebbe non rappresentare qualcosa che prese veramente luogo; ma fu composto in relazione ad un reale personaggio, ed esso ha qualche particolare di un possibile processo. È non semplicemente una trascrizione dalla Recita di un Mistero. Il Paolo che veramente visse potrebbe aver viaggiato fino in Grecia e in Italia, e potrebbe essere stato in definitiva perso di vista a Roma. Aldilà del racconto frammentario di un singolo viaggio preservato in Atti, non esiste comunque nessuna speranza di ricostruire la sua vicenda.
Anche questa vista, che, per quanto riguarda Paolo, non si differenzia sostanzialmente da quella di Van Manen, non è assolutamente necessaria per spiegare la letteratura paolina. Considerando simili attribuzioni prima e dopo, potremmo essere inclini a dire che sarebbe sufficiente una personalità puramente fittizia. Tuttavia la collezione di narrazioni particolareggiate negli Atti degli Apostoli sembrano puntare a qualche sorta di vista sull'intero. Quelle narrazioni sono in verità piene di miracoli; ma sembrano meglio spiegate dall'ipotesi che siano leggende emergenti dall'attività propagandistica di ebrei messianici prima della distruzione di Gerusalemme piuttosto che rifiutandole in toto come semplicemente generiche storie di miracoli circa personaggi ''simbolici''.
Rappresentazione del terzo scenario proposto dalla Radikal Kritik.


Esattamente. Qualora un giorno dovessi essere sempre più convinto che le epistole sono invenzioni posteriori, questa sarebbe la pessimistica visione risultante. Una creazione post-70 di un vero e proprio *cristianesimo* con radici ''teoriche'' nell'ebraismo messianico più marginale pre-70 di cui si è persa praticamente ogni traccia (al punto che non si può parlare più nemmeno di ''giudeocristiani'' per quel periodo, ma solo di ''Ebrei Cristiani'' o ebrei messianici apocalittici), sempre come reazione al Disastro del 70.  L'agnosticismo su Gesù sarebbe a quel punto una forma di supremo, forte agnosticismo: poichè la Storia è per definizione scritta, non avendo documenti risalenti al I secolo che parlano di Gesù o di suoi seguaci, siamo allora in presenza di pre-istoria, ovvero di un tempo oramai leggendario sul quale è più saggio sospendere per sempre il giudizio.


Per una maggiore spiegazione dello sviluppo dottrinale chiamato ''Paolinismo'', mi riferirò all'esposizione che segue. Le cospicue caratteristiche del vangelo paolino sono, naturalmente, l'insistenza sulla ''fede'' che in Gesù ''il Cristo'' è giunto, e sulla ''grazia'' che è data agli uomini per credere. Questa grazia e questa fede sono le condizioni della salvezza personale. Il Cristo di Paolo, il ''Figlio di Dio'', in cui la fede è richiesta e da cui la grazia proviene, è l'espressione di un più esaltato soprannaturalismo di quello dei vecchi Messianisti. Lo sviluppo è speculativo piuttosto che mitico o apocalittico. La scuola giovannina, approfondendo questo ancor di più, dette soddisfazione anche alla concreta immaginazione che sentì la necessità di combinare con esso la fede nella realtà di un ''Cristo secondo la carne''. Per ''Paolo'', una manifestazione carnale apparente di ''il Cristo'' sarebbe stata sufficiente; ci sono indicazioni nelle Epistole di quello che fu in seguito definito ''docetismo''. La scuola di ''Giovanni'', evitando questo sviluppo, calmò gli ''ortodossi'': cioè per dire quelli tra i leader che istintivamente percepivano l'importanza di governare l'umanità, di stare al passo con i pregiudizi della massa, la quale evidentemente non poteva mollare il patetico concreto Gesù, l'equivalente di Tammuz o di Adone dell'antico culto semitico. La mitologia religiosa popolare, come distinta dalla mitologia filosofica dei cristiani gnostici, alla quale per sé stessa tendeva il Paolinismo, era quindi salvata. Nello stesso tempo, ''Giovanni'' portò maggiore ridefinizione di ''Paolo'' sul piano filosofico della mitologia. L'idea alessandrina di un Logos mediatore, o Ragione creativa, tra il Dio supremo -- della filosofia e dell'ebraismo -- e il mondo e l'uomo, fu applicato in un senso peculiare a Gesù Cristo. L'uomo di carne e sangue, e l'essere divino, dovevano essere concepiti come misticamente uniti. E il Logos non era semplicemente un potere o aspetto di Dio, ma era Dio.

Si ripropone implicitamente il processo classico in due fasi: Gesù di Paolo celeste o docetico/mitico, bonificato infine col Cristo camminante sulla terra firma e culminante nel vangelo cattolico/cattolicizzato di Giovanni. Si è costretti sempre a posporre i vangeli alle epistole, perfino dopo aver spostato le seconde dopo il 70.


Quindi il problema portato in seguito ad una soluzione ortodossa nella formula nicena fu posto. In ogni soluzione ammissibile, il formale monoteismo doveva essere trattenuto. La consapevolezza media cristiana era troppo ebraica per permettere un reale ''secondo Dio''. D'altra parte, la teologia cristiana, nella misura in cui venne più a contatto con le scuole, per necessità operò sotto la dominazione dell'idea triadica, la quale poi affascinò le menti speculative. Un altro potere mediatore, perciò, fu richiesto per completare la divina triade. Questo fu trovato nello Spirito Santo (il Pneuma), una concezione che apparve anche sulle frequenze dell'ebraismo alessandrino. Non esiste nessun bisogno di procedere ulteriormente nel complesso processo attraverso il quale la logica formale da un lato, e lo spirito del compromesso pratico dall'altro, lavorò per elaborare a partire dai dati sparsi del Nuovo Testamento il dogma di tre co-eguali ''persone'' o ''ipostasi'' in un unico Dio. Potrebbe essere sufficiente dire che il tipo di soluzione è da trovarsi implicitamente in ''Giovanni''. ''Paolo'' lasciò spazio a più variegato sviluppo speculativo. Cosa, allora, ne fu dunque del magmatico movimento della scuola paolina, il quale precedette la scuola giovannina e non fu da essa assorbita?
La risposta è fornita nella storia ecclesiastica. La ''Chiesa Cattolica'' ebbe successo nell'appropriarsi del nome di ''Paolo''; ma lui mai cessò di essere quello che era stato definito nel secondo secolo, ''l'Apostolo degli Eretici''. Un leggero schizzo del nuovo sviluppo mediante cui la transizione fu realizzata verso un cristianesimo de-cattolicizzato sarà necessario prima di concludere questa introduzione. Nel frattempo potrebbe essere degno di portare intanto in vista una o due indicazioni del fatto che la nostra collezione delle ''epistole di Paolo'' al pari in generale del Nuovo Testamento, è di molto successivo all'anno 70. Tali indizi, in realtà, sono stati resi chiari da Van Manen nelle epistole che egli tratta specialmente: e se quegli indizi venissero abbandonati, non ci potrebbe essere nessuna seria ragione di difendere il resto: mentre l'abbandono del resto non li influenzerebbe di per sé. È, perciò meramente per amore di una preliminare illustrazione, e non con l'idea che i passi citati chiudano la questione, che io scelgo un esempio dall'epistola ai Galati e un esempio dalla prima epistola ai Tessalonicesi.
Prendi l'allegoria dei due patti in Galati 4:24-26. Non si applica l'antitesi che vi emerge a due religioni, entrambe consapevoli delle proprie pretese come tali; la nuova non considerando sé stessa come una mera setta dell'antica? Ma il passo al quale presterei speciale attenzione è 4:25, dove è detto, in riferimento alla presente Gerusalemme  ''che di fatto è schiava insieme ai suoi figli''. Per contrasto, ''la Gerusalemme di lassù è libera ed è la madre di tutti noi''. Quale sarebbe stato il punto di questo mentre Gerusalemme con il suo Tempio e il suo clero duravano, non solo al sicuro, ma pieni della speranza di essere resi presto il centro visibile del regno di Dio sulla terra?

[Non esiste, naturalmente, un formale anacronismo, dal momento che gli ebrei erano tutti in diversi gradi di soggezione a Roma. La cessazione del culto del Tempio era troppo evidente all'antica letteratura cristiana per permettere da sé diretti riferimenti da parte di Paolo all'evento, a meno che non fossero rivestiti nella forma della profezia. La subordinazione politica della Giudea, comunque, è piuttosto insufficiente per spiegare il tono di un passaggio il quale chiaramente implica che l'ebraismo è già una causa persa, e che il futuro dell'idea teocratica potrebbe ora essere vista imprescindibilmente legata al cristianesimo.]


Questo è uno degli argomenti invero più forti della Radikal Kritik. Parlare in forma velatamente criptica e profetica della distruzione del Tempo oramai alle spalle.
Penso che la migliore soluzione potrebbe essere di confrontare cosa è più forte: il silenzio su Paolo di un Gesù storico nelle epistole ''non disputate'' oppure le contraddizioni implicate dal considerare quest'ultime appunto ''non disputate''?





Un passaggio che comunica, se possibile, più fortemente nello stesso senso è 1 Tessalonicesi 2:14-16. "I Giudei"— di cui l'apostolo è supposto essere uno di loro — sono ''nemici di tutti gli uomini"; e ''su di loro l’ira è giunta al colmo". Il solo interrogativo circa l'ultima espressione è se non dovesse essere riferita a qualche tempo subito dopo il 185, quando la rivolta che era finalmente dilagata sotto il regno di Adriano non venne soppressa. La prima espressione potrebbe essere stata copiata da Tacito (adversus omnes alios hostile odium, Hist. libro V, 5). Il punto di vista appartiene ad un cristianesimo del quale l'ambizione di essere una religione mondiale stava emergendo così alta da star già in procinto di eccitare l'''antisemitismo'' tra i pagani.

[L'originale dovrebbe essere letto per apprezzare l'assolutamente impensabile carattere dell'intero passaggio nel 54, la data tradizionale. ... Ogni clausola indica reminiscienza, drammaticamente riferita, sulla bocca del presunto autore apostolico, al presente o al futuro. ]

Incredibile come era facile denunciare già allora il palese antisemitismo provocato dal nascente cristianesimo proprio nei primi del 900, quando questo libro fu pubblicato, prima ancora dell'ascesa di Hitler al potere nel 33! Questo non può che far aumentare le colpe di quegli antisemiti storici!

La Chiesa Cattolica
Stando alla vista assunta nell'opera di Van Manen, le lettere paoline nel nostro testo presente sono leggermente ''cattolicizzate''. Sarebbe possibile trattare il passaggio appena citato da 1 Tessalonicesi come un'interpolazione in questo senso. L'argomento, comunque, non dovrebbe essere solo su basi puramente testuali, ma sulle basi dell'''alto criticismo''; e, come Van Manen ha illustrato, quando un tale processo va fino in condo completamente, i risultati sono difficilmente più conservatori rispetto a quelli a cui lui stesso è arrivato.
In ogni caso, le epistole paoline non espressero originariamente le idee di quella che dopo divenne la ''Chiesa Cattolica''. Paolo -- l'ideale autore della serie -- era non, come Comte arrivò a considerarlo, ''il fondatore del cattolicesimo''. E neppure era per la precisione, come lo definì Benan, ''il dottore protestante''. Egli potrebbe essere meglio descritto come il padre dello gnosticismo.

Il padre della gnosi... Simon Mago? Whittaker fa di quest'ultimo solo il parafulmine inventato puntualmente dai predatori di eretici cattolici, però per Detering, Price e Parvus Simone di Samaria fu proprio il reale Paolo storico. In questo modo il terzo scenario sfocia nel secondo, se non fosse per la sua orgogliosa ostinazione a non trascinare neanche uno spicchio di epistola prima del 70!



Le più antiche persone storiche da lui influenzate furono Basilide e Marcione. Essi svilupparono ''l'Apostolo'' (il solo da loro riconosciuto) nella direzione del loro personale anti-giudaismo. Questo anti-giudaismo era di un genere speculativo; non sembra essere stato una forma di esacerbata propaganda. Essi non ebbero nessun ruolo decisivo nella ramificante organizzazione mediante la quale gli ecclesiastici cristiani ebbero successo nel dominare il mondo. In verità, loro erano gli stessi tra coloro in seguito perseguitati dai suoi capi. L'auto-denominatasi Chiesa Cattolica innanzitutto divenne visibile come una crescente associazione di comunità cristiane animate dall'ambizione di succedere ai poteri teocratici del clero ebraico. Gli speciali rappresentanti del sogno di dominio mondiale giunsero ora ad essere certi pragmatici esperti in pubbliche relazioni, pronti ad operare con tutti i mezzi, ma, sul piano intellettuale, procedendo specialmente mediante compromesso entro certi limiti. Col passare del tempo, divennero naturalmente sempre più ostili a coloro che, aderendo ostinatamente alla antica comunità ebraica, sembravano una protesta vivente contro le loro assunzioni. Un'illustrazione del loro modo caratteristico di condurre con la protesta fu fornita, quando giunsero al potere, da Cirillo di Alessandria.
Non accadde che essi da ultimi simpatizzassero, al pari degli speculativi gnostici, con la ribellione contro l'irato Geova dell'Antico Testamento. Al contrario, adottarono nel loro canone le aspirazioni dei pià fieri apocalittici. Ogni anima che non ascolterà il nuovo profeta sarà distrutta (Atti 3:28). ... In ricompensa alle persecuzioni e tribolazioni che sopportano, i fedeli riposeranno con gli Apostoli,  ''quando si manifesterà il Signore Gesù dal cielo, insieme agli angeli della sua potenza, con fuoco ardente, per punire quelli che non riconoscono Dio e quelli che non obbediscono al vangelo del Signore nostro Gesù'' (2 Tess. 1:7-8).
L'ideale della nuova teocrazia fu il dogma autoritario socialmente supremo. Il puro monoteismo combinato con la pratica di un rituale non basterebbe più a lungo -- il dogma era stato complicato dalla rinascita di arcaiche concezioni sacramentali e da una nuova mitologia, in parte di derivazione pagana. Le  horribilia secreta dell'''assassinio del dio'' e del ''cibarsi del dio'' dovevano essere portate entro le forme della logica come se fossero verità filosofiche. La vecchia idea dello Stato-Chiesa nazionale, il ''popolo eletto'', era passata in quella del sacerdozio universale.
Nella nozione, ora definitivamente formulata, dell'''eresia e scisma'' come crimini, venne coinvolto l'orribile germe dal quale crebbe il sistema storico al cui confronto le religioni di Dahomey e dell'antico Messico erano naturali e amabili errori.
Speranze di emancipazione dal giogo del costume tirannico che emerse nelle comunità cristiane, come erano sorte prima in Grecia, furono sistematicamente soppresse. Definitiva e ripetuta sanzione di schiavitù, perdurante ''sottomissione delle donne'', massime politiche che sono state giustamente interpretate nel senso di ''passiva obbedienza'' potrebbero contrastare con molto dello spirito del Nuovo Testamento, ma è in loro che noi percepiamo l'autentico ''pensiero della Chiesa''. E tuttavia non potrebbe esserci mai alcun dubbio che, se solo una volta venissero in conflitto con il sistema del clero e del suo dogma, tutti i legami civili e domestici sarebbero dissolti. Il criticismo sembra di aver giustificato l'audace suggestione di Hobbes, che ciò che fu inteso in origine come peccato contro il Fantasma Santo, che mai poteva venir perdonato, era la resistenza al potere ecclesiastico.

L'essenza del cattolicesimo è pura, indifferente & indistinta, affettata e prudente, Reductio ad Unum.
Il priore Godwin, nella miniserie televisiva Mondo senza fine (impersonato dall'attore Rupert Evans) tratto dall'omonimo romanzo di Ken Follett, rappresenta la quintessenza dell'ecclesiastico cattolico corrotto dalla brama di potere e di asservimento delle masse.


La Filosofia contro la Religione Rivelata.
La considerazione era stata fatta sopra che la resistenza del secondo secolo ai propagandisti delle nuove rivelazioni assicurarono uno spazio di temporaneo respiro alla filosofia indipendente. Questo rispetto permise a Plotino, nel terzo secolo di fondare l'ultimo grande sistema filosofico del'antichità, da allora conosciuto come Neoplatonismo, senza così tanto come nominare la Chiesa Cattolica; sebbene in un libro egli si oppose alla dottrina degli gnostici. I cristiani gnostici, con le loro alte pretese speculative, senza dubbio sembrarono meglio degni di confutazione da parte di un filosofo al contrario dei cristiani ortodossi, i quali per lui rappresenterebbero solo il lato puramente ingannevole del movimento. Plotino trova, invero, negli gnostici una sorta di oscuro riflesso di Platone: e tuttavia dovremmo sapere dal suo trattato, in mancanza di nessun'altra evidenza, che loro erano troppo fanatici anti-ellenici, pieni dell'arroganza che considerava l'intero mondo visibile e tutti gli uomini salvo i cristiani come sputati fuori dall'attenzione del divino, in quanto distinto dal potere demoniaco o persino diabolico.

Anche la gnosi non era da meno. Tutto l'albero era marcio alla radice, contaminato com'era dalla pura brama di superamento del vecchio mondo a favore di una nuova, delirante palingenesi universale.
Lo sviluppo del Cristianesimo
Figura tra i perduranti meriti di Baur e della sua scuola l'aver posto fine una volta per tutte alla tacita assunzione che il cristianesimo dei primi due o tre secoli non avesse nessuna evoluzione; che esso fosse dall'inizio cosa divenne in seguito. La loro formula, invero -- Petrinismo e Paolinismo in forte opposizione durante il tempo degli Apostoli, e in seguito riconciliati nel cattolicesimo -- non ha dato soddisfazione duratura; ma i tentativi da allora fatti di ritornare alla vista tradizionale sono ancor più completamente falliti. Quello che era necessario era che più fasi dovrebbero essere riconosciute, e che un maggior periodo di tempo dovrebbe essere concesso per l'evoluzione. Quelle condizioni sono soddisfatte se collochiamo il ''Paolinismo'' considerevolmente più tardi dell'insegnamento dei primi apostoli, Paolo compreso.
I discepoli, che potremo associare con Pietro, rimasero pii ebrei. Erano definiti ''santi'', o ''quelli santi'' non in un senso etico, ma nel senso veterotestamentario di ''consacrati a Dio''. Insegnarono ''le cose riguardanti Gesù'', il loro Maestro crocifisso, che considerarono il Messia. È quindi piuttosto comprensibile -- la loro differenza da altri ebrei essendo così leggera -- che difficilmente attirarono attenzione al loro proprio tempo; che passarono di scena inosservati, o quasi inosservati, non solo dagli autori greci e romani di quei giorni, ma anche da uno storico ebreo come Flavio giuseppe. Nel frattempo, i grandi eventi in Judaea che terminarono con la distruzione di Gerusalemme, potevano non essere senza influenza su di loro. Alcuni discepoli, senza dubbio, erano già meno attaccati alla legge di altri; e l'accresciuto contatto con il mondo greco-romano deve aver accellerato il più esteso movimento, il quale, come abbiamo visto, non era esclusivamente ''paolino''. Il ''Paolinismo'' si diffuse -- come la direzione giovannina fece più tardi e probabilmente in un'altra comunità -- in stretta connessione con la germinante gnosi. Alcuni reagirono ferocemente contro di essa. Quelli li chiamiamo ''giudaizzanti''. Devono essere distinti dai primi ''discepoli'', i cui credi erano di un più indeterminato carattere. Gli uomini moderati che assunsero una posizione di equilibrio tra gli estremi paolinisti e gli estremi giudaizzanti furono coloro che ebbero successo nel formare il cristianesimo cattolico. I giudaizzanti che andarono troppo lontano ricevettero, come una ricompensa per il loro zelo, un posto come eretici ''Ebioniti''. Infine, ''Paolo'', dopo un periodo durante il quale fu guardato con sospetto, sebbene non irrevocabilmente condannato dai cattolici insieme con gli eretici gnostici da lui ispirati, poteva essere accolto nel pantheon dei grandi uomini che, come preminentemente ''Apostoli'' -- i ''Dodici'' con l'aggiunta di uno -- erano stati incaricati di porre giù la legge della fede e della condotta per le generazioni del presente e del futuro.


È interessante osservare quanto poco, su questa vista, il metodo della chiesa è cambiato tra il secondo e il tredicesimo secolo, quando gli appena riscoperti scritti aristotelici, dopo essere tenuti a distanza proprio come lo erano stati gli scritti ''paolini'', furono almeno collocati in quella posizione di suprema autorità sulla conoscenza naturale in quanto distinta dalla conoscenza ''rivelata'' che rese loro per il Rinascimento così ingiustamente, sebbene inevitabilmente, il tipo per antonomasia di oppressione intellettuale.


Quello che chiamiamo Paolinismo, e conosciamo meglio dalle ''epistole di Paolo'' del Nuovo Testamento, sorge dopo, in connessione con la germogliante gnosi cristiana, sotto l'influenza della filosofia greca alessandrina. Tuttavia non fuori dal margine dell'ebraismo, o molto meno in indipendenza dal cristianesimo,  già esistente da cinquanta a settanta anni come comunità religiosa e confessione dei più antichi discepoli di Gesù. Il Paolinismo non è né più né meno che una radicale riforma di questo antico cristianesimo.
Ma quella riforma non è da nessuna parte accettata. Incontra un'ostinata opposizione, con il fiero antagonismo dal lato della calda approvazione -- antagonismo da parte di coloro che, sebbene discepoli di Gesù, ed aspettando la sua venuta come Messia (se parlano greco, come il Cristo) tuttavia rimangono attaccati cuore e anima all'ebraismo, alle sue leggi e precetti, istituzioni ed usi. La loro posterità spirituale diventa al presente dei tardi Ebioniti.
Quasi dal suo punto di partenza, il Paolinismo ha un vento di destra ed uno di sinistra. Mediante il secondo i suoi principi sono sviluppati unilateralmente, spinti al limite, per culminare nel Marcionismo. mediante il primo quelli stessi principi sono un pò accorciati, potati, modificati, se possibile portati in armonia con desideri e inclinazioni, disposizioni e idee, di antichi credenti che hanno unito sé stessi con il nuovo movimento o permesso a sé stessi di essere da esso rimorchiati. Quelli aiutano a formare l'esteso flusso del nascente Cattolicesimo, che prende ogni cosa in sé stesso; nella misura in cui essi non sono troppo inclini, come i marcioniti e altri gnostici, alla sinistra, o come gli ebioniti e altri giudaizzanti, troppo fortemente alla destra.


Quindi dopo il 70, si preferì scrivere per la maggiore sotto il nome di Paolo, al fine di riformare per intero il cristianesimo, la sua genesi, in un revisionismo che era anche una creazione di quella genesi, vista la sua assenza *prima* del 70 (perchè il messianismo apocalittico precedente al quale si riconduceva anche il Paolo storico era troppo poco per considerare davvero ''proto-cristiano'').

I nomi dei ''discepoli'' ... nella misura in cui contengono una reminiscenza di persone reali, sono nomi dei propagandisti dell'ebraismo messianico, fantasiosamente trasformati negli ''apostoli'' di un personale Gesù, che era non semplicemente prossimo a venire (come il Messia concepito al principio) ma che era già venuto.

Nel primo e nel secondo scenario, quei ''propagandisti dell'ebraismo messianico'' sarebbero i Pilastri di Gerusalemme, di cui i 12 sarebbero meri cloni letterari.

L'adozione della teoria mitica, si potrebbe osservare, fa curiosamente poca differenza nel modo di rappresentare il generale ordine del processo. Sebbene nessuna figura reale fosse il punto di partenza, tuttavia un concreto mito popolare, e non una concezione quasi filosofica, deve essere collocato all'inizio. Prima c'è la storia di Giosuè o Gesù, l'oggetto di un culto, e dopo di una fede che cambia con il cambiamento del tempo e dei suoi ideali; poi la dichiarazione che ''questo Gesù'', detto di esser stato predicato dai suoi ''discepoli'', è ''il Cristo''; poi la sovrapposizione delle idee alessandrine e siriano-gnostiche sul Messia identificato con Gesù. Il popolare sviluppo mitico dal culto antico è incontrato a metà strada dal Logos mediatore della fantasia speculativa. Da quest'unione emerge il cristianesimo paolino e giovannino.

Non ha importanza, ai fini dell'illustrazione di tale scenario (ma sarebbe meglio chiamarlo paradigma) nelle sue varie istanze, se quella ''storia di Giosuè o Gesù, l'oggetto di un culto'' sia in origine una mitologia gnostica oppure messianico/apocalittica (e dunque ebraica). Fatto sta che il primo collezionista delle epistole, e dunque molto probabilmente il loro primo inventore, in tale paradigma, ossia Marcione, fu un docetico. Ma fu un docetico miticista o storicista? Per Robert Price Marcione era un docetico che non sapeva nulla di un Gesù di Nazaret. Ur-Luca, o come preferisco chiamarlo io, l'Anti-Matteo, gli fu attribuito in seguito dai marcioniti divenuti nel frattempo storicisti sull'onda dell'espansione a macchia d'olio della favola del Galileo. Dunque la mia soluzione al problema sinottico ha il notevole pregio di funzionare pure in questo estremo scenario (è sufficiente difatti sostituire ''Marcione'' con i ''marcioniti'').

Nelle epistole scritte (''collezionate'') da Marcione  non si fa ancora menzione di nessun ''Gesù storico'' che proprio in quel periodo, secondo questo scenario, si stava creando. Perchè se è vero che i cattolici sapevano chi era Marcione e cosa voleva prima ancora che parlasse di Paolo, è anche vero che Marcione non seppe nulla di un racconto evangelico perchè occorre sempre del tempo ad ogni racconto fantasy che si rispetti prima di prendere piede tra le masse e divenire un best-seller.
Marcione aveva intenzione di istituzionalizzare e contenere così le spinte centrifughe di un movimento anarchico quale era stato quello di Simone di Samaria (il Paolo storico), movimento a sua volta appartenente ad un calderone di movimenti variegati più o meno simili, più o meno ebraici, con Giovanni il Battista, Dositeo, Simon Mago, Cefa, Giacomo, Gesù il Nazoreno (che ovviamente non è Gesù di Nazaret), come ''rivali, distinti salvatori, avatars, guru o dei'' (The Amazing Colossal Apostle: The Search for the Historical Paul, Robert M. Price, pag. 214). Per far questo, doveva richiamarsi all'autorità del suo apocalittico preferito (nel caso specifico, un apocalittico gnostico) e parlare in suo nome. Se fu Simone ad arrogare per sè il titolo del Cristo (come accusò Ireneo) e quindi ad essere stato lui il primo ad aver ''incarnato'' la morte apparente del Figlio in Judaea (la tesi di Roger Parvus), allora Marcione, nonostante era seguace di Simon Mago, preferì parlare della salvezza portata dall'angelo Gesù e non da Simone (previa sua deificazione) perchè intendeva implicitamente collocare in secondo piano rispetto all'angelo Gesù l'autorità del suo rivelatore ''Paolo''/Simone alla quale lui stesso si richiamava, per strapparla così agli altri simoniani (adoratori del deificato Simone/''Gesù'') e favorire il processo di istituzionalizzazione della chiesa (paradossalmente, un vero e proprio primo passo verso il nascente cattolicesimo): per Marcione, cioè, il rivelatore (Paolo), sia pure autorevole, doveva mantenersi inferiore, nella sua concreta umanità, rispetto al rivelato (Gesù) persino se storicamente Simone pretese, o gli venne attribuito dai suoi entusiastici seguaci prima che venisse Marcione, l'identità con l'angelo Gesù. Si tratta di un vero e proprio tentativo, da parte di Marcione, di addomesticare dal suo interno l'originario culto di Simon Mago, per condannarne il libertinismo e favorire l'istituzionalizzazione del movimento, altrimenti condannato alla dispersione.

Insomma, Marcione fece con un Simone già deificato alle altezze dell'angelo Gesù ciò che secondo gli storicisti aveva fatto Paolo rispetto ad un Gesù storico deificato dopo morto alle altezze del Figlio di Dio: parlare in sua vece, riducendolo alla funzione meglio in grado di favorire il suo successo. Secondo la Radikal Kritik, Marcione ridusse Simone, contro la sua originaria volontà e la volontà dei suoi seguaci, al ruolo di rivelatore dell'angelo Gesù, l'unico legittimo rivelatore sì, ma pur sempre semplice rivelatore umano. Per gli storicisti, Paolo ridusse l'uomo Gesù, contro la sua volontà, al ruolo di celeste ventriloquo dell'apostolo in persona, di lui, Paolo.


I cattolici odierni venerano ''San Giovanni il Battista''. Ma il Giovanni il Battista storico non aveva mai avuto nulla a che fare con il culto dell'angelo Gesù. Eppure alla fine riuscirono a cooptarne la figura. I cattolici avrebbero voluto cooptare allo stesso modo anche Simon Mago, ma se furono costretti ad ammettere che non si convertì è perchè avevano fallito nella cooptazione: Simon Mago era rimasto indipendente fino all'ultimo, al pari dei suoi seguaci.
Allo stesso modo, come seguace di Simon Mago, Marcione, estraneo ad ogni ''memoria'' di un Gesù storicizzato, venerava l'angelo Gesù che fu solo apparentemente crocifisso in Giudea, durante le poche ore della sua agonia.  Ma il culto originario dell'angelo Gesù era stato storicamente rivale alla setta di Simon Mago, la quale però, prima di avere Marcione tra i suoi esponenti, era riuscita in qualche modo ad appropriarsi dell'angelo Gesù dicendo che era Simone ad aver apparentemente sofferto in Giudea come ennesima manifestazione del Figlio per rivelarsi ai soli ''perfetti'', riscattandoli dal Demiurgo: la dottrina precristiana di Simone infatti prevedeva che il Cristo gnostico si fosse incarnato la prima volta sulla terra nei predicatori del suo nome mediante cui il Cristo tentava di cercare e salvare chi si era perduto. 

Quando fu introdotto un Gesù storico sulla scena dopo che i vangeli divennero di pubblico dominio, e questo avvenne di pari passo in cui furono offerti e venduti nella loro più banale lettura letteralista e non allegorica, questo nuovo, storicizzato ''Gesù di Nazaret'' apparso sulla scena non fu introdotto dagli interpolatori cattolici o gnostici successivi nelle epistole continuamente corrette & ricorrette, per il semplice motivo che pure avendolo stavolta in mente, gli interpolatori si facevano un preciso dovere di suonare più simili alle epistole ''originali'' (ovvero, le porzioni scritte da Marcione), quasi una sorta di auto-imposizione del precedente, più innocente silenzio sul ''Gesù storico'' per rispecchiare così maggiore fedeltà al mito originario. Non si tratta di un'ipotesi ad hoc perchè già vediamo sbucare, ogni tanto, nelle Pastorali, riferimenti a Pilato o alla Passione qua e là, a dispetto del silenzio restante pur presente su Gesù, evidentemente non un silenzio innocente.

Il secondo secolo vide i cristiani espulsi dalla Sinagoga. Senza dubbio a causa di una crisi sopraggiunta. Alcuni credevano che il cristianesimo fosse stato reciso dall'ebraismo e persino dal Dio degli ebrei. Sostituendo la Torah col comandamento dell'amore Marcione aveva trasformato il cristianesimo in una religione che avrebbe attratto facilmente i greci e gli altri gentili. Paolo si adattava nel suo schema come perfetto messaggero del suo vangelo, e così il suo mito fu evocato. Per reazione, gli ebioniti o giudeocristiani mai accettarono la validità di quella separazione, e si ritennero i legittimi ebrei messianici, scrupolosi osservanti della Torah. I critici cattolici di Marcione adotterebbero una strategia di tipo DIVIDE ET IMPERA. I cattolici indossavano la Torah contro i marcioniti, e indossavano il comandamento dell'amore e le posizioni paoline quando scomunicavano gli ebioniti. Infine diventò necessario per insediare una volta per tutte l'universalismo cattolico, sull'onda di tale strategia, legare quei comandamenti in contrasto tra loro. Così si dichiararono subordinati alla Torah. Per esempio, la lettera di Giacomo contiene una polemica anti-marcionita, ribadendo la validità della Torah con tanto di un comandamento in aggiunta, il comandamento dell'amore. Dunque il Paolo che conosciamo rappresenta un personaggio leggendario inseparabile da Marcione, e i suoi scritti non erano attestati prima di Marcione. La correzione dell'Apostolikon di Marcione, combinata all'aggiunta delle lettere cattoliche di Timoteo e Tito, dimostra l'addomesticamento del Paolo di Marcione. Anche così, parte della dottrina di Marcione è sopravvissuta sino ad oggi. Il comandamento dell'amore fu centrale nella sua dottrina, perchè rappresentava la fine della Torah tradizionale e l'introduzione di una Torah spirituale, rivelata non da uomo o tradizione umana, ma per rivelazione divina all'eroe di Marcione, Paolo. La rivelazione dell'angelo Gesù proveniva da un Dio che non era del popolo ebraico ma di tutte le nazioni, un Dio dunque superiore al dio creatore degli ebrei. Un Dio dell'Amore. Legare il comandamento dell'amore ai comandamenti proibitivi della Torah ebraica rappresenta qualcos'altro rispetto al concetto originale cristiano: il capitolo finale del lento processo di cooptazione del marcionismo e delle altre fazioni cristiane del II secolo sotto il tallone della chiesa romana.


E il Paolo risultante dall'addomesticamento cattolico di Marcione & company
, complice anche la storicizzazione nel frattempo dell'angelo Gesù in ''Gesù di Nazaret'' con tanto di Successione Apostolica,  fu il SAN Paolo che leggiamo tutt'ora.


Lo scenario è plausibile nella misura in cui si riconosce a Marcione e al marcionismo la deliberata volontà di addomesticare il movimento, per definizione, riottoso dei primi apostoli gnostici attraverso cui parlò la prima volta con autorità la voce del Cristo cosmico perchè ''erano i pochi nei quali la luce del Redentore aveva  risvegliato auto-consapevolezza''. Per Marcione l'angelo Gesù era il Figlio di un Dio alieno che si era solo rivelato a ''Paolo''/Simone, e ai veri seguaci di Paolo come Marcione, senza risvegliare affatto la loro interiore scintilla divina (come avveniva per Simon Mago & company) perchè gli esseri umani, per Marcione, erano del tutto privi di quella scintilla, prodotti com'erano unicamente dal solo Demiurgo. Marcione semplificò la dottrina di Simon Mago facendo dell'uomo interamente il prodotto del creatore di questo mondo. Lo spirito dell'uomo a cui il Cristo si rivela non ritorna alla dimora originaria, invece va alla casa di un Dio che in precedenza gli era completamente Estraneo. Questa semplificazione della dottrina gnostica originale attuata da Marcione per Price era un chiaro sintomo della volontà di procedere verso un'instituzionalizzazione del movimento, un aspetto dunque ''cattolico'' di Marcione nella misura in cui tradisce il suo latente dogmatismo. Per Roger Parvus invece, da migliore esponente del secondo scenario descritto in questo post, quella semplificazione costituiva l'unico modo per un onesto Marcione con cui eliminare dall'autentico messaggio di Simon Mago tutto ciò che sapeva di allegoria dell'Antico Testamento, per timore di preservare così a propria insaputa nelle lettere originali di Simone anche la minima interpolazione cattolica, a costo di buttare via il bambino con l'acqua sporca. 

Si tratta insomma di scommettere sull'onestà di Marcione.

Se era un bugiardo, come accusò Tertulliano, allora fu lui l'autore di Galati e non il Paolo storico (terzo scenario).

Se invece era profondamente onesto, come crede Parvus, allora fu lui che recuperò il vero messaggio del Paolo storico (secondo scenario).


La soluzione preferita dai folli apologeti (e anche dai sostenitori del primo scenario) è che Marcione mutilò la lettera dove l'originario Paolo suonava più fedele alla Torah.


Penso che quella di Robert Price sia intanto l'unica direzione a cui far indirizzare il terzo scenario di questo post, perchè è semplicemente un Fatto che le prime epistole, o meglio i primi frammenti di epistole, si devono al primo che ne pretese la collezione, ossia a Marcione e ai marcioniti, e che Price abbia ragione rispetto a Detering nel non poter distinguere così facilmente tra il primo e i secondi:

Le epistole paoline iniziarono, per la maggior parte, come frammenti di Simone (parte di Romani), Marcione (i capitoli dal terzo al sesto di Galati e la bozza essenziale di Efesini), e gnostici valentiniani (Colossesi, parte di 1 Corinzi, almeno). Qualcuna iniziò come documento cattolico, mentre quasi tutte furono interpolate da Policarpo, il redattore ecclesiastico che addomesticò Giovanni (come pensò Bultmann), Luca (come pensò John Knox), e 1 Pietro, e poi compose Tito e 2 Timoteo. Il risultato è che alla fine stiamo, quasi incomprensibilmente, di fronte ad una pila di frammenti letterari.
(pag. 534)

Quindi uno scenario che sembrava riottoso ad incastrarsi in una semplice descrizione, in realtà è molto più semplice di quanto si possa credere. L'unico grado di libertà che ci si può prendere è nel cercare di figurarsi, non avendo più in mano le epistole ma solo l'indeterminato ricordo di antiche polemiche e predicazioni di apostoli girovaghi, la natura di quei primi apocalittici. Erano gli antichi Pilastri ebrei messianisti, profeti, sciamani, addirittura filozeloti? Erano proto-gnostici come Simon Mago? Erano gli stessi che poi scrissero l'Apocalisse contro gli emergenti gnostici o gli ebrei troppo gentili per i loro gusti? Non facevano neppure parte di una rete, di una religione misterica a tutti gli effetti, ma partirono già dall'inizio profondamente scoordinati e senza nessun'autorità morale, se non forse quella di Giovanni il Battista?
Non possiamo saperlo. Come non possiamo ipso facto dedurre, dal fatto che il primo che si finse Paolo fosse Marcione, il peso reale che i simoniani giocarono nella fosca nebbia del I secolo, ormai divenuta l'unico fatto certo in questo pur semplice scenario.


Le parole di Robert Price, per quanto suggestive, potrebbero non convincere:
Supponi che uno abbia concluso che i vangeli non fossero così tanto posteriori delle epistole dopo tutto, facendo entrambi prodotti del tardo primo secolo, primi del secondo secolo. Supponi che i tardi vangeli fossero persino più antichi delle epistole. Quello da solo ancora significherebbe poco. Come descriveremo quelo che troviamo nei vangeli? Uno li definirebbe sobri dati storici e biografici, persino secondo gli antichi standards? O non dovremo riconoscerli puttosto come un insieme di miti dell'eroe semplicemente storicizzati?
(Robert M. Price, Does the Christ Myth Theory Require an Early Date for the Pauline Epistles?, in Is This Not the Carpenter?: The Question of the Historicity of the Figure of Jesus, Equinox, 2012, pag. 108, mia libera traduzione)

Infatti a taluni potrebbero sapere del tipico dogmatismo di chi, con i soli vangeli di fronte, si sente già in diritto di negare in toto la storicità di Gesù. L'errore di Joseph Atwill e degli astroteologi non è appunto quello di inferire erroneamente dalla semplice negazione della storicità dei vangeli la negazione della storicità di Gesù? Una falsa biografia si potrebbe benissimo appendere tanto ad un angelo mai sceso sulla terra quanto ad un personaggio storicamente esistito. Si tratta di un errore grave, che Price non avrebbe dovuto commettere.



E tuttavia lo stesso Price avrebbe subito dopo ragione quando precisa:
Se l'originaria forma mitica raggiunse una forma scritta solo più tardi, ciò probabilmente indicherebbe che una comunità mantenente l'originaria versione mitica sopravvisse accanto a quella che accarezzò la più nuova, più evoluta versione, incontaminata da essa. (Robert M. Price, Does the Christ Myth Theory Require an Early Date for the Pauline Epistles?, in Is This Not the Carpenter?: The Question of the Historicity of the Figure of Jesus, Equinox, 2012, pag. 110, mia libera traduzione)

Price avrebbe ragione a tutti gli effetti pratici: in pratica, se sei giunto alla conclusione che il Gesù di Paolo è un angelo prima del 70, dovrebbe continuare ad esserlo anche dopo il 70, sotto l'ipotesi di un ''Paolo'' inventato per quel tempo, non trovi?

La diffidenza nello spostare nel II secolo le epistole paoline ''indisputate'' sarebbe razionale solo se ti mantieni astrattamente rigoroso sul rigidissimo principio che ''quello che viene dopo il primo vangelo non puoi sapere se parla o meno di un Gesù storico neppure se si mantiene enigmaticamente silente su di esso''.

E tuttavia, se devo rifiutare la tesi di Earl Doherty quando indebolisce chiaramente il suo argomento del silenzio, da forte che era quando applicato ad un Paolo (oppure all'epistola agli Ebrei) del I secolo, nel momento stesso in cui intende applicarlo nientemeno anche ai Padri della Chiesa nonchè primi Apologeti storici del II secolo, allora devo parimenti rifiutare per coerenza di emettere a priori un giudizio sulla presenza o meno di un Gesù storico in epistole posteriori al primo vangelo. La differenza risulta chiara dal fatto che è impossibile dubitare di quale Gesù sta parlando l'autore del Dialogo con l'ebreo Trifone, persino se mette in bocca a quest'ultimo interlocutore polemico il dubbio sulla sua storicità.
Ma Cristo -- se egli è davvero nato, ed esiste da qualche parte -- è sconosciuto, e non conosce perfino se stesso, e non ha potere finchè Elia viene ad annunciarlo, e lo rende manifesto del tutto. E voi, avendo accettato un resoconto senza fondamento, inventate un Cristo per voi stessi, e per il suo amore state perendo sconsideratamente.
(Giustino, Dialogo con l'Ebreo Trifone, capitolo 8)

Tuttavia, non sono d'accordo con chi nega la paternità paolina di tutte le epistole paoline. A me sembra prima facie che gli argumenta interna pro e contro la loro autenticità siano più o meno pari. Il dr. Carrier invece, ritiene non convincenti gli argomenti di Price/Detering
Io non trovo nulla in quelle sette lettere autentiche di Paolo che sia implausibile nel contesto storico-sociale. In verità, io non trovo nessun indizio o evidenza a favore del loro essere invenzioni posteriori in tutto. ...
Non esiste nessuna ragione perchè la teologia cristiana non si sarebbe potuta ben sivlupparsi nel giro di anni (o in realtà addirittura in meno di un anno), poichè si sarebbe sviluppata da una già esistente teologia ebraica, e quindi gran parte della sua complessità è semplicemente un riporto di quello, con minori aggiunte. Non c'è davvero nulla di insolito circa innovatori religiosi che sono violentemente contrari ed energicamente oltrepassano la soglia -- in realtà, tutto ciò è tipico dal punto di vista storico. Non esiste nulla neppure di unico circa l'ebraismo libero-dalla-Torah che Paolo difende. Esistevano già sette pre-cristiane che sperimentano con quello. Ed è chiaro da Paolo che fu nuovo per il cristianesimo, costituiva la sua innovazione di esso, e una tale innovazione poteva essere fatta a qualsiasi momento della storia. In verità, ha un senso particolarmente nel contesto di Paolo, dove l'ebraismo della Diaspora stava divenendo in misura crescente disconnesso dall'ebraismo palestinese, ed in misura crescente compromesso e imbarazzato da esso (il nazionalismo del tempio stava creando mal disposizione verso gli ebrei dappertutto, e l'“esclusivismo” dell'ebraismo era un motivo costante di antisemitismo paganao, e quindi un'ovvia cosa di cui sbarazzarsi, per ognuno che voleva una migliore integrazione pagano-ebraica). Non c'è niente di anacronistico sulle nozioni di Paolo del celibato o dell'apostolato (se qualcosa, i concetti di Paolo non hanno alcun senso in un cristianesimo post-vangelo, così non esiste alcun modo plausibile perchè quelle lettere fossero scritte dopo che i vangeli divennero l'arma d'utilizzo sulla linea del fronte del dibattito inter-settario). E suggerrire che le idee di Paolo della gnosi sono post-apostoliche significa semplicemente fare un argomeno circolare (uno deve presumere prima che è post-apostolico, per dichiararlo post-apostolico...perchè non disponiamo di nessun altro scritto apostolico...punto).

Nel frattempo, esistono numerose ragioni per affermare la vista contraria su quelle sette lettere, che loro autenticamente rappresentano qualcuno chiamato Paolo che scrive negli anni 50 d.C. Non solo loro manifestano ignoranza della distruzione del culto del tempio e di Gerusalemme e dei vangeli o di ogni cosa in loro, ma anche, per esempio, l'evidenza che quelle lettere sono compazioni di estratti di altre lettere (ora perdute). Per esempio, Romani sembra contenere il contenuto di tre diverse lettere, modificate e incollate assieme. Tu non fai quello se tu stai inventando la lettera. Tu fai quello solo quando tu stai cercando di creare una nuova lettera a partire dal materiale esistente in quelle vecchie. L'editore non sarebbe stato Paolo, così la modifica è disonesta e non riflette esattamente quelo che Paolo scrisse in origine. Ma ciò non fa del contenuto un'invenzione. È ancora quello che scrisse Paolo.


Sebbene non esclude la possibilità avanzata dalla Radikal Kritik, tuttavia ammette la necessità di argumenta externa, i quali al momento sono ben lontano dal raggiungere evidenza conclusiva, anzi, non esistono affatto, perchè il massimo che si può ottenere è un debole argomento del silenzio: chi avrebbe avuto necessità di menzionare Paolo? Un documento cristiano del I secolo avrebbe dovuto menzionare un crudo e semplice episodio biografico della vita di Gesù (che non siano quelli che anche una figura angelica può realizzare, ovvero la morte e la risurrezione), prima o poi, eppure non lo fa mai: questo sì che è un forte argomento del silenzio. Al contrario Paolo era solo un predicatore dell'oggetto di culto di una religione misterica ebraica del tutto marginale, e non l'oggetto di culto in persona (salvo che nel secondo scenario, in realtà un'istanza particolare del primo).  E nel dubbio, la posizione di default da prendere sarebbe quella del consensus: Paolo scrisse le sue 6-7 lettere negli anni 50 della nostra era.


Se prima la mia opinione era quella di Arthur Drews:

Lasciamo completamente da parte la questione dell'autenticità delle epistole paoline, una questione su cui assoluto accordo probabilmente non sarà mai ottenuto, per la semplice ragione che siamo privi di ogni base sicura per la sua decisione. Al posto di questo volgiamoci piuttosto a quello che apprendiamo da quelle epistole riguardanti un Gesù storico... Il Gesù disegnato da Paolo non è un uomo, ma una personalità puramente divina, uno spirito celeste privo di carne e sangue, un impersonale fantasma superumano.
(Arthur Drews, The Christ Myth, pag.168-169, 180, mia enfasi)


...Ora sono davvero sempre più propenso a confermare le seguenti parole di L. Gordon Rylands:
Gli scrittori paolini sono interessati solamente alla morte e risurrezione di Gesù. L'autore di Galati, che i teologi, salvo quelli della scuola radicale olandese, credono essere stato Paolo, dice non solo di non aver appreso quello che ha insegnato su questo soggetto da uomini, ma che non desiderò ottenere dagli uomini alcuna informazione a suo riguardo. Una dimostrazione sufficiente che quello che insegnò fu puro dogma.
Non solo nelle epistole paoline, ma in tutte le epistole, non c'è la minima traccia di una qualunque impressione che fosse stata causata da qualche personalità umana. Se la presunta impressione fosse stata fatta, le esperienze mediante le quali i discepoli avevano vissuto in compagnia di Gesù sarebbero state preservate e il pensiero dei primi cristiani ne sarebbe stato colmo. Ma quei primi scrittori cristiani mai rafforzano i loro argomenti tramite qualcosa che avevano udito Gesù avesse fatto. Lui non viene mai posto di fronte a coloro a cui quelle epistole sono rivolte come un esempio da dover seguire in ogni relazione umana, indicando il suo comportamento in qualche occasione particolare. Per gli autori di quelle epistole Gesù è non un uomo il cui esempio altri uomini potevano seguire. Egli è il 'Figlio di Dio' che ama, nel quale otteniamo la nostra rendenzione, l'immagine dell'invisibile Dio, il primogenito di tutta la creazione.

(L. G. Rylands, Did Jesus Ever Live?, London:Watts, 1935, pag. 23, mia libera traduzione).